Oh, Le Nuvole

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  • Pages: 76
* Oh le nuvole, le tantorombanti nuvole: si sfrangiano grigiando fra loro. Aspettiamo dalla terra con mani arse la calura che non se ne vuole andare. Oh le nuvole, le multisonanti nuvole: galleggiano nel liquido cielo senza volto. Ricordiamo su questa terra tanti errori del volgo. Oh le nuvole, le troppo sognate nuvole: illudono il nostro valore come specchi al tramonto dei cuori, vecchi e lontani da qui. Oh, nubi fiammanti delle nostre notti: accompagnateci tra lembi di sudari. Voi: nembi innaturali!

* Assaporare al limite del mare l'insistente livore di quel calar del sole.

* Straniero tra le mura del cosmo: troverò la mia casa. Sempre i sensi vedrebbero mura.

* In un vaso sei calle son fisse, l'estasi di bianco silenzio. In un poco si mutano in dita: la natura ha sei artigli. Mi pigliano l'incanto di trovare la vita.

* Stare in mezzo all'onde dell'aria, assaporare all'interno vivere il turbinare.

* Una notte dei mostri l'orda mi coglie, quando l'uso del sogno presto si nasce. Il liquore fiammeggiante degli occhi mi colpisce: sui miei santi non c'è l'ombra, nessuno sguardo capisce.

* Flashico lullare il ribollir dell'acque etnee - sotto il solare.

* Mille spicchi rasati da luce, sfrangiati (chicchi di riso millenato) quei picchi cristallini del vaso.

* S'innalza dalle langhe desolate un prisma mortale e dal vertice sbalza un'occhio d'ali e sangue fatale alle mie lontane musiche di nulla e venti.

* 25 Aprile di ogni tempo

Potere abbracciare il male e guardarlo d'oltralpe, con la vista centenaria.

* Vecchie nuvole rincoglionite, trasformatemi in demone alato: voglio toccarvi da vicino senza nemmeno un'ala biancoverdita!

* Alla Musa ispiratrice, again

Sii sempre come ti vedo ora. Possa morire come voglio tu muoia. E non ci parrà lontano quel fiore di campo che tu volevi e mai colsi, quando scorrevamo la strada velocemente in un lampo d'amore.

* Vivre en directe sur l'electe Livre!

* Mit Ohne Titel mia vita giace e piace all'alieno dal volto di marmo.

* a Stehaw

Nulla ci serve. Ci serve qualcosa. Tiene in culla un falso concetto, la rosa di dio morente, del dio negletto. Facile dire parlare sperare un senso profano: ci spiega l'arcano molleggio l'uso d'un certo solfeggio.

* Rustiche occasioni soleggiate nella paglia ardente. I glutei tuoi vivevano nei glumi del grano accanto a noi. Tu, fiume, mi portavi e la sete saliva ancora, dietro passi d'ombra fogliati.

* Ho sempre amato l'ombra. Dei cimiteri.

La loggia che sottende al marmoreo lucore mi rende titano. Un verso animale, il biancore d'una saetta mattutina a cielo terso. Un arcano.

* Se la repubblica non è il diritto, non mi importa nulla della repubblica. P.-J. Proudhon

L'occhio del dio quotidiano stringe politiche faccende. Guardiamo con l'animo rialzato fin dove tende la sua mano.

* Qui. Ritroverò sonore sponde sbattere schiume nella tempesta dei vinti. Staremo assieme una sera spinti da chimere implumi, da grondanti sudori d'amore.

* Noi non siamo perfetti piume bruciate assolate inseguiamo il perfetto.

* Io mi vedo e odio questo nuvolo insonne che mai cambia, mai stravolge. Sotto diecimila tetti ansima e si strugge d'amore, libra i suoi corti pensieri e raggiunge qualche dio ma mai si sazia. Nuvola, non sai d'infinito ed osi albergare nel mio cuore?

