L'arcobaleno Gen 2009 - Anno Ii Numero 1

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numero unico

Virgilio Marchi Città fantastica, 1919-1920

Risposta multipla? si no

grazie!

di Francesca Spampinato

S n dall’età della pietra i

le scoperte e l’apprendimento sono avvenuti per osser vazione, tentativi, errori, correzioni, approssimazioni, stimolati dalla necessità di risolvere un problema o superare una situazione difficile. Così fu scoperto come produrre il fuoco, circa 400 mila anni fa, riproducendo quello che saltuariamente fulmini e vulcani realizzavano. Per migliaia di anni si è andata così arricchendo la conoscenza umana che, grazie al linguaggio e poi alla scrittura, è stata trasmessa di generazione in generazione, consentendo, a chi veniva dopo, di non dovere ricominciare ogni volta da zero, ma non precludendo a nessuno la possibilità di scegliere “come” e “verso dove” continuare il proprio percorso di scoperte. Poi è arrivata l’era de"a modernità che ci consente, oggi, di consumare lo stesso fast cibo o di trovare il medesimo abbigliamento in Australia in Giappone, come anche in Italia; l’era della televisione a dosi massicce e dell’apprendimento per immagini che, nella scuole, ha portato: la valutazione o#ettiva, i saperi utili e spendibili, i crediti e debiti, l’offerta formativa, la competitività e l’efficienza, cioè la semplificazione e la schematizzazione dei saperi, che uniforma e predetermina il punto di arrivo del processo di apprendimento e limita fortemente nelle ragazze e nei ragazzi lo sviluppo della capacità di esplorare i loro luoghi incantati. Per valutare “oggettivamente”(che non è il co n t r a r i o d i a r b i t r a r i a m e n te ) e p e r “misurare” le conoscenze, occorrono strumenti ed unità di misura uguali per tutti, che non consentono variazioni sul tema, cioè che non lasciano spazio alla possibilità di ciascuno di scegliere un percorso di apprendimento che parta dai diversi interessi, esigenze, sensibilità e curiosità di ciascuno di comprendere, conoscere e rielaborare un aspetto anziché un altro. Sono stati così trasferiti a scuola i parametri di produttività e di efficienza adottati dalle imprese e si è cominciato a guardare agli studenti e alle studentesse come ai prodotti di una catena di montaggio, tutti uguali, quello che non riesce bene, perché fuori dai parametri prestabiliti, è uno “scarto di produzione”. Quindi criteri di valutazione obiettiva e conoscenze misurabili sono diventati i binari sui quali fare correre il treno della scuola moderna. Ma, ancora più demolitiva dello sviluppo della capacità di apprendimento, basata s u l l ’ e r r o r e , s u l l a co r r e z i o n e e s u l l a successiva approssimazione, è stata la diffusione del le domande a risposta multipla. Poco tempo fa, in un ospedale di Miami, in Florida, durante un esame di clinica medica che consisteva nel fare la diagnosi di un paziente visitato, uno specializzando, dopo

Calendari a pagina 2

la visita al la sua paziente, chiese al professore: “Can I have multiple choise?” (posso avere la risposta multipla?). Nessuno si stupì della richiesta, visto il ricorso abituale negli Stati Uniti a questo tipo di verifica, scientifica e obiettiva, tranne una specializzanda, italiana e laureata in Italia che si chiese: ”Se funziona così e mi dovessi fare curare da un medico con questa formazione, significa che quando avrò delle macchie rosse sulla pelle, per avere una diagnosi e la prescrizione di una cura, dovrò chiedere al medico se ho 1) il morbillo; 2) la varicella; 3) la rosolia, sperando che non sia invece allergia o eritema solare”. Negare agli studenti la possibilità di “sbagliare con i propri errori”, mettendoli di fronte alla necessità di scegliere tra errori e soluzioni possibili “altrui”, significa negare, in nome di una presunta esigenza di obiettività e praticità, la possibilità che sviluppino riflessioni personali, rielaborazioni e soluzioni autonome, cioè che acquisiscano la consapevolezza della propria capacità di pensiero e la capacità di trovare soluzioni nuove ed originali. In realtà non è un problema di semplice valutazione scolastica, si tratta di un progetto di società che non crede o non vuole lasciare spazio all’irripetibile unicità di ciascuno come ricchezza straordinaria per tutti, e che per questo vada incoraggiata, stimolata e curata. Viene perciò da domandarsi: se per una terribile maledizione scagliata dal dio delle tenebre, si fosse abbattuto sul mondo sin dall’inizio della storia il meccanismo perverso della “risposta multipla”, con 401.700 anni di ritardo, l’Illuminismo non sarebbe forse stato il secolo dei lumi perché finalmente Rousseau, Voltaire, Diderot e Montesquieu, avevano scoperto come produrre il fuoco?

stampato in proprio - piazza M. Buonarroti, 30, Catania, feb 2008

Ambiente futuro a pagina 3 Sulla Spes Salvi a pagina 4 Donne contro la mafia a pagina 5 Viaggi solidali a pagina 6 Danilo Dolci a pagina 8 Poesia - Aiku a pagina 10 Moratoria pena di morte a pagina 11 CPTA a pagina 12 Sistemi elettorali a pagina 13 Una lacrima sul viso a pagina 14 Il mutuo che problema! a pagina 15 La gestione dei rifiuti a pagina 16

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usii e costumi us costumi Volete fare uno scherzo crudele ai vostri insegnanti di Storia? Volete che, almeno per una volta, provino l’ebbrezza, da voi ben sperimentata, della figura da ignorante integrale? Avete ottime probabilità di essere accontentati. Fingete allora di essere interessati alle gloriose vicende del secolo di Michelangelo, di Copernico, del Concilio di Trento e, con aria indifferente, chiedete al prof. di turno cosa sia successo in un giorno qualsiasi, scelto da voi, tra il 5 e il 14 ottobre del 1582. Qualunque risposta ne otterrete sarà sbagliata, per la semplice ragione che quei dieci giorni non sono mai esistiti!

dell’invenzione degli orologi meccanici la misura del tempo era affidata al sole, che determinava la separazione fondamentale tra giorno e notte. La giornata di lavoro, basata sulle ore di luce, si accorciava in inverno e si allungava in estate, determinando enormi differenze nella produzione. Per mezzo delle campane la chiesa scandiva e governava il tempo di ciascun giorno; per mezzo del calendario liturgico dominava il tempo ciclico del lavoro e della

molta importanza alla sua precisione. Prima dell’adozione della moderna anagrafe una persona di 55 anni poteva dichiarare, indifferentemente, di averne 50, 60, quasi 60, circa 55, con una grande varietà di soluzioni. Per i miei nonni le 8 e dieci continuavano ad essere le otto; mentre le nove meno un quarto erano già le nove. E gli appuntamenti, per i quali noi meridionali siamo giustamente famosi, non erano cer tamente concordati e verificati al secondo, ma con almeno una buona mezz’ora

La spiegazione è semplice. L’anno del calendario giuliano, dal nome di Giulio Cesare, che lo introdusse nel 46 a.c., conteneva un errore di 11 minuti e 14 secondi in più rispetto all’effettiva durata dell’anno solare. Un errore di un giorno intero ogni 128 anni. Nel corso dei secoli questo errore era diventato ben evidente, e così papa Gregorio XIII diede l’incarico a diversi matematici ed astronomi di riformare il calendario, quello attuale, che dal suo nome venne chiamato gregoriano. Per riallineare il calendario con l’anno solare furono così soppressi dieci giorni, e nel 1582 si passò direttamente dal 4 al 15 ottobre. Si dà il caso, però, che la riforma del calendario della chiesa cattolica, parola che vuol dire universale, non fu affatto universale. Gli stati che erano sotto l’influenza del protestantesimo la accettarono a partire dal 1700, mentre quelli con la popolazione a maggioranza ortodossa solo nel 1918. Ecco perché l’anniversario della rivoluzione russa del 1917, la famosissima rivoluzione d’ottobre, si celebra in realtà il 7 novembre. Le chiese ortodosse di Russia, Serbia e Ger usalemme seguono ancora oggi il calendario giuliano, e questa è un’occasione unica per chi, nello stesso anno, volesse celebrare due volte la stessa ricorrenza religiosa. Il Natale, ad esempio: a casa il 25 dicembre, a Mosca il 7 gennaio.

