Maria Grazia Gritta_1

  • June 2020
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  • Words: 6,554
  • Pages: 20
1

I

n una piccola casa di montagna viveva un guardaboschi con la sua giovane figlia di nome Anna. La loro casa si trovava al limitare del bosco, quindi era spesso meta di occhi e musetti indiscreti, non vi era animale infatti che non si fosse avvicinato, anche solo per un attimo, a quella semplice ma accogliente dimora. Anna questo lo sapeva bene e col passare del tempo era diventato per lei il suo unico ed irrinunciabile passatempo l’osservarli mentre, guardinghi e titubanti, posavano le zampe al di fuori del loro habitat naturale ed, ancora più scettici ma incuriositi, quando s’azzardavano ad arrivare fin nel giardino adiacente la casa. Si era divertita facendo la conoscenza di un’infinità di animali, dall’orso irruente alla timida marmotta, dal grazioso cerbiatto all’imprevedibile volpe e così via… Finché un giorno, mentre da dietro i vetri della finestra stava assistendo all’incessante lavorio di un picchio che batteva insistente il tronco di un albero, non vide un batuffolo dorato sbucare dall’antro oscuro del bosco che, spostandosi di qua e di là, accorciava a poco, a poco le distanze tra lui e la casa di Anna. Cos’era? O, per meglio dire, chi era? La bambina osservò con più attenzione e riconobbe che era un piccolo scoiattolo. Non ne aveva mai visti col pelo dorato e quindi rimase un po’ lì, quasi incredula, a guardarlo avanzare con le sue agili zampette. L’animale intanto si era avvicinato alla casa e si era fermato proprio davanti alla finestra dove, dall’altra parte, si trovava Anna con gli occhi sgranati dalla meraviglia. Non ci poteva credere, dai movimenti del suo musetto e dal luccichio dei suoi vispi occhietti, pareva le trasmettesse che voleva conoscerla e che voleva comunicare con lei. Anna non si fece perdere l’occasione, infilò veloce l’uscio di casa e se lo trovò davanti…. Che emozione! Tentennò un attimo e poi provò a toccare il suo soffice pelo. Per nulla intimorito, lo scoiattolo si lasciò accarezzare e lei capì che era giunto il momento d’ascoltarlo. “Musky, ti chiamerò Musky, che ne dici?” “Squitt!” L’animale parve approvare, dopodichè, quando lo sguardo di Anna incontrò quegl’occhi neri e misteriosi, un bagliore di luce ne scaturì fuori e lei, più che mai affascinata, si sentì pervadere da una gradevole sensazione di tranquillità e comprese che ora doveva trovarsi in perfetta sintonia con lui e che avrebbe inteso qualunque cosa avrebbe voluto comunicarle. “Vieni, vieni con me Anna, ti condurrò nel mio mondo fantastico! Non aver paura, non ti accadrà nulla, vedrai cose che non hai mai visto e capirai che possiedi un dono che non tutti hanno e che purtroppo non hai mai utilizzato!” La bocca dell’animale non si era mossa di un millimetro, eppure lei aveva sentito tutto, incredibile! La bambina lo seguì senza alcuna esitazione e subito s’accorse che ogni rumore proveniente dal bosco era improvvisamente cessato, perfino il solerte picchio aveva smesso il suo insistente ticchettio, tutto taceva…. Un insolito silenzio li accolse all’imbocco del sentiero, mentre passavano davanti a quegl’alberi secolari dai rami contorti che si toccavano l’un l’altro, pareva s’inchinassero alla loro presenza, che rendessero omaggio a quel piccolo batuffolo di pelo dorato. Uno di questi offrì loro la sua dimora, probabilmente il suo tronco spesso e resistente poteva contenere con facilità un passaggio. Un passaggio segreto? 2

Si chiese la bambina tra sé. “Sì, hai ragione cara Anna, è proprio un passaggio segreto e tu sei il primo essere umano a conoscerne l’ubicazione, nessun altro vi aveva mai messo piede!” La informò il suo piccolo magico accompagnatore. Il cunicolo ricavato nel tronco era un po’ stretto per lei, ma la curiosità era più forte della comodità, quindi cercò in qualche modo d’adattarsi, non c’era alcun motivo per non proseguire. Giunti al termine del passaggio, si trovarono di fronte ad una porticina, nella parte superiore alcuni disegni abilmente intarsiati facevano supporre cosa ci sarebbe stato al di là dell’uscio, una scritta dorata campeggiava invece ben in vista al centro, “Il vero mondo degli animali”. “Cosa significa?” Esclamò Anna, dopo aver letto la scritta. “Vieni e lo vedrai da te!” Le disse il suo amico Musky. “Ma … ora ti sento perfettamente con le mie orecchie, come mai?” Gli chiese la bambina alquanto sorpresa. “Certo, ora mi senti perché ci troviamo nel vero mondo degli animali!” Detto fatto, lo scoiattolo aprì la porta e si trovarono davanti uno spettacolo a dir poco straordinario. Un mondo fantastico appariva in quel momento agli occhi sbalorditi di Anna che rimase a lungo a bocca aperta dallo stupore. Si strofinò più volte gli occhi, ma ciò che vedeva era proprio vero e lei ora ne faceva pienamente parte. Lo scoiattolo la condusse per le strade affollate di animali indaffarati a compiere lavori d’ogni genere. C’era chi, da sopra un’impalcatura, dipingeva una casa o ne terminava la costruzione, chi asfaltava la strada, chi dirigeva il traffico di veicoli rigorosamente a pedali e chi s’occupava della conduzione di un negozio. “Ciao Anna!” Le disse un simpatico orsetto passandole accanto. Altri animali la salutavano, chi con la voce, chi con la zampa e tutti parevano conoscerla. “Come sanno il mio nome?” Chiese, rivolgendosi allo scoiattolo e lui le raccontò che la conoscevano da quando era nata. In fin dei conti era la figlia del guardaboschi, una persona che loro consideravano speciale, l’unica a sapere del loro segreto e l’unica che li avesse mai aiutati. Solo la sua diretta discendente avrebbe ricevuto il potere della conoscenza con cui avrebbe acquisito la telepatia e la possibilità di sapere qualsiasi lingua esistente sulla faccia della terra, umana e non. Anna rimase ammutolita, ma anche incredibilmente soddisfatta, ora si sentiva la bambina più importante del mondo. Il cielo era meravigliosamente sereno e un piacevole venticello le scompigliava i capelli. Musky la chiamò, distogliendola dai suoi pensieri, e le disse che ora l’avrebbe accompagnata al palazzo reale. Insieme infilarono la stradina che costeggiava il castello, finché non si trovarono davanti una coppia di cervi con l’armatura addosso e scudi e lance infilati tra le zampe, erano le guardie reali. “Chi va là?” Chiesero imperterriti. Lo scoiattolo si fece conoscere ed indicò la bambina accanto a lui. Appena la videro, i due soldati le fecero un cenno col muso e le dissero: 3