Miraggio In tre: s'abbracciava la cantilena nell'ozio caldo d'estate, tra l'ignoto tremolare dell'aria sulla strada. La catena degli occhi era ben salda: un prode guerriero veniva correndo, poi svanì. Il nuvolare turbinoso d'un vento ne fece polvere al fio. In me lo sconvolgimento avveniva: già da allora quel punto era anche Dio.

* Di te, cui il maestrale ti fece disperdere le ali, incauto airone nel gorgo delle tempeste preso, cosa dire davanti questa siepe? Eri la bugia che all'aria si lascia dondolare e viene al mio capezzale, malato, e mi rincuora: rinnova ancora ricordi e teme quel prossimo avvento che prenderà me, trasformato in vento.

* I rilievi che accennano al tuo corpo dell'animo sono fiere: è la pura dolcezza d'uno sfiorito carpo. E me, ricordarti lieto quando con le bùccine giocavi lì, sul litorale nostrano e c'era un suono di liuto lontano.

* a Salqua

Non era il fatuo sublimare del mormorio nascosto di foglie sgombre nel viale: era un sorso d'autunno nelle tue vene stanche, aveva del forte tintinnare del vano fuoco di losanghe (era la nobiltà racchiusa in guscio? era un furioso fascio d'altre razze?). Quando mi parlavi era questo, ma io non capivo le tue parole.

* Guàrdati: vacuo fantasma senza forze. Non ci sei a tormentarmi dell'infinito e dell'infimo (il tremolio dei lecci si bea di questo mio pensare). Quel coraggio che mancava mi spazza lugubri scrupoli che fissano i se. Al fuoco le tue carte, al fuoco anche te!

L'uomo dell'Aleph. a Jorbor

Un'altra carta, una nuova leggenda ci stringe le tempie e potente trasporta evangeli diversi, diversi vascelli. La prora da te guidata drittava il velo dell'acqua e sguazzava la chiglia possente su luci distinte di un verbo carente di genti, mancante di popoli d'ombra. Un punto nascosto nel buio sottoscala di mille case, senza risposta. Un'ala corvina ventò silenziosa sotto i gradini: l'Aleph! un oceano di giardini dell'Eden, di grandi rotori divini. M'avvedo ancor oggi di un dubbio: una fiamma laterale brillava mentre scorgevo la storia latrare alla luna, alla corsa di rame del fare. Un attimo l'accorgersi del falso oppiare.

Luciana. alla controparte

Graffiarti le spalle come l'amore che facevamo in lotta l'un l'altro. Io sento il tuo ansimare stanco uscire dai bianchi marmi e mi pare vero. Chissà se la morte mi fa questo per farmi desiderare d'esserti accanto?

Franca. Distruggerò le tue carte perché non posso distruggere i ricordi. Una mattina cercavi il vivo capire del senso d'amare: era vero, unimmo i nostri sessi per volare su sogni inesistenti, la scusa per scambiarci il godere dei corpi, come puri angeli della vita insistenti.

Wanda. alla controparte di Gicia

Se fosse vero che risorge il tutto cancellato alla fine dei giorni, non ti cercherei, né ti bramerei più. Non credo in alcun Dio facente questo perché il tempo che ci separerebbe avrebbe della noia una scusa per la vita.

* un pensiero nella mente di Anfecro

Come implume ti guardai così, nudo, ti allevai sotto il vigile sguardo di Adone. Già: nutrice ormai vicina all'inferno. Ben volentieri darei le avvezze membra e le mammelle fiacche e il viso scarno e gli undici dietro il collo vecchio per un solo ricordo della tua pelle giovane. Lisciando questi fogli s'accorgono le rudi mani dell'immagine.

L'uomo dei simboli. Tu erri sulle terre ed io sull'onde, come un eterno ritmico salire su scalinate profonde verso un'ignota chiocciola. Non irrorerà il suolo il sangue mio celato a sacre coniche, taciuto ai veli, l'animo restio mai compagno di tonache. Ma quante parole, quanti segreti circa l'amore sorgono: sono torrenti che rodono i greti ed un violento simbolo rotola.