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Non bisogna pensare, però, che questi cambiamenti venissero accettati subito e di buon grado. Nel dipinto satirico di William Hogarth, del 1755, su di un cartello si legge Give us our Eleven days (Restituiteci i nostri 11 giorni!), uno slogan di protesta politica contro l’adozione del calendario gregoriano già avvenuta nel settembre 1752. La misura ed il controllo del tempo rappresentano, infatti, un enorme strumento di potere e di controllo s u g l i e s s e r i u m a n i . Pr i m a

festa, della gioia (Natale, Pasqua…) e del dolore (la Passione, i Morti…). Insomma, segnava la vita di tutti, dal concepimento alla morte. Perché addirittura dal concepimento e non dalla nascita? Per la semplice ragione che i matrimoni non potevano essere celebrati durante l’Avvento e la Quaresima, e che i concepimenti non potevano che avvenire dopo le nozze. Con l’avvento degli orologi meccanici, il potere civile cercò di contrastare quello religioso, innalzando imponenti edifici, torri s o p r a t t u t to , s o v r a s t a t i d a u n orologio pubblico. Ancora oggi, in moltissimi paesi, ai lati opposti della piazza principale, si fronteggiano l’edificio del potere civile, con il suo orologio, e la chiesa madre, con il suo campanile. Nulla, però, ha impedito ai campanili di incorporare gli orologi… Nonostante l’invenzione del tempo meccanico, in passato non si dava

di approssimazione. Quando, a scuola, il dirigente, il professore o il bidello di turno vi bloccano all’ingresso per il vostro esagerato ritardo, provate a raccontare loro la storia della misura del tempo… L’invenzione del digitale ci ha condotto in una dimensione estremamente precisa del tempo, che ci ha organizzato la vita secondo un ritmo inflessibile ed un ordine m e t i co l o s o , co n s e n te n d o c i d i eliminare i tempi morti a vantaggio dell’efficienza e della produttività. In questa geometrica sinfonia di secondi, minuti ed ore c’è, però, una nota stonata. Il tempo dei cronometri è artificiale, il battito (in senso cardiaco o affettivo) del nostro cuore, è naturale, è umano. L’uomo h a s co p e r to i l te m p o e n e h a inventato la misura. Og gi ne è diventato schiavo. Non prendiamocela con gli orologi, riprendiamoci libertà.

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ambiente WEC! Non è una porta che cigola, ma è molto più inquietante

un ossimoro* poiché qualsiasi forma di crescita economica presuppone un incremento del l’utilizzo di risorse, cioè di un depauperamento della “scorta disponibile” di beni presenti in natura, non facilmente

S t i a m o p a r l a n d o d e l Wo r l d Energy Council, tenutosi a Roma dall’11 al 15 novembre, per affrontare il tema “Il futuro del l’energia in un mondo i n d i p e n d e n t e ” . Ha n n o partecipato amministratori delegati di centinaia di multinazionali, sessantaquattro ministri dell’energia ed esperti, con l’obiettivo di q u a d r a r e i l ce r c h i o della crescita infinita, in un mondo in cui le risorse necessarie a garantirla non sono infinite e che ha già snaturato il clima e prodotto danni irreversibili. Questo convegno si tiene dopo che l ’ O. N . U. (Organizzazione delle Nazioni Unite) ha già lanciato il quarto allarme sui cambiamenti ambientali, ma si tratta di un confronto tra operatori, finanzieri e ministri che pongono al centro del loro lavoro lo “sviluppo sostenibile”, cioè hanno già fatto una scala di valori sulla quale procedere: crescita economica comunque, ma “sostenibile” dal pianeta. Si tratta evidentemente di

di Francesca Spampinato

riproducibili e comunque non illimitati. Il petrolio e altre fonti fossili hanno cominciato ad esaurirsi e qualcuno fa riaffiorare lo spettro del nucleare come panacea di tutti i mali. Il problema è particolarmente complesso perché, se lo si vuole affrontare con onestà intellettuale, non si possono non toccare le questioni più spinose per le quali si combattono le guerre: sia quelle con armi e proiettili, sia quelle economiche. Si sta parlando del controllo delle risorse naturali, dello “sviluppo” economico e di chi lo detiene, degli irrinunciabili stili di vita e, quindi, dei rifiuti, dell’uso ed abuso dell’acqua, dell’enorme bugia del nucleare pulito sicuro - per usi civili, del surriscaldamento del pianeta, della deforestazione selvaggia, della desertificazione e delle alluvioni, della minaccia continua alla biodiversità, degli O.G.M., dei brevetti su forme di vita... Il 9 settembre 1989, data della caduta del muro di Berlino, è iniziata una nuova era storica. Ha appena compiuto diciotto anni e si trova già a dover affrontare scenari apocalittici. Il contributo consapevole ed informato di sei miliardi di donne e uomini può fare la differenza.

*Ossimoro: è una figura retorica e consiste nell’accostamento di due termini in forte antitesi tra loro, come per esempio ghiaccio bo'ente, piacere disgustoso. Nel romanzo “1984” di George Orwell gli slogan ripetuti ossessivamente dal regime del Grande Fratello sono basati su ossimori, quali: La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. ------------------------Muro di Berlino: simbolo della divisione del mondo, realizzata dopo la seconda guerra mondiale, in due aree di influenza politica e militare, quella Occidentale, sotto il dominio degli U.S.A., e il blocco dei paesi dell’Est dominato dall’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Sovietiche). Il Muro divideva fisicamente la città di Berlino in due parti, Berlino Ovest (americana) e Berlino Est (sovietica) e fu abbattuto nella notte del 9 settembre 1998, provocando come conseguenza la riunificazione della città e della Germania, fino a quel momento divisa in due. Fu anche l’inizio della fine della contrapposizione dei due blocchi mondiali - paesi filo americani e paesi filosovietici, dal momento che di lì a poco anche l’ “impero” sovietico si dissolse. Dalle ceneri dell’URSS nacquero numerose piccole repubbliche (Ukraina, Tagikistan, ecc..) mentre il grosso del paese tornò a chiamarsi semplicemente Russia, nazione con enormi problemi economici e politici. Sviluppo compatibile: fino alla fine degli anni 1960 si affermò il modello di uno sviluppo legato esclusivamente al concetto di crescita economica. Lo scopo doveva essere quello del mantenimento del capitale complessivo (formato da risorse umane e manufatte riproducibili - e naturali - non riproducibili) per uno sviluppo illimitato e sempre crescente. Si pensava che le diverse componenti del capitale fossero intercambiabili, per cui anche se le risorse naturali sono limitate, il reddito da esso ricavato (la loro rendita) investito nel capitale umano e manufatto avrebbe permesso comunque di mantenere lo sviluppo nel tempo. Sviluppo sostenibile: a partire dagli anni 1980 avvenne la presa di coscienza del fatto che il concetto di sviluppo classico legato esclusivamente a quello di crescita economica, avrebbe causato entro breve il collasso dei sistemi naturali. Ci si rese conto che le risorse naturali erano non solo non riproducibili ma anche limitate ed esauribili. Gli aspetti economici dello sviluppo furono integrati con quelli ecologici e sociali. Non si guardò più alla sola crescita economica quantitativa ma anche alla sua qualità e si pensò quindi a uno “sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni” (Rapporto Bruntland, 1987). Il concetto di sviluppo sostenibile venne ufficializzato in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (Earth Summit) tenutosi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992: in questa occasione fu sottoscritto da 173 governi un ampio documento definito Agenda 21, nel quale si proposero “le azioni da compiersi nel XXI secolo” per conseguire uno sviluppo economico e sociale sostenibile. Decrescita: negli ultimi anni si è fatta strada una nuova teoria quella che il processo di sviluppo non necessariamente deve essere in crescita. Si parla infatti di “non linearità dei processi di crescita e ipotesi di crescita zero”.

