MODENA 2009
Introduzione Costruire una comunità forte, sicura e solidale. Attraverso una nuova Alleanza per Modena che punti sulle quattro C: competitività, conoscenza, concorrenza, coesione. Raccogliere le energie più vitali della nostra società. Generare nuova competitività di sistema, promuovendo una crescita responsabile, ambientalmente e socialmente sostenibile. Allargare le opportunità per tutti in ogni settore della vita pubblica e privata. In una parola, tornare a crescere: è questo il compito del Partito Democratico di Modena, questo il nostro progetto, questo il nostro impegno per il governo locale. Welfare e crescita non solo non sono in contrapposizione ma, come è avvenuto a Modena e in Emilia nel secondo dopoguerra, possono sostenersi a vicenda. Solo una comunità coesa, capace di includere e offrire opportunità a tutti – a partire da giovani e donne – può essere competitiva e in grado di crescere. E la spesa sociale - se opportunamente riorganizzata - soprattutto in un momento di crisi può rappresentare l’investimento più forte per una società della conoscenza e della piena attività. Conoscenza e sapere sono la chiave d’accesso al futuro. Assicurare ai nostri figli e alla nostra comunità un futuro di prosperità non inferiore a quello goduto dalle generazioni passate e presenti è il nostro compito. Solo il sapere può garantire competitività al nostro sistema produttivo, innovando costantemente prodotti e processi; solo la scienza e la ricerca possono rendere lo sviluppo sostenibile sul piano ambientale e migliorare la qualità della vita; solo la conoscenza può rendere i nostri figli capaci di misurarsi con quelli degli altri paesi più avanzati. Occorre ridare centralità al nostro sistema educativo e formativo: merito personale e qualità di sistema devono diventare i criteri selettivi per spendere meglio, non per spendere meno. A Modena come in Emilia Romagna, occorre più istruzione, più formazione, più università, più ricerca: è l’investimento più forte che possiamo fare sul futuro dei nostri figli e della nostra comunità. La sicurezza è il primo diritto di ogni persona. Costruire una comunità sicura, fondata sulla certezza di diritti e doveri uguali per tutti attraverso regole condivise; contrastare i fenomeni di illegalità, organizzati e diffusi, attraverso investimenti adeguati in forze e strumenti. Costruire una comunità in cui tutti possano vivere serenamente è la precondizione per l’esercizio effettivo di ogni libertà e diritto. Le nostre proposte sono, nel contempo, un progetto di comunità sicura e una sfida al centrodestra – culturale e politica - per un’idea di società diversa. Questo è il manifesto con cui il Partito democratico presenta il proprio progetto programmatico per Modena e la sua provincia, in vista delle elezioni amministrative della prossima primavera.
Nasce dal lavoro di discussione ed elaborazione dei Forum programmatici, insediati nel giugno del 2008 all’indomani della nascita del Partito Democratico e della costituzione dei suoi organismi dirigenti locali. Sedici gruppi di lavoro, organizzati per aree omogenee (Sviluppo sostenibile, coordinati da Gian Carlo Muzzarelli; Diritti di cittadinanza, coordinati da Maria Cecilia Guerra; Conoscenze e Saperi, coordinati da Roberto Franchini; Sicurezza e Legalità, coordinati da Graziano Pattuzzi): luoghi aperti al contributo di iscritti e non, che in modo autonomo hanno prodotto riflessioni e proposte, poi assunte dalla Direzione provinciale del Pd di Modena. A ciò ha fatto seguito una fase di ascolto e confronto con tutte le principali associazioni di categoria e organizzazioni sindacali presenti sul territorio, per raccogliere stimoli, contributi, critiche. Infine, tra dicembre e gennaio, le quattro conferenze - organizzate sui temi forti del programma - hanno animato una discussione aperta a tutta la comunità, in cui abbiamo raccolto in modo compiuto le proposte emerse nel percorso. Con la Conferenza programmatica del 17 gennaio completiamo questa prima parte del lavoro. Quello che segue non è il programma elettorale con cui ci presenteremo agli elettori il 6 e 7 giugno. Nel momento in cui concludiamo questo lavoro, in ciascuno dei Comuni che sarà chiamato al voto di giugno (oltre la Provincia), il Pd sta selezionando le proprie candidature alla carica di sindaco, attraverso consultazioni primarie o assemblee partecipative. Sarà dunque compito dei candidati sottoporre agli elettori un proprio autonomo programma, condiviso con le forze politiche che attorno alla propria candidatura e al Partito Democratico si raccoglieranno. E’ invece il nostro contributo programmatico a sostegno di queste candidature, il progetto con cui ci rivolgiamo ai cittadini e alle forze politiche e sociali presenti sul territorio. Per costruire insieme le proposte migliori e più condivise con cui candidarci, ancora una volta, al governo delle nostre comunità. D’altro canto, come più volte enunciato e come già praticato per le politiche dello scorso anno, il Partito Democratico intende utilizzare proprio il programma come strumento utile e ineludibile per costruire alleanze: con le nostre proposte ci rivolgiamo dunque a tutti cittadini e a quelle forze che possono condividere con noi valori e obiettivi di governo per questo territorio. Stefano Bonaccini Segretario Provinciale PD Modena Davide Baruffi Coordinatore Programma PD Modena
Indice
9 Sviluppo sostenibile
18 Diritti di cittadinanza
27 Conoscenze e saperi
34 Sicurezza e legalità
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Sviluppo sostenibile
Sviluppo sostenibile Coordinatore forum: Gian Carlo Muzzarelli Responsabili forum settoriali: Michele Andreana, Vanni Bulgarelli, Lucia Bursi, Palma Costi, Francesca Maletti, Giovanni Battista Pasini Siamo in presenza di una crisi economica paragonabile solo alla grande depressione del 1929. Una crisi mondiale, che nel nostro Paese si somma alle sfide già aperte dalla globalizzazione e ai ritardi strutturali accumulati sul piano economico, sociale e istituzionale. Il territorio modenese parte certamente da una situazione di maggiore solidità rispetto al panorama italiano, ma tutti gli indicatori segnalano un quadro di crescente difficoltà. Anche qui, come nel resto del Paese, occorre un impegno riformista straordinario, in grado di comprendere il presente e progettare il futuro. La forte presenza del manifatturiero con una spiccata vocazione all’export - insieme ad un importante settore di servizi – unitamente all’alto tasso di occupazione - grazie alla forte presenza delle donne nel mercato del lavoro - rappresentano un punto di partenza importante su cui costruire le politiche di medio e lungo periodo per il nostro territorio. Ecco la sfida del Partito Democratico. Rinnovare una cultura di governo in grado di raccogliere le energie più vitali della nostra comunità. Generare nuova competitività di sistema, promuovendo una crescita responsabile, ambientalmente e socialmente sostenibile. Introdurre più efficienza e selezione nel settore pubblico. Sostenere forti processi di ricambio generazionale premiando il merito. Allargare le opportunità per tutti - a partire dai giovani e dalle donne - in ogni settore della vita pubblica e privata.
1. UNA NUOVA ALLEANZA TRA SVILUPPO, LAVORO E AMBIENTE Siamo in presenza di una crisi economica mondiale paragonabile solo alla grande depressione del 1929. Una crisi che si somma a sfide già aperte come la globalizzazione;
l’immigrazione di massa; l’invecchiamento della popolazione; la crisi energetica ed ambientale. A ciò si aggiungono le difficoltà di funzionamento delle Organizzazioni internazionali (WTO, ecc..) e la “fatica” dell’Europa nel muoversi unitariamente attraverso politiche comuni per affrontare la crisi dei mercati e aumentare la competitività del Vecchio Continente nel mondo. In pochi mesi il mondo è totalmente cambiato, la crisi economica è molto seria, la finanza creativa ed il mercato non regolato sono falliti e ci hanno messi in ginocchio. Il territorio modenese parte da una situazione di maggiore solidità rispetto al panorama italiano (il debito pubblico crescente è, secondo gli ultimi dati, pari a 1.670 miliardi di euro: 28.000 euro per ogni cittadino, circa 81.000 euro a famiglia), tuttavia anche qui non vanno sottovalutati i segnali di difficoltà. La forte presenza del manifatturiero, con una spiccata vocazione all’export, insieme ad un importante settore di servizio alle imprese, all’alto tasso di occupazione e alla forte presenza delle donne nel mercato del lavoro, rappresentano un punto di partenza importante su cui costruire le politiche di medio e lungo periodo. Queste ultime devono puntare a rafforzare un sistema produttivo che oggi inizia a risentire della pesante crisi finanziaria mondiale, con un generalizzato calo della domanda di beni e servizi. Modena, come il resto del Paese, necessita di un impegno riformista straordinario, in grado di comprendere il presente e progettare il futuro, proponendo una cultura di governo capace di dare nuove risposte ai nuovi problemi. Occorre introdurre più efficienza e selezione nel settore pubblico nell’interesse dei cittadini e delle imprese; stimolare più competitività, ma sempre responsabile, in quello privato; compiere scelte territoriali e ambientali realmente sostenibili, cioè attente alla finitezza dei beni naturali; promuovere il merito e l’uguaglianza delle opportunità; sostenere forti processi di ricambio generazionale e di pari opportunità per le donne, in tutti i settori della vita pubblica e privata.
SITUAZIONE La crisi finanziaria pone in modo evidente sia il fallimento del mercato non regolato, che i rischi di una corsa incontrollata a guadagni apparentemente facili e a consumi al di sopra delle possibilità reali. Tutto ciò ha reso stringente la necessità di dare risposte strutturali ed innovative. Nel nostro Paese, in particolare, si evidenzia l’assenza di una economia strutturata, compensata e attutita da una contenuta domanda di credito da parte di famiglie e imprese (negli Stati Uniti, alla fine del 2007, ogni famiglia americana aveva verso le carte di credito un debito medio di 9.840 dollari; dato peraltro in crescita continua da anni). L’Italia è entrata in una fase di recessione. La crescita dell’economia quest’anno avrà ‘segno meno’ e, per la terza volta dal dopoguerra, dopo le gravi crisi del 1975 e del 1993, il Pil italiano è risultato negativo per due trimestri consecutivi. L’Emilia-Romagna, invece, presenterà anche per il 2008
10 una crescita positiva (+0,1%), grazie soprattutto all’export. Un dato questo che non ci distrae dalla preoccupazione per le criticità sempre più evidenti: il calo degli ordini per molte imprese e il conseguente e crescente ricorso alla cassa integrazione; la preoccupazione per i lavoratori atipici, che non disporranno di ammortizzatori sociali; le decisioni del governo di centrodestra che ha iniziato una nuova deregulation rendendo ancor più precario il lavoro e le sue regole (va nella giusta direzione lo stanziamento di 15 milioni di euro per combattere il precariato). Non vanno inoltre trascurati i dati occupazionali che, dopo un primo semestre 2008 ancora positivo, hanno segnato nel terzo trimestre, e ancor più nel mese di ottobre, una brusca inversione di tendenza con saldi negativi. Questa inversione si è verificata non solo nei settori nei quali era attesa (edilizia e ceramica), ma anche in tutti gli altri e, in particolare, nella meccanica. A questi saldi negativi va aggiunto un forte incremento dell’uso degli ammortizzatori sociali, più che triplicato nel mese di ottobre. Questo evidenzia l’urgenza di un riforma complessiva di questi istituti che lasciano scoperti molti lavoratori, in particolare quelli atipici; i primi a pagare il prezzo della crisi.
SOLUZIONI La Sostenibilità a 360° come motore di nuovo sviluppo La sostenibilità a 360°, in cui crediamo, è ambientale, economica, sociale, energetica e dei trasporti. Il Pd si fa promotore di un modello attivo di “governo” che non si limiti a proteggere dai rischi ma stimoli la crescita delle opportunità, per riavviare la voglia di intraprendere, facendo veramente sistema, e sostenendo la creatività di imprese e lavoratori. Una società forte è infatti una società che valorizza al meglio il suo capitale ambientale, umano e sociale: le risorse naturali, le capacità e la creatività di donne e uomini, la loro dimensione individuale e di relazione. Per arrivare a una reale sostenibilità occorre partire dal rafforzamento delle componenti che stimolano l’economia reale: la formazione, la ricerca, l’innovazione, il trasferimento tecnologico, l’internazionalizzazione.
Innovare, aumentare le opportunità e qualificare le professionalità Dalla attuale situazione di crisi si esce con la capacità di investire, di creare opportunità per ‘fare e migliorare’, non con i proclami e i tagli. Negli scorsi anni si è parlato di un ‘brand Emilia-Romagna’ ma è bene ricordare che esiste anche un ‘brand Modena’, un ‘orgoglio modenese’. Siamo un territorio che sta dando il meglio, coniugando un welfare efficiente ad un’economia forte. Abbiamo tutte le carte in regola per essere ancora protagonisti, ma questo avverrà solo se sapremo assicurare
prospettive di impiego e di migliori condizioni di lavoro. Non vogliamo “social card” che umiliano le persone e calpestano la loro dignità: intendiamo dare loro le migliori opportunità possibili per fare impresa e lavorare. Sostenere l’innovazione è una scelta culturale prima che tecnologica: un nuovo modo di pensare ed agire. Le azioni in corso, sviluppate da Regione, Provincia ed Enti locali, vanno in questa direzione: dai Tecnopoli al sostegno delle imprese innovative, con nuovi centri di riferimento tecnologico come ‘Democenter-Sipe’ (che deve assicurare il trasferimento tecnologico dai centri di ricerca pubblici e privati alle singole imprese), e ‘Promo’ che ricopre un ruolo importante nella promozione della innovazione e del marketing territoriale e ha come interlocutori privilegiati gli enti pubblici ed il sistema delle imprese. La crisi si fa sentire per tutti, ma dalla crisi si esce con più qualità e più formazione, ponendo nuovi e sempre più ambiziosi obiettivi che a Modena siamo in grado di conseguire. Solamente lavoro e cultura possono assicurare un futuro forte al Paese: scommettere sull’eccellenza ci consentirà di competere e vincere sui mercati internazionali.
Difendere e rafforzare il sistema del credito a sostegno delle imprese e delle famiglie L’area di Modena è composta da un sistema ampio e diversificato di imprese (molte di dimensione medio-piccole) e da istituti di credito di dimensioni ridotte rispetto ai “giganti” nazionalizzati presenti negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania. Non è un caso se le banche che sono riuscite a sopravvivere alla crisi - e che probabilmente diventeranno i prossimi leader del global banking – sono quelle che avevano perseverato nel loro mestiere tradizionale. Le Banche devono aiutare il sistema a crescere offrendo servizi e tassi compatibili con il processo in atto. Occorre trovare “un’intesa” con il sistema bancario per: - evitare che gli errori di finanza di molte banche siano impropriamente scaricati sull’economia e le imprese; - assicurare il sostegno vero e completo agli imprenditori che hanno ancora voglia di “mettersi in gioco” senza comprimere volontà ed idee; - assicurare la copertura degli investimenti oltre alle garanzie dei consorzi fidi (che utilizzano nuove risorse pubbliche per garanzia);
2. L’AMBIENTE: DA VINCOLO A OPPORTUNITA’ Ambiente e sviluppo devono crescere insieme: rappresentano una grande opportunità economica e di realizzazione di politiche veramente riformatrici. A Mo-
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Sviluppo sostenibile
dena tutto questo è possibile poiché l’obiettivo qualità è un riferimento imprescindibile. La provincia di Modena deve puntare su un modello di sviluppo che tenga conto dello stretto nesso tra dimensione socio-economica e uso e governo del territorio. Bisogna cioè che le nostre scelte non guardino solo all’oggi ma al futuro, tenendo conto della necessità di sviluppare il territorio senza minarne la coesione sociale. La via di uscita dalla crisi energetica non sta nella speranza del ritorno a un’improbabile energia a buon mercato, né in soluzioni taumaturgiche, che puntano all’aumento dell’offerta di combustibili fossili, come il carbone, o, in questa fase dove la ricerca non è completa, il nucleare. Le prime azioni fondamentali riguardano l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, costruendo il mix più efficace e meno impattante.
SITUAZIONE La questione energetica è oggi più che mai una priorità per il Paese e coinvolge profondamente le sorti dell’economia, della produzione, delle dinamiche inflattive, delle condizioni di vita e dei bilanci delle famiglie. Ridurre l’uso di combustibili fossili significa contenere la dipendenza dalle importazioni dando più autonomia al Paese e limitando l’inquinamento. Questo significa anche migliorare la qualità dell’aria a scala locale nel nostro territorio, compromessa soprattutto dal traffico dei veicoli. Da come affronteremo la priorità energetica dipenderà il rispetto dell’impegno dell’Italia a ridurre le emissioni clima alteranti, secondo il Protocollo di Kyoto. Si tratta di un lavoro arduo, considerato l’attuale contesto politico nazionale, caratterizzato dal taglio indiscriminato di risorse, dall’illusione di poter uscire dalla crisi con roboanti proclami che coprono, di fatto, una politica “del tirare a campare”, priva di prospettive di sviluppo per il Paese e degli italiani.
SOLUZIONI Ambiente e sviluppo crescono assieme Rafforzare la crescita è un nostro obiettivo, ma si deve crescere meglio, cioè con piena sostenibilità. Affermare che ambiente e sviluppo crescono insieme significa ritenere illusorio e sbagliato contrapporli, come invece sta facendo il Governo Berlusconi quando afferma che vista la crisi economica l’Italia non è tenuta a rispettare gli accordi di Kyoto. Quella del governo è una politica miope. Si esce dalla crisi anche elevando la qualità ambientale della nostra economia.
Uniti nello sviluppo sostenibile La Provincia di Modena, il capoluogo ed altri comuni hanno da tempo sviluppato politiche attive e coerenti in campo energetico: nel 1999 è stata costituita l’Agenzia per l’energia e lo sviluppo sostenibile e la pianificazione
provinciale viene colta seguendo gli obiettivi regionali. Occorre ora un salto di qualità per rendere ulteriormente coordinata l’attività dei vari livelli di governo. Ridurre le emissioni, il consumo energetico e aumentare le produzioni di energia da fonti naturali e rinnovabili. L’asse da seguire è quello tracciato dal pacchetto Bersani e dalle Finanziarie Prodi del 2007 e 2008. I provvedimenti (ora messi in crisi dai tagli del centrodestra) hanno avviato un’azione decisa verso il risparmio e l’efficienza energetica.
Un nuovo modello energetico Gli enti locali devono impegnarsi ad attuare in ogni settore, a partire da quello edilizio, le norme utili a ridurre le emissioni e a raggiungere una maggiore efficienza energetica e ambientale, per contenere i consumi delle famiglie e i relativi costi. Nel settore civile e in quello produttivo la maggiore efficienza può portare ad una riduzione del 20-30% dei fabbisogni. Da qui l’importanza della certificazione energetica degli edifici introdotta dal centrosinistra e recentemente sostanziata dalla Regione con un proprio “Atto di Indirizzo e coordinamento per i requisiti di rendimento energetico e per le procedure di certificazione energetica degli edifici”.
Un piano energetico per la provincia e i singoli comuni La Provincia ha presentato il nuovo Piano energetico in attuazione del Piano Regionale. Quest’ultimo, approvato il 14 novembre 2007 dall’Assemblea legislativa regionale, prevede investimenti per 170 milioni a sostegno delle azioni di famiglie e imprese. Proponiamo di: -- adottare in ogni comune un pianoprogramma energetico, coerente con il Piano Regionale e quello Provinciale, con specifici obiettivi qualitativi e quantitativi; -- adeguare i piani locali per la mobilità sostenibile, moltiplicando le iniziative a favore dei servizi pubblici e delle modalità “zero emissioni”; -- realizzare le “aree produttive ecologicamente attrezzate”, previste dalla legge regionale 20/2000 sia nei nuovi insediamenti, sia nella riqualificazione dell’esistente, coinvolgendo imprese e operatori di settore. In questo ambito andranno valorizzate le positive esperienze che il Consorzio Attività Produttive sta portando avanti per conto dei Comuni consorziati, -- rafforzare, d’intesa con i gestori dei servizi energetici e con le autorità regolatrici regionali, gli interventi di miglioramento dell’efficienza delle reti (gas, acqua, elettricità), innovando i sistemi di controllo, monitoraggio e
12 rilevamento dei consumi; -- spingere per un più forte impegno dei gestori di servizi energetici a contenere i propri costi operativi, quindi il peso delle bollette, promuovendo il consumo responsabile dell’energia; -- promuovere progetti significativi da parte di imprese e gestori di servizi energetici, per la produzione di energia da fonti rinnovabili e il teleriscaldamento. L’operato delle multiutility ha dato e può dare ancora risposte importanti, in termini di gestione oculata delle risorse primarie, di maggiore efficienza, trasparenza e minori costi, garantendo comunque investimenti necessari per assicurare nel tempo reti moderne, efficienti e sicure.