“Prego, il principe ti sta attendendo, Anna dal magico dono!” Più seguiva Musky e più ne rimaneva sorpresa, ora si trovava all’interno del palazzo, ampi saloni lustrati a specchio, vivaci arazzi, enormi e luccicanti lampadari la accolsero e poi lo vide, il principe, in fondo alla stanza dei ricevimenti, seduto sul trono, era là che la stava aspettando. Il suo stupore però non era ancora terminato, davanti a lei non c’era un animale, ma si presentava una persona in carne ed ossa, com’era possibile? “Già, non ti sembrerà vero, ma, dopo aver ascoltato la storia del nostro principe, capirai tutto! Devi sapere, cara Anna, che, parecchi anni fa, io ed altri animali trovammo nel bosco un bimbo sporco ed affamato. Era rimasto orfano perché i suoi genitori erano morti in un incendio ed i soccorritori probabilmente avevano pensato che fosse morto pure lui insieme a loro. Dato che era solo , decidemmo di allevarlo e di prenderci cura di lui. Quando capimmo che possedeva il tuo stesso dono, gli facemmo conoscere il nostro mondo e chi più d’ogni altri poteva avere le caratteristiche adatte per diventare il nostro principe e regnare con saggezza ed equità se non lui? E si sa che un principe ha bisogno di una compagna e qui entri in scena tu, cara Anna!” “Chi io? E perché mai?” A questa domanda rispose direttamente il principe. “Perché tu puoi capire il linguaggio degli animali come lo capisco io e perché il destino ha voluto che tu entrassi a far parte di questo mondo come è successo a me! Vieni, sarà bello regnare accanto a te, te ne sarai accorta che tutti non aspettavano altro che il tuo arrivo e che erano entusiasti di vederti!” Anna non rispose, era diventata ad un tratto seria ed assorta, forse stava pensando a suo padre, che ne sarebbe stato di lui? “Non preoccuparti, tuo padre sa già tutto ed ogni tanto potrà venire a trovarti! Tua madre prima di morire lo aveva informato del tuo dono e lo aveva avvertito che un giorno te ne saresti andata per seguire il tuo destino. Anche tua madre lo possedeva, per questo aveva convinto tuo padre a diventare guardaboschi, per poter vivere accanto a noi e per poterci aiutare quando ne avremmo avuto bisogno!” Le disse lo scoiattolo per tranquillizzarla. Difatti Anna, dopo quest’ultima notizia, si sentì più rincuorata, decise così di prendere la mano del principe che la stava tendendo davanti a lei e che non aspettava altro che di stringergliela tra la sua. Certo aveva ancora molte domande da fare, col tempo avrebbe ricevuto delle risposte, ora si sentiva veramente importante, sarebbe stata utile a qualcuno e poi quella mano le trasmetteva sicurezza e un’emozione mai provata fin d’ora. Sarebbe diventata la sposa del principe, un sogno che tutte le ragazze del mondo custodiscono dentro il cuore e lei aveva la possibilità di realizzarlo! Musky li stava osservando, i suoi occhietti neri ebbero un guizzo, un intenso luccichio li trapassò, ora poteva riposarsi, il suo compito era finalmente terminato, il destino avrebbe fatto il suo corso.