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religioni di Giuseppe Strazzulla

Nella tradizione del cristianesimo, le tre

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virtù teologali sono - nell’ordine – la fede, la speranza e la carità, atteggiamenti essenziali della vita cristiana. Per mezzo della speranza, in particolare, si attende con fiducia la vita eterna e il soccorso della grazia divina alla natura umana. Nel Nuovo Testamento la speranza è fondata sulla Resurrezione di Gesù Cristo: Ma se Cristo non è risuscitato, a'ora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (1 Cor, 15,14). Essa è il segno distintivo dei cristiani rispetto a tutti gli altri uomini che vivono senza speranza: Non vogliamo poi lasciarvi ne'’ignoranza, *ate'i, circa que'i che sono morti, perché non continuiate ad affli#ervi come gli altri che non hanno speranza (1 Ts, 4,13) e rappresenta la risposta a quanti chiedono ai credenti le motivazioni del loro credere: … ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione de'a speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, … (1 Pt, 3,15). Alla Speranza è dedicata la recente enciclica di papa Benedetto XVI (Spe salvi, ossia Ne'a speranza siamo stati salvati), che prende avvio dal passo della Lettera agli Ebrei in cui si intrecciano le virtù della fede e quelle della speranza: La fede è fondamento de'e cose che si sperano e prova di que'e che non si vedono (11,1). La giustizia è per lui il fondamento essenziale della vita eterna, in quanto è impossibile che la storia finisca nel segno dell’ingiustizia. Ma di quale giustizia si tratta? Ratzinger esprime un forte pessimismo nella capacità umana di raggiungere una qualunque forma di salvezza senza l’ausilio della grazia divina e indica una serie di “fallimenti” della storia (dell’Occidente cristiano), dalla Rivoluzione Fr a n c e s e a l l a d o t t r i n a d i Ma r x a l l a rivoluzione russa condotta da Lenin. I paragrafi 16-23 (sui cinquanta complessivi) sono dedicati a La trasformazione de'a fedesperanza cristiana nel tempo moderno: vi si mostra come la fiducia nel progresso umano, caratteristica del mondo moderno, non abbia fondamento se viene scissa dalle forze salvifiche della fede. I suoi bersagli espliciti sono Francesco Bacone - del quale viene citato il Novum Organum, opera in cui si instaura un nuovo metodo di logica che avrà un’incidenza grandissima nello sviluppo della scienza – e Immanuel Kant, il principale filosofo dell’Illuminismo, del quale fornisce la celeberrima definizione come “l’uscita dell’uomo dal proprio stato di minorità”. Persino alcune forme di cristianesimo vengono ammonite laddove non partono dalle proprie radici, e viene anche ribadita l’esistenza dell’Inferno. Può sembrare strano (o inutile) che in tempi di apparente egemonia del “pensiero unico” liberista venga sferrato un attacco così duro ad una storia del le idee che ha caratterizzato le conquiste scientifiche, politiche e sociali degli ultimi secoli, ma sappiamo che il Papa non si esprime mai secondo criteri di semplice contingenza. E’ possibile ipotizzare che la sua riflessione prenda le mosse dalla precarietà apparente del tempo che viviamo, alla quale egli vuole contrapporre una filosofia basata sulla speranza (che appare però come una certezza…) nell’eternità del messag gio cristiano: in questo senso, progresso e ragione scientifica sono accomunati nel destino di idolatria “barbarica”. La dimensione spirituale risulta così prevalente su quella “umana”, relegando qualunque atteggiamento laico nei confronti della conoscenza in una sfera di irreparabile errore. Nel par. 22 così Ratzinger si esprime sullo stesso cristianesimo: “Bisogna che

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Sulla enciclica di Benedetto XVI

S P E S nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici”. E da qui, citando inizialmente la problematicità della fede nel progresso di Theodor W. Adorno, parte con gli attacchi di cui abbiamo parlato prima, ignorando della modernità persino le nuove teologie emerse nell’ultimo secolo (specie la cosiddetta “teologia della liberazione”) e – potremmo aggiunger maliziosamente – lo stesso Concilio Vaticano II.

S A L V I Siamo ai soliti rimproveri di una Chiesa che non ha voglia di dialogare con il mondo laico, e nemmeno con quello cattolico che si è lasciato infettare dal virus della ragione e della libertà. Ancora una volta, chi sia privo di fede non si vede concessa la possibilità di essere considerato una persona di “buona volontà”. O, addirittura, di uscire dal proprio stato di minorità, di diventare adulto attraverso una scelta libera della propria collocazione nel mondo.

