Celibato e Matrimonio in 1Corinti 7 In 1Corinti il capitolo 7 è un'unità letteraria (anche se con diverse suddivisioni) in quanto il v. 1 inizia con un'espressione - "riguardo a ciò che mi avete scritto" – che quindi fa pensare all'inizio di una risposta arogmentata, mentre in 8,1 si passa ad altro. Il capitolo 7 è solitamente letto come un testo normativo della vita religiosa, a sostegno del primato, nella Chiesa, dello stato di celibi o nubili, di non-sposati o nonmaritate. Paolo ad una domanda su questo argomento, che probabilmente non toccava la "vita consacrata" o religiosa ma quella normale della Chiesa di Dio a Corinto, risponde, senza scomodare tanto una traditio o parádosis – parole importanti per lui se deve esplicitare un comando del Signore. Quindi, in 1Cor 7 non necessariamente Paolo impone regole o dogmi. Semplicemente, da buon pastore anziché da apostolo con un kerigma immutabile, risponde a quesiti occasionali, postigli per scritto, sulla scelta migliore tra matrimonio e celibato, secondo lui. Diverso è il caso dell'indissolubilità del matrimonio: al riguardo Paolo cita anche un comando del Signore e mantiene la stessa posizione. Comunque, non sempre il matrimonio è indissolubile. Al riguardo di questo privilegio di due tipi di coppie, Paolo precisa e distingue la sua personale opinione, fornendoci in tal modo interessanti chiavi interpretative di quando parla da apostolo e schiavo di Gesù Cristo e di quando invece parla da "pastore" responsabile di una particolare comunità alle prese con problemi particolari da valutare, alla luce del Vangelo e all'insieme di varianti sia locali, che culturali o psicologiche e sociali. È interessante, per capire il modo di scrivere e argomentare di Paolo, l'esame del sul vocabolario principale anche in questo capitolo 7 che ha 40 versetti. Le parole, greche, in 1Cor 7,1-40, sono 184, complessivamente ripetute 687 volte. Tre di queste sono davvero frequenti più qui che nel resto della 1Corinti e questo è indizio dell'interesse predominante di Paolo proprio in questo testo. Dobbiamo tenerne in conto per capire lo sviluppo e anche i limiti, del pensiero, da esaminare sempre in relazione al suo Signore. Altre parole, che sono specifiche proprio del capitolo 7, non ricorrendo altrove, ci aiutano a meglio comprendere il contesto storico.
La moglie Il tema espresso con più insistenza è del sostantivo femminile gyné, letteralmente "moglie", o "genitrice" e non soltanto "donna" che, in italiano, evoca il latino domina, la "padrona" di casa. Quando Paolo dunque usa gyné pensa normalmente alla moglie, madre potenziale se non reale. In 1Corinti, il termine ricorre 41 volte, e ben 21 in 15 versetti di 1Cor 7; gyné ricorre ancora in 11 vv. del c. 11, in 2 del c. 14 e in un solo versetto dei cc. 5 e 9. Dunque, il tema femminile è preponderante soprattutto in 1Cor 7, capitolo compreso in una grande inclusione letteraria che inizia da 5,1, la prima occorrenza di gyné, fino a 14,35, l'ultima volta nella lettera. La voce gyné non ricorre prima di 5,1, un versetto che inizia un più vasto testo in cui Paolo sostiene che l'immoralità sessuale contamina l'intera vita della Chiesa di Dio, come un lievito che corrompe i rapporti fra i vari membri di uno stesso corpo, tale corpo, di Cristo, è infatti per Paolo la Chiesa.