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E ra giunta la primavera a Valleserena e gli animali che vi abitavano si godevano finalmente le tiepide giornate dopo il freddo e lungo inverno. Era stato un inverno piuttosto rigido che non aveva dato tregua a nessuno, lo sapeva bene la famiglia di conigli che lo scorso autunno si era stanziata in quella valle chiusa tra le montagne. Raggi di luce raggiungevano a malapena la loro dimora, collocata tra due alberi generosamente frondosi, rami intrecciati, foglie e muschio proteggevano dalle intemperie i quattro componenti della famiglia, i genitori e i due giovani figli Tippy e Tappy. Avevano condiviso le insidie dell’inverno passato con una vicina famiglia di cervi, ben educati e sempre disponibili, una di ghiri poco distante da loro, solitamente presi tra sonnellini più o meno profondi e brevi risvegli, un’altra di castori sempre indaffarati a sistemare il loro rifugio. Più lontano si trovava una coppia di marmotte timide e riservate, un gruppo ben affiatato di oche selvatiche sempre pronte a ciarlare dalla mattina alla sera e una famigliola di cornacchie che, dalla cima del loro nido, si divertivano tutto il giorno a gracchiare su questo e su quello. Purtroppo l’inclemenza dell’inverno aveva gelato le gemme di alcuni alberi e compromesso l’attività dei germogli necessari alla loro sussistenza, ma gli abitanti di Valleserena erano fiduciosi, prima o poi avrebbero trovato qualcosa con cui sfamarsi. Fatto sta che tra dormite, risvegli, ciarle e gracchiate l’inverno era finalmente trascorso! I due coniglietti Tippy e Tappy intanto si erano ambientati piuttosto bene, ormai conoscevano quasi ogni angolo della valle e spesso s’incontravano con altri animali del luogo per giocare. Un giorno, mentre saltellando percorrevano il sentiero che portava al fiume Placidello, videro un insolito germoglio sbucare dal terreno. Aveva una forma strana ed un colore giallo brillante che i raggi del sole facevano evidenziare ancora di più. Invece delle foglie, dal suo interno, ne uscivano dei minuscoli recipienti a forma di scodella che, sospinti dal vento, ogni tanto dondolavano ed emettevano un dolce suono simile ad uno scampanellio. “Che sarà mai?” Esclamò Nuvoletta, la piccola cornacchia che, da brava impicciona, li seguiva sempre nei loro spostamenti. “Non saprei, è la prima volta che vedo un germoglio così!” Le rispose Tappy, il coniglietto più giovane, mentre il fratello stava osservando scrupolosamente da cima a fondo quella originale e curiosa piantina. “Le darò un po’ d’acqua, ne avrà senz’altro bisogno!” Disse Tippy. Poi, lui e il fratello, si diressero verso il fiume, decisi finalmente a giocare, e non ci pensarono più. Nuvoletta però non aveva alcuna voglia di starsene zitta e, appena giunta al suo nido, informò i genitori su cosa aveva visto. “Non ci posso credere!” Esclamò meravigliata la mamma. “Si tratterà forse dell’albero magico?” 6

Si domandò tra sé ed, emettendo uno dei suoi inconfondibili versi, chiamò a raccolta tutti gli abitanti di Valleserena. “Amici animali, vicini di fronda, forse le nostre speranze non sono ancora perdute, mia figlia ha trovato l’albero magico, sarà lei a condurci sul luogo dell’avvistamento e poi decideremo insieme il da farsi!” L’indomani mattina, fresca di sogni e fiduciosa nella buona sorte, la variegata comitiva partì. Giunta sul posto, la giovane cornacchia fece notare a tutti che l’albero aveva cambiato dimensioni, le piccole scodelle si erano ingrandite ed erano aumentate di numero, pareva che volessero toccare perfino il cielo! “Che meraviglia, se si tratta veramente dell’albero magico, potremo chiedere qualunque cosa desideriamo!” Disse l’oca Spifferella che già aveva in mente un’infinità di voglie da soddisfare. Si stavano fregando le zampe dalla contentezza, quando, in quel momento, si sentì una voce calma e decisa provenire dall’alto: “Mi dispiace per voi, ma non è così semplice come pensate!” E poi aggiunse: “Conoscete la leggenda dei semi magici?” Era il gufo Pennarguta, il grande saggio della valle, che, dal suo rifugio in cima alla montagna, si era addirittura scomodato per venire ad avvertirli degli eventuali pericoli in cui potevano incorrere. Rimasero tutti meravigliati dalla sua presenza, probabilmente doveva riferire loro qualcosa di molto importante. Quindi, dal ramo su cui si era posato, proseguì: “Dovete sapere che milioni e milioni di anni fa, agli albori del mondo, il magnifico Gnu, il grande Dio degli animali, con la sua benevolenza decise di spargere per tutta la terra un sacchetto di semi magici. Dai quei piccoli semi sarebbero sorti tanti alberi dagli straordinari poteri, utili soprattutto per sopperire ai bisogni primari di ogni animale. Si sa che quest’anno il raccolto non sarà certo dei migliori e quindi l’albero magico rappresenta per voi una vera manna del cielo! Ma dovete anche sapere che solo uno di voi può interloquire con l’albero per chiedergli dei favori ed è colui che ha rinvenuto il seme magico e che, sistemandolo nel terreno, ha fatto sì che il seme germogliasse! Quindi sarà lui il depositario della formula segreta indispensabile a risvegliare i poteri dell’albero ed il predestinato a diventare il suo unico e degno custode!” A queste parole, ogni animale si era girato a scrutare il muso del vicino, forse per cogliere in lui anche solo un segno dell’esistenza di quel dono speciale. Finché non videro Tippy che, intimorito dalle loro occhiate, aveva alzato la zampa e, con voce tremolante dall’emozione, stava dicendo: “Io……, io ho trovato quel seme, l’autunno scorso, vicino alla sponda del fiume. Non sapendo che fare, l’ho infilato nel terreno e gli ho dato un po’ d’acqua, ma non pensavo certo che fosse un seme così prezioso!” “Allora saprai anche la formula segreta!” Gli disse il fratello che gli stava accanto. “Non ancora, ma dategli tempo! Prima o poi lo spirito dell’albero magico lo contatterà attraverso il pensiero e gli spiegherà per bene ogni cosa!” 7

