JOHN H. NEWMAN SULLA STRADA DI DAMASCO Tra i grandi convertiti del XX secolo c’è il futuro cardinale Newman, grande lettore dell’Apostolo
Newman in un ritratto di A.R. Venables (1868) conservato presso l’Oratorio di Oxford. Sotto: mentre chiede al passionista Domenico Bàrberi – poi beatificato – di essere accolto nella Chiesa cattolica, in una scultura di Faith Tolkien (1995). Nella pagina a fianco: il giovane Newman in un acquerello di sir William Ross (1845).
ewman è stato senza dubbio uno degli studiosi più intelligenti e appassionati di san Paolo», scrive padre Giovanni Velocci. E gli fa eco M. G. Carroll: «Si può ben dire che pochi abbiano scritto di san Paolo più eloquentemente di lui, pochi saprebbero uguagliare “le glorie pungenti, eccitanti, ardenti e avvincenti” delle parole del Newman sulla dottrina di Paolo». Queste due citazioni c’introducono, piuttosto che sul binomio san PaoloNewman, sulle relazioni tra san Paolo e Newman. Se il primo è stato definito “apostolo delle genti” e “apostolo della coscienza”,
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Giovanni Paolo II parlando del cardinale inglese ha detto che egli «appartiene a ogni tempo, luogo e popolo»... e perché non considerarlo come un «teologo della coscienza»? Per Newman, Paolo è un vero contemporaneo, non una figura perduta nel passato. È una guida spirituale che egli “sente” in quel viaggio nel Mediterraneo del 1833 quando dalla celebre frase «Io ho un lavoro da fare» scaturisce la sua vocazione: Newman diviene consapevole di essere strumento di quell’opera, strumento nelle mani di Dio.
Un pallido pellegrino Nelle opere di Newman san Paolo è costantemente citato a sostegno delle proprie affermazioni; naturale, di conseguenza, che vi siano notevoli punti d’incontro. Nell’Apologia pro vita sua (1864), un classico della letteratura e della spiritualità moderna, Newman scrive: «Ho deciso di essere un pallido pellegrino legato alla forte cintura di Paolo». Toccando poi gli argomenti della fedeltà del clero, del dovere della sincerità, del celibato ecclesiastico e dell’infallibilità della Chiesa, dichiara: «San Paolo dice in un punto che il suo potere apostolico gli è stato dato per edificare, non per distruggere. Non vi può essere illustrazione migliore dell’infallibilità della Chiesa. Essa viene incontro a una nostra necessità e non va oltre questa necessità. Il suo scopo, e anche il suo effetto, non è d’indebolire la libertà o il vigore del pensiero umano nella ricerca religiosa, ma di frenare e controllare i suoi eccessi». Ne La Chiesa dei Padri (1840) egli analizza, tra l’altro, la
conversione di Agostino e la preghiera. La lettura dell’epistolario paolino portarono il futuro vescovo ad abbandonare il desiderio di emergere nella sua professione. E in questo passo, osserva Newman, «il suo spirito s’innalzava più di quanto il suo cuore potesse seguirlo». Riguardo alla preghiera, di cui sottolinea il bisogno continuo e reciproco tra fratelli, egli annota – quasi sintetizzando i consigli paolini: «Pregate a gara con concorde e santa emulazione, poiché non lottate le une contro le altre, ma contro il diavolo, nemico di tutti i santi. I digiuni, le veglie e tutte le mortificazioni del corpo sono un potentissimo aiuto per la preghiera. Ciascuno di voi faccia quello che sarà capace di fare. Ciò che una non è capace di fare, lo fa servendosi dell’opera di un’altra che ne è capace, basta che ami nell’altra ciò che essa non fa perché non vi riesce. Pertanto chi ha meno capacità, non ostacoli chi ne ha di più e chi è più capace non sforzi chi lo è meno. Poiché voi dovete rendere conto a Dio della vostra coscienza, non abbiate debiti verso nessuno di voi, tranne quello di amarvi a vicenda. Ci esaudisca il Signore, il quale ha il potere di fare ben più di quello che chiediamo e pensiamo».