* Crudele è la morte! Le porte che crude si chiudono portan cruente lacrime nei crateri del silenzio. E rapido si risolve il pianto sui sentieri ripidi dell'orfico: si arrampicano chele di artropodi mai visti, che si risolvono in mille rumori di tuoni, su ombre vicine che seguono coperte d'onice e un assolo di suoni d'oboli già dati cerca di carpire il Senso. Civile è l'interno degli uomini, cinica dei vecchi la scorza. Sotto un cielo di pioggia s'accende l'estasi che vibra un esercito di erba e ferro: gira in tondo sull'ellisse di pianeti e di ricordi elisi. Poi, di botto, si chiudon le camere dove albergano occhi di marmo. Ci credereste? Non mi sentii mai più vivo di così!

Gli amici. a G., P., S.

Odiammo più la vita che la morte ed era stanco il mito dell'avere. Questa vita misera, triste, vuota: ah! se i bimbi nascessero senza ruota che li porta nel destino dei miserere! Il divino responso l'infondono nati già ciechi in negozi di vetri. Nati da donne audaci nell'essere, forti di conquiste - paglia di sterco. Oh voi! Madri delle nostre canzoni, cercate nel maschio il riso che ammicca e vi impicca, violentate nell'anima: trastulla il vostro corpo e poi ci sputa sopra le ragioni della libertà! Genitori del male estremo noi siamo, uomini e donne, tutti quanti noi perdenti l'illusione del peccato, noi che mai con ragione guardammo. E si vive in un Paese di menzogne mosso da pupi di lucido cristallo. Quali speranze, le luci civili? Ci siamo accorti di essere già morti accanto ai cadaveri della storia. Davanti a questo lago di frattaglie non un fiore né un cuore: sol muraglie. Dov'è quella siepe per guardare oltre? Esiste un cielo sopra questa coltre?

L'ULTIMO MANOSCRITTO DI ALCYONE

* Sento il mormore lontano dei bastioni circondare milioni di cuori e non è vero: nessun rumore. Nulla ci scorge, forse è sera. Non guardano alcun fiore le pene e il vuoto di chi spera.

Indugia nel morire della sera. Non il piegar di steli era sommerso, neppure l'austro che accarezza il sole: il vetro della grazia più non tiene; si sentiva dei simboli l'odore. Tale il culmo della spiga non spezza se stesso con il fulmine il vigore; è l'acqua che lo piega fino a terra, lo risorge il calore del mattino: sono io il grano della vita mia (passo questo giorno volando sempre sul brunire delle crespe del sale). Indugia nel morire della sera questa mia fede tanto triste e stanca; un fragor di tuono improvvisamente e di tanto toccare rimane un niente.

Titana! Ti generò la sorte ed or la morte. Rivai tra i nivei fossati tu, o ricordo, o stame dei miei giorni! La selva che si muove non basta al mio dolore né il limo d'ogni fiume. Le spalle ricoperte di conchiglie, nelle valli s'attraversa la gora. C'è un urlo che rintocca se scocca nella gola una parola: di paglia un lume illumina la prole.

Ode. Terso è il lampo della storia che dei segreti moti il cuor m'impone, cancellando il tempo della gloria cui quest'uomo perso chiede e non suppone. Non avverti anche tu l'orrida silloge che ci attanaglia? L'immagine combatte soave quell'inferno mai fermo di fosca ignoranza. Un florilegio sacrilego mi tramuta in lontani eroi: sarò di pietra o di color ferrigno, drago di ferrame e di tarda carta. Nella rada mi sbatte sul porto una prorompente procella. Ma nei flutti d'Ausonia il puro tuo corpo si dona a me, t'avvicina a me e sa che non resisto. L'istante mi consuma, dio! Nelle fiamme non c'è più spazio! Questo mondo bianco. Chi vuoi che io sia durante questa notte (che durerà un momento così breve): essa copre da una vita quest'anima e solo a volte alcune mute note scuotono con forza la mente grave e muta si guarda intorno chi l'anima. Vuoi che cerchi per te vetri mortali in cui la solitudine specchiare? Se vuoi la mia morte osserva lontano qualche bagliore del triste Vesuvio. Sono giunto: in un violento piovasco osservo immoto ogni paesaggio e un italo albero mi accompagna. Poi mi vedo, sospiro, e mi spargo per le alte vette, morto. Sento che, dimenticato, giacerò più oltre tutti i più lontani lidi.