Precisò Pennarguta mentre dal suo ramo stava prendendo il volo per ritornare al rifugio. “Ma attenti!” Continuò. “Un malvagio animale si aggira a Valleserena e potrebbe accaparrarsi del segreto usando i suoi malefici poteri, state in guardia dal serpente Occhigialli, mi raccomando!” Dopo quella precisazione, gli animali erano stati avvertiti e, visibilmente turbati, tornarono alle loro tane pensando alle parole del grande saggio. Passarono alcuni giorni e Tippy si sentiva sempre più preoccupato, non voleva certo incontrare quel viscido serpente! Oltretutto non era ancora a conoscenza della formula, come mai finora non era accaduto nulla? Finché un mattino, dopo aver trascorso una notte infestata da sogni terrificanti, non s’alzò più che mai deciso a tornare dall’albero magico per controllare se, nel frattempo, ci fosse stato qualche cambiamento. Appena giunto, s’accorse che qualcosa non andava, pareva che i prodighi e lunghi rami dell’albero si chinassero verso di lui, come se volessero avvertirlo di un pericolo imminente. “Tippy…..attento….dietro di te!” L’albero gli aveva parlato! Si girò e vide due enormi occhi gialli fissarlo intensamente, il serpente voleva carpirgli il segreto usando il suo potere ipnotico, ma Tippy fu pronto a togliere lo sguardo. Per fortuna non era solo perché tutti gli animali di Valleserena erano giunti fin lì per dargli manforte. Dalla timida marmotta al ghiro dormiglione, dal solerte castoro all’oca linguacciuta, dal cervo risoluto alla cornacchia impertinente e non potevano certo mancare gli altri componenti della sua famiglia, ognuno cercava in qualche modo di offrire il proprio contributo. Il cervo maschio si posizionò subito davanti al serpente ed usò le sue corna per spingerlo lontano da Tippy, le oche starnazzavano per distrarlo e le cornacchie gracchiavano nel cielo ed ogni tanto si avvicinavano per beccarlo. Con una difesa così, sia l’albero che Tippy potevano stare tranquilli! Difatti Occhigialli fu costretto a strisciare lontano, mentre un’infinità di rami, foglie e sassi s’abbatteva su di lui. Tippy tirò finalmente un respiro di sollievo e in quell’istante sentì dentro di sé una voce che gli parlava: “Desideri inappagati, di speranza alimentati, se nell’albero poni fede, lui ascolta chi li chiede!” Ecco la formula segreta, ora avrebbero potuto chiedere all’albero qualunque cosa desideravano! Da quel momento Tippy diventò il custode ufficiale dell’albero magico e gli abitanti di Valleserena, sapendo di poter contare su di lui, si sentirono più rassicurati da quella benefica presenza perché ora avrebbero vissuto con qualche preoccupazione in meno.

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V

algioiosa era una splendida valle che estendeva i suoi verdi e rigogliosi prati ai piedi di una montagna chiamata Trepassi. Non era una montagna eccessivamente alta, ci si poteva arrivare in cima in poco più di mezz’ora, tanto che gli abitanti del luogo l’avevano soprannominata anche “Trerotoloni” perché bastavano appunto tre rotoloni e si era già scesi a valle. Varie scanalature la caratterizzavano, come pure antri bui e rumorosi, si diceva addirittura che respirassero!, e dirupi scoscesi, avvallamenti del terreno, fosse più o meno profonde, ma, sebbene fosse una montagna aspra e pericolosa, non c’era bambino od adulto che non vi si fosse avventurato perchè da lassù, dall’alto della sua vetta, si poteva ammirare la valle in tutta la sua bellezza. Immerso in quella valle rigogliosa c’era un pittoresco paesino chiamato Bruscolo per via dell’esigua ampiezza del suo territorio, ma se la montagna veniva soprannominata “Trerotoloni” per le ragioni suddette, al paesino avevano affibbiato il nome di “Tregiretti” perché ne erano sufficienti soltanto tre per visitarlo tutto. Comunque il fatto che fosse piccolo non precludeva in alcun modo la peculiarità del suo variopinto e splendido paesaggio che rappresentava il fiore all’occhiello di Valgioiosa. Giardini fioriti si trovavano in prossimità di laghetti naturali, abituale luogo di anatre e cigni dal meraviglioso piumaggio. Sparse qua e là c’erano delle suggestive casette con tetti rosso porpora, alle finestre, di forma tondeggiante, spiccavano tendine con pizzi e merletti ed imposte di vari colori parevano incollate apposta a concludere il grazioso quadretto. Pure le porte non erano da meno, con la loro forma bassa e larga e dal colore vivace non potevano che attirare l’attenzione dell’inesperto visitatore che si fosse trovato a passare in quella zona per la prima volta. Sembrava quasi si fossero infilate per sbaglio sotto ad uno schiacciasassi oppure che qualcuno avesse voluto, per divertirsi, tirarle da parte a parte per dar loro quella forma esageratamente larga ed esageratamente bassa. Ma chi ci poteva vivere lì dentro? Chi poteva passare attraverso quelle strane porte? Non certo delle persone normali! Difatti l’inesperto visitatore avrebbe a dir poco sgranato gli occhi nel vedere spuntare da quegli insoliti usci delle persone piccole, ma che dico piccole, minuscole! E larghe, ma che dico larghe, larghissime! Ed inspiegabilmente tonde, ma che dico tonde, tondissime! Praticamente delle palle ovali, tipo palle da rugby. 10