In 5,1 Paolo si dice informato sui fatti, prima di intervenire con una posizione chiara e netta, di mandare per un po' all'inferno, recidendo dalla Chiesa, quel giovane innamorato o succube di sua matrigna. Si sente dovunque parlare, scrive Paolo, di quella immoralità "tra voi", cristiani, e di una immoralità "che non si riscontra neppure tra gli etnici", al punto "che uno convive con la gyné" – chiaramente qui- "moglie di suo padre". Questa è l'informazione che Paolo ha ricevuto, come breve messaggio scritto, da Corinto e che lo irrita per la passività della comunità nell'assorbire il caso di scandalo, come un fatto privato. Le ultime due occorrenze di gyné, la prima al plurale – hai gunaîkes, che dovremmo, coerentemente, tradurre con "le mogli" – compaiono in 14,34-35. Nel v. 34 Paolo prende posizione sicuramente per il desiderio di promuovere l'unità in una Chiesa che si è divisa in fazioni, più giudaizzanti palestinesi o più filodiaspora: a favore o di Paolo contro Cefa? o di Apollo contro Paolo? o di Cefa contro entrambi?. Eppure, ricorda Paolo, la Chiesa è davvero individisibile in quanto corpo di Cristo, viventenell'armonia sinfonica delle diversità, per una totale interattività tra le singole membra e per l'unità dinamica di tutti i carismi, i ministeri e le azioni distribuiti a ognuno e che si originano nell'unico Spirito, nell'unico Signore, e nell'unico Padre (cfr. 12,4-6), in Dio quindi che è uno solo nella distinzione di persone. Nel v. 34 Paolo dunque scrive qualcosa che gli procura, ingiustamente, l'accusa di antifemminista, presupponendo la sua mancanza contro i diritti delle donne, non rispettando la parità: "nelle chiese le donne stiano silenziose", e motiva tale imperativo con la legge (la Torah) che lo raccomanda. L'ordine di Paolo (e dell'AT) e non del Signore Gesù, è spiegato e sviluppato subito anche nel v. 35: ché se vogliono apprendere qualche cosa, le mogli interroghino a casa i mariti; e poi, parlando ancora più da rabbino che da apostolo, motiva l'istruzione al maschile: infatti, aggiunge, è "disdicevole per una gyné parlare in Chiesa". Come parlare in sinagoga. Infatti, la spiegazione di Paolo suggerisce al lettore la difficoltà della prima comunità nel gestire il passaggio dal vecchio al nuovo, dalla sinogaga alla Chiesa, forse per la ancora preponderante presenza in questa di cristiani provenienti dal giudaismo. In tale situazione, un comportamento che ignorasse le tradizioni giudaiche circa la donna nella sinagoga, apparirebbe improprio, femminista. Paolo comunque non è un dogmatico, almeno in questa circostanza, anche se pensa e scrive sempre a partire dal modello Cristo, il quale da Signore si è fatto schiavo per servire e persino per lasciarsi condannare come segno di contraddizione e scandalo, alla crocifissione; da Figlio di Dio nacque uomo da donna. Il Vangelo si può annunciare dunque anche in questo modo dimesso, da discepole con l'ascolto che con l'insegnamento di un maestro.
Il marito In parallelo a gyné, anche il corrispondente maschile anér, in latino vir, "marito", è utilizzato più in 1Cor 7 (16 volte in 10 vv.) che altrove nella lettera. Compare ancora, per un totale di 32 volte, in 8 vv. del capitolo 11. Le ultime due volte è in 13,11 e 14,35, il versetto che abbiamo già citato sopra. L'inclusione letteraria sul tema, argomentato soprattutto nei cc. 7 e 11, inizia in 7,2, dove Paolo dà direttive che esprimono una personale valutazione della situazione e sui quesiti che gli sono stati sottoposti. Scrive infatti: "a motivo delle fornicazioni" – utilizza il plurale intendendo forse gli atti del prostituirsi, sia maschile che femminile – "ciascuno abbia la propria moglie, e ciascuna il proprio ándra".
Qui non parla di celibato ma della normalità della vita matrimoniale. Paolo non è fautore indiscriminato del celibato. Anche questo potrebbe essere molto utile, dirà, ma se ci si trova in condizioni simili alle sue, di itineranza perpetua, come deve essere quella di un apostolo preoccupato non di mettere su famiglia, ma della costruzione della Chiesa, come con-vocazione delle nazioni in unum, futuro dell'umanità intera, nella comunione con il corpo vivente di Cristo, nuovo Adamo.
Il Kýrios La spiegazione più profonda, del matrimonio e del celibato, viene dunque dal terzo tema sostantivale più importante in 1Cor 7, "Signore". Kýrios, che ricorre 12 volte in 9 vv. di questo capitolo (66 volte in tutta la lettera) compare la prima volta in 1,2, nel saluto alla Chiesa di Dio in Corinto e "a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù" e sono anche stati con-vocati a essere santi in una unica Chiesa, proprio "insieme a tutti coloro che in ogni luogo invocano il nome toû kyrioû Gesù Cristo, nostro e loro". Gesù è il Cristo e il Signore: questa è la fede kerigmatica, il credo fondamentale di Paolo. Traduciamo kýrios con "Signore" ma non intendiamo il seniore o il presbitero, quanto il più autentico Dominus o Dominator, il padrone non solo di casa ma del mondo, il Capo di tutta la Chiesa di Dio. In 1Cor 7,10, Paolo parla a nome di questo Signore, Gesù Cristo, e quindi quanto scrive non è più opinabile o solo un personale consiglio religioso, ma norma di fede e di vita: "Agli sposati ordino, non io ma il Kýrios, che la moglie non si separi dal marito". In 7,12 invece, Paolo stabilisce norme solo pastorali, per una corretta valutazione in vista anche di un eventuale divorzio. Scrive infatti: "Agli altri dico io, non il Kýrios: se un