Diversificare le fonti di produzione Accanto a un maggiore risparmio vanno poste le condizioni per una sempre maggiore produzione di energia con fonti rinnovabili, tema su cui l’Italia è in grave ritardo. Si tratta infatti di una grande opportunità per creare “posti di lavoro verdi”. Occorre sviluppare proposte in grado di migliorare il bilancio energetico del Paese e di contenere le bollette di aziende e famiglie, promuovendo i settori industriali impegnati nelle tecnologie produttive e distributive più avanzate. Vogliamo muoverci su questa linea, finanziando progetti di ricerca (di base e applicata) coerenti con la strategia energetica nazionale, valorizzando centri di eccellenza come CNR ed ENEA dell’EmiliaRomagna.
3. CENTRALITA’ DELLE PERSONE E IMPRESE RESPONSABILI La crisi finanziaria in atto sta rivelando, in tutta la sua drammaticità, la distruttività di una economia virtuale, priva di un’etica della responsabilità nei confronti di centinaia di milioni di cittadini e cittadine. Bisogna ripartire da qui: recuperare il valore del lavoro e la centralità delle persone nello sviluppo economico. Servono politiche che assicurino migliori convenienze collettive, migliore istruzione e lavoro, migliore accesso al mondo. Occorre stimolare i giovani ad “alzarsi per vivere i loro sogni”. Servono politiche attive per definire nuove regole dei mercati, per sostenere la voglia di intraprendere, la creazione di nuova ricchezza e nel contempo una sua giusta ed equa redistribuzione. Vogliamo politiche in grado di garantire a tutti pari opportunità e pari diritti di cittadinanza. Intendiamo coniugare libertà e giustizia sociale
per rinsaldare e rafforzare i processi di coesione sociale che costituiscono, da sempre, il fattore vincente del nostro territorio. Noi vogliamo uno Stato che regoli l’economia, non che la gestisca o la “occupi”, che sia garante dell’interesse di tutti i cittadini: di chi lavora e intraprende, di chi risparmia, investe e consuma. E’ fondamentale sostenere la nascita di imprese socialmente responsabili e i passaggi generazionali. Siamo per un modello di lavoro che riduca la precarietà e gli squilibri distributivi.
SITUAZIONE Le imprese hanno sempre meno dipendenti, e tra questi sono sempre più numerosi i lavoratori di origine extracomunitaria. Nell’area vasta Emilia Nord, gli ultimi controlli hanno indicato una media di soli 2 dipendenti per ogni impresa; oltre a ciò va considerato che, ad esempio, il 28% dei lavoratori nei 262 cantieri controllati era classificato come “lavoratore autonomo”. La disponibilità di beni di natura materiale (infrastrutture, centri di formazione, centri di ricerca, Università, ecc…) e immateriale (know-how, riconoscimento ed adesione ad un sistema di regole, le reti di relazioni tra soggetti pubblici e privati, ecc), qualifica il sistema e favorisce l’innovazione in tutti i settori. Bisogna risolvere un problema di disuguaglianza, impari opportunità ed immobilità sociale. Si è bloccato l’ascensore sociale che consente ai giovani, in particolare alle giovani donne più impegnate, intelligenti e preparate, di salire quanto vorrebbero e meriterebbero.
SOLUZIONI Un’economia di qualità fondata su imprese socialmente responsabili Occorre rimettere al centro la legalità, il rispetto dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e delle comunità di insediamento, il rispetto dei territori e dell’ambiente. Modena deve ‘scegliere e ‘puntare’ a imprese sempre più socialmente responsabili. Queste ultime si distinguono per il modello occupazionale e produttivo che sviluppano e per la capacità di farsi carico della rigenerazione dei beni comuni, dovuta all’alto grado di innovazione e di qualità dei prodotti e dei processi produttivi. Diventa prioritario ripensare i processi di competitività come “processi responsabili”. Serve quindi un approccio che permetta di conciliare il successo economico duraturo e sostenibile delle imprese nel tempo, come base di coesione sociale e valore aggiunto anche per il territorio, l’ambiente e i vari attori interni ed esterni con cui interagisce. Rendere la responsabilità sociale un vantaggio
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competitivo per l’impresa e per il territorio significa non solo investire sull’assunzione di pratiche di RSI (Responsabilità Sociale Impresa) nelle grandi imprese, ma far comprendere l’importanza di tale approccio all’intero panorama imprenditoriale: ai nuovi imprenditori ed alle piccole e micro imprese. In tale contesto è, e continuerà ad essere, fondamentale il ruolo della cooperazione.
Le persone al centro: più sicurezza del lavoro e nel lavoro Le imprese socialmente responsabili hanno piena consapevolezza dell’importanza delle donne e degli uomini che vi lavorano. Si deve dare un chiaro indirizzo alle politiche per la sicurezza, migliorando la prevenzione, la responsabilità, la presa di coscienza della centralità delle politiche in questo settore. Per questo dobbiamo operare per contrastare l’illegalità e lo sfruttamento, per migliorare la sicurezza sul lavoro aumentando i controlli e migliorando la formazione dei lavoratori e, infine, per contrastare la tendenza all’allargamento della forbice delle disuguaglianze. Dobbiamo continuare ad operare per ottenere: -- una drastica riduzione dell’Irpef sui redditi di lavoro fino a quella “soglia di povertà” che è costituita oggi dai 1000 euro al mese -- l’estensione a tutti i lavoratori degli ammortizzatori sociali -- l’adozione di un contratto unico a stabilità crescente per combattere la precarietà contrattuale -- l’innalzamento generale delle competenze di tutti i lavoratori per combattere la precarietà professionale Come Partito democratico intendiamo favorire un’educazione civile del lavoro combattendo ogni forma d’irregolarità per ottenere il rispetto della legalità. Per rispondere alle esigenze del nostro territorio va ricordato che la sicurezza riguarda anche la qualità del lavoro. Il modello vincente emiliano-romagnolo c’è ancora ed è ancora vincente: da noi si fa e si deve fare sul serio.
4. IL VALORE DEL TERRITORIO: INFRASTRUTTURE, TURISMO, AGRICOLTURA. Modena dovrà affrontare nella prossima legislatura, in coerenza con il Piano Territoriale regionale, i temi della riqualificazione urbana, della localizzazione dei servizi,
dell’innovazione e adeguamento delle reti di trasporto e comunicazione, della qualificazione ambientale, degli insediamenti produttivi.
SITUAZIONE Il sistema territoriale - con i suoi numerosi distretti d’eccellenza - ha rappresentato un punto forte dell’economia modenese, grazie alla capacità di creare una filiera efficiente, di esportare in tutto il mondo le nostre merci, di caratterizzarsi: quindi, per “specializzazioni di qualità”. Le sfide attuali: -- assicurare un’adeguata dimensione alle imprese che vi operano -- il dialogo con il mondo delle Università -- la continua innovazione e aggiornamento tecnologico Le politiche della mobilità rivestono un’importanza fondamentale in una Regione che ha un parco macchine di 3 milioni e 100 mila vetture (tre ogni quattro abitanti, neonati e bambini compresi). La carenza, da parte del governo, di politiche abitative di qualità mette in gravi difficoltà chi deve affittare un immobile o si trova ad accendere un mutuo per l’acquisto. E’ necessario un miglior coordinamento tra le politiche abitative e il sistema della mobilità: i programmi di realizzazione e potenziamento delle infrastrutture viarie e del trasporto pubblico vanno integrati con la pianificazione degli insediamenti. E’ bene ricordare come alcune parti della città corrono il rischio di essere luoghi non pienamente “riconosciuti” da chi li abita, anche perché spesso privi di spazi sociali e aggregativi. Esse sono anche luoghi dove, non di rado, la popolazione è caratterizzata da provenienze diverse, pertanto gli spazi pubblici e comuni richiedono progettazioni per consentire un processo di integrazione culturale e sociale. Sul versante agricolo, l’Italia è forse fra i paesi più ricchi al mondo per varietà produttive, prodotti tipici di qualità riconosciuti e certificati. Modena costituisce un riferimento agricolo straordinario con quattordici produzioni tipiche riconosciute, attraverso certificazioni dalla UE, che rendono questo territorio uno dei “panieri” produttivi più ricchi e caratterizzati a livello regionale e nazionale. Si tratta di una grande potenzialità sulla quale puntare come fattore distintivo e competitivo. In questo periodo in Regione si sta discutendo di scelte politiche e finanziarie decisive: i fondi di sviluppo; le raddoppiate risorse per la montagna; gli stanziamenti del piano di sviluppo rurale (fondamentale per valorizzare il parmigiano reggiano); il Piano parchi e il Piano forestale.
14 SOLUZIONI Garantire una visione strategica Il sistema Modena dovrà rapportarsi al programma regionale attraverso alcuni elementi di visione strategica: -- un diverso modello di pianificazione e sviluppo del territorio; -- il rafforzamento delle RETI (anche digitali) e delle relazioni; -- la valorizzazione delle differenze in termini di identità e vocazione dei territori; -- la visione unitaria del territorio attraverso la necessaria coerenza tra i diversi livelli della pianificazione settoriale; -- la maggiore competitività territoriale interna al sistema e ‘del’ sistema (per un maggiore sviluppo della qualità). Hanno particolare rilevanza: -- l’aggiornamento del Piano delle Acque; -- la piena attuazione del Piano di Risanamento della Qualità dell’aria; -- il raggiungimento di un necessario equilibrio all’interno del Piano delle Attività Estrattive (PIAE) tra autosufficienza e utilizzo del territorio a fini estrattivi.
Completare il processo di Governance Occorre proseguire l’azione politica per conseguire processi di riordino della governance territoriale, giungendo a nuove Unioni dei Comuni, e affrontando il tema della riorganizzazione degli enti. Contestualmente, è necessario riflettere su temi come quello della gestione dei parchi, che deve diventare più funzionale. In sostanza servono meno enti ma più efficienti, per assicurare “la cura vera del territorio” (a volte anche più ampio di quello amministrato, come accade per le aste fluviali di Secchia e Panaro).
Tutele dei centri storici e politiche della casa Aspetto fondamentale è la tutela dei centri storici delle grandi città e dei piccoli borghi: beni culturali e paesaggio rappresentano, infatti, un patrimonio culturale diffuso nel nostro territorio. Saranno prioritari: -- tutela e valorizzazione del patrimonio storico -- qualità urbana, con un uso accurato degli spazi, città più verdi, riduzione dell’inquinamento luminoso con una migliore illuminazione pubblica e l’uso dove possibile di lampadine ad emissione zero -- realizzazione delle Aree produttive ecologicamente attrezzate Vogliamo concentrarci, inoltre, sulla casa, che rappresenta al contempo il centro degli affetti di ogni indivi-
duo e un elemento fondamentale del paesaggio urbano. Occorre rilanciare una politica della casa in grado di assicurare una risposta per l’affitto e proprietà per tutti i cittadini. Diritto all’abitare e diritto alla qualità della vita sono questioni che richiedono risposte nell’immediato per le emergenze che si sono manifestate, in prospettiva per la stretta connessione con il governo delle città e del territorio. In questo senso occorre: -- fare pressione sul Governo per ottenere la “restituzione” delle risorse impegnate dal Governo Prodi e tagliate da questo esecutivo. Per l’Emilia-Romagna si tratta di 32 milioni di euro che, insieme alle risorse regionali e degli enti locali, consentirebbero la costruzione di circa 1800 alloggi -- chiedere ai Comuni, che nella nostra regione sono proprietari del patrimonio pubblico, di evitarne la vendita e di facilitare, attraverso Acer e non solo, la realizzazione di nuove offerte per costruire “abitazioni con impronta sociale”, per accrescere l’offerta di abitazioni (destinate soprattutto alla locazione) a condizioni più favorevoli per le fasce con redditi medio bassi -- sostenere le modifiche della legge regionale 20/2000 per ottenere uno sviluppo del territorio inclusivo, dove il 20% delle abitazioni siano di edilizia residenziale sociale; ciò permetterà di sostenere, con livelli di perequazione seri, parte del costo sociale e ottenere una società più integrata e solidale Le costruzioni, anche quelle di edilizia sociale, dovranno conformarsi ai seguenti principi: -- qualità energetica dei nuovi fabbricati e rigenerazione della città esistente -- qualità dell’edilizia e necessità di innovazione dei progetti -- gestione corretta delle risorse primarie e dei rifiuti aumentando la raccolta differenziata. Concordiamo con le richieste poste dal Pd nazionale, chiedendo provvedimenti per: -- tassare il reddito da affitto non ad aliquota marginale, ma ad aliquota fissa -- consentire la detraibilità di una quota fissa dell’affitto pagato -- aumentare la quota fiscalmente detraibile della rata sui mutui relativi all’acquisto della casa di abitazione -- assicurare le risorse per il fondo per l’affitto
Migliorare la mobilità E’ necessario garantire il completamento delle infrastrutture viarie: la Cispadana, prima autostrada regionale, e i relativi interventi complementari; la Pedemontana; la “bretella” Campogalliano-Sassuolo; il completamento dello scalo merci Cittanova-Marzaglia-
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Dinazzano; i collegamenti tra i centri della provincia e le tangenziali (Nonantola, ecc...); gli assi di penetrazione verso la montagna. Allo stesso tempo è prioritario assicurare una maggiore efficienza e appetibilità al mezzo pubblico, potenziando il Trasporto Pubblico Locale attraverso una decisa politica di trasporto pubblico urbano ed extraurbano, che prenda le mosse da piani della mobilità innovativi in ogni Comune. Va potenziato il sistema ferroviario regionale: a Modena ciò significa potenziare e qualificare la ferrovia Modena/Sassuolo/Reggio Emilia e studiarne l’innesto verso Maranello, la Vignola – Bologna e - attraverso FER - assicurare migliori collegamenti con Carpi, utilizzando sistemi moderni e agendo con coerenza rispetto alle scelte fatte riguardo alla destinazione degli spazi e alla qualità dei progetti delle reti e dei luoghi. E’ importante giungere al completamento della rete di piste ciclabili, sia quelle urbane, che nelle città collegano le aree residenziali produttive e di servizi, sia le ciclabili extraurbane. Particolare attenzione andrà posta sulle ciclabili che collegheranno Modena a Castelfranco Emilia, Modena-Mirandola (con la realizzazione del collegamento Bastiglia-Medolla), il “Percorso natura Tiepido” e le altre previste nel PTCP, La Bologna – Verona valorizzando il sedime della vecchia ferrovia. Per quanto riguarda la rete digitale, vogliamo far cessare entro il 2010 il digital divide e cablare la rete di tutta l’Emilia-Romagna. Lo spostamento di informazioni e servizi deve avvenire dovunque sia possibile tramite le reti informatiche anziché le reti materiali, per risparmiare tempo, risorse economiche e tutelare l’ambiente.
ra, dal campo alla tavola. Il valore produttivo insieme al valore ambientale è fattore distintivo delle produzioni agricole, anche di tipo biologico, che accrescono la credibilità e la forza dei nostri prodotti tipici.
Un gioco di squadra per affrontare le trasformazioni delle politiche agricole Serve uno sforzo straordinario per utilizzare al meglio le risorse del Piano di sviluppo rurale e operare, già da ora, per affrontare le trasformazioni delle politiche agricole. Basti pensare agli indirizzi in elaborazione in Europa che trovano conferma nelle scelte di abrogare dal 2015 il regime delle quote latte attraverso il loro progressivo aumento lineare annuo del 2% con l’abolizione del setaside; nel superamento degli OCM settoriali per arrivare ad una unica Organizzazione Comune dei Mercati che li comprenda tutti. Scelta che impone di definire nuovi scenari e programmi per rilanciare la nostra agricoltura. Si tratta di una trasformazione che richiede un forte gioco di squadra, dalle imprese alla politica, per superare chiusure e steccati e progettare alleanze per una nuova agricoltura. Nel nostro Paese il rapporto giovani-anziani in agricoltura è di uno ad otto, mentre in Europa scende da uno a quattro. La priorità è favorire il ricambio generazionale in agricoltura attraverso una politica concretamente attenta alle esigenze dei giovani, che devono poter contare su misure che permettano un più facile accesso alla terra e al credito. Ci concentreremo inoltre sulla riduzione dei costi produttivi, degli oneri sociali e sull’indennità compensativa fino ad arrivare a finanziamenti e interventi propulsivi per sostenere imprese moderne e multifunzionali.
Una nuova agricoltura di qualità
Turismo e ambiente: un binomio vincente
Il Piano di Sviluppo Rurale è decisivo per azioni di sviluppo e promozione del sistema agricolo. Sarà fondamentale nei prossimi anni assicurare la migliore promozione dei nostri prodotti, incentivando la produzione di tipicità ed eccellenze come il parmigiano reggiano, e i progetti di “filiera” finanziati dal primo asse del Piano di Sviluppo Rurale.
Nel modenese esistono tutte le condizioni per rafforzare l’economia turistica in un’ottica di piena sostenibilità ambientale. Bisogna garantire le condizioni per una permanenza sul territorio dei giovani volenterosi e sostenere il turismo attraverso l’aggiornamento della legge sugli agriturismi, il turismo rurale, ecc.
In un contesto di progressiva apertura dei mercati e di liberalizzazione commerciale, la strategia del nostro sistema agroalimentare dev’essere basata sulla competizione di qualità, valorizzando il nostro patrimonio enogastronomico, un paniere di prodotti di grande qualità. Dobbiamo chiedere con forza un’azione congiunta Stato-Regioni per affrontare le difficoltà del comparto suinicolo e del parmigiano reggiano. Modena ha tutti gli “ingredienti” per affrontare la sfida della competitività, per la capacità di tutto il settore dei distretti agroalimentari ed agroindustriali di assumere il metodo della progettualità di filiera per valorizzare e far crescere il nostro sistema produttivo. Siamo inoltre all’avanguardia per la sicurezza alimentare e i controlli che i nuovi regolamenti hanno esteso a tutta la filie-
Occorre ragionare su una proposta di montagna amica del turismo, che assuma in pieno il nuovo modello vincente, quello del “turismo delle motivazioni” (superando il precedente, c.d. “delle destinazioni”). La montagna ha forti potenzialità di rilancio in un turismo dei 365 giorni e delle 4 stagioni. Si tratta di puntare su un turismo orientato agli aspetti agroalimentari ed enogastronomici, ma anche sul wellness: il turismo che offra benessere e sport, relax e divertimento. Un turismo che valorizzi le tante bellezze di questo territorio: dai centri come Modena e Carpi, all’Appennino verde e bianco (il “valore Cimone”), dalle oasi della Bassa al “turismo culturale”, sulla scia di eventi come il Festival della Filosofia ed il Poesia Festival, e di specifiche vocazioni del territorio come “Terra di
16 Motori”. Per promuovere il nostro territorio e la nostra economia, dobbiamo cogliere le opportunità del sistema fieristico regionale. Servono progetti concreti e di qualità, che assicurino occupazione e innovazione, e che siano in grado di conquistare quote di mercato turistico. E’ importante ottenere, e utilizzare al meglio, le risorse comunitarie, nazionali e regionali per sostenere questi progetti e assicurare investimenti. E’ un settore che può garantire crescenti quote di mercato e offrire importanti prospettive per i giovani, in termini di buona e stabile occupazione.