Edificare la Chiesa. Insieme. Nell’anno seguente (1841), il British Critic pubblicava questo suo articolo: «Chiunque desideri l’unità preghi per essa, si sforzi di promuoverla, ne renda testimonianza, si comporti cristianamente nei confronti dei membri di Chiese separate dalla nostra, sia loro amico (fatto salvo il suo dovere nei confronti della sua comunità e della verità stessa), cerchi di edificarli edificando se stesso e la sua gente, può certamente essere considerato, per quanto lo riguarda personalmente, come una persona che abbatte il muro della divisione e rinnova gli antichi legami di unità e concordia per mezzo della potenza della carità. La carità può fare ogni cosa per noi. La carità è contemporaneamente spirito di zelo e di pace. A causa della carità, ci opporremo a tutto ciò che il nostro personale giudizio ci autorizza a condannare negli altri. A causa della
carità, sta a noi – e che gli altri si oppongano pure a noi – ristabilire intorno a noi la comunione ecumenica delle chiese». E, sempre circa il linguaggio da tenere nel dialogo ecumenico, Newman rimanda al comportamento di san Paolo (Gli Ariani del IV secolo, 1829): «Egli si fece ebreo agli ebrei e pagano ai pagani, come è testimoniato nell’esempio più notevole, dall’atteggiamento da lui avuto ad Atene». Nella Lettera al duca di Norfolk (1875), una riflessione attorno alla coscienza e alla libertà ispirata alle Lettere di san Paolo, Newman dichiara esplicitamente che il fine della vita è la santità perché essa è l’unione con Cristo: «Perseguite la santificazione, senza la quale nessuno può vedere il Signore». Sviluppando poi le questioni apologetiche – che lo riguardano in prima persona – e definendo la ragionevolezza dell’atto di fede (Grammatica dell’assenso, 1870), egli sviluppa teologicamente temi quali la buona volontà, la religione, la coscienza, il volto di Cristo. Appellandosi alla conversione di san Paolo, ad esempio, Newman sottolinea che essa è dettata non dalla legge né da un’istituzione, ma dalla buona volontà. Significativo anche il passaggio sulla coscienza: «In fatto di religione abbiamo un grande maestro che sta tutto dentro di noi ed è la coscienza. La coscienza è una guida personale ed io la uso perché devo usare me stesso, non sono in grado di pensare con una mente che non sia la mia... La coscienza mi è vicina più di qualsiasi altro mezzo di conoscenza... La coscienza, poi, ci insegna non solo che Dio c’è, ma anche ciò che Egli è, ne dà alla mente un’immagine reale, ed è quindi funzionale all’adorazione, ci fornisce una regola del bene e del male, in quanto regola stabilita da Lui e ci fornisce un codice dei doveri morali».
Rinnovati dall’intimità Nel Corso della dottrina della giustificazione o cosa ci salva (1838), altra opera teologica dai risvolti ecumenici e pastorali, il richiamo a san Paolo è un continuo intreccio con il proprio cammino spirituale: «La giustificazione è riconciliazione con Dio? San Paolo dice: “Gesù Cristo è in voi, a meno che non siate dannati”. La giustificazione è vita? Lo stesso Apostolo afferma: “Cristo vive in me”.