Non potevano essere che i Bruscolini, gli abitanti del piccolo villaggio di Valgioiosa! E le gambe, le braccia? Quasi non si notavano, da tanto erano corte, ma che dico corte, cortissime! Com’era da supporre, la loro maggiore difficoltà era spostarsi, ma avevano trovato un modo efficace per farlo. Posizionavano le loro piccole mani per terra e si davano una bella spinta e rotolavano, rotolavano fino al punto in cui volevano arrivare. Per cambiare direzione si servivano ancora delle mani che sapevano utilizzare nel momento opportuno, così come per fermarsi, tutt’e due le mani appoggiate a terra usate in sincronia con i piedi potevano diventare un bel freno naturale. A parte la loro particolare forma fisica, non facevano nulla di diverso da un normale essere umano, lavoravano, mangiavano, dormivano come tutti noi, anche se avevano un’usanza piuttosto insolita che, nel vederli, saltava subito all’occhio, non portavano alcun abito sulla loro pelle spessa e dura come la roccia. Dopotutto a Valgioiosa non c’era alcun bisogno di ripararsi dal freddo, il tempo era sempre bello e mite tutto l’anno e poi, dato che Madre Natura li aveva muniti di un’epidermide così speciale, avrebbero resistito a qualsiasi temperatura ed a qualsiasi intemperie. I bambini si divertivano a giocare sui prati, rotolando uno dietro l’altro, si rincorrevano e facevano a gara a chi rotolava più veloce. Certo non conoscevano la palla ed il gioco del calcio, ma quello che praticavano poteva sembrare qualcosa di simile. Dunque, otto bambini si disponevano in due file di quattro, un altro si posizionava di fronte e chi, con una bella spinta e l’aiuto materiale del compagno, che da dietro gli dava un tocco ben assestato con i piedi, riusciva a prendere il volo e a colpire il bambino posto davanti, facendolo atterrare, aveva fatto praticamente “goal” o “centro” come lo chiamavano loro. C’è comunque da precisare che il bambino scelto per bersaglio non stava certo lì, fermo come un baccalà, a prendersi i colpi degli altri, ma anzi, se voleva attenersi al regolamento, doveva muoversi, cercando di sviare il più possibile la traiettoria presa dai compagni. Stava quindi all’abilità del colpitore, che probabilmente si trovava ancora in volo a mezz’aria, riuscire in qualsiasi modo a cambiar rotta ed a colpire il bersaglio, facendolo cadere a terra. Le giornate trascorrevano così tra giochi e divertimenti, ma anche studio perché a Bruscolo esisteva una scuola famosa in tutta la valle.

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Finché un giorno, in quel luogo piacevole ma strano, non successe qualcosa di veramente strano. La terra iniziò a muoversi, a dar scossoni, forti sussulti a destra e a sinistra, in alto e in basso, tanto che a poco, a poco si formarono delle crepe nei muri delle case e le persone cominciarono a preoccuparsi, che stava accadendo? Trepassi, la montagna di Valgioiosa, si stava spostando, si abbassava e contemporaneamente si allargava e si allungava. Vennero alla luce nuovi dossi, nuove alture mai viste prima, finché non prese una forma strana, si poteva dire che stesse quasi prendendo la forma di una persona umana. Ma come, una persona umana lì, tra quegli individui che non ricordavano e non avevano nulla di umano? Intanto quella forma continuava ad allungarsi, pareva si stesse stiracchiando, come una persona che si stava destando da un lungo sonno. Quell’immagine gigantesca, che prima non era altro che la montagna Trepassi, iniziò piano, piano ad alzarsi, prima con un braccio e poi con l’altro si aiutò e si mise in ginocchio, dopo s’alzò definitivamente in piedi, era veramente enorme! Con la sola forza dei suoi arti e della sua poderosa figura aveva spazzato via gli alberi che prima la sormontavano, aveva distrutto i meravigliosi giardini di Bruscolo, schiacciato i laghetti come fossero delle semplici pozzanghere, spostato le case come fossero le pedine di una scacchiera. Insomma aveva stravolto tutto l’habitat naturale di quella splendida valle che ora non appariva più così splendida, ma decisamente devastata, decimata della sua primaria bellezza. Che fare? Si chiesero quegli esseri bassi e tondeggianti che, disposti davanti a quel gigante, parevano quasi una schiera di tante patatine dorate o di frittelle appena sfornate, dato il colore ambrato della loro pelle, ma chi avesse tentato di mettersele sotto ai denti avrebbe avuto un’amara sorpresa, per la scorza dura che possedevano si sarebbe subito ritrovato con la dentatura frantumata e praticamente inutilizzabile. I Bruscolini, messi di fronte ad una situazione del genere, per prima cosa si stupirono, non potevano credere ai loro minuscoli occhi che un essere così enorme avesse potuto rimanere lì, inosservato per anni ed anni. Si può dire che fosse trascorsa un’intera generazione senza che loro ne avessero saputo qualcosa, a parte qualche racconto leggendario che ogni tanto veniva narrato dagli anziani. Nessuno però ci aveva mai creduto, anzi ne avevano perfino riso delle avventure di questo o quello che nelle vesti di eroe aveva fronteggiato un essere 12