Allegato 1
Il decalogo anti-crisi del Pd di Modena Garantire il credito alle piccole e medie imprese, contenere rette e tariffe, investire sulle energie rinnovabili, sull’internazionalizzazione e la cooperazione tra università e imprese Di fronte alla crisi che colpisce anche a Modena le imprese, i consumi delle famiglie e l’occupazione di migliaia di lavoratori, le politiche del governo si rivelano ancora una volta insufficienti e inadeguate, con misure dell’ordine dello 0,3 per cento del Pil contro il 7 per cento di altri grandi Paesi. Mentre i governi di Stati Uniti e Cina puntano su politiche espansive in Italia si attua una manovra deflattiva che non difende i redditi medio-bassi e non rilancia la domanda. La solidità del tessuto produttivo modenese sembra in grado di resistere meglio di altre aree del Paese, tuttavia anche nella nostra provincia cominciano a farsi sentire i pesanti contraccolpi della crisi, come dimostra l’aumento esponenziale delle ore di cassa integrazione negli ultimi tre mesi. Alla crisi economica e ai modi per contrastarla anche in sede locale è dedicato l’ordine del giorno approvato dalla segreteria del Partito democratico di Modena che contiene dieci proposte per rilanciare l’economia, favorire l’innovazione, difendere l’occupazione. Ecco di seguito il decalogo anti-crisi. 1) Consolidare il rapporto banca-impresa, sostenendo in modo efficiente l’utilizzo del sistema della garanzia pubblica ed introducendo strumenti finanziari innovativi per sostenere la crescita delle imprese, con particolare attenzione a quelle piccole e medie che operano sul nostro territorio (cooperative, artigiani, commercianti, pmi, industrie) e sono la vera forza della nostra economia. Il Pd considera in questo senso positivo, e da rilanciare, l’impegno della Regione, che ha già destinato 50 milioni di euro a sostegno del credito agevolato a favore delle imprese, e le azioni della Provincia e dei Comuni modenesi volte a facilitare l’accesso a finanziamenti agevolati destinati alle imprese che fanno innovazione tecnologica, organizzativa e commerciale e per le nuove imprese. Rafforzare le sinergie tra Provincia e Comuni modenesi, a partire già dalla predisposizione dei bilanci previsionali per il 2009, tese a
razionalizzare e rafforzare le risorse e gli interventi nel settore. Questo anche con la collaborazione della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura. 2) Contenere le tariffe dei servizi comunali quanto più possibile per l’anno 2009 – e comunque al di sotto dell’inflazione reale – al fine di non aggravare di ulteriori costi i bilanci di famiglie e imprese. E’ quanto stanno facendo diversi Comuni – tra questi si segnala quello di Modena, che ha raggiunto un’importante intesa con le parti sociali – e quanto intendiamo chiedere a tutti i nostri amministratori. 3) Favorire l’internazionalizzazione delle nostre imprese in forma singola e aggregata, come opportunamente stanno facendo la Camera di Commercio di Modena e la Regione. La globalizzazione, checché ne dica Tremonti, è una grande opportunità per le economie – come quella modenese – che sanno innovare e competere sui mercati internazionali. Ad esempio nel settore della meccanica: dobbiamo ringraziare il boom cinese se le nostre aziende aumentano l’export di macchine al ritmo del 30-40 per cento in un anno. 4) Promuovere il risparmio energetico e la produzione di fonti rinnovabili e naturali, avviando le imprese lungo la strada della green economy, ovvero di un’economia che unisca sviluppo, lavoro e ambiente. Le nostre piccole e medie imprese hanno l’intelligenza, le competenze e la flessibilità per investire nel campo delle energie rinnovabili e delle nuove tecnologie ambientali. Senza dimenticare, cosa che il Pd ha sostenuto, che la nostra regione è stata la prima ad adottare la certificazione energetica degli edifici. Apprezzabile, da questo punto di vista, la strada tracciata dalla Provincia di Modena, che sta programmando i suoi interventi sulla base delle direttive regionali di utilizzo dei fondi strutturali per lo sviluppo di aree produttive industriali e artigianali ecologicamente attrezzate. Ora più che mai occorre spingere con forza in questa direzione. 5) Promuovere e consolidare filiere efficienti, che minimizzino i costi, valorizzino la specializzazione dei segmenti e assicurino prodotti di qualità con un rapporto virtuoso con il territorio, con particolare riferimento al comparto agricolo e agroalimentare di qualità, da valorizzare, nella nostra provincia. 6) Favorire una stretta cooperazione tra imprese, Università e centri/laboratori di ricerca per lo sviluppo condiviso di nuovi progetti e tecnologie nella ricerca industriale, nella formazione, nell’innovazione e nello sviluppo pre-competitivo. Valorizzare i centri per il trasferimento tecnologico: il Pd ritiene che la definizione di un progetto di tecnopolo modenese tra Regione, Provincia, Università, Camera di Commercio, Comune, Democenter-Sipe e rappresentanze economiche, interpreti bene questa esigenza. 7) Promuovere modalità innovative nell’operato
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Sviluppo sostenibile
degli Enti Locali e della Pubblica Amministrazione per assicurare più efficienza e maggiore semplificazione. In questo senso rilanciamo i processi di aggregazione amministrativa già positivamente avviati in questi anni tra i nostri Comuni (Unioni di Comuni), puntando a completare, già per il 2009, l’intera riorganizzazione provinciale e a trasferire nuove funzioni e competenze ai soggetti di area vasta. Al tempo stesso intendiamo procedere nel quadro di semplificazione istituzionale avviato dalla riforma regionale per ridurre enti ed agenzie. 8) Valorizzare e diffondere buone pratiche di responsabilità sociale d’impresa nel tessuto produttivo, come elemento di innovazione e competitività del sistema imprenditoriale e fattore fondante di una economia che mette al centro dei suoi interessi la persona e la sostenibilità ambientale e sociale del territorio. 9) Assicurare una migliore mobilità, sostenibile ed integrata, al fine di garantire una risposta al tema degli spostamenti dei cittadini e delle merci, sostenendo il trasporto pubblico locale, valorizzando il nuovo servizio ferroviario (Alta Capacità e tratta Bologna – Verona) e realizzando le infrastrutture programmate (asse Campogalliano-CittanovaMarzaglia-Sassuolo; Pedemontana; Cispadana, assi di penetrazione della montagna, ecc.). Più in generale occorre modificare il patto di stabilità interno e rimettere i Comuni nelle condizioni di investire in opere pubbliche legate al territorio. E’ questo un modo rapido ed efficace per contrastare il crollo della domanda e riattivare il circolo virtuoso investimenti-domanda-consumo-occupazione. 10) Proporre azioni concrete per limitare i contraccolpi della crisi sui lavoratori, assicurando i fondi per la cassa integrazione, gli interventi a sostegno dei lavoratori precari e le misure di sostegno delle famiglie. Importante, ad esempio, l’accordo raggiunto tra Regione e istituti di credito per consentire alle aziende di far fronte ai pagamenti a breve e garantire la cassa integrazione.
Allegato 2
Competitività, conoscenza, concorrenza, coesione I quattro pilastri sui quali costruire risposte all’altezza della gravità della crisi. Il Partito Democratico è impegnato in serrati confronti con gli attori del sistema economico-sociale della Provincia di Modena per proporre e sostenere le azioni prioritarie per affrontare la crisi in corso. E’ una scelta di responsabilità per governare insieme le difficoltà, consapevoli che il nostro sistema economico-sociale è robusto, e può guardare al futuro con più fiducia di altri. E’ essenziale però fare sempre più gioco di squadra, con uno spirito di collaborazione ed unità di intenti tra tutti i protagonisti, e con un continuo confronto istituzionale
come punto di riferimento. Intendiamo rafforzare la nostra azione operativa sul tema del credito (per assicurare un rapporto banche/ imprese tale che queste ultime possano ricevere la liquidità necessaria per investire, aggiornarsi, dare lavoro di qualità), della competitività (aprendo sempre di più il nostro sistema al mercato, sostenendo l’internazionalizzazione delle nostre imprese, puntando su qualità e innovazione dei prodotti e dei processi, investendo su ambiente ed energia) e delle infrastrutture (abbiamo indicato priorità condivise: collegamento tra Cittanova/ Marzaglia e Dinazzano, completamento Pedemontana, avvio Cispadana, assi viari verso la montagna, con una mobilità sempre più intermodale ferro/gomma). Il nostro compito è quello di far crescere – nonostante il momento di difficoltà – le imprese che hanno fiducia nel futuro e nelle nuove opportunità, favorendo qualità delle produzioni e qualità del lavoro, ed operando perché a livello nazionale vengano sostenuti i lavoratori oggi più a rischio, come gli atipici e i precari. Crescita economica e coesione sociale sono per Modena un binomio inseparabile: si tengono per mano e si rafforzano a vicenda. Vogliamo quindi rilanciare le “quattro C”: competitività, conoscenza, concorrenza, coesione. Conoscendo e apprezzando la responsabilità degli enti locali, della Provincia di Modena, e delle forze imprenditoriali e sociali, riteniamo che esistano oggi le condizioni per “fare squadra”. Non possiamo attardarci ancora una volta discutendo dei “tavoli”: dobbiamo mettere insieme da subito tutti gli attori istituzionali e sociali più rappresentativi del territorio, e agire insieme per questa “alleanza per Modena”, chiedendo a ciascuno responsabilità ed un impegno aggiuntivo. Oggi l’economia ha la febbre, ma Modena ha gli antibiotici giusti. Lavoriamo al meglio per superare questo momento di difficoltà e prepariamoci a giocare le nostre chance per quando ripartirà l’economia, e per assicurare nuove opportunità di sviluppo e di lavoro al nostro paese. Il compito della politica è sostenere nello stesso tempo famiglia, lavoro, imprese.
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Diritti di cittadinanza
piena attività.
Infanzia, welfare e terzo settore Le premesse: che welfare vogliamo
Coordinatore forum: Maria Cecilia Guerra Responsabili forum settori: Marco Bondi, Paolo Bosi, Cecile Kyenge, Francesca Maletti, Adriana Querzè, Giovanna Zanolini La società modenese è in una fase di rapido mutamento: il mito della società ricca e uguale mostra segni di appannamento; pur mantenendo un elevato livello di benessere la disuguaglianza sociale ed economica cresce infatti in modo significativo. Tra le cause principali del fenomeno vi sono la stagnazione dei redditi da lavoro dipendente e il processo di immigrazione che ha portato a Modena una componente di stranieri il cui livello di vita è nettamente inferiore a quello degli autoctoni. La prospettiva di una società poco coesa e stratificata rappresenta quindi un pericolo molto forte. Nelle politiche di welfare nazionali, intraprese con i primi atti del governo e prospettate dal libro verde presentato dal ministro Sacconi, emerge con evidenza il rischio della deriva verso un welfare residuale, caratterizzato da un’ attenzione puntata quasi esclusivamente sulla povertà assoluta e da misure di tipo assistenziale. Scarsa o nulla è l’attenzione ai diritti di cittadinanza. Si tagliano risorse agli enti locali, rischiando di compromettere l’offerta di servizi nelle città e nei paesi che, come quelli della nostra provincia, si sono fatti carico negli anni delle esigenze e dei diritti dei propri cittadini. Il governo non percepisce il coinvolgimento del terzo settore come volontà di fare rete, ma discende dall’imperativo di tagliare i costi dei servizi e di affidarne il più possibile la gestione a soluzioni private. Tutto questo senza che sia comunque il settore pubblico a contrattare i termini dell’erogazione dei servizi a garanzia della qualità e della loro adeguatezza al soddisfacimento dei bisogni della popolazione. Le politiche nazionali, inoltre, non considerano il complesso intreccio che lega immigrazione e welfare. Limitando il tema dell’immigrazione al solo profilo della “sicurezza”. Il tutto mentre incombe una crisi economica senza precedenti, che paralizza le aziende e impoverisce le famiglie. Il Partito Democratico ha un progetto di società opposto. Welfare e crescita non solo non sono in contrapposizione ma, come è avvenuto a Modena e in Emilia nel secondo dopoguerra, possono sostenersi a vicenda. Solo una comunità coesa, capace di includere e offrire opportunità a tutti – a partire da giovani e donne – può essere competitiva e in grado di crescere. E la spesa sociale - se opportunamente riorganizzata - soprattutto in un momento di crisi può rappresentare l’investimento più forte per una società della conoscenza e della
Analizzando il ruolo del welfare locale in questa fase storica si contano diverse declinazioni della sua rilevanza economica, sociale, politica e delle sue relazioni con lo sviluppo economico. Secondo alcuni punti di vista il welfare è, e deve essere, funzionale alla crescita economica. Quest’ultima viene quindi vista come una precondizione per la produzione delle risorse che il welfare potrà avere a disposizione. A questa analisi si contrappone l’idea che il welfare non sia un costo, ma sia invece complementare alla crescita. La nostra riflessione parte da questo secondo punto di vista, introducendo alcune importanti qualificazioni. La dinamica delle economie, alla luce della crisi economica mondiale in atto, ha confermato la tenuta del settore manifatturiero locale e una buona capacità di un sottoinsieme di imprese nel reggere le sfide della globalizzazione. Gli importanti risultati raggiunti dal settore manifatturiero, che devono essere rafforzati attraverso le politiche pubbliche, non sono tuttavia scontati per il futuro e, in ogni caso, possono solo comportare il mantenimento dei livelli occupazionali, non certo una loro espansione. I settori tradizionali sono dunque destinati a un ripiegamento. Ai nostri occhi si presenta oggi un’occasione storica per avviare un processo di modifica della struttura della domanda e dell’offerta produttiva. La tenuta della domanda aggregata del sistema nazionale e locale necessita di un forte contributo interno, che, in considerazione delle tendenze demografiche (invecchiamento e immigrazione), comporta un riorientamento dell’offerta da beni privati a beni pubblici, sancendo quindi un ruolo della spesa pubblica molto più intenso rispetto al passato. Il welfare, secondo il nostro punto di vista, non è quindi solo compatibile con la crescita, ma è un elemento indispensabile per garantire la sostenibilità del sistema locale anche sotto il profilo strettamente economico. Il mondo di domani ha bisogno di implementare i servizi alla persona e, per perseguire tale obiettivo, è necessario che il settore pubblico apporti un incisivo contributo alla creazione di figure professionali adeguate in un contesto di ‘welfare mix’ in cui le forme di lavoro irregolare devono essere bandite. Le imprese devono essere aiutate nel comprendere che nei servizi sociali, e in generale del welfare, si presentano importanti occasioni di profitto anche investendo sul progresso tecnico e organizzativo. La necessità di un’ulteriore riflessione, strettamente collegata alla precedente, è motivata dalla crisi finan-
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Diritti di cittadinanza
ziaria in atto. Davanti ad un possibile assestamento dei mercati finanziari, si dovrà comunque registrare una perdita significativa dei valori patrimoniali investiti dalle famiglie e ciò presenterà inevitabili ripercussioni sulla domanda di consumo e quindi di investimenti privati. In questo periodo stiamo assistendo a una ripresa di punti di vista keynesiani: richieste di intervento pubblico nel sostegno alle imprese finanziarie; le imprese dell’economia reale; le famiglie in difficoltà. Le risorse messe in campo per queste finalità sono di proporzioni gigantesche (pari al 30% del prodotto interno per alcune economie europee), anche se in gran parte rappresentano fondi atti a svolgere una funzione di garanzia e assicurazione rispetto ad andamenti sfavorevoli dei mercati. In ogni caso è fatale che la crisi finanziaria – già il centro destra utilizza massicciamente questo argomento – possa essere usata per sacrificare il welfare. Il Partito democratico propone l’opposto: la temporanea rimozione dei vincoli di finanza pubblica deve essere utilizzata in primo luogo per realizzare quelle riforme del welfare che sino ad ora non è stato possibile attuare, a partire dagli ammortizzatori, dando un ruolo di primo piano anche allo sviluppo di servizi a favore delle famiglie, al sostegno delle responsabilità familiari e alla cura delle persone non autosufficienti. La spesa per un nido in più (come quella per investimenti di riduzione della produzione di CO2) non deve essere percepita come un costo e, comunque, presenta un potenziale di stimolo della domanda aggregata del sistema sostanzialmente identico all’incentivo alla rottamazione di un’auto. L’unica differenza è che nel primo caso si ha un asilo in più, nel secondo un’auto in più. La realizzazione di questa opportunità richiede naturalmente un ridisegno delle forme di finanziamento e un ruolo pubblico più ampio. Diventa quindi politicamente fondamentale la linea che dovrà essere sostenuta in tema di federalismo. Quest’ultimo dovrà condurre a un abbassamento della pressione fiscale a livello nazionale (accompagnata da una sua ricomposizione a favore del lavoro dipendente) per distribuire maggiori risorse a livello decentrato, cioè dove i servizi del welfare sono offerti. Questo non deve avvenire penalizzando le realtà in cui l’offerta è più ampia, ma piuttosto dando una chance, accompagnata da un attento monitoraggio, alle realtà più arretrate. La coerenza politica di questa coraggiosa impostazione deve però puntare anche sulla realizzazione di elevati livelli di efficienza del settore pubblico, soprattutto organizzativi. In questo modo si depotenziano gli argomenti tipici della destra che giustificano i tagli indiscriminati alla spesa con l’esistenza di spazi di miglioramento dell’efficienza.
Le politiche che proponiamo Passando all’individuazione delle linee di intervento, emergono i nuclei problematici più importanti: -- invecchiamento della popolazione -- estensione sempre più rapida ed accentuata dell’immigrazione
Riteniamo che a queste sfide il welfare locale possa dare risposte decisive
Le politiche per l’infanzia Nel settore dell’infanzia la politica locale ha raggiunto risultati significativi per qualità e quantità degli interventi. Per i bambini fino a tre anni e per quelli da tre a cinque anni d’età il potenziamento dell’offerta ha reso possibile raggiungere e superare gli obiettivi fissati dalla U.E. per il 2010. Questo ha consentito di: -- creare condizioni protettive rispetto all’insuccesso scolastico -- creare condizioni favorevoli all’integrazione socio-culturale -- facilitare la partecipazione delle madri al mercato del lavoro Questi risultati tuttavia non devono indurre a ritenere che il sistema locale di welfare per l’infanzia sia immune da criticità, né che possa continuare ad ampliarsi per far fronte alle sempre maggiori richieste di servizi rimanendo a condizioni invariate. Le esigenze di affidamento e cura dei bambini da zero a sei anni e la sempre maggiore consapevolezza delle opportunità formative che i servizi offrono fanno aumentare di anno in anno le domande di accesso, ben più di quanto non avvenga per l’incremento demografico molto contenuto. Il costo del servizio, soprattutto quello dei nidi d’infanzia, è molto elevato e risulta tendenzialmente sempre più scarsa la capacità delle famiglie di far fronte agli oneri richiesti, che risultano comunque sempre molto bassi rispetto ai costi effettivi. Vanno quindi individuate forme integrate di sostegno al welfare per la prima infanzia individuabili in una batteria ampia di strumenti da mettere in campo: -- orientamento delle scelte di bilancio degli enti locali e riequilibrio delle priorità: non si può ritenere di offrire più servizi a parità di investimenti -- contenimento dei costi della gestione diretta: ad esempio attraverso il progressivo appalto dei servizi ausiliari e di pulizia in quanto servizi non didattici -- incremento delle forme di gestione convenzionate e aziendali che vedano il Comune svolgere una funzione di governo del sistema -- elaborazione di un vero e proprio patto cittadino per l’infanzia in cui le imprese partecipino alla definizione dell’offerta, comunque guidata dalla regolamentazione pubblica -- attivazione di interventi tesi a ridurre ogni residua differenza nella definizione degli standard dei servizi a gestione pubblica e convenzionata Il governo locale deve avere la consapevolezza che le politiche di integrazione richiedono grandi sforzi: si devono contrastare non solo i vincoli costituiti dalla condizione economica delle famiglie di immigrati con minori, ma
20 anche costruire le modalità per intercettare stili di accudimento ed educativi non sempre coerenti con quelli praticati nei nostri servizi. I governi locali non devono dunque essere lasciati soli. Sono necessari anche interventi centrali tesi a far sì che i costi del sistema di welfare per l’infanzia, soprattutto nella fascia da zero a tre anni, non ricadano esclusivamente sull’ente locale, rendendo molto difficoltoso l’ampliamento dell’offerta in territori già dotati di servizi ed impossibile il decollo di questi servizi in aree del paese che ne sono ancora completamente sprovvisti.