enciclica: (latino tardo encyclicus dal greco enkyklìos = circolare). Lettera solenne di una autorità ecclesiastica (dal XVIII sec. Solo il Papa) destinata ad una comunità (tutti i fedeli). Karl Marx: (Treviri 1818 – Londra 1883). Filosofo, economista e politico tedesco, ha dato vita ad un sistema di pensiero che ha avuto un’enorme influenza sulle vicende politiche del XIX e del XX secolo. Di famiglia ebraica convertitasi al protestantesimo, si laurea con una tesi su Democrito ed Epicuro. Il pensiero di Marx si basa sulla rilettura della filosofia di Hegel, del quale “rovescia” l’idealismo trasferendo la sua dialettica sul piano del materialismo. In questo senso, egli distingue tra “struttura” (i concreti rapporti economici) e “sovrastruttura” (cultura, diritto, politica, religione) di una società. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti presi come idee (materialismo storico). La storia è così intesa come storia di lotte di classi: allo stesso modo in cui la borghesia si è liberata a suo tempo dello sfruttamento di tipo feudale, la classe sociale del proletariato è destinata ad essere protagonista di un movimento rivoluzionario originato dalle stesse contraddizioni del capitalismo (materialismo dialettico). Dopo un periodo di dittatura del proletariato, subentrerà una società comunista senza classi e senza sfruttamento, in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti. Fra le numerosissime opere di cui è autore, la più influente è Il capitale, in cui espone le linee fondamentali della sua critica alla società capitalista, con una analisi ed un uso accurato di termini (plusvalore, proprietà privata capitalistica, …) destinati ad entrare comunque, al di là della sua ideologia, nel linguaggio scientifico dell’economia. Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ic Uljanov, Simbirsk 1870 – Gorkij 1924). Politico e studioso russo, autore anche di opere teoriche che hanno contribuito allo sviluppo della dottrina marxista in senso rivoluzionario (la più interessante, Imperialismo fase suprema del capitalismo (1917), mostra come la guerra costituisca lo sbocco inevitabile delle contraddizioni dello sviluppo capitalistico). La sua fama è legata al ruolo di guida della rivoluzione russa del 1917, per condurre la quale ritornò dall’esilio. Dopo la morte, il suo corpo venne imbalsamato ed è ancora oggi esposto nel grande mausoleo in Piazza Rossa a Mosca. Francesco Bacone è il nome italianizzato di Francis Bacon, filosofo inglese (Londra 1561 – 1626). Personaggio scomodo anche dal punto di vista politico (ebbe numerosi contrasti con i re inglesi del tempo, fu anche condannato alla prigione nella celebre Torre di Londra), morì per il freddo a causa di un esperimento scientifico. Nella sua opera incompleta Novum Organum aveva l’intenzione di instaurare un nuovo metodo di logica basato sul metodo induttivo, il cui punto di arrivo è la conoscenza della causa formale di un fenomeno. Immanuel Kant (Konigsberg 1724 – 1804) è uno dei più grandi filosofi della storia di tutti i tempi. Il suo pensiero viene spesso accostato metaforicamente alla rivoluzione copernicana, in quanto la conoscenza è intesa come un’attività del soggetto umano che dà forma all’oggetto dell’indagine. Questo significa che la conoscenza umana può limitarsi ai fenomeni come appaiono, e non della realtà “in se stessa”: il soggetto della conoscenza ha poi il compito di strutturare la realtà secondo le categorie a priori delle proprie facoltà intellettive. In tal modo, Kant assesta un colpo decisivo alla pretesa di ogni metafisica (mai basata sulla centralità del fenomeno) di essere considerata una scienza. Anche la religione è ridotta, nel pensiero kantiano, nei limiti della semplice ragione, ossia a morale, confermando così il primato della ragion pratica. “pensiero unico” liberista : con questa espressione, coniata dallo studioso Ignacio Ramonet sulla rivista francese da lui stesso diretta “Le monde diplomatique”, si intende la conseguenza, sul piano ideologico e del sistema dei valori, della strutturazione globale del mercato di tipo capitalistico. atteggiamento laico: nel mondo attuale, qualunque atteggiamento di accettazione di un pensiero diverso dal nostro, e di apertura alla possibilità di cambiare il proprio pensiero in base alla discussione pubblica. Theodor W: Adorno (Francoforte 1903 – Visp [Svizzera] 1969) è uno dei maggiori esponenti della scuola filosofica di Francoforte e musicologo di grande fama. Il suo pensiero è improntato alla “dialettica negativa”, una critica serrata ai sistemi filosofici che pretendono di conoscere la totalità del reale attraverso l’uso di una logica sostanzialmente totalitaria. teologia della liberazione: è un movimento nato in America Latina con l’intento di dare una lettura religiosa delle situazioni di grande povertà. In seguito, si è caratterizzato per una interpretazione di stampo marxista delle ingiustizie sociali e, in alcuni casi, per l’appoggio a situazioni di lotta armata. Concilio Vaticano II: il concilio è l’assemblea dei vescovi, riunita per trattare temi connessi alla fede o alla disciplina ecclesiastica. Il C. Vaticano II, svolto a Roma negli anni 1962-1965 sotto il pontificato di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, ha avuto come materia di discussione la vita stessa della Chiesa e la sua apertura al rinnovamento sociale.

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conoscere la storia del figlio a tutto il mondo. Lucia racconta di aver promesso, ma in cuor suo si disse che avrebbe voluto far conoscere anche la storia di lei, Felicia, a tutto il mondo. Perché Peppino è stato un uomo straordinario, ma Felicia ne è stata “la matrice”. Ed infatti era solita dire che della vicenda del figlio, della sua morte, sua sola era la responsabilità. È ancora Lucia a raccontare la donna, a rievocare il suo temperamento:

serata comincia con una canzone, Matilde Politi intona un canto siciliano. Sul grande

L’abitazione di Felicia era una casa speciale – racconta Lucia – un altare laico, con le pareti affollate di immagini e documenti incorniciati, come la laurea ad honorem (e postuma) rilasciata dall’Università di Palermo o il tesserino dell’Ordine dei giornalisti di Peppino. Lucia aveva temuto quell’incontro. La personalità forte di Felicia avrebbe potuto influenzarla nella resa sullo schermo del personaggio, perché Lucia Sardo nel film I cento passi interpreta proprio il ruolo della madre. Ma poi, dice Lucia, Felicia lì, nella sua casa piena di ricordi e memoria viva, cominciò a parlare. Ed a colpirla non fu la sua pur straordinaria vitalità. “Ciò che più mi ha toccata di Felicia,” racconta Lucia, “fu che aveva il carisma della normalità”. Felicia è stata

schermo alle sue spalle insieme alla scritta Donne-contro, scorrono le immagini di donne forti e coraggiose, che hanno detto no alla sopraffazione e all’ingiustizia. Tra loro anche Felicia Bartolotta, meglio conosciuta come Felicia Impastato. Questa donna straordinaria e dal carisma eccezionale era solita dire che il cognome “Impastato” – oggi simbolo di antimafia e impegno civile grazie all’opera coraggiosa del figlio di lei, Peppino - era l’unica cosa che mai le avesse dato il marito, un uomo dalla mentalità mafiosa. È l’attrice Lucia Sardo che rievoca le parole di Felicia, condividendo con noi – pubblico – il suo ricordo della madre di Peppino. Lucia conobbe Felicia al tempo delle riprese del film I cento passi. Sollecitata dal regista in una serata dal tramonto eccezionale si recò a casa di Felicia, sulla via principale di Cinisi che collega il mare all’unica piazza del paese, piazza del Municipio.

l’unica persona in Italia – uomo o donna - ad aver ricevuto le scuse dello Stato. Perché grazie alla sua tenacia e all’amore verso il figlio e alla memoria di lui, è stata il motore del processo che ha portato alla condanna degli assassini di suo figlio. Il processo per l’omicidio di Peppino è uno dei pochi processi in Italia ad aver avuto pieno svolgimento e ad aver portato alla condanna di tutti i responsabili. E questo grazie a questa donna minuta. Raccontava che si svegliava alle cinque del mattino, ma si alzava dal letto solo alle sette, perché per due ore ogni mattina si ripeteva tutto, tutti gli avvenimenti che avevano portato alla morte del figlio. Aveva paura di dimenticare Felicia e per questo compiva quest’esercizio di memoria, recitava ogni mattina le sue laiche preghiere. Al momento del commiato da Lucia, che avrebbe portato sullo schermo la sua storia, Felicia le chiese di farle un favore: far

prima delle nozze si rende conto di non essere innamorata. E allora si alza dal letto, va da suo padre e gli dice; non mi voglio sposare e che non si permettano di rapirmi perché denunzio tutti, prima di tutto voi che mi siete padre.”

Felicia Bartolotta Impastato Animata dai canti e dalle p a ro l e d e l l e d o n n e i n occasione della presenza a Catania della testimone di giustizia Piera Aiello, una serata speciale all’Auditorium “G. De Carlo” del Monastero di San Nicolò per ricordare, tra le altre, Fe l i c i a Bartolotta Impastato.

La

“Felicia era nata nel 1913. Dopo due anni di fidanzamento, prossima al matrimonio, “conza il letto”, prepara la dote. La notte

di Marina La Farina

Era questo Felicia, una donna capace di gesti forti di ribellione. Ha lasciato disposizioni affinché alla sua morte la sua casa rimanga sempre aperta, ed infatti oggi è meta di moltissimi ragazzi che si recano a visitare quelle stanze, quell’altare laico reso noto al mondo grazie anche alla pellicola dedicata a Peppino e a sua madre. Felicia ne sarebbe contenta. Perché negli ultimi tempi non era più solo una ”pasionaria” dell’antimafia, era diventata una “sacerdotessa” capace di rendere concreta l’idea di dignità e futuro per le nuove generazioni. Le sue ultime parole – salutando Lucia – furono: “la mafia non si combatte con le pistole, ma con la cultura”.