Il sogno. So cosa succede a volte se, tolte le redini alla vista, in pista scende la rosa del riposo e attende. Attende sui colori del ricordo: tu mordi con tua bocca quei petali casuali e annusi il fetido odore del limbo. Attendi tu responsi reali dati da divine virago in cielo ancora oggi nel tremila. Non sai della Spina che hai nel corpo? Non senti le tue sfere nella testa? Sorto un pensiero, poi nulla resta ma nei fiumi della notte esatti meccanici genitori rivolgono la parola ed è una festa: spera nel risveglio tra lattei rivi, calpesta con nudi piedi il suolo e vedi con altri occhi l'origine del mondo che celasi a te e a me solo. Di notte guardo un muro di blocchetti, una manciata di brutte pietre e mentre mi inabisso nell'intorno si alza il sipario sul mio fondo.

CANTI DEL CANE Al cane investito una notte.

* Dalle dita rose di fina sabbia cadono granelli sul pube nero: non c'è amore, furente è la rabbia (graffia il mio viso di fosco guerriero). Cane nel cuore mi sento sbranare: quest'anima si ostina, non guarisce, taglia la luce senza più osare. Qui sentirò l'eterno che guaisce.

* Scorpioni viola dalle vette immacolate scendono solitari coperti di neve. Io brucio: vedo globi raggianti che rotolano sulla mia pelle! Ci sono arpioni che trainano senza farti alzare: prendono solidali l'essenza dell'umore (esplodono gli ultimi barlumi del livore). Sentiremo il richiamo dei colori nascosti nelle caverne del nostro cuore o affronteremo piuttosto le stelle?

* ad una donna lontana

Una nuova luce sei dentro gli occhi. E quel bacio. - Cos'è un bacio davanti alla fiamma che splende come un sole da poco nato Pensosa nella buia notturna t'ho vista nel pianto ma tu soffiavi sul fumo del passato. Stars upon the vault ti han fatta passar per prima.

* ai diversi autentici

Umani dagli occhi bellissimi noi viaggiatori scopriamo ogni giorno di questo giorno lontano. Ma quelli, eterni sofferenti, umide le lagrime il viso ruscellano e le rosee guance ci procurano brividi violenti, come quando sulla cinerea palude Venere riflette un vento cadente.

* E nell'universo, un tocco spento: si spegne con calore ogni occasione all'attenzione del gran Dio che fu. Si sente un poco quel sapor diverso: tu ricordi i fasti, nulla più. Risorge all'avere nostro la bontà e nasce nel migliore che tu scorgi: bentornato all'umano clangore, sia maledetta questa società!

Vision de Dieu. un vezzo

Su te, infinito, dei tempi gran signor grande inquisito da un processo tuttor: all'albe piene di solare vigor non c'è alcun bene ed aleggia l'umor. Qual dio tu fosti che desti eredità, sudor e costi a tanta umanità. Qual dio, ti chiedo, sente gli urli e non fa; dov'è il tuo credo di tanta tua viltà? Soluzion non fu all'idillio sfaldante, all'Eden che tu, saggio pomo pensante, vedesti, gloria degli uomini e di abissi: da grande Storia poi comparve l'eclissi. Così mangiasti te stesso con violenza infin spirasti sul serpe e la veemenza.