gigantesco e che poi era riuscito ad avere la meglio su di lui ed a sconfiggerlo, somministrandogli successivamente una magica pozione che lo avrebbe reso inoffensivo e che gli avrebbe procurato una morte apparente, lasciandolo sopire per anni ed anni ed anni……. Ma probabilmente, se tutto ciò corrispondeva a verità, quell’antica pozione non aveva avuto un effetto duraturo, prima o poi l’incantesimo che la invadeva scompariva completamente, facendo destare chi fosse stato costretto ad ingurgitarla e ne avesse subito la più o meno magica influenza. Intanto il bestione stava emettendo dei possenti sbadigli che facevano sobbalzare tutta Valgioiosa. “Aaaah, che bel pisolino, ma chi mi trovo di fronte? Chi sono questi strani esseri insignificanti?” Pronunciò il gigante vedendo i Bruscolini davanti a lui. “Ha parlato lui, che di normale non ha proprio niente!” Pensava di rimando Bruscosaggio, uno degli anziani del paese, squadrandolo con non poche difficoltà da cima a fondo. “…E’…è … altissimo, ma che dico altissimo,…gigantesco! E’…grossissimo, ma che dico grossissimo,…smisurato! Ed ha anche una voce…fortissima, ma che dico fortissima,…poderosa!!” L’anziano Bruscolino si lisciò la folta barba che lo copriva quasi completamente e poi, preso tutto il coraggio che possedeva nel suo minuscolo corpo, azzardò: “Ti senti superiore ed onnipotente soltanto perché sei grande e grosso, ma ricorda che la sola forza non basta! Noi tutti, messi insieme, potremmo sconfiggerti e farti rimpiangere d’avere distrutto la nostra amata Valgioiosa!” Il gigante gli rispose con una sonora risata ed accolse la sua provocazione, aggiungendo che, se fossero riusciti a farlo cadere a terra, si sarebbe considerato sconfitto ed avrebbe accettato qualsiasi decisione che avrebbero preso su di lui. Bruscosaggio, che era pieno di senno ma anche di coraggio, infervorato dal suo animo intrepido e combattivo, riunì allora gli abitanti del villaggio e, sebbene molti di loro si sentissero le piccole gambe tremolanti dalla paura ed una gran voglia di rotolare, rotolare il più lontano possibile, illustrò a tutti il suo piano d’attacco che consisteva nell’utilizzare, con l’abilità di cui solo i Bruscolini erano capaci, il gioco a loro più familiare, praticato da grandi e piccini fin dai tempi remoti e cioè “Centra il bersaglio”. Fece disporre i più bravi davanti e gli altri a mano, a mano sulle fasce laterali, tra 13

questi c’era anche Bruscasso, che a vederlo in azione era un vero spasso, il campione in assoluto di Bruscolo, un vero asso nella manica che si era particolarmente distinto in altre situazioni imbarazzanti, dove era stata provvidenziale la sua proverbiale destrezza. Gli anziani rimasero dietro per dispensare suggerimenti ed incitare i più giovani, dando libero sfogo alla loro millenaria esperienza ed abilità ed informandoli sulla tattica da seguire, rammentando così quando in gioventù rotolavano eccitati e felici fino al campo più vicino per giocare. Tutto era stato preparato per bene. Si sentì il fischio d’inizio, i Bruscolini erano pronti ad agire! Bruscastuto lanciò un’occhiata al suo vicino con gli occhietti vispi e neri che sfavillavano dall’entusiasmo, poi fece la sua mossa, una bella spinta, un colpo ben azzeccato del compagno e “via!” a volare in aria, cercando d’individuare la traiettoria giusta per giungere al bersaglio e……”toc!” arrivò il suo primo centro, proprio in mezzo agli occhi furenti del gigante. “Ahiii!” Si sentì l’urlo adirato del colpito che, ancora incredulo, con una mano si toccava la zona dolorante. E, da lì, ne seguirono altri ed altri in varie parti di quel corpo smisurato, sulla fronte, sulla spalla, in un occhio e poi nell’altro, sul ginocchio, negli stinchi, nello stomaco. Quest’ultimo colpo si dimostrò particolarmente efficace perché il gigante, dopo aver storto la bocca dal dolore ed aver emesso un “Accidenti a voi!”, stramazzò a terra tutto acciaccato. A questo punto potete immaginare la gioia dei Bruscolini quando videro quell’energumeno cadere rovinosamente tra gli ultimi resti di Valgioiosa. Tronchi d’albero senza chioma, tetti senza tegole, balconi senz’appoggio, fontane senz’acqua, monumenti senza nome accolsero quel peso spropositato, rimanendo schiacciati, polverizzati, come si fossero trovati sotto ad un rullo compressore. All’urlo di vittoria dei Bruscolini che gridavano: “Urrà, abbiamo centrato il bersaglio!”, seguì l’implorazione del gigante che chiedeva tregua e, mentre con una mano si teneva un ginocchio e con l’altra si stropicciava un occhio, disse: “Basta, vi prego! Riconosco di essere stato battuto da esseri valorosi ed abili qual siete, quindi decidete pure la mia sorte, io non mi opporrò in alcun modo, qualunque essa sia!” Bruscosaggio non perse tempo e, ancora eccitato per l’esito della sfida, dopotutto per loro si era trattato solo di una partita, importante sì, ma comunque una partita, convocò subito il Granconsiglio al completo. Gli altri sei esponenti più anziani del villaggio si presentarono davanti a lui.