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viaggi solidali

Z A N Z I B A R ZANZIBAR ZANZIBAR

ZANZIBAR ZANZIBAR ZANZIBAR

di Chiara Gallo

ZANZIBAR

“L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E’ un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. E’ solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo A)ica. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l’Africa non esiste.” R.Kapuscinski

Un puntino nell’oceano indiano,

giù giù nel continente africano, tanto piccola l’isola che a volte scompare dalle cartine geografiche. È Zanzibar, mitica isola delle spezie, crocevia di navigatori e mercanti, crogiolo di popoli, culture, religioni. Di pacifica armonia. È Zanzibar, isola della Tanzania in cui sono capitata quasi per caso, che mi richiama tutte le volte che posso, da anni ormai, per tuffarmi nella sua africanità. Sono arrivata per la prima volta in Tanzania per un campo di lavoro sul Kilimangiaro, nel nord, in un villaggio a 1600 metri, dove insieme ad una decina di altri “wazungu” (come sono chiamati i bianchi in Swahili, la lingua nazionale) cercammo di dare una mano per qualche settimana nei

lavori di costruzione del nuovo edificio di una scuola secondaria del luogo. Alla fine del campo con altri volontari decidemmo di andare a sbirciare un’altra zona della Tanzania e scegliemmo Zanzibar, che ci stregò.

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L’anno dopo cercai un contatto per tornare in Tanzania come volontaria e scoprii che una Ong zanzibarina,

che si occupa di promozione della cultura locale, cercava volontari di breve periodo. Mandai una mail e mi accettarono, ero già pronta a partire! Non riuscirei a viaggiare in altro modo, se non cercando l’immersione totale nella vita locale, e dando un po’ delle mie energie a quel mondo che noi bianchi abbiamo depredato e continuiamo a depredare in nuove forme più evolute, ma che continua nonostante tutto ad esprimere indicibile ricchezza umana. Seguire le vie tradizionali del turismo arricchisce poco sia il viaggiatore che la terra stessa che lo ospita. I grandi villaggi turistici lasciano poco e niente all’economia locale, sono gestiti da grandi multinazionali, che offrono per di più lo stesso pacchetto preconfezionato in tutto il mondo. Perché andare ad infilarsi in un

villaggio turistico, quando il mondo da conoscere è tutto fuori! Chissà con che idea dell’Africa ero partita la prima volta. Non la ricordo. Credo di non aver razionalizzato più di tanto prima di partire. Forse serbavo il sogno di un’Africa un po’ banale. Colori calore semplicità saggezza. Bellezza. Ma poi avevo trovato tutto questo.

ZANZIBAR

Quando arrivi ci metti un po’ a capire dove sei davvero. Tutto quello che avevo visto nei documentari diventava reale attorno a me, quello scar to che pa ssa dal guardare imma gini che scorrono su uno schermo alla realtà che ti circonda era tutto da digerire. L’Africa mi si p r e s e n t a v a co n i m m a g i n i n o n sconosciute ma solo a contatto diretto percepite in tutta la loro concretezza. Villaggi sperduti chiusi da cinta di legno capanne di rami e paglia città con strade in terra battuta distese di campi di spazzatura nugoli di bambini scalzi. Comunque, quella che avevo scelto era l’Africa più facile, la più dolce. Non l’Af rica dei profughi che scappano da guerre decise e finanziate da chissà chi, non l’Africa del le carestie che stremano e uccidono per fame, non l’Africa delle malattie curabili che devi pagare i soldi che non hai per poi morirci. Avevo scelto l’Africa che ancora può permettersi di essere se stessa, esuberante trionfo di gioia e solarità. Allora Zanzibar! Approdare sull’isola dal mare è come entrarci dalla scena di un film, ci si avvicina alla costa e si viene circondati dai dhow, enormi barche di legno dalle immense vele di tela rozza, un’unica possente vela bianca. Sono i pescatori che partono o rientrano dalla pesca col loro carico di pesce che scaricheranno sulla spiaggia, per poi avviare le contrattazioni con i venditori del vicino m e r c a to d e l p e s c e . Appena scesi sulla terra ferma il caldo umido e tutti i profumi speziati che aleggiano nell’aria investono i sensi seducendo con la complicità dell’avvolgente accoglienza della gente: karibu* Zanzibar! Intrisa di storia la città antica, Stone To w n , è u n d e d a l o d i v i u z z e dall’atmosfera suggestiva, nelle quali scorre una vita tutta africana, araba e indiana insieme. Tutto attorno una natura e un mare mozzafiato. Stone Town, città di pietra, è l’unica città

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viaggi solidali (che per le nostre dimensioni occidentali sarebbe poco più che un paesino) di un’isola in cui il resto degli insediamenti umani sono villaggi. In città, ad alzare lo sguardo prima di immergersi nei vicoli, si intravedono subito vicini tra loro i simboli di una stretta e storica convivenza, il minareto di una moschea e il campanile della cattedrale, che si esibiscono non solo in altezza ma anche lanciando giornalmente i loro richiami alla preghiera. Da qualche parte, meno visibile, c’è anche il tempio indù, per i molti indiani residenti sull’isola dai tempi lontani dei traffici di spezie dall’India all’Europa. La popolazione di Zanzibar è per la stragrande maggioranza di religione islamica, e cinque volte al giorno il muezzin chiama i fedeli alla preghiera dagli altoparlanti delle tante moschee disseminate per la città, recitando le parole dell’invito alla preghiera con un dolce cantilenare quasi come fosse un canto. Tutto si ferma in quei minuti di preghiera, molti negozi chiudono i battenti, le radio vengono spente, tutto rallenta, poi improvvisamente flussi di fedeli escono dalle moschee, cercano le loro scarpe nel mucchio lasciato sugli scalini all’ingresso e tutto riprende. Per le strade venditori di cocco di arance di manioca fritta, storpi seduti nei dintorni delle moschee a chiedere l’elemosina, sulle panche venditori di caffè caldo a soli 2 centesimi l’uno, bancarelle di kitenge e kanga le stoffe che riportano ognuna un proverbio swahili diverso, rasta che lavorano a collane e

...Zanzibar - da pagina 8 cappellini all’uncinetto, pittori di tinga tinga** e poi bambini e ancora bambini. Un a v o l t a c h i e s i a d u n a m i co africano quale fosse la cosa che più gli mancava del suo paese e mi disse: i bambini. Una volta vissuta un po’ d’Africa ho capito perché. I bambini invadono le strade, giocano insieme fuori dalle case, padroni degli spazi, allegri e vocianti danno vita alle città ai villaggi, in continua comunicazione con l’esterno, senza dover temere niente. La comunità tutta in Africa ha la responsabilità dei bambini, a prescindere dalla parentela diretta, e nessuno tiene i propri figli chiusi in casa, un po’ forse come si poteva fare anche da noi tanto tempo fa. E quei bambini un giorno li invitai da me per una merenda, e non appena si accorsero che i dolci stavano per finire, preoccupati mi dissero basta non ne vogliamo più, che forse non sono sufficienti per tutti. Erano gli stessi bambini che una volta vidi con una bottiglia di aranciata e un pacco di biscotti in mano, se li passavano a giro un sorso dopo l’altro un biscotto dopo l’altro, attenti a che tutti ne avessero la propria parte. Ma cos’è questa pratica della condivisione, questo senso della solidarietà, del rispetto per l’altro, anche nei più piccoli? E’ uno dei tesori africani, uno di quei