Io Cristo non lo vedo. alla memoria del prof. Giosat

Quale pianeta potrà mai rinsavirmi, quale uomo o quale macchina o mostro uscirà dal buio a distrarmi e dove tutte le sensazioni dell'incubo, dell'irrazionale curva dell'animo sottesa alla morale, alla falsità, alla verità... dove sei, disperata? In un funerale conta il lenzuolo o il loculo troppo stretto di pietra mentre le ossa se ne vanno all'aria e marciscono, si trasformano in altri angoli dell'universo. Non sanno più nulla i morti, se nella fossa qualcuno si rialzerà e cercherà tra noi le sue spoglie, se io vivrò nei secoli sulle righe mangiate da tarli affamati, se la storia avrà due punti per essere ricorsa, come le foglie. Cambierà l'aria del mondo e le mie carni da bianche a blu. Qualcuno pregherà in sordina senza sapere chi o cosa. Giù nell'inferno (non avrà più senso dirlo). È sempre stato qui accanto a me, un inquilino rumoroso ma chiuso in casa; riesco a prevederne il richiamo: quando il rosso suo manto mi coprirà soffocherò, sardina in scatola. Dai miei occhi si vedrà il riflesso dell'inutile parlare, dell'inesorabile martello: adesso io vivo, amo, poi... sul più bello il nulla da mordere. È facile dire: ci credo, non ci credo ma io Cristo non lo vedo.

Non fate muovere le masse ignoranti. Quei morti in cuoio nero mi diedero del semita ed io non risposi (non si dice nulla ai criminali, ai pazzi, agli ubriachi, alle larve), al che comparve un cazzotto sul viso. M'asciugai il labbro col fazzoletto e dissi: - Se sono ebreo non lo saprai che a guardarmi bene il cazzo! -

FORBICI DI FEROCE PAZIENZA dedicato in gran parte a Ricse

* Amori: cardo senza speranza ch'io ne calpesti le spine. A piedi scalzi sui mari le vane estati nello sciabordio. Id est: ogni dio che s'è visto ha chiamato con voce di saio o di t-r-i-n-e. Profeti tramiti messaggeri (ma non l'abbiamo mai ascoltato direttamente, il Dio). Daily Godness continuo a dire. Così così così le persone sono gli unici intermedi/intermezzi dell'amore.

* a Mardon

Ti basta stendere il corpo su di un gelo pavimentale al freddo dei marmi in terra, tenero abbraccio con l'immoto (si crea al tuo cospetto da nessun passo piegata l'erba; i sassi che tu senti si mutano in verdi non foschi fili). Evidenzi un carme adamantino: il gelo scomparso, rimane il sentimento di una profonda illusione. Com'è importante il mar. Si muove su di te, creatura d'unico bell'aspetto.

* Ebbi a dire del cervello - organo sopraffino. Quando penso alle spiagge all'acqua cupa profonda alle conchiglie ispessite sul bagnasciuga - una volta un bel volto a Portofino in un suo luogo è presente ogni immagine di rena ogni lembo di bellezza ogni sorta di mia pena. Provo a togliermene un pezzo, un qualsiasi brano, chi lo sa: potrei non tornar più bambino. - Il sole è sorto se in cielo v'è un sole. Bella forza: non dico né non dico. Calibrar le tautologie e cavalcarle like a derby. Sfogliare una pagina prima e in qualche luogo (tra sterpi e pruni scuriti dall'ombre) avvertire in una zona cerebrale il sole sorto non sorto magari alla fine scoprire che è morto.

* I lampi spaventosi e spessi invadono lucenti ondosità (alcuni duri ferro battuto). Inane è la mia condizione al cospetto di centomila strali: è un'idea fissa e lo so. You know - queery - I am free almeno in questo quartiere: qui con alle spalle Boccea. Ed ho pietà delle stelle poetiche e del sospirare, della cometa, del calmo stare. Dall'amor ancora inesistente mi guardo ma subito si sfa. Lo sguardo.

* Scendete torri del cielo scendete! Cos'è che vi spaventa in questa città? Ferrocemento e d'orge: un fermento improvviso sulle nubi vaporose delle vostre rocche. Vi tenta l'animo che si torce quasi passione crudele dell'infinito (terra plasmata da fuoco). Noi siamo morti non funzionanti ecco tutto. Cerchiamo il grande forse e nulla più nell'ostia nella fiamma nella ruota senzatregua. Un battito di ciglia: la verità. All'uomo della strada in fondo non importa poi tanto se venite, voi: deità. Forsità.