Anziani e diversamente abili: le politiche per la non autosufficienza Nella nostra Provincia si assiste ad un aumento significativo della popolazione anziana determinato dall’aumento dell’aspettativa di vita: -- la popolazione ultrasessantacinquenne raggiunge quasi il 25% della popolazione residente; -- - gli ultrasettantacinquenni superano il 10% della popolazione residente; con un incremento costante che, secondo i dati in possesso, si presenterà anche nei prossimi anni. Nonostante la maggior parte di queste persone sia tuttora una risorsa per la propria famiglia e per la comunità nella quale risiede, il rischio di non-autosufficienza (sia per patologie biologiche che comportamentali e dementigene) nella popolazione anziana è crescente con il crescere dell’età media e della speranza di vita. Per dare risposte a questi bisogni individuali e familiari, i sette Distretti della Provincia, in base alle diverse specificità e peculiarità, hanno attivato specifiche reti di servizi che, oltre alle azioni volte alla prevenzione, si articolano in due macro filoni: la residenzialità e la domiciliarità. Questi ampliamenti qualitativi e quantitativi di servizi si sono potuti verificare grazie ad aumenti di risorse comunali e all’istituzione,da parte della regione Emilia Romagna, del Fondo Regionale della Non Autosufficienza. Grazie anche alle risorse messe a disposizione dalla Regione si è potuto raggiungere l’obiettivo del 3% di posti letto rispetto alla popolazione residente over 75 anni, attraverso la rete di Case Protette e Residenze Socio Assistenziali gestite direttamente dal pubblico o appaltate o convenzionate o gestite da Asp. Siamo però consapevoli che riuscire a mantenere questo livello di servizi residenziali, che con l’aumento degli anziani prevede un numero rilevante di posti in più all’anno, risulti molto difficile per gli Enti Locali e per l’Azienda Sanitaria perché richiederebbe l’utilizzo di somme ingenti a fronte di una riduzione di entrate e di trasferimenti. In questi ultimi anni la domiciliarità è stata assunta come priorità sia per garantire il più possibile una maggiore qualità di vita all’anziano e alla sua rete familiare, sia per la necessità di modulare il più possibile l’offerta dei servizi riducendo l’accesso in strutture. Gli anziani sono seguiti attraverso Progetti Assistenziali Individualizzati per rispondere meglio alle loro, diverse, necessità e per evitare il più possibile sprechi di risorse; elaborando progetti condivisi, quando è possibile, con lo stesso
anziano e con la rete familiare e/o amicale. È necessario supportare l’anziano e/o la famiglia di riferimento in questo percorso, soprattutto legato all’accesso ai servizi ed alla presa in carico. La rete, oltre a servizi di supporto e di sollievo (periodi in residenza; centri diurni; assistenza domiciliare sociale e sanitaria; centri anziani; centri territoriali; pasti a domicilio ecc), deve prevedere contributi economici (assegno di cura ecc.) e una grossa integrazione tra livello sanitario e sociale, tra ospedale e territorio. Va ricordato che questo sistema non reggerebbe se non ci fossero le collaboratrici familiari le quali accudiscono l’anziano e ne portano il “peso” maggiore. Si tratta nella maggior parte di donne immigrate, a conferma del fatto che l’intreccio fra welfare e immigrazione pone compiti molti difficili, che solo in parte il potere locale può affrontare. A questo riguardo occorre affrontare non solo il tema di formazione, tutoraggio e supervisione di queste figure professionali, ma anche quello della loro dignità, della loro integrazione e del loro inquadramento lavorativo. Non possiamo negare, infatti, che molte di loro non hanno un contratto regolare e, in base alle leggi vigenti, spesso sono clandestine e non potrebbero neanche essere regolarizzate. Da una recente ricerca svolta in Provincia, e dai dati sui numeri delle collaboratrici che si rivolgono agli sportelli del Centro per l’impiego di Modena, emerge che c’è un ritorno di donne cittadine italiane (10% del totale) che si propongono per questi lavori di cura. Per quanto riguarda le straniere è prevalente il caso della persona che rimane in Italia per raggiungere con il proprio lavoro la somma necessaria ad acquistare un appartamento nella città di origine o per fare studiare i figli, ma non è intenzionata a pensare il proprio futuro in Italia, prevedendo ricongiungimenti di propri familiari. Questa specificità ci obbliga a riflettere su modalità diverse di integrazione e di tutela. Occorre poi affrontare il tema di come aiutare le famiglie/datori di lavoro a fare emergere il lavoro nero (quando possibile), compensando il gap tra contratto regolare ed irregolare, che comprende ferie, tredicesima, liquidazione e contributi. Lo scorso anno, quando il Contratto Collettivo Nazionale è stato rinnovato prevedendo una maggiorazione dei salari, molte famiglie/datori di lavoro si sono trovate in grossa difficoltà a coprire questo ulteriore costo. Questo problema andrebbe chiaramente affrontato a livello nazionale, ma dal governo non giungono notizie rassicuranti in merito. A livello locale si può comunque operare cercando di fiscalizzare integralmente per la famiglia gli oneri sociali dei servizi di cura, sradicando quindi l’incentivo al lavoro irregolare. Su questa base occorre impostare un potenziamento delle attività del tipo Serdom, finalizzate a creare un mercato del lavoro dei servizi di cura regolare e qualificato, eliminando le discriminazioni contrattuali tra chi opera nel settore pubblico, nel terzo settore e nel mercato non regolare. Occorre anche prevedere servizi di tipo “innovativo”, come alloggi per anziani, che, oltre ad essere privi di barriere architettoniche e dotati di ausili specifici, prevedano luoghi di socializzazione comuni, portierati sociali e altre forme di servizi dedicati. In questo contesto
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Diritti di cittadinanza
vanno valorizzate iniziative pionieristiche nel campo della tecnologia dei servizi sociali (si pensi all’housing sociale) che possono porre le premesse di apertura di settori produttivi più consoni alle caratteristiche della domanda futura e compatibili con iniziative imprenditoriali economicamente attraenti e sostenibili. Nella nostra Provincia vi è un aumento dei cittadini diversamente abili maggiore di altri territori. Questo non è imputabile a cause biologiche o legate al territorio, ma ai seguenti motivi: -- aumento dell’aspettativa di vita, -- aumento delle disabilità acquisite, -- buon livello dei servizi sociali, sanitari ed educativi che determina una migrazione nei nostri territori Nei sette distretti della provincia vi sono servizi specifici legati alla fascia 0-18 anni, prevalentemente in carico ad Azienda Usl attraverso la Neuropsichiatria Infantile e i servizi educativi, e dai 18 in avanti gestiti, tranne alcune specificità, come accade per gli anziani rispetto alla rete dei servizi residenziali e domiciliari. Sono previsti, inoltre, percorsi di accesso al lavoro, ad attività sociooccupazionali e ad attività legate al tempo libero. Anche per i diversamente abili è utilizzato il Fondo Regionale per la non autosufficienza. Rispetto alla compartecipazione delle famiglie alla rete dei servizi, in alcuni distretti essa si basa solo sul reddito della persona, in altri sul reddito del nucleo di appartenenza. Trovare le risposte ai bisogni evidenziati, e a tanti altri che per brevità non vengono qui citati, è il compito che spetta alla Regione Emilia Romagna ed ai diversi Enti locali impegnati per la elaborazione dei Piani della salute e dei Piani sociali e sanitari del triennio 2009-2011. Questo percorso, oltre ad analizzare i bisogni e i servizi di ogni singolo territorio distrettuale e provinciale, deve avere la capacità di programmare un welfare del futuro, universalistico non residuale; deve porsi l’obiettivo di valorizzare le capacità residue delle singole persone e delle famiglie e non essere invece di tipo assistenzialista; deve mettere in rete diversi ambiti di intervento (lavoro, casa, trasporti, ecc) oltre all’integrazione tra sociale, sanitario ed educativo. Occorre compiere un’analisi sul modello gestionale di welfare che vogliamo. Partendo dalla legge 328/00 e dalla L.R. 2/03, che indicano la sussidiarietà come valore aggiunto, e dalle esperienze dei diversi territori nei quali sembra che il modello prevalente sia il welfare mix, è necessario trovare una diversa integrazione con le nuove direttive regionali sull’accreditamento che aggiungono un ulteriore elemento a questi diversi modelli. Nuovo dato di questa programmazione è il ruolo assunto dal terzo settore che deve essere coinvolto, fin dalle prime fasi, su analisi di elaborazione a livello regionale, provinciale e distrettuale. Altro elemento fondamentale è dato dalla sostenibilità del welfare: se da un lato le famiglie faticano sempre di più ad arrivare alla quarta settimana, aumentano i bisogni e, di conseguenza, occorrerebbe implementare sia i servizi che i contributi economici, dall’altro lato calano i finanziamenti ed i trasferimenti
statali. La politica che proponiamo è di deciso contrasto alla tendenza delle politiche nazionali ad una riduzione del numero delle prestazioni dei servizi in direzione di un welfare solo per i più poveri e per le emergenze (non autosufficienza e bambini), a scapito della prevenzione e dei livelli intermedi. Occorre allora, analogamente a quanto si è detto per le politiche sull’infanzia, fare una seria riflessione e delle scelte precise che riguardino: -- il presidiare il cammino del federalismo fiscale a livello nazionale, per assicurare ai Lep, opportunamente definiti, un adeguato finanziamento; -- il ridefinire gli standard dei servizi (anche se i margini sono molto limitati); -- il rivedere i modelli gestionali, ampliando, ove possibile, le gestioni esterne; -- il riconsiderare le priorità della spesa all’interno dei bilanci delle amministrazioni; -- l’aumentare, ove possibile, la compartecipazione dei cittadini (rette). Nel compiere queste scelte occorre tenere presente che il welfare produce sviluppo sia direttamente (occupazione di migliaia di persone che lavorano nell’area servizi, sia nel pubblico impiego che nel terzo settore) che indirettamente ( aumentano i consumi e di conseguenza la produzione di un determinato territorio). Inoltre occorre tenere ben presente che lasciare diminuire nei territori i livelli di prevenzione e di coesione sociale significa meno sicurezza sul territorio.
Politiche per la casa e immigrazione Il tema delle politiche per la casa viene analizzato nel documento “Sviluppo sostenibile”. Ma il problema trova un suo rilievo anche per come si intreccia strettamente con quello delle politiche per l’immigrazione. Vanno infatti riconsiderati i costi e i vantaggi dell’immigrazione. E’ ragionevole ritenere che ai vantaggi per le imprese di forza lavoro a basso costo corrispondano costi elevati per gli stessi immigrati in termini di minor benessere rispetto alla popolazione autoctona, che può disporre di reti sociali di sostegno più robuste. Costi elevati si presentano anche per le amministrazioni pubbliche, che devono investire risorse per il sostegno di aree crescenti di popolazione in condizione di povertà. E’ invece importante che tutte le parti sociali, a partire dalle imprese, siano chiamate a farsi carico dei maggiori costi del welfare, in particolare nel settore della casa. Le imprese devono apportare un contributo più ampio, mentre il governo locale deve compiere sforzi più intensi (proseguendo sulla linea dell’agenzia casa) per fornire strumenti di garanzia economica a chi è costretto alla ricerca di case in affitto. Progetti di coinvolgimento delle imprese in settori importanti del welfare sono in corso di sperimentazione nella nostra provincia (es. progetto scuola-Confindustria).
22 Il terzo settore: una ricchezza per la nostra provincia La Provincia di Modena presenta una realtà molto ricca di associazioni di volontariato, di promozione sociale e di cooperative che contraddistingue la generosità e la coesione sociale del territorio. Questi enti, inoltre, sono soggetti fondamentali per il welfare mix locale, fornendo un contributo alla rete dei servizi che ormai è acquisito da anni. Molti di questi enti aderiscono a realtà nazionali, altri, invece, sono sorti da piccoli gruppi di persone per rispondere a bisogni specifici. La regione Emilia Romagna, proprio per riconoscerne il ruolo esercitato, ha previsto una specifica concertazione con tali enti rispetto alla nuova programmazione triennale. Questi diversi filoni del Terzo Settore sono normati da leggi e regolamenti diversi volti a valorizzare e tutelare la specificità rispetto alle attività, ai requisiti dei soci e degli organi dirigenziali, ai regimi fiscali, ecc. La legislazione vigente è sia di livello nazionale che regionale. Senza una legge quadro questa pluralità di leggi rischia di non essere sufficientemente attenta all’evolversi delle dinamiche dei rapporti con le Istituzioni e con i soggetti privati. E’ necessario inoltre rivedere la specificità, ma soprattutto la rappresentatività e l’efficacia, dei numerosi organi di rappresentanza (Forum del Terzo Settore, Comitato Paritetico del Volontariato, Centri di Servizi del Volontariato, Consulte, Forum, ecc). Il settore vive inoltre grosse difficoltà determinate da esigenze sempre più forti di produttività della committenza imprenditoriale, e della stessa amministrazione, nei confronti delle aree della cooperazione sociale. Il problema va affrontato esplicitamente nella definizione di più corretti standard qualitativi e nella definizione di forme contrattuali non discriminate tra pubblico, terzo settore e privato. I nodi da affrontare: -- Specificità e chiarezza dei quattro soggetti -- Motivazione del volontariato (gratuità, ecc) -- Crisi del volontariato (riduzione del numero dei volontari ma soprattutto dei dirigenti) -- Ruolo di rappresentanza e semplificazione dei numerosi organismi -- Rapporti con le Amministrazioni
Concludendo Le politiche indicate sono complesse e costose, ma non esistono scorciatoie. La loro realizzazione trova motivazione non certo nella riproposizione di “un vecchio modello di welfare oggi non è più sostenibile” (frase troppo spesso pronunciata dai politici anche del centro sinistra), ma nella consapevolezza che un welfare, che dipenda solo dalle risorse maturate dalla crescita economica indotta dall’export delle imprese private, non rappresenta più la soluzione in un mondo in cui il patto sociale del passato (export, profitti reinvestiti, occupazione, ricchezza, risorse pubbliche) va ridefinito. La spesa sociale deve avere un ruolo autonomo come
motore di crescita a cui anche le imprese devono concorrere condividendone i costi, individuando nella tecnologia dei servizi sociali un nuovo motore di crescita economica.
Cooperazione internazionale Contesto nazionale La Cooperazione e la lotta alla povertà sono parte essenziale della politica estera italiana e di tutti i paesi occidentali. La Campagna delle Nazioni Unite per gli Obiettivi del Millennio è una linea guida ineludibile se si vuole avere un ruolo attivo nello scenario internazionale. Nel 2007 il governo Prodi ha realizzato un notevole sforzo per migliorare la situazione della Cooperazione. Purtroppo sembra che il governo Berlusconi sia deciso a stroncare drasticamente questi buoni propositi. Il decreto legge di giugno del ministro Tremonti dedica infatti due linee dell’Art 60 alla voce “aiuto allo sviluppo” che prevedono un cambio di rotta allarmante: l’aiuto pubblico a favore dei Paesi più bisognosi sarà ridotto di 170 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009. Questo significa che le risorse gestite dal Ministero degli Affari Esteri per gli aiuti saranno ridotte quasi alla metà, il che porterebbe i proventi a disposizione nel 2011 a soli 393 milioni di euro. E’ evidente che la misura allontana il nostro paese dagli obiettivi concordati con i partner occidentali; penalizza pesantemente la posizione dell’Italia nello scenario internazionale e mette in questione il nostro ruolo di guida nel G8 della Maddalena nel 2009. A peggiorare la situazione contribuisce la mancata riforma della legge 49 del 1987. I nostri aiuti già sono pochi e, in più, i nostri interventi risultano poco incisivi per la mancata riforma del quadro legislativo. La cooperazione internazionale necessita di nuovi strumenti che permettano di attuare interventi più efficaci e adeguati ai tempi. Essa deve rimanere nell’agenda politica di un partito come il Pd, che pone tra i propri compiti quello di sensibilizzare soprattutto le giovani generazioni a tematiche come lo sviluppo sostenibile,la lotta alla povertà,l’ aiuto ai paesi in via di sviluppo. Per fare ciò il Pd, anche a livello locale, ha ampi margini di manovra, attuando una strategia politica che sia in grado di appoggiare l’associazionismo locale nei suoi vari progetti.
Idee e proposte Fra le più rilevanti politiche che possono essere intraprese a livello locale si ricordano le suguenti: -- Dialogo con le associazioni dei migranti e le comunità religiose: in questo senso va sostenuto il progetto alla Diaspora Africana -- Cooperazione politica, istituzionale ed intergovernativa: gemellaggio con il Partito Laburista israeliano. Questo gemellaggio deve essere portato avanti dal PD modenese
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in modo indipendente dal programma per le amministrative del 2009 che i Forum andranno a comporre -- Sviluppo di gemellaggi con i Partiti politici dei migranti che risiedono a Modena (tra le prime comunità contattate si contano Nigeria e Costa d’Avorio) -- Sostegno a progetti di migranti che aiutano la comunità d’origine -- Cooperazione e multiculturalità: sostenere iniziative che rafforzino l’approccio multiculturale delle istituzioni e degli operatori sociali. Favorire lo sviluppo di figure culturalmente competenti che sappiano cogliere l’importanza della multiculturalità, favorendo corsi di aggiornamento per operatori sociali.
Immigrazione Contesto nazionale Secondo gli ultimi studi nel 2030 quattro bambini su dieci (40%) avranno genitori immigrati; ogni anno nel mondo dell’istruzione vi sono 70mila iscritti stranieri in più (arriveranno al 40% nel 2030). Bastano questi dati per comprendere come il fenomeno migratorio sia irreversibile. L’Emilia Romagna è tra le regioni più interessate: al 1°gennaio 2007 i residenti di origine straniera nella nostra regione erano 317.888, destinati a divenire più di un milione nel 2030. Nella nostra provincia il fenomeno migratorio è particolarmente accentuato ed in costante crescita: Modena è il terzo comune per residenti stranieri (18.710) e tra i primi 15 comuni per residenti stranieri compaiono Carpi (9° con 6047), Sassuolo (12°, 4.181), Mirandola (15°,2.418). In settori vitali per la nostra economia come l’edilizia, il meccanico e le carni, i lavoratori stranieri rappresentano più del 25% della forza lavoro. Il fenomeno va quindi governato con misure strutturali, non semplicemente cavalcando la paura e il disagio sociale che spesso vengono associati all’immigrazione, come è accaduto con l’ultimo decreto sulla sicurezza licenziato dal governo. Se, come la realtà impone, Modena diventerà una città multietnica e multiculturale occorrerà dotarsi di strumenti d’intervento, su più livelli, e operare con politiche integrate. La sfida maggiore è oggi quella per i diritti dei migranti: una democrazia che estromette dalla partecipazione alla “res-pubblica” una percentuale sempre maggiore dei propri cittadini è un’assurdità; si deve incidere culturalmente sui fattori che hanno spinto parte dell’elettorato ad un voto “protezionista” di certezze e di diritti solo per pochi. Tra gli altri interventi vi è la necessità di combattere il lavoro nero e la clandestinità. A favore delle famiglie degli immigrati si deve, se si vuol governare il fenomeno,
superare le politiche emergenziali ed evitare l’isolamento di famiglie di immigrati (un esempio concreto è dato dalle Feste del vicinato, istituite per abbattere i muri di diffidenza che spesso si creano nelle nostre città, soprattutto nelle periferie). Il mondo dell’istruzione è uno dei settori più colpiti dal fenomeno migratorio: si è passati infatti dal 2% di alunni stranieri nell’anno scolastico 1997/1998 ad un 10,7% nell’anno scolastico 2006/2007. E’ quindi fondamentale favorire l’inserimento scolastico, formare e sostenere insegnanti che valorizzino in classe le possibilità di confronto culturale di cui sono portatori i ragazzi. Le cosiddette seconde generazioni rappresentano una grande opportunità di integrazione (si pensi ad esempio alle associazioni di studenti stranieri della nostra università) e, agendo con politiche culturali e sportive, si può operare in ambiti fortemente integrativi (esempio positivo è il torneo di calcio che ha visto coinvolte le comunità di stranieri residenti nel comune di Modena). Oltre ad avere un ruolo fondamentale come agente di sviluppo economico, il migrante deve rappresentare un’opportunità a livello socio-culturale per la nostra città e provincia, per evitare che gli immigrati siano visti solamente come portatori endogeni di insicurezza.