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C’era Bruscoinventa che tutte le sue idee sperimenta, Bruscopensa che riflette pure mentre è in mensa, Bruscoparla che quando gli parte la lingua nessuno riesce più a fermarla, Bruscocanta che con la sua melodia incanta, Bruscoinsegna che di lui ogni dottrina è degna e, per finire, Bruscocura che di ogni medicina ha la misura. Prese avvio così la riunione tra i solfeggi di uno ed i sermoni dell’altro, tra le idee bislacche e le frasi intricate, tra i pensieri solenni e le guarigioni mancate, finché non si arrivò ad un accordo unanime guidato dalla saggezza e lungimiranza di Bruscosaggio che già dall’inizio aveva il suo progetto in testa e lì, senza farsi accorgere, aveva portato tutti gli altri. Venne deciso che il gigante avrebbe innanzitutto aiutato a costruire, pezzo per pezzo, sia Bruscolo che tutta Valgioiosa, poi, e questa era la ciliegina sulla torta sfornata da quella gran testa di Bruscosaggio in collaborazione con Bruscastuto, che ne sapeva anche più del dovuto, al posto vacante lasciato dalla montagna Trepassi sarebbe sorto un parco dei divertimenti chiamato Bruscolandia. Il gigante, che per l’occasione venne battezzato col nome di Bruscolosso, rappresentava la parte attiva del progetto imperniato proprio su di lui. Difatti tutta quella forza e grandezza smisurate dovevano servire a qualcosa e quindi il nuovo arrivato, volente o nolente, avrebbe dovuto prestare la sua sovrabbondante energia in vari modi: per il percorso delle giostre che veniva guidato dalle sue enormi mani, per l’avvio della ruota panoramica, alimentata dal suo vigoroso soffio e per la gara di barche a vela che transitavano nel ruscello artificiale creato intorno a lui e che, senza un alito del suo vento ed una spinta del suo dito indice, non avrebbero potuto certo partire e terminare il loro giro. Per far questo però avrebbe dovuto tenere il suo immenso corpo disteso sul fianco con un braccio appoggiato a terra, in una posizione la più naturale e più conciliante possibile per non spaventare i visitatori. Gli era stata comunque concessa una sosta ogni due o tre ore per sgranchirsi un po’ le gambe o per cambiar la posa precedente e magari mangiarsi un boccone. Tutto era stato stabilito e Bruscolosso non poté che acconsentire, in fin dei conti, anche se era grande e grosso, non avrebbe fatto male ad una mosca e, se dava la sua parola, l’avrebbe sempre mantenuta. Col suo prezioso aiuto, il parco di Bruscolandia venne costruito in quattro e quattr’otto e si rivelò davvero una fortuna per i Bruscolini perché arrivavano turisti da ogni parte e luogo che erano curiosi di vedere l’attrazione principale e cioè il gigante Bruscolosso. Certo all’entrata del parco non si poteva fare a meno di notare anche l’enorme cartello che riportava questa scritta: 15

“Se a Bruscolandia fai una sosta, puoi salire sulla giostra ed ammirare il gigante che ne sa fare proprio tante!” Ogni turista aveva la sua, chi lo temeva e lo guardava solo da lontano, accontentandosi di una sua fotografia, chi invece si sentiva pieno di coraggio ed imprudenza e si fidava perfino a salirgli su una gamba od una spalla e chi si intratteneva con lui in discorsi filosofici sui perché della vita. Comunque, in qualsiasi modo andasse la giornata, si sentiva felice ed utile a qualcuno e di questo poteva solo ringraziare i Bruscolini, quegli esseri all’apparenza minuscoli ed insignificanti, ma pieni d’inventiva ed audacia che, caso strano, erano arrivati addirittura a sopraffarlo.

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ancavano pochi giorni al Natale e nella fabbrica dei giochi c’era molto fermento. Taglia, incolla, assembla, piega, ripiega, chiudi! Sembrava di essere in una catena di montaggio, ognuno doveva eseguire il proprio compito senza perdere tempo. Già, il tempo! “Ne abbiamo a disposizione ancora poco per finire tutto quanto, su sbrigatevi!” Sentenziò Babbo Natale. I folletti si davano un gran daffare, facevano quello che potevano, ma erano stanchi, esauriti, avrebbero avuto bisogno di una pausa, di rilassarsi un po’. Ma non c’era tempo, non c’era tempo! C’era un lavoro febbrile in quel luogo fuori dal mondo, nascosto tra la neve che scendeva copiosa, a tratti sospinta dal vento che pareva non terminasse mai e non avesse alcuna voglia di lasciarla in pace, trascinandola qua e là tra i rami degli alberi, sui camini delle case infreddolite, sulle slitte pronte per essere usate. Ma nel regno incontrastato di Babbo Natale stava per accadere qualcosa d’insolito, qualcosa mai successo prima. Posapiano, il folletto più anziano, si lamentava, aveva dolori alla schiena ed alle mani, non riusciva più a tenere il ritmo di quand’era giovane e questa chiara constatazione lo intristiva, facendogli intuire che prima o poi avrebbe dovuto lasciare il lavoro di tutta una vita. “Non si può più andare avanti così!” Espresse tutto il suo disappunto il folletto Criticario, che criticava perfino il vocabolario, famoso per le sue idee rivoluzionarie. E poi riprese: “Dobbiamo ribellarci, questi ritmi sono disumani! Avete visto cos’è successo a Posapiano, il folletto più anziano? Se il “capo” non si decide a diminuirci le ore di lavoro e a pagarci lo straordinario, propongo di astenerci tutti dal lavoro e di indire lo sciopero generale!” E poi urlò con tutto il fiato che aveva in gola: “Chi è con me?” Alcuni si fecero prendere dall’entusiasmo ed alzarono convinti le mani. Altri erano più titubanti, esitavano a prender parte all’iniziativa, era troppo tempo che lavoravano lì e ormai ci si erano abituati. Cosa avrebbe cambiato per loro lo sciopero? Questo fatto, insolito per il posto in cui si trovavano, li impauriva e li preoccupava per il futuro che avevano ancora davanti. Non era mai accaduto che qualcuno scioperasse nel regno di Babbo Natale! Fatto sta che dall’oggi al domani i folletti più intraprendenti si procurarono cartelli, striscioni e tutto quanto sarebbe servito per la manifestazione che volevano organizzare. Anche gli indecisi vennero convinti che valeva la pena provare per il loro bene e per quello di tutta la comunità dei folletti, più volte sfruttati per la loro innata abilità e sempre mal pagati e non apprezzati nel modo adeguato. Era fatta! Mancavano tre giorni al Natale ed il regno di Babbo Natale era in balia dello sciopero. Sugli striscioni affissi sul portone della fabbrica dei giochi risaltavano scritte del tipo: “Siamo stanchi degli orari stressanti! Meno ore di lavoro e ci sentiremo forti come un toro! Per un gioco ben assemblato ci vuole un folletto ben pagato!” E così via…. Tutto era stato organizzato per bene. Il folletto Capatosta, sempre pronto ad ogni proposta, aveva dato istruzioni sul da farsi. Il mattino avrebbero sfilato tutti, cartelli in mano, per le stradine del regno, muniti di slitte tirate da cani adibiti al traino. 18