* a Steco

Tu non lo vedi il vero deserto delle cose avanza senzacolore. Lento. S'accompagna al cinereo grullare su stagni lungo lontane occasioni. Mi sembro un grigio lavorio che fugge quasi un cinabrico vegetale isolato forse un pungo di grassa terra ingravidata. Tu non lo sai ma io lo vivo questo deserto fra le mie mani attorno a giorni senza fine a giganti notti corte e insensate. Eppure io so di occupare un posto eccezionale nei sogni di un cavallo indorato fermo su qualche piedistallo marmoreo.

* Non sono solo pietruzze secolari: i nostri rioni irregolari non smettono di abituarsi alle puzze bestiali sulle strade e/o al chiuso sotto metro e/o bus persino accanto/sopra il crinale ai placidi pini la sera se guardi dall'altescale su quella montagnola la Galleria Nazionale. C'è gente: porta sapiente il lusso delle città grandi e - si sa su questo mondo ci contano solo le città grandi, altrimenti siamo fuori, nel contado e laggiù, nel neroverde la notte, nessuno sente.

* Dunque anche io mi ritrovo spesso obligèe su lidi mai visti prima né calpestati attorniati da flutti e un silenzio tondo compresso nell'aria riluce senza calce né cenere. Gracida la rana nera nella nera selva: un brivido pervade il nostro stato del moderno. Poi ritorna. Una casa: quattro mura. Furioso implacabile inquieto arde il volto mio.

NON IL CACTUS MI ODIA le prime quattro sono dedicate a Luto

* Quando le rumorose vie da mezzogiorno frammistano sulle lucidissime rotaie la larga bruna e il sovran dei fiumi - l'oltresilenzioso gracchiare nel denso e s'agitano i sottili pali con le fronde avvenenti in un danzare alle tue porte. Dove intingerò le labbra per nutrire questo senso? Ora l'amore mio eclissa, celasi bene all'apparenza. Sono io vicino all'orlo fiammeggiante. Sfavillano sopra le reti urbane le menti trollanti di Milano.

* Nella volta di un riccio niente e non accade sul mio cuore gocce brillino al suono tremolante voci sconnesse rutilante (oh la candela a spiarle verde) e il vento corre orrec sferza sulle pietre rotolano. Offresi al campione ogni ben come un senior di trent'anni (e più) liberato sul mio... scivola! walking (ma non c'è lastricato in mattoni) alpha son io tu l'omega meno uno, diceva - vengo dal balcone di fronte e ho attraversato il giardino volando e sono qui col secchiello di plastica e l'ho fatto per te sono passati più di tot anni dio mio, sto impazzendo e lo so! Nequazione 3=7 vaporosa muore di notte la celerità in un imbuto appassito presso via Andando-al-mattino numero 31 millante tenaci ristagni vanno senza martirio che illumini: Olocausto qualche cifra (adombrato vie de Jesus: in the Name of Lust we always are coins). Io non credo alle curve del cielo né ai passati innocenti il cui effetto mi svela. Mi ritrovo a cena aragosta - è l'ora per tutto! - e

sboccia dalle mie mani con undici dita un sanguigno ridere frammisto a schiuma di morto appena lavato dai mortaioli cassamortari. Esseri per cui la quale non si sa questo di notte è il canto della mia vena sulla fronte sinistra gonfia più della mia voglia di foia. Quel rovente tempore cigola alla stregua di un battito d'orocigliologio all'interno dell'automa di Oz... Cazzo (era inevitabile a questo punto e ci sta sempre bene): io cibernauto o cibernuoto nel liquore elettrico delle voglie la radio a galena e un rico-ordo lu-ungo - forse la catena di un cesso memore -. Nell'aria brilla una lagrima fatta di muro, quinquaginta è troppo poco: meccanica schiena d'ippogrifo tu turbi la fila agli sportelli e ci tenti e rubi sottili indispensabili {necesse est [à la guerre! (n'est çe pas?)]} frazioni del nostro misero tempo. Utile a prepararci la morte. Really.