Idee e proposte Altri temi di particolare rilevanza su cui porre attenzione: -- Un paese culturalmente competente non può permettersi di escludere dalla partecipazione politica attiva una sempre più larga parte di cittadini. Per questo è importante, anche a livello locale, promuovere il voto amministrativo agli immigrati (almeno come attestato, anche simbolico di partecipazione cittadina) per favorire l’inclusione sociale. In questa direzione si può ipotizzare un graduale superamento delle Consulte attraverso un percorso di formazione politica e civile che porti al voto amministrativo -- Seconde generazioni (coinvolgere le associazioni di studenti, favorire la reciproca conoscenza tra diverse culture attraverso conferenze, seminari, incontri nelle scuole). -- Sport e tempo libero. Lo sport deve essere visto anche come veicolo di aggregazione, in particolare tra le giovani generazioni (si pensi alla cosiddetta ‘diplomazia del ping-pong’ che ha favorito il riavvicinamento di Cina e Stati Uniti nei tardi anni Settanta) -- Collaboratrici familiari, (badanti): favorire la socializzazione delle collaboratrici domestiche attraverso le strutture esistenti sul territorio; sostenere i corsi di insegnamento della lingua italiana. A questi temi se ne possono ovviamente affiancare altri, non meno importanti, quali il tema delle violenze contro le donne e quello del diritto al lavoro per gli immigranti. E’ importante sottolineare che, oltre a formulare proposte specifiche, occorre mantenere alta l’attenzione sugli episodi di intolleranza e xenofobia,
24 affinché il Pd possa esprimersi nel condannare e reprimere, come sempre ha fatto, la deriva intollerante che purtroppo sta portando l’Italia ai margini dell’UE (deriva che il Pd deve arginare, attraverso un’adeguata politica che coniughi diritti e doveri dei migranti). Occorre poi impegnarsi per “fare cultura” anche su temi apparentemente distanti dal contesto locale come la politica estera e le tematiche internazionali. Modena è una città di molte immigrazioni (sono rappresentate 127 nazionalità solamente nell’area comunale): conoscere le storie, i luoghi, le culture che questi nuovi cittadini portano con sé rappresenta una possibilità di arricchimento culturale unica per tutta la cittadinanza.
Salute Occorre riaffermare e consolidare l’irrinunciabilità del diritto alla salute, di tutti i cittadini, e sostenere con forza che tutte le politiche debbono essere coerenti con tale affermazione. I nuovi bisogni espressi da una società che cambia con grande rapidità, sono sempre più articolati e complessi, e non consentono risposte settoriali, ma pretendono risposte unitarie che considerino la persona nella sua interezza. L’obiettivo da raggiungere e’ quello di una società solidale, in cui i diritti siano esigibili da parte di tutti i cittadini, ed in cui venga tutelata e rafforzata quella coesione sociale che da tempo caratterizza i nostri territori. In altre parole occorre continuare a garantire risposte sempre più personalizzate in logica di integrazione ed ottimizzazione dei servizi offerti. Debbono cioè essere consolidate le reti assistenziali a cui partecipano servizi diversi e che coinvolgono enti locali, aziende sanitarie, privato profit e non, superando la logica della semplice offerta di prestazioni a favore di una effettiva presa in carico del cittadino e dei suoi bisogni. In altre parole, il diritto alla salute che poniamo come obiettivo da perseguire e raggiungere, deve essere considerato assieme a quello al lavoro, all’istruzione, alla abitazione, alla sicurezza ed alla salubrità dell’ambiente. Per poter garantire tale diritto, occorre che i servizi - finanziati anzitutto dalla fiscalità generale - siano programmati per rispondere ai bisogni di prevenzione; quindi alla presa in carico complessiva del cittadino come persona: non solo nella fase acuta di malattia, ma anche e soprattutto nella cronicità, vera e propria sfida di questo settore.
Il quadro politico nazionale La legge 133/08, a valenza pluriennale, rappresenta la sintesi di una linea politica di smantellamento del SSN universalistico e solidaristico, finanziato con la fiscalità generale. Sulla sanità si abbatte una scure di oltre 9 milioni di euro, a partire dal 2010, in grado di disarticolare dalla base il SSN ponendo le premesse per quella sanità a due velocità che è il vero obiettivo del centro destra. Anche per quanto riguarda il federalismo fiscale il qua-
dro è preoccupante. I meccanismi della legge delega lo hanno trasformato, per ora, in poco più che in una bandiera elettorale per la Lega. Al suo interno sono contenute, sotto forma di slogan fortunati come quello del “costo standard” delle prestazioni, alcune proposte che se non adeguatamente pesate (sull’efficienza; sulla qualità; sul contesto demografico molto diverso tra regioni italiane), possono a loro volta risultare, e risulteranno se attuate, dirompenti.
Le linee programmatiche per la sanità provinciale In questo contesto normativo di logiche politiche e di rapporti istituzionali, vanno collocate le linee programmatiche di fondo per lo sviluppo della sanità provinciale. La prima considerazione condivisa riguarda l’unicità della sanità provinciale in tutti i suoi componenti (AUSL, AOU, Spedalità privata, Nuovo Ospedale di Sassuolo). La conseguenza è il concorso di tutti alla elaborazione ed alla attuazione programmatica. Capisaldi di questa politica devono essere il governo del territorio, la riorganizzazione della rete ospedaliera e la ulteriore definizione dei percorsi che interconnettono territorio ed ospedale. Obiettivo generale da raggiungere è la prevenzione diffusa e il miglioramento della promozione della salute. Lo strumento ineludibile è a nostro avviso la clinical governance, intendendo con ciò le strategie cui le organizzazioni sanitarie complesse si affidano per promuovere l’efficienza, l’efficacia, l’appropriatezza (vedi per esempio la gestione delle liste d’attesa ed il collegato problema del consumo delle prestazioni di base e specialistiche). Il tutto in un contesto che vede al centro il cittadino tutelato anche attraverso politiche di controllo del rischio e di tutela della riservatezza personale. E’ sul territorio che sempre più devono essere implementati, da tutti gli attori coinvolti, (Regione; Comuni; Conferenza territoriale socio sanitaria; AUSL, con le sue articolazioni distrettuali) i nuovi strumenti per una governance unitaria sociale, socio sanitaria e sanitaria. Tra questi va senz’altro ricordato il Profilo di Comunità, da utilizzare per una lettura integrata dei bisogni e dei determinanti di salute, correlati alle specificità delle diverse realtà distrettuali. Obiettivo prioritario è quello di strutturare rapporti ospedale/territorio e territorio/ospedale in grado di ottimizzare l’utilizzo delle risorse messe complessivamente in campo. Lo strumento dei percorsi integrati, gestiti secondo i criteri del case e del disesase management, deve rappresentare il momento in cui si assume la cura del cittadino malato, in particolare di quelli affetti da patologie croniche (non autosufficienti, dementi, neoplastici), con l’obiettivo di evitare sempre più i buchi, a volte ancor presenti, della presa in carico complessiva. Il risultato duplice deve essere quello di garanzie sempre più adeguate ai bisogni individuali e di supporto sempre più forte per le famiglie spesso drammaticamente coinvolte.
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Il Dipartimento di cure primarie All’interno di questa rete di servizi organizzata secondo livelli d’intensità di cura (ospedale per acuti, post-acuzie, lungo assistenza territoriale), che richiede in primis ricognizione, riorganizzazione, condivisione di regole e di meccanismi di funzionamento di servizi diversi posti in capo sia alle aziende sanitarie che agli enti locali territoriali, si colloca in posizione di assoluta rilevanza il dipartimento di cure primarie al cui potenziamento e riorganizzazione la legge regionale 29/04 dedica particolare risalto. All’interno del dipartimento deve essere completato il dispiegamento di nuovi ruoli e funzioni sia dei professionisti dipendenti che di quelli convenzionati, sia, in particolare, delle professioni infermieristiche sempre più centrali per le competenze gestionali e per quelle clinico assistenziali. I Nuclei di cure primarie, articolazione operativa dei dipartimenti, devono trasformarsi da aggregazione funzionale/clinica ad aggregazione strutturale/fisica che renda chiaramente visibili ai cittadini i professionisti coinvolti (medici ed infermieri delle attività distrettuali,. MMG, PLS, specialisti ambulatoriali e della continuità assistenziale) e garantisca attraverso l’integrazione tra di loro, migliori livello di appropriatezza clinico-organizzativa e più ampi spazi di accessibilità ai servizi. La centralità del territorio emerge anche per altri obiettivi di salute fondamentali quali le politiche di prevenzione per il mantenimento dell’autosufficienza e la scelta forte della domiciliarità anche attraverso forme innovative di sostegno alle famiglie, nonché la tutela della fragilità anche in età pediatrica. Per quanto attiene alla prevenzione e promozione della salute, in tema di sicurezza sul lavoro occorre garantire una forte integrazione tra le attività di vigilanza e di assistenza previste dalla normativa, indirizzando gli sforzi verso quei settori, come l’edilizia, dove sono più alti i rischi per gli operatori. Si affianca a questo l’obiettivo, reso più pressante anche dall’incremento percentuali dei commerci da aree ad alto rischio, della sicurezza alimentare e della salute pubblica veterinaria. Si pone la necessità poi, per la nostra provincia, in cui insistono strutture private dedicate all’assistenza psichiatrica, di proseguire nel percorso di integrazione e di controllo delle medesime anche attraverso il completamento delle attività per il loro accreditamento
La rete ospedaliera: la situazione provinciale In provincia esiste una situazione caratterizzata da: 8 stabilimenti ospedalieri (Finale Emilia; Mirandola; Carpi; Castefranco Emilia; Vignola; Pavullo-Fanano; Sassuolo S.p.A; Nuovo Ospedale di Baggiovara; Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico; Spedalità privata convenzionata). Tale situazione è il frutto del preceden-
te Piano Attuativo Locale che decise di mantenere una vasta rete di stabilimenti ospedalieri per una sanità vicina ai cittadini. L’organizzazione della rete è stata pensata secondo il modello hub & spoke. Tale organizzazione, che richiede una profonda integrazione tra tutti i presidi presenti, ha fino a oggi ben funzionato ed i cittadini hanno dimostrato di gradirla. Essa presenta tuttavia alcune importati criticità quali gli alti costi di gestione, con conseguente forte disavanzo della AUSL; difficoltà in una serena programmazione strategica e strozzature sulla gestione presente e del breve periodo. Persistono altresì duplicazioni e concrete possibilità di risposte qualitativamente differenti per i cittadini dai diversi punti di erogazione dei servizi. L’organizzazione è inoltre gravata da una non sufficiente circolazione/ osmosi tra i professionisti e sconta un perdurante difficile rapporto tra gli stabilimenti stessi ed il territorio su cui insistono Le criticità summenzionate riguardano i rapporti con il territorio, sia nel senso della scarsa appropriatezza dell’uso della risorsa ospedale, specie per quanto riguarda i ricoveri in ambiente internistico, sia, al contrario, per la problematicità delle dimissioni protette ( quelle che riguardano soprattutto i pazienti anziani, con relativa non autosufficienza preesistente o acquisita, e forte carico assistenziale residuo, specie di nursing infermieristico), per la lunghezza dei tempi delle stesse anche a seguito delle diverse organizzazioni della lungo assistenza territoriale. Nella prospettiva di una sempre più ampia integrazione sociale e sanitaria, vanno dunque perseguiti obiettivi che garantiscano tra comuni ed AUSL l’effettiva operatività di programmi condivisi di dimissioni protette; di continuità assistenziale; di presa in carico dei malati attraverso l’accompagnamento delle famiglie nella fase di rientro dall’ospedale. In questa ottica l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (FRNA) rappresenta uno strumento fortemente innovativo di sussidiarietà per l’obiettivo del mantenimento a domicilio delle persone a vario titolo non autosufficienti. In questo contesto è dunque indispensabile un coordinato lavoro di ricognizione, riqualificazione e condivisione di percorsi e di modalità operative della pur vasta rete della lungo assistenza territoriale. Ad essa andranno anche affiancate sempre più frequentemente nuove modalità di intervento quali il portierato sociale, gli appartamenti protetti ed altre modalità di interventi modulati sulle diverse realtà e risorse distrettuali (vedi capitolo Welfare).
La riorganizzazione della rete ospedaliera Per perseguire l’obiettivo, anche recentemente ribadito, di mantenere l’attuale rete di ospedali della nostra provincia, occorre intraprendere un arduo percorso di manutenzione della rete stessa, che punti all’obiettivo di ottimizzare lo sfruttamento delle sinergie consentite dal modello hub & spoke, garantendo nel contempo in via prioritaria la stessa qualità a tutti i cittadini e le me-
26 desime opportunità ai professionisti.
Sostenibilità della spesa
Occorre pertanto programmare mission differenziate dei diversi stabilimenti ospedalieri, con il consenso dei cittadini; dei professionisti e delle loro rappresentanze; degli enti Locali territoriali (Comuni ed Unioni di Comuni, trattandosi frequentemente di dimensioni largamente sovracomunali), dell’AOU e della Facoltà medica della Università di Modena e Reggio Emilia. Questo garantendo in tutti i punti della rete il soddisfacimento qualitativamente omogeneo dell’esigenza di base dei cittadini, preservando nel contempo al servizio di tutta la comunità provinciale le eccellenze presenti in periferia. Tali eccellenze infatti, non infrequentemente, sono frutto di risorse anche ingenti, reperite e messe a disposizione dalle stesse comunità locali.
Va ribadito, in premessa, il concetto di Welfare, e quindi anche di sanità, quale volano di sviluppo economico attraverso il ruolo autonomo della spesa sociale come motore della crescita locale.
Strumento indispensabile per garantire la qualità a tutti i cittadini della provincia è l’adozione condivisa di linee guida e di percorsi diagnostico terapeutico assistenziali da seguire congiuntamente e sui cui riversare le medesime risorse organizzative e gestionali. Occorre superare la rigida organizzazione degli ospedali per specialità, per addivenire a modelli diffusi di gestione del paziente ricoverato, per intensità di cura. L’ospedale rimodulato, organizzato intorno al bisogno del paziente, cerca e realizza economie di scala e di scopo, adottando una struttura organizzativa basata sull’incrocio tra responsabili di unità funzionali graduate per intensità e per natura assistenziale e responsabili di area integrate in equipe multidisciplinari e multiprofessionali.
La rete riorganizzata La riorganizzazione della rete comporterà la separazione tra la piattaforma logistica e le responsabilità cliniche e si baserà sempre più su una organizzazione che passa dai saperi all’intensità di cura/assistenza. Si tratta di un percorso non breve e non semplice che presuppone capacità innovative ed onestà intellettuale da parte di tutti gli attori coinvolti e che comporta in progress una riorganizzazione strutturale degli stabilimenti ospedalieri al loro interno, con concentrazione dei letti specialistici, con circolazione hub & spoke dei professionisti, con nuovo dimensionamento dei letti per acuti, per post acuti e lungodegenti ospedalieri. Occorre sanare una grave carenza: la mancanza di risposte adeguate per la terminalità neoplastica e degenerativa. Occorre dedicare intelligenza e risorse al problema della gestione integrale del dolore cronico sia in fase di ospedalizzazione che in fase di domiciliarità. Per la terminalità in particolare si ritiene preferibile una organizzazione che veda la presenza di piccole strutture dislocate nelle diverse realtà distrettuali della provincia affidate alla gestione dei MMG, del volontariato sociale, nell’ambito del percorso di riorganizzazione delle cure primarie.
Quanto poi alle linee politiche direttamente connesse al contenimento della spesa, particolare attenzione deve essere dedicata alla spesa farmaceutica. La continua immissione in commercio di farmaci innovativi, specie nel settore delle patologie neoplastiche ed autoimmuni, comporta infatti, frequentemente, incrementi di spesa notevolissimi. Divengono pertanto sempre più necessari interventi di governo del settore attraverso il controllo della appropriatezza prescrittiva ospedaliera; l’adesione diffusa ai prontuari provinciali; la prescrizione di farmaci con brevetto scaduto, e la distribuzione diretta e quella per conto. Sempre in questo ambito e nel capitolo della rete ospedaliera vengono indicati provvedimenti di riorganizzazione e rimodulazione della stessa, integrazione funzionale con la AOU, l’ospedalità privata e l’ospedale di Sassuolo, che attraverso la diminuzione delle sovrapposizioni e delle duplicazioni devono portare a forte impatto di razionalizzazione della spesa.
Partnership coi i paesi in via di sviluppo La ricchezza delle esperienze di volontariato nei nostri territori ha reso e rende tuttora possibili numerose forme di cooperazione per la salute con diverse realtà del terzo mondo. Al riguardo si propone di consolidare e sostenere, tra queste attività, quelle maggiormente caratterizzate da vere e proprie esperienze di partenariato, con lo scopo di garantire scambi di professionisti e di esperienze in grado di fare crescere in loco le conoscenze e le capacità di intervento.
Conclusioni In definitiva pertanto, nel confermare le linee programmatiche sancite dall’ultimo PAL in previsione del prossimo, si dettaglia la consapevolezza di profonda manutenzione della rete dei nostri ospedali e di stretta integrazione ospedale-territorio. Quest’ultimo rimodulato sulla centralità del cittadino e sulla sua presa in carico complessiva.
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Conoscenze e saperi
Conoscenze e saperi Coordinatore forum: Roberto Franchini Responsabili forum settoriali: Roberto Alperoli, Carlo Maria Bertoni Conoscenza e sapere sono la chiave d’accesso al futuro. Attraverso quella porta si aprono spazi inediti di sviluppo e prosperità per le persone più preparate e i sistemi più avanzati. Per chi rimane fuori è precluso il progresso economico e sociale. Assicurare ai nostri figli e alla nostra comunità un futuro di prosperità non inferiore a quello goduto dalle generazioni passate e presenti è un nostro compito, prima ancora che politico, morale. Solo il sapere può garantire competitività al nostro sistema produttivo, innovando costantemente prodotti e processi; solo la scienza e la ricerca possono rendere lo sviluppo sostenibile sul piano ambientale e migliorare la qualità della vita; solo la conoscenza può rendere i nostri figli capaci di misurarsi con quelli degli altri paesi più avanzati. Solo conoscenza e sapere possono rendere i cittadini più forti e più consapevoli. Il centrodestra ha inaugurato il suo governo con tagli indiscriminati a scuola, università e ricerca - al solo scopo di fare cassa - definendo questi provvedimenti “riforme” per l’efficienza e contro gli sprechi. Il Partito democratico ha un progetto opposto che si fonda su un’idea opposta di società e sviluppo. Occorre ridare centralità al nostro sistema educativo e formativo: merito personale e qualità di sistema devono diventare i criteri selettivi per spendere meglio, non per spendere meno. A Modena come in Emilia Romagna, uno dei territori più forti e avanzati d’Europa, occorre più istruzione, più formazione, più università, più ricerca: è l’investimento più forte che possiamo fare sul futuro dei nostri figli e della nostra comunità.