Dopo qualche giro, si sarebbero riuniti nella piazza principale per il discorso. Certo lì, davanti a tutti, non poteva mancare lui, il “capo”, Babbo Natale in persona, il quale non aspettava altro che di sentire, filo per segno, le ragioni di quel tumulto, di quella sommossa senza precedenti che aveva scombussolato il suo regno ed aveva messo KO tutte le ordinazioni di giocattoli per il giorno di Natale. Bisognava far qualcosa, provvedere a ripristinare tutta la produzione, altrimenti ogni bambino della terra avrebbe dovuto dire addio ai suoi desideri, ai sogni che, uscendogli senza remore dal cuore, aveva trascritto nero su bianco sulla sua letterina, confidando nell’aiuto sincero di Babbo Natale. Attese impaziente che l’oratore, il folletto Linguasciolta, che all’occasione ostentava la sua origine colta, iniziasse il suo discorso. Finalmente era pronto, si schiarì la voce, diede qualche colpo di tosse tanto per far scena e per attirare l’attenzione di quanti avevano preso parte al corteo, i quali, terminato il giro del regno, si erano riuniti davanti a lui con tutti i cartelli ben in vista e che oltrepassavano di gran lunga le loro teste. “Vi ringrazio per la massiccia partecipazione! Tutti noi sappiamo quanto sia duro il lavoro del folletto, senza né orario, né paga adeguati al difficile compito che gli viene affidato, ha una grande responsabilità che gli grava sulle spalle, soddisfare i desideri espressi dai bambini non è certo semplice come lo si potrebbe pensare! Il prodotto deve quadrare alla perfezione, c’è un lavoro di squadra dietro tutto questo che purtroppo non viene apprezzato come meriterebbe. Come ben sapete abbiamo proclamato lo sciopero per rivendicare due nostri sacrosanti diritti: non superare le otto ore giornaliere ed ottenere una paga più adatta al nostro lavoro. Se le nostre richieste verranno soddisfatte, potremo riprendere subito da dove avevamo interrotto!” Il lungo discorso era finito, seguì un caloroso applauso che sembrò non terminare mai. Anche Babbo Natale, seppur borbottando, stava applaudendo, aveva capito cosa volevano i folletti e decise così d’esaudire i loro desideri. Certo doveva sborsare qualche soldo in più, ma forse ne valeva la pena. Dopotutto non voleva in alcun modo deludere le aspettative dei suoi piccoli fans! Ultimamente si era reso conto che gli anni che portava sulle spalle si facevano sentire sempre di più e quindi poteva succedere anche per lui, come per qualsiasi persona anziana, che dimenticasse qualcosa, che la sua attenzione venisse meno, che si addormentasse mentre leggeva qualche letterina. Ora più che mai riteneva che l’aiuto dei folletti fosse diventato per lui indispensabile e che non avrebbe potuto fare a meno di loro, altrimenti addio giochi, addio sogni e, questo era ciò che temeva di più, addio felicità di tutti i bambini! No, questo non doveva succedere! Così salì sul palco, si fece passare il microfono dal folletto Linguasciolta ed iniziò a parlare: “Folletti cari, ho capito i motivi della vostra agitazione e quindi ho deciso di venire incontro alle vostre richieste, anzi, scusatemi per non averci pensato prima, ma sapete l’età avanza anche per me! Ora seguitemi che abbiamo un compito molto importante da portare a termine!” I folletti, soddisfatti per il raggiungimento del loro scopo, gli andarono dietro esultanti di gioia e parevano tante pecorelle al seguito del loro pastore. Il giorno dopo erano spariti tutti gli striscioni sul portone della fabbrica dei giochi ed al loro posto primeggiava un cartello che riportava questa scritta: “Chi lavora deve essere sempre apprezzato adeguatamente per ciò che fa, folletti compresi! Firmato: Babbo Natale. 19

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