fratello ha la moglie pagana, e questa consente a coabitare con lui, non la ripudi…". L'argomentazione che segue è a vantaggio del matrimonio misto da mantenere unito, in quanto il partner cristiano santifica, fisicamente, la partner pagana, e viceversa. Ma se la parte pagana decide di rompere l'unione, la parte credente è libera da ogni vincolo. In 7,17, dove Paolo si riferisce ancora esplicitamente al Signore, abbandona questa casistica per toccare un altro tema, fondamentale per qualsiasi vocazione individuale. Fuori di questi casi, egli infatti scrive ai corinzi che lo interrogano, "ciascuno si comporti come gli ha dato il Kýrios", cioè, " come era quando fu chiamato da Dio; così ordino in tutte le chiese". L'ordine è pastorale di Paolo, anche se rimanda ad un rapporto più personale, di ciascuno dei suoi lettori o ascoltatori, sia con Dio Padre che con il Signore e Capo della Chiesa, il Cristo. Paolo ordina ad ogni membro di questo corpo di Cristo, l'unità dinamica, nel funzionare in modo appropriato, per quello che è e per quello che è diventato, un credente (obbediente) in Cristo. In 7,22 Paolo esplicitamente relativizza le situazioni, diverse per ogni persona, ma occasioni tutte buone per servire la Chiesa, che è corpo del Signore. Non si mostra intenzionato ad abolire la schiavitù, in quanto, meglio di altri, proprio lo schiavo, costretto a servire senza retribuzione, gratutitamente, diventa icona del Signore che si fece schiavo. È importante imitare Cristo anche in questa condizione storica. Scrive Paolo, al v. 25, facendo ancora coincidere Signore e Cristo: "perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo". Importante è appartenere a Cristo, che è Signore ed approfittare di ogni situazione in cui ci si viene a trovare in quell'umanità che è dal Signore assunta per intero.
Anche nella questione del celibato per i giovani, o per le ragazze di restare nubili, Paolo si riferisce al Signore principalmente ma lascia libera scelta a chi lo legge: "Quanto alle [giovani] non-maritate, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia". Il consiglio (non il comando) è quello di non maritarsi, o di non sposarsi, in questo imitando lo stesso Paolo che si propone come esempio. Il motivo profondo di questa scelta non è religioso come potrebbe essere l'imitazione di Cristo, quanto più pratico e psicologico: non sposarsi conviene per non perdere cuore e testa in piccole cose, triviali, anche se dall'uno o dall'altra considerate cose essenziali alla buona riuscita del matrimonio. Scrive infatti Paolo nel v. 32: io vorrei vedervi "senza preoccupazioni (amérimnos = spreoccupato): chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come piacere al Signore". Il termine evidenziato, "spreoccupati", fa parte del linguaggio della sapienza (cfr. Sap 6,15 e 7,23: chi veglia alla ricerca della consocenza di Dio e della sua Parola, presto vede scomparire dalle sue notti e da suoi giorni, ogni affanno; si spreoccupa di tutto il resto; la sapienza è infatti spirito senza affanno) ma che nel NT è utilizzato solo un'altra volta, in Mt 28,14, e qui, in una promessa, falsa, fatta dagli anziani del Sinedrio, alle guardie del sepolcro di Gesù: se mai la cosa, della risurrezione, venisse all'orecchio del governatore, di Pilato, "noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia". Paolo, dunque, vuole eliminare dall'interessarsi a tempo pieno del Signore e della sua Chiesa, suo corpo, ogni altra preoccupazione, secondaria, fosse anche quella per la propria moglie, figli o famiglia. Infatti, nel versetto appena citato, Paolo contrappone amérimnos, "spreoccupato", aggettivo, al verbo merimnáo, "preoccuparsi", che utilizza anche in 7,23 (lo sposato invece "si preoccupa delle cose del mondo", e cioè, "di come piacere alla moglie"). L'ultima volta in 1Corinti, troviamo merimnáo, utilizzato invece positivamente, in 12,25, riguardo alla necessaria unità tra le membra del corpo umano (che è icona della Chiesa). Dio, scrive Paolo, ha contemperato il corpo, conferendo maggiore onore a chi ne mancava, perché in esso non vi fosse disunione, "ma le membra si prendessero cura vicendevole". Dovrebbe dunque essere solo questa reciprocità solidale, armonica e mutua assistenza tra tutti i credenti quel preoccuparsi buono delle cose del Signore e non di piacere alla propria moglie, se si tratta di un marito, che si trova diviso. La cosa, aggiunge Paolo subito in 7,34, vale anche per la donna non-maritata, ancora ragazza: "si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito"; mentre "la donna sposata si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito". È questa la vita religiosa? Quando dunque il matrimonio è una reciproca compiacenza tra due, distrae dal servizio della Chiesa, corpo di Cristo, Signore di tutti. Paolo qui comunque non fa dogmi e non dà ordini, ma consiglia di non anteporre al Signore, qualcosa o qualcuno, neppure la moglie o il marito. Si spiega chiaramente, lasciando a chi lo legge la decisione: che questa sia comunque quella di essere del Signore, in qualsiasi circostanza, e di interessarsi della Chiesa, e non solo alla propria casa. Scrive ancora infatti in 7,35: Questo lo dico a vostro vantaggio, non per gettarvi "un laccio, ma per indirizzarvi "a ciò che è degno e conduce al Signore senza distrazioni [aperispástos, ancora un termine della sapienza, simile in Sap 16,11 e Sir 41,1]". Mettersi a fuoco, cuore e mente e volontà, su Cristo e sulla Chiesa, suo corpo.