Senza cultura non c’è futuro Premessa Le “comunità naturali”, cioè i paesi e le città così come noi le abbiamo conosciute, sono morte o moribonde. La globalizzazione, una diversa percezione del tempo e dello spazio, l’irruzione massiccia della tecnica nella vita quotidiana, i grandi fenomeni migratori, stanno cambiando radicalmente il nostro stesso concetto di comunità. Per costruire nuove comunità, tra diversi, la cultura, le culture, sono essenziali. Eppure, l’orizzonte dei valori contemporanei e la tonalità emotiva dominante della nostra epoca non attribuiscono valore adeguato, né sociale né individuale, al merito, alla competenza, ai saperi ed alla cultura. Anzi, nella comune gerarchia dei valori - così come nel sistema dell’informazione e della comunicazione e più in generale nei comportamenti diffusi - cultura, capacità e talento non sono considerati importanti. Un “merito”, in verità, trova riconoscimento pubblico quasi unanime, e valorizzazione sociale e retributiva: quello di fare soldi e farli fare. Per noi, merito e competenza sono la capacità di discernere, di cogliere differenze, e quindi di esprimere valutazioni e giudizi. Quando la cultura è carente, quando non si sa pensare, cioè attivarsi criticamente, si è nell’impossibilità di capire il valore, la qualità. Carenza di cultura, in altre parole, significa vivere nell’indifferenza e nell’indifferenziato. Il rapporto tra cultura e vita sociale si è fortemente indebolito: presso la grande maggioranza dei cittadini, la cultura è oggi priva di “autorità”. Non se ne capisce il valore, il ruolo. Tutto ciò si collega al generale scadimento del dibattito politico e del discorso pubblico tutto. Ma si collega anche al più ampio scadimento della qualità della vita: la ricchezza non sopperisce alla mancanza di cultura; da sola, la ricchezza non basta a godere dei piaceri, delle cose belle… tutt’al più le compra. Quindi, malgrado le apparenze, questa non è neanche una società del piacere, dell’edonismo ma, al massimo, del consumo, indiscriminato e rozzo. Tutto questo è un ingrediente fondamentale della regressione e depressione contemporanea del nostro paese.
Non siamo all’“anno zero” Naturalmente non siamo all’“anno zero”: le istituzioni educative, la scuola, i centri di formazione, le Università, gli enti pubblici e privati con scopi culturali, il vasto mondo delle associazioni, sono vivi, e le iniziative culturali sono comunque aumentate negli ultimi anni. Segnaliamo in particolare il ruolo essenziale che hanno assunto negli anni le Fondazioni, come promotrici o co-promotrici di iniziative, attività e di cultura nell’accezione più ampia e piena.
28 Nonostante tutto, però, la cultura ha un ruolo parziale, spesso episodico, o peggio casuale. In sostanza, se ci sono risorse economiche “si fa cultura”, in caso contrario nessuno si straccia le vesti. Troppo spesso la cultura resta ancora una “voce di spesa”, non se ne comprende in pieno il valore di risorsa e di investimento. Anche in conseguenza di questo, talora ci si lascia guidare nella scelta degli eventi e delle attività da criteri di “intrattenimento” ed “abbellimento”, di impronta televisiva.
tro che pacifico, vista la modestia assoluta delle risorse destinate dallo Stato.
Ci sono però segnali positivi, a partire dalla consapevolezza che dobbiamo costruire insieme la città materiale e quella immateriale, cioè la città delle relazioni, dell’anima e dei luoghi, del benessere emotivo e relazionale. E’ la cultura, soprattutto, che costruisce la città immateriale, che rafforza il senso di ospitalità ed accoglienza.
In questo senso, anche la Camera di Commercio, le associazioni di categoria, le singole aziende, devono avere maggiore consapevolezza e un ruolo più attivo negli investimenti culturali.
Il ruolo della cultura La cultura è un ingrediente fondamentale del civismo, allarga l’“io” e ricostruisce il “noi” in questi anni di privatizzazione della vita, incattivimento sociale, crollo dell’etica pubblica. La cultura è un pezzo importante del welfare. E’ un antidoto contro l’affievolimento delle relazioni, può costruire una socialità intelligente, e un’intelligenza dei luoghi. Aiuta a sviluppare prossimità, coesione sociale, vitalità e solidarietà, il principio del rispetto e dell’ascolto degli altri, il senso del bene comune. La cultura è uno dei motori della vita pubblica, perché favorisce le condizioni di incontro tra le persone, costruisce e ricostruisce le condizioni del dialogo alla luce della rinnovata composizione sociale delle nostre realtà. Fornisce alle persone la possibilità di fare esperienze creative, rimette in moto le energie di una città, di un territorio, rinnovando e valorizzando il suo capitale sociale, la sua etica pubblica. La cultura ha anche una sua dimensione fisica, ha a che fare con spazi, luoghi e nomi. Collocare “al posto giusto” i nomi significa costituire una geografia sentimentale della comunità, rafforzando l’autostima di un territorio, l’orgoglio di un’appartenenza aperta, il suo patrimonio immaginario. La cultura può generare fiducia, anima, sogno, può dare profondità al tempo. Contribuisce così a creare una dimensione di piacevolezza dello stare e dell’abitare che aiutano anche la sicurezza ed il senso di sicurezza. La cultura è capace di produrre il bene più importante di una società, il senso dello stare insieme, quel “sentimento comune” che è, in estrema sintesi, una città, una comunità.
La cultura come investimento Gli economisti ci dicono che gli investimenti immateriali sono quattro volte più produttivi degli investimenti materiali. Questo significa che la cultura va presa sul serio anche come fattore determinante di sviluppo economico. Un concetto, questo, che in Italia è tutt’al-
Non parliamo solo di attrattività turistica legata alla notorietà degli eventi: se aumenta la reputazione del territorio, e la cultura è uno strumento formidabile in questo senso, aumenta anche il valore competitivo delle sue aziende. La cultura, infatti, sta diventando la materia prima di quel sistema di contenuti che crea valore in tutti i comparti.
Per una cultura Democratica Fatte queste premesse, si pone il problema della scelta, del discernimento: tutto va bene? Quale cultura vogliamo? Si può ancora parlare di cultura “critica”? Ci accontentiamo delle piazze e delle sale piene, ottenute scimmiottando stereotipi televisivi? Quali sono i criteri/ valori sulla base dei quali orientare le scelte? Il punto non è solo aumentare il numero dei fruitori/ consumatori di cultura, ma stimolare la partecipazione e gli interessi, facilitare la comprensione, allargare l’orizzonte delle conoscenze. Di certo, a noi sembrano centrali alcuni temi: la cultura della vita pubblica e del mondo comune; l’educazione all’altro e alle pari opportunità; la cultura ambientale e quella della legalità; il civismo contro il cinismo; la laicità; un rapporto creativo con le tradizioni e il territorio; un’alfabetizzazione contemporanea in grado di garantire a tutti il possesso delle tecniche e dei linguaggi. Questi ci sembrano i riferimenti guida per la scelta e la costruzione delle proposte culturali dell’insieme degli enti pubblici, senza dimenticare un altro aspetto essenziale del loro ruolo: la valorizzazione ed il sostegno delle iniziative e della creatività dei singoli e delle associazioni del territorio. I bilanci di questi anni ci invitano a valutare i rapporti del pubblico con il privato e le associazioni. E’ necessario trovare nuovi strumenti, legislativi ed economici, per coinvolgere questi soggetti. La crescita culturale, per essere equilibrata, necessita di un coinvolgimento largo della società. Non si tratta di delegare, ma di governare le risorse e le capacità propositive che sono presenti nelle nostre città. La ricchezza culturale del nostro territorio deve molto a questa vitalità diffusa e plurale.
Il ruolo di Modena Per dimensioni, ruolo istituzionale, numero di abitanti, centralità geografica, oltre che per la storia di questi decenni, Modena merita una menzione a sé. Già dal Dopoguerra, una città depressa economicamente ha saputo riscattarsi in forza del lavoro, certo, ma anche di un’intensa attività culturale e formativa, senza la
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quale non si sarebbe raggiunta nessuna delle eccellenze che hanno portato al benessere ed alla vitalità di oggi. E’ indubbia la centralità del capoluogo come punto di riferimento, motore, polo d’attrazione e promozione di tutta la provincia anche in ambito di politiche culturali. Non sono mancati negli ultimi anni esempi virtuosi in questo senso, dove il capoluogo è stato compartecipe di eventi policentrici come il Festival della Filosofia, il Festival delle Bande Militari, VIE – Scena Contemporanea Festival. Manifestazioni di elevata qualità e richiamo, giocate tra il capoluogo e altre realtà della provincia. Sicuramente un esempio da replicare anche per altre attività con attenzione in particolare a moduli formativi, laboratori e percorsi educativi. Anche Modena, infatti, non deve abdicare a un concetto di cultura intesa solo come produzione di eventi rivolta al “consumo”, ma impegnarsi a seminare e coltivare la diffusione dei saperi. Per i “contenitori” culturali, sui quali bisognerebbe aprire una riflessione a parte, per il rapporto stretto con le principali Fondazioni, in quanto sede principale dell’Ateneo e di tante istituzioni di tradizione e valore riconosciuti, Modena non può che essere un riferimento obbligato anche per la costruzione di politiche culturali per tutta la provincia. Centrale è infine il ruolo di Modena città per la costruzione di offerte turistiche intelligenti, che siano il cuore di un sistema di promozione esteso all’intero territorio provinciale. (un elaborato più dettagliato su Modena è stato realizzato dal forum per la cultura cittadino)
Serve uno sguardo d’insieme La nostra provincia è caratterizzata da servizi e spazi creati per favorire una socialità intelligente (da quelli consolidati, come le biblioteche ed il sistema museale, fino ai centri giovani ed ai centri stranieri, …). Scuole di ogni ordine e grado, un Ateneo di qualità e con numerosi corsi di laurea, pur capaci di esprimere autonomamente talenti e iniziative di valore, raramente sono coinvolti in modo significativo. E’ importante compiere delle scelte organiche e di indirizzo che trovino applicazione in tutto il territorio provinciale. Ad esempio, la scelta della gratuità dei servizi e delle iniziative non è più da considerarsi scontata, ma va contestualizzata in questo quadro. La non omogenea applicazione di questo principio sul territorio provinciale potrebbe risultare incoerente e non equilibrata per il cittadino utente. Più in generale, occorre porsi in modo coordinato e più stringente il problema dell’accessibilità dei servizi offerti, essendo questo una problema reale di democrazia, efficacia.
E’ indispensabile un coordinamento adeguato Va rafforzata la capacità di razionalizzazione delle risorse e degli eventi, in relazione al calendario ed alla geografia del territorio. Ma soprattutto occorre un coordinamento sulle strategie del territorio. In questi anni
sono nati diversi coordinamenti ed associazioni, ma il panorama sembra ancora frammentato e poco chiaro. La politica deve rendere evidenti le peculiarità del nostro territorio, investendo in modo efficace e comunicativo. I vantaggi sarebbero molteplici: minore dispersione e competizione tra iniziative di centri vicini, maggiore possibilità di valorizzare gli eventi principali in una dimensione nazionale, condivisione di competenze ed esperienze. Questo, senza nulla togliere al valore delle tante iniziative, radicate nella tradizione e nella memoria dei territori. Un tale coordinamento necessariamente deve essere svolto dall’ente provinciale, la sola istituzione che può avere il necessario sguardo d’insieme, e la potenzialità di interagire con tutti i Comuni del territorio modenese. Il cuore di questa prospettiva è la capacità di produrre e diffondere i saperi, accumulandoli in un capitale sociale su cui investire con convinzione e lungimiranza.
Investiamo sulle persone. Investiamo sulla formazione L’istruzione pubblica risulta strumento decisivo affinché ogni persona possa godere pienamente dei diritti di cittadinanza: imparare a convivere con gli altri, ridurre gli eventuali condizionamenti dipendenti dalle proprie origini, migliorare il proprio reddito, concorrere alla definizione delle scelte che lo riguardano e al miglioramento della comunità cui appartiene. L’istruzione pubblica, dunque, come per altro il sistema di welfare nel suo complesso, non può essere considerata un costo ma una elemento complementare alla crescita sociale, civile ed economica del Paese. In una economia sempre più basata sulla conoscenza il possesso e il mantenimento di competenze di base e di competenze tecnico-professionali sono condizione indispensabile per un esercizio attivo della cittadinanza, per inserirsi in modo qualificato del mondo del lavoro, per sostenere lo sviluppo e la crescita professionale. La capacità di imparare per tutta la vita è condizione indispensabile per rimanere nel mondo del lavoro in modo competente e per restare attivi il più a lungo possibile. Il Governo sostiene che il nostro sistema scolastico costi troppo (troppi fannulloni, troppe scuole, più bidelli che carabinieri…) e interviene con tagli destinati a fare cassa, agendo in modo indiscriminato ed indifferenziato senza indicare criteri e punti d’arrivo se non quello del risparmio.
30 Sappiamo che la configurazione della spesa del sistema di istruzione è correlata al numero degli insegnanti per alunno che, a sua volta, dipende da molteplici fattori: la numerosità delle classi, le caratteristiche della rete scolastica nel territorio, la diffusione di scuola dell’infanzia, del tempo pieno e prolungato che funzionano col doppio organico, le modalità di integrazione dei disabili, il numero complessivo degli indirizzi. Dal punto di vista dei costi, esistono margini per rendere più efficiente il sistema scolastico, ma occorre intervenire in modo differenziato, premiando i territori virtuosi e definendo una organizzazione più efficace. Per fare ciò, occorre coinvolgere tutti i soggetti che hanno responsabilità nella definizione della rete e che sono precisamente individuati nel Titolo V della Costituzione (La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato), ancora largamente inapplicato. L’attuale Governo si sta limitando ad una proposta di politica finanziaria con tagli indifferenziati di risorse umane e finanziarie, senza rispettare le disposizione del Titolo V. Mancano un progetto e una proposta organica che definiscano obiettivi, percorsi, tempi e modalità di coinvolgimento delle parti interessate. E’ fondamentale definire in maniera uniforme quale sia lo standard di sapere che vogliamo garantire per i nostri ragazzi e i livelli appropriati di prestazioni che le nostre scuole devono garantire in maniera uniforme in tutto il Paese. Sulla base di questa definizione occorre stabilire quali siano le risorse necessarie e non limitandosi a inseguire le emergenze, non razionalizzando la spesa. A nostro parere occorre operare affinché: -- lo Stato rafforzi il suo ruolo di garante dei diritti all’istruzione di tutti i cittadini, definendo appunto lo standard di sapere uniforme che si vuole raggiungere; -- le Regioni assumano effettivamente la competenza nella programmazione territoriale della rete scolastica, a partire dalle risorse umane e finanziarie stabilite in modo rigoroso dallo Stato; -- le istituzioni scolastiche possano giovarsi di una piena autonomia didattica, organizzativa, di sperimentazione e ricerca , mai di fatto decollata; -- nei territori si faccia sempre più ampio ricorso a patti, reti, accordi che vedano scuole ed enti locali dialogare nella cogestione del sistema di istruzione, come già accade con buoni risultati di tenuta nella nostra provincia. Allo stesso modo anche insegnanti, genitori, studenti dovranno essere coinvolti in questa forma larga di governance, in quanto ciascuno di questi soggetti non è identificabile solo come utente ma è portatore di interessi verso il sistema di cui fa parte. Le ricerche internazionali ci dimostrano che, nel miglioramento dei sistemi scolastici, hanno un peso determinante:
-- l’autonomia delle scuole, quando sostenuta da monitoraggio e valutazione -- gli esami centralizzati e standardizzati -- la formazione dei docenti -- le forme integrative e differenziate di retribuzione dei docenti -- le risorse per attrezzature e materiali didattici Occorre, quindi, investire a sostegno dell’autonomia anche finanziaria delle scuole, supportando il monitoraggio delle azioni ed introducendo forme di valutazione. Quello della valutazione di sistema è un tema molto delicato che ha creato diffidenza e tensioni nelle scuole relativamente alla sua efficacia, quando non addirittura alla sua stessa utilità. Sappiamo che sistemi nazionali di valutazione possono creare meccanismi perversi nelle scuole e addirittura impoverimento nell’azione didattica, tesa solo a far superare i test e a emarginare gli studenti più deboli. Sappiamo altresì che non è possibile prescindere da un sistema serio di valutazione, partendo dalla costruzione di un sistema nazionale autorevole ed intervenendo a livello di ogni singola scuola a partire dagli standard effettivi di funzionamento per costruire percorsi valutativi orientati al miglioramento continuo. Questo potrebbe servire per riconsegnare ai Collegi dei Docenti la effettiva titolarità della programmazione e della valutazione degli interventi. L’altro tema centrale è quello formazione dei docenti, da collegarsi necessariamente all’incremento della loro retribuzione media, ancora troppo modesta, e agli interventi sulle forme della progressione retributiva che, in Italia, è troppo lenta e, soprattutto, indipendente dal merito. In un progetto che vuole guardare lontano, al futuro dei nostri giovani e delle nostre imprese, ma nello stesso tempo tenere lo sguardo all’altezza delle persone, le priorità devono essere i giovani e i lavoratori. Come Pd dobbiamo avere la capacità di investire risorse, energie e le nostre migliori intelligenze in istruzione, formazione e sapere: dai nidi all’Università, dalla formazione professionale all’educazione degli adulti. La qualità dell’apprendimento dipende in grandissima parte dalla precocità dell’intervento educativo e dal sapere della popolazione adulta. E’ per questo che, soprattutto in una fase di grave crisi economica, al centro delle politiche e delle strategie del PD, vanno posti gli investimenti nei servizi educativi per la prima infanzia, nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale e nell’Università, perché l’investimento in un futuro possibile passa attraverso la valorizzazione delle risorse umane. La persona, i bisogni che esprime e le sue caratteristiche, vanno assunti come elemento cardine, se si vuole investire sul mantenimento e il miglioramento della competitività delle imprese e del sistema economico. Nel nostro territorio il sistema scolastico presenta ancora una buona tenuta, sia sul piano quantitativo che sul
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piano qualitativo. Gli obiettivi quantitativi relativi alla percentuale di popolazione che entra nel sistema scolastico, fissati da Lisbona per i Paesi membri, sono raggiunti ed in qualche caso superati. Per quanto riguarda gli obiettivi qualitativi (risultati di apprendimento, dispersione e abbandoni) il nostro territorio si colloca a livello delle aree europee più avanzate. Questo, grazie a un pluridecennale intervento degli enti locali sulla qualificazione del sistema scolastico, sulla costruzione di rapporti interistituzionali, sugli investimenti in edilizia scolastica e sul sostegno al funzionamento delle scuole. Ad esempio, si può citare la questione dell’integrazione dei ragazzi disabili, che nei nostri territori viene sostenuta sempre di più dai comuni con sforzi ingenti e problemi sempre più gravi di sostenibilità. E, ancora, la riduzione del tempo scuola, che colpirà le classi funzionanti a tempo pieno e prolungato e produrrà nuova domanda sociale oltre che educativa: tale domanda non potrà che ripercuotersi su enti locali nuovamente in difficoltà. Il Partito Democratico ritiene indispensabile investire maggiormente risorse culturali, umane e finanziarie con l’obiettivo di qualificare, migliorare e integrare i sistemi d’istruzione, di formazione professionale e di educazione permanente. Proponiamo pertanto di: -- sostenere l’espansione dell’offerta di posti nido per i bambini da 0 a 3 anni, nella consapevolezza che un inserimento precoce in percorsi educativi di qualità è protettivo rispetto a situazioni di insuccesso scolastico e facilita i processi di inclusione dei bambini stessi e delle loro famiglie, anche migranti, attraverso il supporto ad una genitorialità competente e capace di utilizzare e allo stesso tempo promuovere reti; -- rendere effettiva la generalizzazione della scuola dell’infanzia per i bambini da 3 a 5 anni, funzionale allo sviluppo della loro identità, delle loro autonomie e competenze; questo obiettivo dovrà essere perseguito sia attraverso una richiesta forte di impegno dello Stato, sia attraverso l’ulteriore implementazione di sistemi misti pubblici-privati governati - nel rispetto delle differenti autonomie gestionali dall’ente locale attraverso convenzioni, forme di supporto, centri unici di iscrizione; -- garantire il supporto alle scuole primarie e secondarie di primo grado salvaguardando le quote di classi attualmente funzionanti a tempo pieno e prolungato e dando risposta ad eventuali ulteriori richieste delle famiglie; il tempo pieno e il tempo prolungato, da non considerarsi come meri ampliamento del tempo scuola, sono invece da intendersi come modelli organizzativi e didattici, funzionali al raggiungimento degli obiettivi formativi, al contenimento dell’insuccesso scolastico, al sostegno della socialità, alle pratiche di convivenza fra diversi; -- aiutare i giovani dai 14 e i 18 anni, in una fase in cui l’esperienza formativa è al centro del personale progetto di vita, con percorsi di
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istruzione e formazione professionale, significa assicurare a tutti le competenze necessarie per leggere, interpretare e comprendere la realtà lavorativa, politica, culturale e sociale, in modo da poter esercitare a testa alta e in maniera competente il proprio diritto di cittadinanza, per affrontare l’apprendimento per tutta la vita, prevenire l’abbandono dei percorsi formativi, permettere scelte adeguate alle loro competenze e capacità, favorire un inserimento qualificato nel mondo del lavoro; quest’ultimo obiettivo va visto come condizione per prevenire fenomeni di espulsione dal sistema produttivo ma anche come strumento per sostenere, tramite la valorizzazione del capitale umano, l’innovazione e l’adattabilità delle imprese; innalzare l’obbligo di istruzione fino a 16 anni per qualificare le competenze di base per tutti i ragazzi e portare l’85% degli studenti a diplomarsi e comunque garantire il diritto ad uscire dal sistema formativo almeno con una qualifica spendibile; in continuità con le proposte del governo di centro-sinistra, riordinare il sistema di istruzione secondaria superiore, potenziando e rilanciando gli istituti tecnici e professionali, strutturati organicamente sul territorio attraverso collegamenti stabili con il mondo del lavoro, con la formazione professionale, con l’università e la ricerca; snellire il numero degli attuali indirizzi di studio con appositi regolamenti ministeriali; ridurre il monte ore portandolo ad una definizione sostenibile per gli studenti: già il precedente Governo aveva previsto una riduzione da 40 a 36 ore settimanali; investire nella programmazione e qualificazione dell’offerta di alta formazione tecnicoscientifica, innalzando e qualificando le competenze tecniche e scientifiche; potenziare l’investimento sull’innovazione e sul capitale umano per favorire i processi di trasferimento delle alte competenze tecnico scientifiche e degli esiti della ricerca applicata al sistema delle imprese e garantire competitività all’intero sistema nella prospettiva di una economia della conoscenza; dare attuazione alla costituzione dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, previsti dalla legge finanziaria 2007, per assicurare il diritto di accesso al sistema di istruzione e formazione a un numero sempre maggiore di adulti, sostenendo lo sviluppo più ampio e organizzato del sistema attraverso il coordinamento e la riorganizzazione della rete dei servizi e dell’offerta.