AFRICA

beni preziosi di cui forse ad appropriarcene noi occidentali potremmo sentirci orgogliosi. Davvero ad immergersi nella vita della gente rifiutando il distacco asettico offerto dai grandi villaggi turistici si percepisce la reale forma e misura delle cose. Il tempo per esempio. Lungo pieno sereno. Sono le persone a battere il tempo. Non è il tempo a ingurgitare le persone. Nessuna pubblicità di pillole contro i bruciori di stomaco sulle pagine dei quotidiani locali. Solo il tempo a disposizione per salutarsi per strada, tanto per dirne una, guardandosi ancora negli occhi, per chiedersi come va, come va a casa, come va la famiglia il marito la moglie i figli i nonni i cugini gli zii e così via, in uno di quei rituali africani del saluto infinito che pare quasi uno scioglilingua! La gente si guarda ancora e anche se non si conosce si saluta si chiede si parla. Senza fretta. E a correre sono solo le “schegge d’occidente”, i fuoristrada dai finestrini ben chiusi, dall’efficiente climatizzatore, con dentro non si sa bene quale carico di fretta incontenibile. Di sicuro una fretta mzungu***. Tutta occidentale. Note : *benvenuti **tipici dipinti coloratissimi *** bianca Riferimenti per turismo responsabile e campi di lavoro www.viaggisolidali.it www.arci.it www.focsiv.it www.sci-italia.it www.oikos.org www.yap.it www.lunaria.org

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anniversari D a n i l o ignorato

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D o l c i maestro

d i Nat al e Mu s arra

Danilo Dolci moriva dieci anni

fa, il 30 dicembre 1997, a Partinico presso Palermo. Era nato nel 1924 a Sesana (allora in provincia di Trieste, oggi territorio sloveno) ma aveva v i s s u to i n S i c i l i a p e r 4 5 a n n i suscitandovi, prima in compagnia di pochi pescatori e contadini poi di centinaia e migliaia di collaboratori, un movimento di riforma sociale non-violenta che non ha eguali nella storia d’Italia. Cominciò nel 1952 a Trappeto, sdraiandosi nel letto di Benedetto Barretta, un bambino morto di fame, deciso a morire anch’egli se n o n s i f o s s e i m m e d i a t a m e n te i n te r v e n u t i a s o l l e v a r e q u e l l a popolazione dalla miseria; continuò per tutti gli anni ’50 e ’60 promuovendo decine di lotte dal basso (senza il “cappello” dei partiti e spesso contro i governanti e le mafie locali) per ottenere strade, dighe, lavoro pulito; scrisse libri di denuncia sociale e di alta poesia, condusse inchieste e organizzò convegni per la piena occupazione; fondò una serie di centri studi per la formazione di volontari (esperti in medicina agricoltura urbanistica economia ecc.) che aiutassero gli abitanti specialmente delle valli dello Jato, del Belice e del Carboj (un totale di 25 comuni) ad imboccare la strada di uno sviluppo basato essenzialmente sulle risorse locali; diede l’avvio al movimento dei comitati popolari del Belice che in molti paesi, fino al terremoto del 15 gennaio 1968 e dopo, giunsero ad esautorare dalle loro funzioni i poteri locali che si limitavano a ratificare delle decisioni prese in affollate assemblee cittadine; costruì una scuola sperimentale, a Mirto v i c i n o Pa r t i n i c o , c e n t r o d i irradiazione di una peda gogia alternativa a quella autoritaria; elaborò una metodologia educativa, la “maieutica reciproca” che, a differenza di quella socratica, non puntava alla trasmissione di un sapere precostituito, fosse anche quello del grande filosofo, ma a rendere ciascuno a turno consapevole delle proprie

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potenzialità umane e intellettive; lasciò infine un testamento spirituale (la “Bozza di manifesto” riprodotta nella pagina accanto, destinata ad essere variata e perfezionata nel tempo), in cui invita tutti, “dovunque possibile”, a favorire la c o m u n i c a z i o n e a u te n t i c a e l a creatività a tutti i livelli del vivere sociale. Fa r e m o p e r ò u n t o r t o a quest’uomo, seguace del le più a v a n z a te te o r i e s c i e n t i f i c h e e filosofiche contemporanee, quelle p e r i n te n d e r c i c h e s t u d i a n o i fenomeni a partire dalla loro complessità, se nel trattare di lui non considerassimo il gran numero di persone di cui seppe circondarsi, spesso di grande valore, alle quali de ve buona par te del le idee e dell’energia profusa per le sue iniziative. Alcune di queste finirono col litigarci e con l’abbandonarlo, p e r p a r te c i p a r e i n s e g u i to d a protagoniste al grande movimento di contestazione del ‘68. Nel seguire l’avventura dolciana ci s’imbatte, difatti, in una fetta consistente della storia d’Italia, quella che però non s ’ i n s e g n a a n co r a n e l l e s c u o l e , espressa dai tanti movimenti di base che propugnavano, attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, un’alternativa radicale ai sistemi politici allora dominanti (capitalista e sovietico). Non è un caso che alcuni tra i mag giori intellettuali italiani e stranieri del secondo dopoguerra aiutassero Dolci in mille modi d i v e r s i : Gu t t u s o , a d e s e m p i o , vendendo quadri; Levi e Capitini dedicandogli libri apologetici; Calamandrei difendendolo in un celebre processo; Vittorini e Silone scrivendo articoli su di lui nei principali rotocalchi; Lecoin e Ma r t i n s p e d e n d o g l i v o l o n t a r i (disertori della guerra d’Algeria); D o g l i o , Fr e e d m a n , Ru s s e l , Mumford, Fromm, Freire, Galtung, Chomski, tenendo corsi di specializzazione nei suoi centri, tutti e innumerevoli altri costituendo “associazioni di amici di Danilo

Dolci”, in Italia e all’estero, con l’obiettivo di sostenerne anche finanziariamente le attività. A ricordare in breve la figura e l’esperienza straordinaria di Dolci e dei suoi collaboratori sorge spesso spontanea una domanda: come mai se ne parla così poco in Italia e soprattutto qui da noi, nell’isola in cui ha vissuto, e nel le scuole, tantissime, che hanno avuto modo di ospitare – tra gli anni ’80 e ’90 - i suoi laboratori maieutici? E’ presto detto. Danilo Dolci è molto più conosciuto oggi all’estero che in Italia perché da noi è rimasto vittima del muro di silenzio erettogli contro dai poteri forti e dalle classi dirigenti siciliane e nazionali, di cui fu scomodo e fiero avversario. Costoro da sempre tentano di cancellarne la memoria e quando non vi riescono, come recentemente in occasione del decennale della morte, si limitano a metterne in risalto pochi aspetti, quelli di mafiologo e di poeta ad esempio, s e p a r a n d o l i d a l l o r o co n te s to “rivoluzionario”, nel l’e vidente tentativo di recuperarli all’industria culturale e svuotarli di contenuto. Ma confidiamo che anche tale manovra fallisca e che una nuova generazione di studenti, di insegnanti, di storici possa al più presto riappropriarsi degli insegnamenti dolciani per proseguire sulla strada da essi indicata.