* Strofinarsi sul tuo corpolibro e volare sui cani ci guardano librare - ripetersi ma non guasta (nel significar di rivolare in tondo un po' come lievitare in aria: attenti che non ci casco sul levitare!) ed elencare tutti gli are ere ire in un unico verbo: Immensarmi con una sola persona grammaticale. Il tuo letto ha in serbo sorprese come nere sete mi avvolgono e non ti trovo nel buio se non inseguendo saetta/lepre tuoi totemici verticilli essenziali: hai colto... più rese di quante i libri non diano. Offering, non credo neppure illusive paturnie blablabla oppure elusive manovre per sopravvivere. Io vedo qualcosa con i miei occhi giallo blu. Ma tu non lo sai!

* Nulla è dovuto e il denaro circola in tondo longolongo si dice serpente, sei tu, pubblicità? Paga tutto ogni cosa su questa terraiola sconfinata. Tutto. Proprio: ah! pio pio pulcinesco pigolare stan tutti carponi attratti da luce bluette porco @! Come divulgare la coscienza: una semplice toccata di cervello sfiora con dita dalle unghie di ferro? Esiste l'Idea. Piango: purtroppo non esiste qualcosa per averla. Ieri mi sono incontrato con Q*** non fa altro che ribadire sulla brevità: ho avuto un lungo la schiena brivido freddo: B - R - E - V - I - T - À. Cristo, quale verità.

Lester-upon-a-fire. da un'idea di Giocon dedicato a Mascer

Lester, hey Lester. C'è un fuoco che ti brucia sotto. Ti attende e brucia, Lester. Hey Lester io lo sento su di me te l'ho detto? Lester, il tuo fuoco è pari al mio ma non riesci a sentirlo? Lester, il tuo fuoco brucia e non ti accorgi che ci sono anch'io. Al di là del mondo esiste chiara la mia totalità. Lester, il mio fuoco vuol fondersi col tuo e l'aria è tersa e le auto sfrecciano impassibili e le luci si spengono: è tardi! Come qualcosa di blu non di rossastramente sanguigno e qualche animale latra poiché crede che tutto non finirà. Lester, tutto sta finendo io lo vedo bene. Il fuoco è solo un granello di sofferenza su questa spiaggia infuocata senza inferno. Lester, il nostro universo è già finito e un brivido ti scuote mi scuote - ci fa sobbalzare come l'eterno. Lester, sei sotto una montagna arroventata e devi cercare di alzarla. Lester, so che ce la farai ma non farlo con le tue mani. Lester, io ti aiuterò non a sconfiggere il fuoco né la montagna né il mare il cui calore supera il mio. Lester, ho qualcosa in mente

ma non te lo dirò che nell'attimo in cui non sarai più con me. Lester, il mio fuoco brucia più del tuo. Il tuo fuoco contento di bruciare più vivido, il mio sembra acqua sporca solo spazzatura - un caos di serie Z. Il tuo ardore è vellutato dolce miele virtuale. Il tuo calore ti sposta a cinquecento kilometri. Lester, se il tuo fuoco fosse gelo io potrei non essere mai nato sotto l'infinità del cosmo. Lester, hai un fuoco che sta bruciando e non te ne accorgi. Guardami negli occhi e saprai quanto le fiamme scottano. Lo saprai solo guardandomi o entrando in me. Il mio fuoco arde e sfavilla: impara da me. Lester, hey Lester. C'è un fuoco che ti brucia sotto i piedi o forse accanto non vedo bene o forse sopra o dentro. Lester, avverti la gravità di questo fatto ma non dirlo a nessuno. Di' che brucia ogni cosa ma non che bruci tu. Nessuno ti crederà, vedrai. Nessuno crede più ai fuochi. Figuriamoci al tuo. Lester, il tuo fuoco è speciale, io ne so qualcosa. Sono speciali i fuochi di gente come noi. Non ti stupire Lester: i nostri fuochi non muoiono mai.

MEMIGO ANTORMEI 4932-7056 in memoria di mio padre Antonio 6 aprile 1937 - 29 dicembre 1996

* L'umanità non mi è nota: sotto i cieli cupi a tinte sanguigne un rifiuto stellare s'offre al migliore di noi. Si getti dalla rupe quella nota del canto divineggiante ignara della sua parte meccanica.