32 Rilanciare l’Università per rilanciare il paese La situazione dell’Università e della Ricerca in Italia diviene decisamente critica. Nonostante che da quasi un decennio i governi che si sono succeduti abbiano espresso impegni programmatici rivolti alla società della conoscenza e allo sviluppo della ricerca come motore dell’innovazione e della competitività, la politica concreta ha visto completamente disattesi gli impegni sottoscritti. Anzi le risorse sono calate e le ultime decisioni (DL 112, trasformato nella L. 133) impongono drastici tagli soprattutto all’Università, in risorse e personale. Sono così vistosamente violati gli accordi di Lisbona (2000) per quanto riguarda la quota del PIL da dedicare alla ricerca (ormai ad uno scarso 1% contro la conclamata esigenza di raggiungere il 3% in tutti i Paesi Europei). Se poi consideriamo che alcuni Paesi hanno superato il livello del 3%, in Italia siamo i fanali di coda del sistema europeo, di cui contribuiamo ad esasperare le differenze. E’ evidente che tale scelta accompagna ormai il declino industriale italiano, il basso tasso di crescita ed innovazione, la nostra tendenziale rinuncia ad occupare i segmenti produttivi dell’alta tecnologia. Nel frattempo il sistema universitario era già stato fortemente messo alla prova dal riordinamento – effettuato a più riprese - dei percorsi didattici (le strategie internazionali condivise, dette di Bologna ed attuate nell’ordinamento a più cicli: laurea triennale, lauree magistrali, dottorato di ricerca, divenuto quest’ultimo solo in questi ultimi anni con evidente chiarezza il terzo ciclo di studi universitari). Negli ultimi mesi si è abbattuto sull’Università, nella delicata fase di messa a punto di tale trasformazione, il taglio drastico delle risorse finanziarie. Le risorse dell’Università pubblica italiana ammontano a 12 miliardi di €. Di questi, 8 provengono dallo stato di cui 7 costituiscono il Fondo di Funzionamento Ordinario (FFO), 1,5 dalle tasse degli studenti, il resto da altre fonti prevalentemente pubbliche e in parte private, con particolare rilievo dei programmi e progetti di ricerca e sviluppo. Per raggiungere gli standard europei servivano ulteriori risorse (3 miliardi), mentre si prevede una forte riduzione in tre anni di 1,0 o 1,5 miliardi nel contributo dello stato, che si tradurrà principalmente in riduzione del personale (docente e non) attraverso una forte limitazione del turn-over. Non è chiaro chi possa compensare o sostituire l’intervento dello stato, per evitare un pericoloso ridimensionamento, o quali strumenti escogitare. Con i suoi 60.000 docenti, 50.00 tecnici ed amministrativi, 1.800.000 studenti, l’Università Italiana si è profondamente modificata negli ultimi anni e non ha trovato ancora un equilibrio tra i nuovi percorsi formativi e l’inserimento dei suoi laureati nel mondo produttivo. A parte alcune eccezioni, il profilo del laureato triennale non pare in generale utilizzabile nel mondo del lavoro,
anche dove nel triennio la preparazione è orientata alla specializzazione. Anzi la domanda esterna pare preferire la formazione di base, ad ampio spettro e metodologica e non è chiaro se il nuovo profilo 3+2 sia stato accettato o assimilato o compreso. Allo stesso tempo – oltre a non garantire un inserimento più precoce nel mondo del lavoro – pare che le nuove carriere negli studi non abbiano risolto il protrarsi dell’iter di studio oltre i tempi legali. Anzi, con le conseguenze ora positive ora negative, sembra che i nuovi corsi favoriscano l’abbinamento tra lo studio e le esperienze lavorative anche temporanee od occasionali. Con i suoi quattro atenei di origine storica la Regione Emilia-Romagna ha visto una drastica ridefinizione dei percorsi formativi. A Modena e Reggio, negli ultimi 15 anni, si è raddoppiato il numero delle Facoltà ed è cresciuta la gamma di corsi di studio e - anche se si sono evitate le produzioni di corsi eccessivamente estemporanei ed effimeri come avvenuto in altre sedi – si è giunti al limite di quanto si possa garantire in termini di risorse di docenti e di un adeguato e sensato equilibrio rispetto al numero degli studenti iscritti ai vari corsi di studi. L’azione di orientamento degli studenti è certamente carente, come pure è drammatica la mancanza di una adeguata – anche se al più possibile non coercitiva – programmazione degli accessi. Le future carenze di personale docente, anche quando in posizioni strategicamente necessarie, costituiscono un mix distruttivo per una sensata programmazione del futuro dell’ateneo. Le responsabilità di questa situazione ricadono sulla casualità della riduzione del turn-over, combinata con i requisiti minimi quantitativi e qualitativi sul numero di docenti stabiliti dai decreti Mussi del predente governo, decreti risultati a volte anche eccessivi. Ciò interpella profondamente non solo il governo dell’università, ma anche gli enti pubblici territoriali, chiamati a rapportarsi secondo modalità nuove e responsabilità maggiori, se lo stato vien meno alla funzione di sostegno e governo espresse in precedenza. Non è pensabile che la Regione limiti il suo impegno al solo trasferimento tecnologico o alle interazioni dell’università con la organizzazione sanitaria – pur importantissimi – o che il Comune si rivolga prioritariamente al pur importantissimo campo delle risorse edilizie ed immobiliari. I poteri pubblici territoriali dovranno affrontare i problemi sollevati dal fatto che l’intervento pubblico di base non è più coperto interamente dallo stato. Allo stesso tempo le organizzazioni imprenditoriali si troveranno ad avere come partner un’università il cui metabolismo di base non è più garantito dallo stato. Un serio campo di confronto tra università e società è poi costituito dalla definizione delle specifiche della formazione dei due cicli, e delle successive specializzazioni (master, ecc. ecc.) che l’amministrazione pubblica e le imprese richiedono e che l’università può offrire. Si pensi al problema della formazione degli insegnanti (con i problemi di programmazione e di migrazioni interregionali indotte), messo a tacere, insieme a tutti i suoi problemi, con la soppressione della SSIS, a dispetto dell’ugual trattamento dei cittadini, che per semplice
Conoscenze e saperi
ragione anagrafica possono trovare precluso l’accesso all’insegnamento. Non va dimenticato il terzo ciclo (dottorato) e l’attività di ricerca post-dottorale di borsisti e assegnatisti di ricerca, che si prolunga oltre i trentacinque e fino ai quaranta anni. Nell’Università italiana vi sono 38.000 dottorandi di ricerca; raggiungono il titolo ormai 12.000 dottori l’anno (più di metà di loro nelle discipline scientifiche, nell’ingegneria o nelle materie umanistiche, meno nelle figure più professionali). Accanto a 13.500 assegnisti universitari, vi sono borsisti di ogni specie; contrattisti pagati da associazioni non-profit (ricerca bio-medica); borsisti e assegnisti degli enti di ricerca che lavorano nei dipartimenti universitari. Sono non solo percorsi ad alta specializzazione (formazione attraverso la ricerca) ma anche posizioni lavorative e produttive di alto profilo. Sono reali lavoratori, che meritano un trattamento retributivo e previdenziale adeguato al livello della specializzazione, anche se non a tempo indeterminato. Queste figure, spina dorsale della moderna ricerca scientifica, sono presenti in tutte le istituzioni scientifiche del mondo ma in Italia sembrano non avere sbocchi occupazionali esterni al mondo accademico e sono identificati con il nome di precari. E’ chiaro che buona parte dei dottorandi dei borsisti e dei ricercatori a tempo determinato non accederanno ai ruoli docenti universitari, anche nell’ipotesi di vaste improbabili assunzioni future. Alcuni di loro faranno carriera in università, laboratori o imprese stranieri. Ma non è garantito un inserimento nel lavoro in posizione qualificate al di fuori dell’università. Questo mostra una fragilità del nostro sistema produttivo, che non valorizza il merito e i curricula più dotati e non offre posizioni nei quadri superiori – a differenza di altri paesi –a queste persone già messe alla prova nel lavoro, riconoscendone qualità e anzianità. Questo è un nodo centrale del rapporto università – impresa e università – pubblica amministrazione, anche nel nostro territorio; riguarda tutta la filiera alta formazione – ricerca – innovazione – industria. Il nostro sistema italiano pare non aver bisogno di profili ad alta qualificazione e svolge il reclutamento solo ai livelli iniziali! Il dibattito sul futuro dell’Università nel nostro territorio e l’elaborazione di alcune proposte a livello locale sono pesantemente condizionati da quanto sta avvenendo nel nostro Paese, come riflesso ai provvedimenti del Governo Berlusconi. I decreti della Ministra Gelmini stanno, inoltre, producendo l’effetto di indirizzare il dibattito e la conseguente protesta inevitabilmente sul problema dei tagli finanziari, senza permettere una riflessione reale sulla qualità, sulla funzione, sul valore del sistema universitario italiano. Per quanto riguarda l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia, appare necessario istituire un organismo permanente di confronto (e possibilmente di governo) della formazione universitaria, che veda partecipi l’Università, gli Enti Locali, le associazioni economiche, le Fondazioni bancarie, i rappresentanti delle maggiori istituzioni culturali. La natura “a rete” dell’Ateneo deve spingere le istituzioni locali delle due Province di Modena e di Reggio Emilia a trovare forme stabili di coordinamento.
33 In ogni caso, il PD attiverà una sede di confronto tra tutti gli attori sociali, pubblici e privati, su alcuni temi che rivestono particolare importanza per il nostro territorio. -- I nuovi curricula dopo la prima revisione del Bologna Model. Per comprendere anche a Modena (benché una larga parte della soluzione sia attivabile con un processo nazionale) se e come “funzionano” corsi, formazione di base e quella specialistica. Per comprendere come entra nel mondo del lavoro chi esce dall’università. -- Università, ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico. Questo tema coinvolge Istituti, enti e consorzi per la ricerca, oltre ai ricercatori ad alta qualificazione. Riteniamo fondamentale un confronto sul loro inserimento nella pubblica amministrazione e nel sistema delle imprese. Per fare del nostro territorio un sistema avanzato occorre che l’università sia più contigua e sappia “fare sistema” con questo contesto. -- La rinascita e l’evoluzione a Modena e Reggio del segmento umanistico (scienze della cultura, storia, giacimenti culturali, patrimonio storico-artistico). E’ un segmento ancora “giovane” e che deve trovare una propria identità, una propria maturità. Gli Enti Locali debbono proseguire il lavoro intrapreso assieme alle Istituzioni culturali per contribuire a definire le direzioni che dovrebbe prendere l’ala umanistica dell’Ateneo. -- L’integrazione regionale del sistema universitario. Il federalismo prossimo venturo, pur nell’incertezza dell’attuale dibattito politico e parlamentare, assegnerà nuovi ruoli ai poteri pubblici territoriali. E’ necessario anticipare il nuovo assetto avendo un occhio alle esigenze di un sistema moderno, avanzato e in rapida trasformazione e l’altro rivolto alla razionalizzazione forzata delle risorse. -- Diritto allo studio, mobilità e studenti fuori-sede. Riguarda la connotazione universitaria nelle nostre città e un’università che bene o male è strumento di integrazione nazionale e inserisce nel nostro contesto produttivo e civile molte persone che provengono tuttora da altre regioni. -- Internazionalizzazione dell’università. E’ un fenomeno in crescita, non solo nelle storie personali degli studenti, ma nella vocazione dell’ateneo. Così come lo sono state le imprese in passato, l’università ha grandi occasioni di apertura soprattutto nel mondo extraeuropeo (estremo oriente, est europeo, America latina).
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Sicurezza e legalità Coordinatore forum: Graziano Pattuzzi Costruire una comunità forte, sicura e solidale. Fondata sulla certezza di diritti e doveri uguali per tutti attraverso regole condivise. E’ questa la nostra idea di società ed è questo il nostro progetto per Modena. Le persone si sentono insicure quando non si riconoscono più nella comunità in cui vivono. Quando le regole si appannano e si crea una frattura tra diritti e doveri. E le insicurezze aumentano nel momento in cui il futuro appare più incerto e le aspettative positive lasciano spazio alle paure. Il centrodestra alimenta il suo consenso soffiando su queste paure, personali e collettive: alimentandole e accarezzandole, per poi rispondere in modo demagogico e irresponsabile, senza un progetto alternativo di società che non sia quello di una riduzione dei diritti e delle libertà individuali, della discriminazione, del rifiuto della diversità, della chiusura. La negazione, in definitiva, della comunità stessa. Il Partito democratico a Modena ha affrontato il problema della sicurezza e delle sicurezze in modo opposto: promuovendo crescita e sviluppo attraverso il lavoro e l’impegno di tutti; coniugando diritti e doveri in un patto di cittadinanza che si rinnova includendo tutti attraverso regole di convivenza pacifica e serena; contrastando i fenomeni di illegalità, organizzati e diffusi, attraverso investimenti adeguati in forze e strumenti. Quello alla sicurezza è il primo diritto di ogni persona. Costruire una comunità in cui tutti possano vivere serenamente è la precondizione per l’esercizio effettivo di ogni libertà e diritto. Le nostre proposte sono, nel contempo, un progetto di comunità sicura e una sfida al centrodestra – culturale e politica - per un’idea di società diversa.
Non siamo all’anno zero Nel 1995, in Emilia-Romagna, solo una persona su dieci pensava che la criminalità nella propria zona fosse un problema abbastanza serio; nel 2007, tredici anni dopo, le persone che la pensano così sono più che raddoppiate. Quanto alla preoccupazione “sociale” per la criminalità comune, questa passa dal 10% del ‘95 al 35% del 2007: aumenta cioè tre volte e mezzo. Nella nostra Regione, e in particolar modo nella provincia di Modena, però, la politica non è rimasta a guardare
e il Partito Democratico non ha alcun imbarazzo a misurarsi fino in fondo sui temi della sicurezza. Nel nostro territorio si è sviluppata infatti una profonda attenzione e una ricca iniziativa da parte delle istituzioni locali, del sindacato, delle associazioni del volontariato ed economiche, che ha prodotto novità ed azioni positive. E’ maturata la consapevolezza che maggiore sicurezza non si produce solamente destinando maggiori risorse alle forze dell’ordine (uomini, mezzi e strutture) ma anche lavorando efficacemente per il controllo e lo sviluppo ordinato del territorio; investendo costantemente su coesione ed integrazione sociale; contrastando le vecchie e le nuove povertà, le emarginazioni e i fenomeni di solitudine (soprattutto fra gli anziani); opponendosi ai moderni fenomeni di sfruttamento dell’imigrazione clandestina (lavoro nero, caporalato, ecc.). Le amministrazioni locali e il governo ragionale si occupano attivamente di questi problemi già da quindici anni. A Modena, nel ’98, abbiamo sperimentato il primo Patto per la sicurezza sottoscritto nel nostro Paese; nel 2001 il primo Accordo tra una Regione e il Governo.
Sicurezza: il primo compito dello Stato Modena e il suo territorio rappresentano una delle realtà più ricche del panorama europeo: è naturale che sia divenuta nel tempo un centro d’attrazione per quell’immigrazione (in passato dal mezzogiorno, oggi dai paesi più poveri) che cerca un’opportunità di vita più dignitosa. Sono le nostre stesse aziende ad aver richiamato flussi più o meno costanti di mano d’opera esterna, per sopperire talora la carenza, talora l’inidsponibilità di quella locale. E ai bisogni delle aziende si sono più di recente aggiunti quelli delle famiglie, per i servizi di cura. Ma la ricchezza del territorio ha costituito anche un terreno fertile per la penetrazione della criminalità organizzata e per l’insorgere di quella diffusa, egualmente insidiose per la vita serena e pacifica di cittadini e imprese. Ecco dunque che in una comunità in piena trasformazione si sono manifestate crescenti problematiche di sicurezza urbana. Occorre per questo potenziare e aggiornare un politica di sicurezza che metta in campo tutte le azioni e gli strumenti necessari per garantire le sicurezze individuali e collettive di cui ha bisogno la nostra comunità. Il primo compito dello Stato è quello di garantire la sicurezza dei cittadini. Con la collaborazione istituzionale più stretta e sinergica da parte degli Enti Locali e dei territori, anche in forme e modalità innovative che per primi abbiamo sperimentato: i Patti. La precondizione è in ogni caso la corretta dotazione delle forze di polizia (uomini e mezzi) e il loro razionale impiego. Per questa ragione abbiamo chiesto a più riprese una moderna riforma degli apparati di sicurezza nazionali (tanto al centro quanto sul territorio) e un reale coordinamento tra i diversi corpi. Ad oggi non si registrano passi in avanti su nessuno dei due fronti.