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anniversari D a n i l o

D o l c i

b o z z a d i m a n i f e s t o - estratti INVITIAMO CIASCUNO, DOVUNQUE POSSIBILE, A - promuovere, soprattutto con i giovani, iniziative in cui ognuno possa esprimersi (tra loro con chi li può aiutare a trovarsi, identificarsi) per riconoscere i propri bisogni concreti; promuovere emancipanti iniziative che rendano possibili valutazioni comparative; - organizzare seminari e corsi affinché si formino, in ogni ambito e a ogni livello, esperti di come possiamo crescere in gruppi che favoriscano la creatività personale e collettiva sostituendo all’autorità unidirezionale strutture di strutture creaturali dall’intimo, sapendo che crescere in/con una struttura comunitaria nelle sue infinite variazioni è necessario, anche se non facile; - trovare i modi per sperimentare, in ogni ambiente e a ogni livello, quali metodologie possano risultare più efficaci affinché ognuno si interroghi: fino a qual punto siamo impediti a costruire civiche strutture comunicanti, e fino quale punto, presi da miopi bisticci, non siamo capaci di concepirle e realizzarle? Il parassitismo non attecchisce più facilmente ove le creature non sanno crescere in sana autonomia? - identificare le aree ove già si sperimentano strutture comunicative, studiarle, e inventare opportune strategie per ampliare confronti e iniziative; - favorire la scoperta dei propri autentici interessi, abbandonando anacronistici ordinamenti e comportamenti inerziali (con quali leve?): mentre l’incoerente fatica disfa le creature, il vero lavoro ne potenzia l’intima natura; - avviare, con popolazioni che oggi si trovano ai margini delle zone ove più immediato è l’urto morbidamente vorticoso dell’industrialismo, processi di autoanalisi attenti a scoprire e valorizzare la propria genuina potenzialità, evitando di riguardare le proprie condizioni nell’ottica del complesso di inferiorità verso modelli estranei, deformanti (apparenti svantaggi possono risultare inestimabili risorse): iniziando dall’analizzare con appositi gruppi, pur di esperti, come possono essere sanate, attraverso specifici interventi, le piaghe della disoccupazione; - provocare analisi, confronti e verifiche su certi eventi emblematici (l’ammassarsi di centinaia di migliaia di fan, ad esempio, negli stadi; la vacuità di vari “successi” ecc.), costruendo al contempo esperienze – ed operando in modi – che educhino ognuno ad organizzarsi, valutare, scegliere, controllare, ed imparare a sperare senza illudersi; - contro la moda che inflaziona svuotando il termine “creatività”, suscitare iniziative specifiche, processi di ricerca-azione-riflessione per identificare quali siano le condizioni per lo sviluppo di strutture che favoriscano il concretamento dell’intelligenza, la creatività personale e di gruppo, compresa la capacità di scegliere, decidere, annunciare, agire: ove è possibile valersi di iniziative esistenti scolastiche, culturali, pacifiste, ecologiche, religiose, sindacali, cooperative, autenticamente politiche?); dove occorre inventare le strutture del rispetto reciproco?; - suscitare autoanalisi coi giovani: come vivono, con quali prospettive, soprattutto negli inurbamenti più fittamente ingabbianti? Quali le cause dei mali? Come disinnescare le diverse forme del dominio? I giovani non vengono forse intossicati da forzature strumentalizzanti ed emarginazioni, prima che dalle droghe? Mentre chi vuole imporsi tende ad aggregare, come può la gente via via apprendere, comunicando, a disinfestarsi da ogni genere di parassitosi? - ovunque la gente senza speranza rischia fuggire dai suoi problemi e dalla sua terra per ammassarsi, sradicata, in omili antieconomici in ogni senso, cercare di promuovere iniziative, anche internazionali e intercontinentali, escludenti rapporti di dominio (lavorare insieme tra diversi è occasione di conoscersi e arricchirsi reciprocamente) per individuare dalla base come valorizzarsi valorizzando al contempo il territorio indigeno e le metodologie più avanzate di ricerca e pianificazione organica, formando via via con gli adeguati organismi i necessari esperti: i governi che socchiudono le frontiere alla gente in fuga dai paesi più poveri, generalmente lo fanno per mantenere basso il salario minimo, a vantaggio dei più ricchi, e per acquistare chi è più disponibile alle prestazioni più ripugnanti – mentre tentano arroccare nei paesi più poveri le industrie transnazionali inquinanti che altrove i più avvertiti rifiutano.

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poesia

L’Haiku è nato in Giappone nel diciassettesimo secolo. E’ un brevissimo componimento poetico formato solo da tre versi che ha caratteristiche molto precise. Nell’Haiku classico i versi sono così formati: Il primo verso contiene cinque sillabe, il secondo sette sillabe, il terzo verso di nuovo cinque sillabe. Deriva dal Tanka, componimento poetico di trentun sillabe. Si scrivevano poesie Tanka già nel IV secolo. Il Tanka è formato da cinque versi : il primo conta cinque sillabe, il secondo sette sillabe, il terzo cinque sillabe, il quarto sette sillabe, il quinto sette sillabe. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l’Haiku. Più giovane degli uta-awase, il suo ritmo scandisce la storia della poesia giapponese.

di Lina Santonocito

5-7-5 Spazi deserti, il vento è arrivato. Muove le dune.

Fumi di ieri, aroma di fiori secchi: mi rinnoverò.

Gaie falene intorno alla luce… è una festa! i versi sono di Lina Santonocito

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Negli haikai il poeta (haijin) coglie in diciassette sillabe un battito di vita dell’universo; egli diviene solo uno strumento e l’oggetto che anima il componimento diviene soggetto. Secondo il saggista francese, Roland Barthes, lo haiku non descrive, ma si limita ad immortalare un’apparizione, a fotografare un attimo. All’origine i contenuti dell’Haiku erano la natura, i sentimenti e le emozioni del poeta nei confronti della natura stessa. Ma oggi si scrivono Haiku il cui contenuto può spaziare ovunque. In questa forma poetica si riflettono tipicamente l’amore della cultura nipponica per il minimalismo. Tra le sue caratteristiche, quindi, la brevità, la leggerezza e l’apparente assenza di emozioni secondo i canoni del buddhismo zen. L’elemento sempre presente negli haikai giapponesi è il kigo, una parola che indica la stagione a cui si riferisce la poesia e che ci fa immergere, almeno in parte, nell’atmosfera descritta nei versi. Come l’alternarsi delle sta gioni, anche queste brevi poesie annoverano temi contrastanti fra loro come il mistero (yugen), la povertà (wabi), l’instabilità (aware) e l’isolamento (sabi). Anche il ritmo recitativo dell’Haiku è importante. Ci sono scrittori moderni, specialmente occidentali, che compongono Haiku con un numero di sillabe maggiore. La tradizione vorrebbe che non si componessero Haiku con una quantità minore di sillabe, ma se il risultato è un’immagine viva, immediata e l’atmosfera creata racchiude l’attimo così come uno sguardo appassionato, è concesso trasgredire. Cimentarsi con gli Haiku significa osservare il mondo con occhio attento. Costringe a liberarsi delle sovrastrutture, delle parole inutili e superflue, di tutti i concetti che contemporaneamente si affollano attorno ad una sensazione. Ci spinge a “guardare” e soprattutto a “cogliere” l’essenza di un evento, la sostanza di una esperienza, il centro di una emozione. Una grande scuola di vita e di riflessione. Fra tutti coloro che hanno scritto Haiku si ricordano: Basho, Buson, Issa, Chiyo, Shiki, Uchida, Kyoshi, Jack Kerouac In Giappone si calcola che più di dieci milioni di persone (circa il 10% della popolazione) si diletta a scrivere Haiku. Gruppi di poeti si riuniscono per parlare di Haiku. Tutte le maggiori riviste e quotidiani giapponesi hanno una rubrica dedicata agli Haiku. In Italia si è costituita nel 1987, a Roma, l’ Associazione Amici dell’ Haiku, presieduta oggi da Giuliano Manacorda, che organizza ogni anno un concorso per il migliore Haiku di autore italiano. “In nessuna lingua è difficile intendersi come nella propria lingua” (Karl Kraus)