In 1Cor 7,39, Paolo menziona ancora il Kýrios l'ultima volta nel capitolo, per affermare la libertà della vedova di risposarsi: La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; se però il marito muore ella è libera di sposare chi vuole, "soltanto nel Signore". In sintesi, sposarsi, o non sposarsi, o risposarsi, tutto è possibile e tutto è relativo, a patto che la motivazione non sia solo l'eros, ancora innamoramento egoistico, affetto, o l'impegno esclusivo per il o la partner. Al credente in Cristo nulla è possibile anteporgli, né al servizio apostolico per la crescita ed espansione vitale della Chiesa, che di Cristo, Signore e Capo, è vero corpo storico.
Parole (quasi) esclusive di 1Cor 7 In 1Cor 7 Paolo usa parole esclusive, o quasi, in quanto quasi mai ricorrono altrove nella Bibbia. Esse sono, in ordine decrescente di frequenza: (1.) ἄγαμος [leggi: ágamos] 5 volte, in 2Mc 4,5; 1Cor 7,35; 10,33; (2.)
καταχράομαι [leggi: katachráomai], 5 volte, in 3Mc 4,5; 5,22; Epj 1,27; 1Cor 7,31; 9,18; (3.) συγγνώμη [leggi: syngnôme], 3 volte, in Prologo di Sir 1,18; Sir 3,13; 1Cor 7,6; (4.) σύμφορος [leggi: sýmphoros], 3 volte, in 2Mc 4,5; 1Cor 7,35; 10,33; (5) ἀπελεύθερος [leggi: apeleýtheros], 1 volta, solo in 1Cor 7,22; (6.) ἀπερισπάστως [leggi: aperispástos], solo in 1Cor 7,35; (7.) εὐπάρεδρος [leggi: eypáredros], solo in 1Cor 7,35 (8.) ὑπέρακμος [leggi: hypérakmos], solo in 1Cor 7,36. In 1Cor 7, i versetti che contengono questa lista di parole rare sono, nell'ordine del testo, i seguenti:
7,6
"Questo però vi dico per concessione (Gr. συγγνώμη: "indulgenza, condiscendenza"), non per comando." 7,8
"Ai non-sposati [Gr. ἄγαμος] e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io;" 7,11 "e
qualora si separi, rimanga non-maritata [Gr. ἄγαμος] o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie." 7,22 "Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato [ἀπελεύθερος, "emancipato"] del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo." 7,31 "quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno [Gr. καταχράομαι]: perché passa la scena di questo mondo!" 7,32 "Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: il non-sposato [Gr. ἄγαμος, anche "non-maritata"] si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;" 7,34 "…e si trova diviso! Così la donna non-sposata [Gr. ἄγαμος], come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito."
7,35
"Questo poi lo dico per il vostro bene [Gr. σύμφορος], non per gettarvi un laccio , ma per
indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti [Gr. εὐπάρεδρος = "costantemente in servizio, in attesa del padrone"] al Signore senza distrazioni [Gr. ἀπερισπάστως]". 7,36 "Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell'età [Gr.
ὑπέρακμος], e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure!" In sintesi, in 1Cor 7, Paolo parla della vita quotidiana di credenti nel Vangelo a Corinto, città dove convivono tradizioni culturali e religiose diverse, giudei della diaspora e proseliti greci. A partire dalla fede in Gesù, il Cristo (Messia) e Signore, Paolo delinea, apostolicamente (kerigmaticamente) e pastoralmente (rispettando le persone immerse nel loro ambiente), scelte di vita diverse ma che si sviluppino in una fedeltà al Signore, senza distrazioni egoistiche, anche lecite, e quindi anche in un mutuo servizio, come se ciascuno funzionasse da membro, diverso, a vantaggio di uno stesso corpo, non solo quello della propria casa, ma della Chiesa di Dio, che si compatta, giorno per giorno superando conflitti e divisioni, intimamente con il
suo Capo, il Cristo e il Signore, proprio come suo corpo storico, o sua vergine sposa. (Angelo Colacrai; email:
[email protected])