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Sicurezza e legalità
Modena resta una realtà sottodotata per uomini e mezzi. Non si tratta di un giudizio sommario: è quanto emerge dall’oggettivo raffronto tra questa e altre realtà; dal fatto che gli organici assegnati sono ancora quelli della fine degli anni ’80; e dagli stessi impegni istituzionali assunti dallo Stato in forma ufficiale. Nel luglio del 2007 i Comuni di Modena e Sassuolo hanno sottoscritto rispettivamente il proprio Patto per la sicurezza con lo Stato: tra le garanzie offerte v’era quella sostanziale di un potenziamento di 25 unità degli organici della Polizia (10), dei Carabinieri (10), della Finanza (5). Questo impegno è ancora lettera morta e la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente coi pesanti tagli economici per il prossimo triennio della finanziaria (risorse per mezzi e strumenti) e il blocco inaudito del turn-over del personale. La stessa risposta dei militari nel CPT, per la quale non abbiamo opposto nessuna preclusione ideologica, non appare né adeguata, né tantomeno esaustiva: inadeguata perché si tratta di personale addestrato per altre funzioni e quindi non in gradi di sollevare completamente il personale di polizia dei compiti assegnati per quelle funzioni; decisamente insufficiente perché si tratta comunque di una risposta provvisoria, a tempo (presumibilmente molto breve), alla lunga più dispendiosa. Sconcerta infine che i provvedimenti contenuti nella finanziaria, ben lungi dall’essere supportati da qualsivoglia progetto di riforma e razionalizzazione delle forze di polizia, abbiano avuto come unico obiettivo quello di fare cassa: quantomeno inspiegabile per un Governo che della sicurezza ha fatto solo pochi mesi fa un cavallo di battaglia (invero vincente) della propria campagna elettorale. Da qui la nostra mobilitazione nazionale e locale nei mesi scorsi e lo stato di agitazione unitario (cosa mai accaduta) di tutte le sigle sindacali delle forze dell’ordine. Come si diceva, anche sul fronte del coordinamento delle diverse polizie poco o nulla è stato fatto. Non si tratta di misconoscere il lavoro quotidiano degli operatori improntato alla leale collaborazione e all’obiettiva disponibilità a supportarsi a vicenda sul campo. Registriamo anzi un accresciuto spirito di collaborazione anche con gli agenti di Polizia Municipale. Quel che davvero manca, al centro come in periferia, è la l’elaborazione di una strategia di sicurezza complessiva, la programmazione coordinata e continuativa degli interventi, la condivisione di strumenti operativi realmente efficaci e unitari (a partire dalle centrali operative). Una politica debole e di corto respiro non ha permesso in questi anni reali passi in avanti e se è pur vero che la quantità di risorse umane e finanziarie destinate dall’Italia al comparto sicurezza è in linea con quella degli altri paesi europei, non si può certo dire lo stesso per gli standard di qualità, efficacia ed efficienza. Riformare significa anche ridefinire compiti e funzioni ai vari livelli. A partire dall’attività amministrativa ancora inopinatamente in capo alle Questure circa la gestione delle pratiche connesse ai cittadini stranieri: una mole di lavoro che ormai poco o nulla ha a che fare con la sicurezza e che finisce per assorbire ogni anno di più le energie e il tempo di operatori indispensabili invece nel lavoro sul territorio. Nel patto richiamato si
avanzava anche la possibilità sperimentale di trasferire queste funzioni alle amministrazioni locali: riteniamo che occorra procedere con forza e determinazione su questa strada. E in un’adeguata compensazione di trasferimento di funzioni/risorse, tutti i comuni debbono essere pronti a fare la propria parte.
Gli obiettivi e i progetti per Modena E a Modena abbiamo dimostrato che è possibile esercitare dal basso significative funzioni autonome in materia di sicurezza, senza per questo degenerare nella frammentazione istituzionale (che produce sprechi, sovrapposizioni e duplicazioni) e nell’ideologica risposta “fai da te” in una materia tanto delicata su cui spetta senz’altro allo Stato e alle sue forze di polizia un precipuo ruolo istituzionale. Abbiamo potenziato gli organici delle Polizie Municipali e adeguato le macchine comunali per meglio rispondere alle mutate esigenze. Qui è stata riorganizzata la polizia locale, investendo sulla dimensione distrettuale, superando i piccoli corpi a favore di strutture intercomunali più grandi ed efficienti. E’ avvenuto tanto a Sassuolo quanto a Carpi, dove i comuni del distretto ceramico e delle Terre d’Argine vantano ora strutture con un centinaio di operatori ciascuna. La costituzione di corpi intercomunali di polizia municipale rappresenta a sua volta la premessa essenziale per lo sviluppo di un sistema integrato di sicurezza, attraverso nuove forme di collaborazione e sinergia con le altre forze di polizia e gli attori istituzionali e sociali del territorio. Occorre assumere un duplice obiettivo per il prossimo futuro: da un lato adeguare compiutamente gli organici agli standard regionali, affinché più forte e incisiva sia l’azione di polizia di prossimità sul territorio; dall’altro proseguire sulla strada della costituzione di corpi intercomunali in tutti i territori, superando le piccole e anacronistiche dimensioni che ancora permangono in molti comuni. Si tratta del primo ed essenziale sforzo da perseguire nella prossima legislatura, sapendo che i comuni dovranno misurarsi con la difficile compatibilità delle risorse e le non poche resistenze campanilistiche che proprio il centrodestra alimenta nei centri più piccoli e più fragili. E’ poi necessario rafforzare il sistema dei controlli, a 360 gradi, dotando le Polizie locali di strumenti innovativi. Non solo di quelli per la sicurezza stradale, pure essenziali; la Polizia Municipale deve poter integrare le forme di controllo proprie dell’amministrazione comunale con quelle dello Stato. Due esempi concreti: occorre attrezzare anche le strutture di polizia locale di postazioni di foto-segnalamento, affinché l’identificazione delle persone possa essere fatta anche dalla polizia di prossimità; e occorre interfacciare i sistemi di videosorveglianza affinché tutte le forze dell’ordine possano avvalersi costantemente e congiuntamente di questi strumenti. Si tratta di sperimentazioni già in atto che vanno estese a tutto il territorio. Abbiamo contrastato le “ronde”, definendole una ri-
36 sposta sbagliata ad un problema giusto: il bisogno dei cittadini di avere più sicurezza ed essere coinvolti nella costruzione della legalità diffusa. Per questa ragione, in forza di una legge regionale, oggi abbiamo centinaia di volontari che collaborano con la polizia locale in attività civiche importantissime (sicurezza stradale davanti alle scuole, presidio delle regole nei parchi, informazione e supporto alla cittadinanza, ecc.), sgravandola di compiti fungibili perché possa maggiormente dedicarsi ad attività specifiche e professionali in materia di sicurezza. Si tratta di una risposta civica improntata a legalità e responsabilità che può e deve essere valorizzata ed estesa quanto più possibile ad ogni realtà.
fino in fondo i contenuti di questa proposta e al Governo e al Parlamento di recuperare il tempo perduto.
La polizia municipale e i suoi agenti sono stati via via dotati di tutti gli strumenti necessari per difendere loro stessi e i cittadini. Non è stato un “armamento ideologico”, ma un adeguamento necessario e funzionale ai mutati compiti professionali. Enti locali e Regione hanno attivato nuovi strumenti per far fronte alle mutate necessità. Se nel 2000 era nata la prima Scuola specializzata di Polizia locale per iniziativa del Comune di Modena e della Regione E.R. - per rispondere alle esigenze di formazione della Polizia locale del territorio - quest’anno è divenuta un ente sovraregionale, coinvolgendo anche Toscana e Liguria. Un’eccellenza nazionale divenuta il punto di riferimento formativo di tutto il Paese. Così, su altro fronte, nel 2004 è nata la Fondazione Emiliano-Romagnola per le vittime dei reati più gravi.
Premettendo che il Pd – per sua natura profonda, culturale e politica - non può che contrastare apertamente e con decisione le derive xenofobe o apertamente razziste che trovano spazio (e spesso sono alimentate) in frange non marginali del centrodestra. Perché gli immigrati sono componente imprescindibile di quel progetto di comunità forte, sicura e solidale che non vogliamo costruire. E perchè costruendo muri, costruiremo nuova insicurezza per noi e per i nostri figli.
I nuovi strumenti necessari
Nella crisi economica in atto, una legge già sbagliata in sé, rischia davvero di offrire il suo volto peggiore: con l’espulsione dal mercato del lavoro, migliaia di stranieri rischiano di essere estromessi dalla legalità. Se a questo si aggiunge la conclamata inefficacia dei nostri strumenti di espulsione (che il reato di clandestinità, così come concepito dal Governo, finisce per aggravare ulteriormente), siamo di fronte a uno scenario davvero inquietante sia sotto il profilo della sicurezza, sia – cosa non meno seria – sotto quello della civiltà. E’ la ragione per quale chiediamo al Governo di sospendere almeno in via provvisoria la legge stessa.
Il Parlamento, riprendendo un vecchio testo di Amato, ha approvato una legge che amplia i poteri di ordinanza dei Sindaci, estendendone l’ambito e la potestà anche in materia di sicurezza urbana. Il nostro giudizio, anche in questo caso, non è stato ideologico: abbiamo apprezzato l’estensione responsabile delle prerogative, criticato il mancato adeguamento delle risorse per sostanziare queste azioni, vigileremo con l’esperienza concreta e nel merito che l’indirizzo del Ministero e il controllo preventivo delle prefetture non si traduca in una maggior subordinazione dei Comuni allo Stato. Nulla è invece cambiato per quanto riguarda la possibilità dei Sindaci di concorrere alle decisioni relative all’impiego tecnico - operativo delle forze di polizia statali. Una modifica delle attribuzioni e della composizione del Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica sarebbe quanto mai necessaria. Così come nulla è stato fatto per assicurare risposte più certe e veloci ai cittadini. Alla polizia i Sindaci chiedono tutti i giorni di fare cose nuove, ma con una legislazione vecchia di venti anni. Non sembra che il Governo abbia alcuna intenzione di porre rimedio a questa situazione. Al contrario c’è una proposta di legge, di cui è primo firmatario il senatore modenese del Pd Giuliano Barbolini, che affronta questi temi. Non un’idea solitaria ma il distillato di quanto Regioni e Comuni hanno via via elaborato e condiviso. Chiediamo al Pd nazionale di assumere politicamente
Una politica matura per governare l’immigrazione Abbiamo discusso del tema immigrazione in altra sede programmatica (Diritti di cittadinanza). Qui occorre recuperare la questione sotto il suo innegabile profilo di sicurezza e legalità, non sottraendoci ma anzi aggredendo la questione per come i cittadini e la nostra comunità ce la propongono quotidianamente.
Il PD deve riprendere l’iniziativa politica su questo tema, a partire dalla necessità di una legislazione matura e pienamente europea che permetta di venire davvero nel nostro Paese attraverso fluidi e governati flussi regolari, anziché per le vie dell’illegalità. La Bossi-Fini produce esattamente il contrario: restringendo i canali regolari ottiene dilagante clandestinità.
I sindaci si sforzano tutti i giorni di arginare irregolarità e clandestinità, ma sappiamo bene che questa si riproduce a getto continuo per effetto della legislazione nazionale. E l’immigrazione irregolare e clandestina porta con sé, inevitabilmente, maggiore esposizione al rischio criminalità. Più in generale l’espansione del lavoro nero e delle evasioni contributive e fiscali, crescenti rischi di gravi incidenti ed infortuni sul lavoro. E’ cronaca quotidiana. Una presenza irregolare - e quindi non governata – di cittadini stranieri incide in modo fortissimo sulla percezione di sicurezza dei cittadini. Perché si associa spesso a fenomeni di illegalità; più in generale perché le persone, a partire da quelle più deboli (socialmente, economicamente, culturalmente), si sentono (e spesso sono) più esposte e meno preparate ad accettare il cambiamento della comunità in cui vivono. Occorre pertanto agire con una iniziativa tesa ad inci-
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Sicurezza e legalità
dere positivamente sulla cosiddetta “percezione di insicurezza”. Anzitutto va ristabilito e realizzato il diritto ad una informazione corretta ed oggettiva sui dati reali: sia quelli sociali (presenza, accesso ai servizi e alle graduatorie, ecc.) che quelli correlati alla violazione della legge (che il Comitato Provinciale per la Sicurezza dovrebbe rendere noti). Occorrono poi più controlli, anche sotto il profilo formale, da parte delle pubbliche amministrazioni. Nelle situazioni di cambiamento i legami sociali tendono ad allentarsi e con essi il controllo informale ovvero quelle strutture e relazioni sociali che inducono comportamenti compatibili con la vita sociale di una città. Oltre un certo livello questo stato di “disordine dei comportamenti” non è più compatibile con la vita delle città. Per sopperire a questo deficit è inevitabile potenziare il controllo formale, che nella sua espressione più evidente coincide con il rafforzamento delle strutture di polizia, sia nazionale che locale. Che debbono essere efficientate e snellite per non incidere negativamente sui diritti e le libertà delle persone stesse. Evitare gli addensamenti di situazioni problematiche è un’altra priorità, volta a rendere compatibile la convivenza civile e la graduale integrazione. Diluire i problemi non significa allontanarli, né rimuoverli, ma migliorare la sicurezza e la sua percezione dove questa entra in crisi, attraverso progetti specifici e risorse finalizzate. In questo quadro particolare rilevanza meritano la cura e la (ri-)qualificazione dello spazio pubblico. Il disordine o il semplice “non riconoscersi” negli spazi pubblici è per ciascuno di noi la conferma “materiale” della legittimità della nostra insicurezza o semplice insofferenza verso il cambiamento. Appropriarsi degli spazi collettivi, qualificare i luoghi degradati con appositi progetti urbanistici e architettonici, riempire di funzioni e contenuti positivi gli spazi, i luoghi, gli edifici deve essere una cifra e una preoccupazione costante del nostro progettare la città. Di qui anche la proposta che ci sia in ogni comune un unico soggetto (politico e tecnico) per la gestione dello spazio pubblico (polizia locale, commercio al dettaglio, pulizia, animazione dello spazio pubblico, interventi sociali in strada, manutenzione ecc.). Non da oggi il PD propone di estendere il diritto di elettorato attivo e passivo agli stranieri residenti (da un certo numero di anni) per il voto amministrativo. E’ tuttavia necessario a questo provveda una legge nazionale. Nondimeno, nel quadro di iniziative volte alla promozione di una maggiore integrazione e partecipazione, occorre valorizzare e sostenere - a livello locale - l’auto organizzazione (democratica) delle rappresentanze delle comunità degli stranieri. Solo il coinvolgimento attivo delle persone e delle comunità nelle politiche di integrazione e responsabilizzazione può concorrere all’inclusione attiva nella Comunità. Così come investire su progetti ed idee per accrescere una positiva cultura alla sicurezza e alla convivenza civile fra i cittadini e fra le comunità diverse di cittadini nel medesimo territorio; favorire ed incentivare tutte le sedi e i momenti che possono allargare la partecipazio-
ne ed il senso di appartenenza (in alternativa alle ronde, alle iniziative spontanee, ecc.): consulte comunali e/o di quartiere; punti di ascolto/sportelli per “filtrare” suggerimenti, preoccupazioni, denunce, ecc. Si tratta di strumenti attivi e positivi di legalità in assenza dei quali subentrano modalità più pericolose e di scontro.
Contrastare l’illegalità E’ indispensabile, d’altro canto, porre in essere azioni di prevenzione e repressione dei reati commessi nei confronti dei cittadini più deboli, quali anziani, minori, donne, specializzando la Polizia Municipale anche su questo fronte. Occorre infatti tenere conto che la questione sicurezza è anche una questione di genere. Gli autori di reato sono per il 90% maschi: questo significa che tutti i reati con contatto, quando la vittima è donna, si caratterizzano anche come potenziale aggressione sessuale. Che la maggior preoccupazione delle donne non ha niente di irrazionale. Che la presenza delle donne nello spazio pubblico produce sicurezza, mentre una presenza unicamente maschile, insicurezza (pensiamo ad una strada o a un autobus di sera). Sicurezza, però, non significa solamente avere a che fare con l’immigrazione illegale. Recenti rilevazioni ed esplicite affermazioni dell’Autorità giudiziaria ed investigativa, hanno confermato una presenza ancora fortemente radicata in provincia di una criminalità organizzata di matrice camorristica e mafiosa, che si annida prevalentemente nei settori dei grandi lavori e dei cantieri in edilizia, ma anche infiltrando ingenti flussi di risorse nei settori dei servizi. Attività come il caporalato o la “fornitura” di mano d’opera tramite cooperative fittizie nell’edilizia, nell’agricoltura, nella lavorazioni delle carni, ecc. e la richiesta del “pizzo” in attività come la ristorazione, lavanderie e sub-appalti in edilizia, sono sempre più all’ordine del giorno. La inevitabile commistione di tutte queste presenze con attività come la prostituzione e lo spaccio favoriscono la marginalizzazione di una parte del territorio. La progettazione di grandi infrastrutture può rappresentare un’occasione appetibili per queste organizzazioni. Molte di queste imprese, talvolta modenesi, vincitrici di appalti, non hanno dipendenti operai a libro paga e ricorrono sistematicamente al subappalto: è proprio in questa fase e nelle forniture che si inserisce la criminalità organizzata. Con la firma del Protocollo Appalti nel 1999 e la creazione dell’Osservatorio Appalti presso Promo, si è negli anni strutturato un percorso che ha permesso di tenere monitorato il settore degli appalti pubblici (il problema più serio è però sempre stato quello della non adesione di molti comuni al Protocollo). Questo ha creato cultura e prevenzione, permettendo di raggiungere l’obiettivo principale: far capire che chi voleva lavorare a Modena nel pubblico o era serio o non trovava terreno fertile.
38 Un primo obiettivo politico da porsi è quello di continuare a lavorare su questo terreno, sollecitando i comuni che fino ad oggi non l’hanno fatto ad aderire al Protocollo Appalti. Il problema era ed è più complicato con il settore privato. Il lavoro svolto dal Comune di Modena ha dato l’esempio, non ancora seguito dagli altri comuni. A tale scopo, un forte elemento di spinta ed indirizzo potrebbe venire dal Comitato Provinciale per la Sicurezza. Occorre, su questa strada, che tutti i comuni della provincia contribuiscano alla formazione di nuclei specializzati di agenti di PM in materia di sicurezza dei cantieri. Considerata poi la legislazione attuale, occorre potenziare i controlli congiunti tra PM, AUSL, DPL. E’ necessario fare sistema, unire le competenze per affrontare questi temi sotto una pluralità di profili: la sicurezza dei lavoratori, la regolarità del lavoro, il rispetto delle normative contributive ed assicurative,ecc. L’evidenza empirica da cui partire è quella che, solitamente, una ditta “irregolare”, per prima cosa, non rispetta la normativa sulla sicurezza. Verificare l’applicazione delle norme quindi permette di avere altri elementi di riscontro ed in base alle risultanze dei sopralluoghi indirizzare le visite degli organi ispettivi. Questa esperienza, abbastanza unica a livello nazionale, dovrebbe essere estesa a tutto il territorio provinciale. Altro strumento per mettere sotto “osservazione” il settore edilizio privato e delle cosiddette cooperative spurie nei servizi, potrebbe essere l’incrocio dei dati a conoscenza dei Comuni (DIA, Permessi di costruzione, DURC, ecc.) con quelli degli altri enti (istituti di previdenza, ispettivi e della prevenzione) per costruire, come si è fatto per il pubblico, una banca dati del settore e un Osservatorio sulla Edilizia Privata. L’ideale sarebbe posizionare l’Osservatorio presso le Casse Edili che sono direttamente in grado di fornire elementi di conoscenza sulle ditte e di permettere di verificare le reali situazioni delle stesse.
PD Modena
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In collaborazione con i Gruppi consiliari del PD della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Modena e del Comune di Modena