* La vita perenne antenna scende goccia/a/goccia ma il tuo corpo se ne va in un turbinio lucente apparente roccia esposta ai venti di sempre più eterna modalità. Queste riflessioni inutili flebili buone più al futuro dei morti che ai nostri vivi virano in un cupo turbine di pa-parole esitanti circa. Ammiro la neve non tanto il suo candore quanto il gelo: il gelo dove ai porti attraccavano le anime. Un canto dell'oblio, anzi il canto di un oblio eccitante trascina fuori avanzi di una vita da cani.

* Rive dai deserti spenti dove battute dall'acque chiare stivano cento e cento100cento coperti da un velo i punti a due gambe avviatisi a non lasciare orme. È lungo il mare sardo che ancora vedo l'impronte tue: il ricordo, il marchio segna il cuore mio un valore da troppo inciso all'interno delle vene, all'interno della calotta di un riccio o di una cranica pastura cerebellare, forse un saggio pensare giusto oppure la realtà chiara come il ventocanto di un passaggio.

* Segnali sui cieli riesce il fumo dai paesi a scalfire un messaggio comune. Ne hai visti chissà quanti ma pure la certezza dell'inutile pensare al solletico sotto i piedinuvole del creduto onnipotente quando i viaggi da un capo italico all'altro spingevano la tua mente.

* Trova posto l'essenza e una punta di tristezza apparente causa di gagliarda storia nell'animo mio. Dicevi che vivere era il manicomio dei morti. Infatti li vedo accanto i morti le facce gli abiti uguali i gesti uguali. Spinti da un sestante immaginario corrono incessantemente. Tu nella mente in questo istante resti.

* Non so più nulla dell'amore, di questo passaggio carmineo nei dedali dell'interiore/esteriore. Queste notti in macchina anonime, i percorsi nei cessi, i resti dei corpi in cui dovrei riconoscere il Bello. Ma solo l'utile avanza, distante dal mio pensare avvolto in cellophane e tu riconosci i corpi ma sai: non sono i tuoi. Messi di fronte al fluire tutti gli uomini sono identici. Muti gli occhi mi si chiudono quando credo di accarezzare il finire delle cose.

* Esiste ancora il senso dell'oppure mentre scorre l'asfalto sotto l'auto-saetta accanto a veicoli crashati. Il concetto dell'incauto stare strabrilla luminoso sul muro di voglie estranee; ma io intristisco gli insetti delle strade, arrovento l'aria col mio fiato, scuoto le cose. E le cose, nel loro afflato eterno, si lasciano scuotere.

* Io la volevo la spina nel fianco a suggello del dolore di ogni tempo: il crine mi tiene su come un triste cappio di memoria. Sai, rifletto sul vento che c'è ma non si vede, un'idea sprecata, sporca di realtà, il franco spostarsi muoversi, poi ancora quietamente spostarsi e via! ricomincia a turbinare e sento che c'è, non si vede ma. Così, forse non è il senso della vita, magari è una mia parabola illusoria eppure mi sembra il mio un forzato andare avanti necessario, senza un pezzo del mio corpomente già martoriato. Questa spina senza alcuna gloria né sangue non esiste più. Non fra noi bolle di sapone, forse nella rete indefinita del contemporaneo livore oppure nel nuovo vigore dell'artificio. Ci sei. Lo so. Non è stata vana la tua vita. Hai reso reale l'immaginazione: non è perita come un sacrificio da immolarsi alla ragione certa. E allora guardami con i tuoi occhi elettrici, dai voce al suono tonante delle onde vaganti, abbracciami con i tuoi arti d'acciaio, pensami nella mente del cosmo che mi opprime e mi tenta. Spero nelle mie parti nascoste attratte dal tuo magnete d'idealità, di terribilità. Il mio stabile mondo

rifiuta la volontà, si piega alla necessità del simile. Vivere è indispensabile a provare che il vento si può vedere con altri sguardi. Un altro senso tra gli assolati verdi, ispidi, nostri cardi.

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