La giustificazione è donata dalla fede? La preghiera di san Paolo è “Possa Cristo dimorare nei cuori cristiani attraverso la fede”. La giustificazione conduce alla santa obbedienza? Nostro Signore assicura che chi rimane in Me ed io in Lui, questi porta molto frutto». «L’Apostolo parla spesso della nostra giustificazione – dice Newman – come qualcosa che accade non al di fuori, ma dentro di noi, derivando in verità la sua origine da Dio, anche se attraverso i nostri cuori e le nostre menti, le nostre volontà e poteri». ANNO II - N. 15 OTTOBRE 2009
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Questa considerazione gli ispirò una bella preghiera: «Resta con me [Gesù] e allora comincerò a risplendere come Tu risplendi, a risplendere fino a diventare luce per gli altri. La luce, o Gesù, verrà tutta da Te. Sarai Tu che risplenderai sugli altri, attraverso di me». Infine, come san Paolo si diresse a Roma, così Newman l’amò e nel suo cuore oratoriano fece suo il percorso filippino delle sette chiese, dove la Basilica di San Paolo rappresentava idealmente la sede patriarcale di Alessandria e la sede di Propaganda Fide. Amò Roma tanto da scrivere in una lettera del 1870 al vescovo Ullathorne: «Roma deve essere un
nome che illumina il cuore in tutte le epoche». Newman ci chiama a realizzare in buona misura la parola di san Paolo: «Cercate le cose di lassù e dimostra che siete suoi perché il vostro cuore è risorto con Cristo e la vostra vita è nascosta in Lui» (Col 3,1). E nello stesso tempo ci provoca quando scrive: «Tocca a noi chiedere con san Paolo in mezzo alla sua frenesia: “Signore, che cosa vuoi che io faccia?”». Umberto Massimiani Pontificia Università Urbaniana
Fede e ragione incarnati nelle immagini embra ormai prossima la beatificazione di John H. Newman (1801-1890), dopo il riconoscimento unanime di una guarigione miracolosa approvata lo scorso 24 aprile dalla Commissione Medica della Congregazione delle Cause dei Santi. Ordinato pastore anglicano nel 1825, Newman unì sempre organicamente studio e vita: fu proprio il suo approfondimento della patristica a convincerlo di chiedere – ormai quarantaquattrenne – l’ammissione alla Chiesa cattolica, suscitando grande scalpore. Vero genio teologico, fu autore di opere non sempre comprese dai suoi contemporanei, come Lo sviluppo della dottrina cristiana (1845), Apologia pro vita sua (1865-66) e soprattutto Grammatica dell’assenso (1870), originale approccio sulle condizioni che rendono un atto di fede anche un atto di ragione. La sua profonda passione per il connubio studio-vita lo portò a entrare tra gli
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oratoriani di san Filippo Neri, che fondò in Inghilterra, a diventare rettore dell’Università Cattolica di Dublino (18511857), fino a ricevere il titolo di Fellow onorario del Trinity College di Oxford. La questione educativa fu la sua grande vocazione, come emerge dagli Scritti sull’università recentemente tradotti in italiano da Bompiani. Il sigillo definitivo sulla sua opera gli venne nel 1879, quando papa Leone XIII lo creò cardinale. Studio e vita: questo binomio, ancora una volta, trapela dall’ampiezza dei suoi interessi, che abbracciarono anche narrativa e poesia, come testimoniano il romanzo Callista (1855) e il poema Il sogno di Gerontius (1865). L’importanza che riconosceva a simboli e racconti è tributata dal motto che volle inciso sulla sua tomba, ex umbris et imaginibus ad veritatem (“attraverso ombre e immagini alla verità”). Non è un caso, dunque, che egli abbia influito così profondamente nella conversione al cattolicesimo di tanti scrittori, da Gilbert K. Chesterton – che rivendicava di aver letto per intero la sterminata produzione letteraria di Newman – a Hilaire Belloc, fino a John R.R. Tolkien e a Bruce Marshall. Paolo Pegoraro Qui a fianco, la stanza del cardinale Newman. Sopra: la tomba nel cimitero di Rednal, dove chiese di essere sepolto accanto all’amico Ambrose St. John, anch’egli convertito al cattolicesimo e sacerdote oratoriano, suo fedele collaboratore per 32 anni.
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