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Nicola Torre ricordo di un amico editore e libraio

Se siamo qui a tentare, con questo

I boia in pensione Chi continua ad esercitare è un abusivo, mandiamolo a casa

Sessantanove sono gli stati in cui la pena capitale è ancora in vigore e cinquantuno sono quelli che la praticano regolarmente ancora oggi: sedia elettrica, impiccagione, fucilazione, lapidazione, iniezione letale. Oltre la barbarie, l’inefficacia del metodo come deterrente, il diritto alla vita, lo scopo vendicativo e non rieducativo della pena, sopra ogni altra si impone una riflessione: Lo stato di diritto. E’ stata una conquista di civiltà porre il principio che una norma, una volta accolta dall’ordinamento giuridico, valesse per tutti, a cominciare dalle istituzioni: se in un Paese è vietato uccidere, il primo a dover rispettare tale precetto è lo Stato stesso, diversamente si porrebbe fuori dalle regole democraticamente stabilite e si aprirebbe un pericolosissimo varco a derive autoritarie ed eversive. Non si può, senza ledere tale principio, legittimare uno Stato a sottrarsi a regole che valgono per tutti e tutte, neanche in nome di un malinteso bisogno di “sicurezza sociale” la cui carenza andrebbe piuttosto ricercata ed affrontata nel terreno dal quale nasce e nel quale si sviluppa: l’ingiustizia sociale, la solitudine, la miseria, la negazione dei più elementari diritti umani – L’Europa, in maniera particolare l’Italia, non solo in veste istituzionale ma anche attraverso la preziosa risorsa associazionistica attiva nel settore, si è impegnata, con successo, perché si ponesse il problema all’Assemblea generale dell’ O.N.U., al fine di ottenere la moratoria mondiale della pena di morte. L’iniziativa è stata supportata con grande energia anche da associazioni di tutto il mondo, comprese associazioni degli Stati Uniti dove la pena di morte è sempre più vissuta come un’insopportabile violazione dei diritti della persona, anche perché a “pagare” sono sempre e solo gli “ultimi”: ispanici, neri, poveri, disabili…

di Francesca Spampinato L’Assemblea generale dell’O.N.U., lo scorso 18 dicembre, ha approvato la risoluzione sulla moratoria della pena di morte con 104 voti favorevoli, 54 voti contrari e 29 astenuti. Questa, comunque, la Bella notizia. La Brutta? Quand’anche l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovesse approvare il testo già approvato dalla III Commissione ONU, non sarà vincolante p e r q u e i Pa e s i c h e n o n v o l e s s e r o osservarla (gli Stati Uniti hanno votato contro anche in Commissione). Cosa possiamo fare noi, cittadine e cittadini del mondo, per mandare definitivamente a casa il boia? STATO DI DIRITTO Si afferma nel 1700, con la caduta dei monarchi a ssoluti in Europa che si ritenevano al di sopra delle leggi (“L’état c’est moi!” di Luigi XIV – Re Sole), e sottopone chi governa al rispetto delle stesse regole che tutti i cittadini, non più sudditi, devono rispettare. L’EUROPA E L’UNIONE EUROPEA Negli ultimi 60 anni è iniziato il percorso d e l l a c o s t r u z i o n e d i u n’ E u r o p a , inizialmente economica, poi politica. A partire da questa “esigenza” il dibattito si è acceso, anche se limitato ad alcune fasce politiche e sociali, sulle comuni radici culturali europee. Non era facile, come ancora oggi non è, capire come e dove le si possa individuare tra popoli con storie, tradizioni e, soprattutto, lingue diverse. Un d e n o m i n a t o r e c o m u n e , p e r ò , sicuramente è stato il rifiuto della pena di morte, come anche della tortura, patrimonio di civiltà condiviso già dalla tradizione ottocentesca di Cesare Beccaria. 1763

strumento, di esprimere una, molte voci, tanti pensieri, infiniti sogni per un altro mondo possibile, lo è anche grazie agli incoraggiamenti, alle esperienze acquisite e generosamente messe a disposizione da Nicola Torre che, pur non potendo già collaborare in prima persona, ci ha sempre incoraggiato ad a n d a r e a v a n t i , a v v e r te n d o f o r te l’esigenza di un giornalismo libero ed indipendente, fuori da gli scontri ideologici e dai personalismi. Ha creduto in un giornale per gli studenti e i giovani che, basato sulla diversità dei suoi collaboratori, potesse risultare un arricchimento costante per noi, ma anche un’opportunità per le ragazze e i ragazzi - troppo spesso anestetizzati da realtà virtuali - di affacciarsi in un mondo nel quale lui ha vissuto intensamente e con grande passione, che ha conosciuto e amato nelle sue contraddizioni e meraviglie, cercando sempre di andare oltre. Lo scorso 8 dicembre ci ha lasciato, ma non lo abbiamo perduto perché ognuno di noi porta dentro di sé un frammento della sua straordinaria vita che sentiamo di offrire ai nostri compagni di viaggio. Ti abbracciamo forte. Grazie Nicola.

Ai miei cari Le cose che amo Hanno la misura de"’essenza De"’aria che entra nel petto Ne"a notte dolce che muta in mattino Del vostro viso che mi sorride De"e parole che si possono pronunciare Le persone che amo hanno il sapore de"’anima di ciò che si può sempre riparare dei confini sfumati dal tempo del sonno che si trasforma in veglia ciò che amo è ne"a terra che percorrerò nel futuro ne"’humus dei sogni nel cuore dei desideri è nel grido felice del falco che semplicemente vola

Anna Torre

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mondo L’antico gioco delle parole

I n d o v i n e l l i s i c i l i a n i 12

di Elvira Assenza

Centri di PermanenzaTemporanea eAssistenza

CPTA: vera accoglienza? d i L e d a Ac q u a s a n a …questo Centro è un Centro di accoglienza e permanenza. Strana idea di accoglienza, un’accoglienza che obbliga

Sopra n munti c’è Filippo Abbanti. bba'a ccu n’anca e lu ccappèddu n *unti. Sopra un monte c’è Filippo Abbante, balla con un piede e il cappello in fronte. [Il fungo]

a permanere. Strana idea di accoglienza, ancor più strana, perché obbliga a permanere e toglie i diritti… …accoglie, la Le#e accoglie e fa diventare diversi, accoglie ne'a diversità, fa rimanere, permanere ne'a diversità, a differenza degli altri, infatti, que'i che vengono accolti da questa Le#e non hanno diritto a essere liberi… Il diritto a'a differenza è l’unico che la Le#e rispetti, anzi, no, non lo rispetta, lo instaura, e stabilisce lei, la Le#e, chi è diverso e come deve essere accolto ne'a sua diversità. [da “Autobiografie Negate. Immigrati nei lager del presente”, Federica Sossi]

Passai ri na putìa: cchi cciàuru ca sintìa! Mi vutài e mi #iràai, carzaratu mi truvai. Passai davanti a una bottega: che odore che sentivo! Mi voltai e mi girai, carcerato mi ritrovai. [Il topo e la trappola] Piatti supra piatti, minestra minutidda, n’uòmminu curnutu e na fimmina birulidda. Piatti sopra piatti, minestra minuta, un uomo cornuto e una donna graziosa. [Il cielo; nuvole, stelle, sole e luna] A ucca canta e u culu accumpagna La bocca canta (raglia) e il posteriore segue. [L’asino]

N ei tempi passati, quando ancora non c’era la televisione, uno dei

passatempi per trascorrere qualche ora di riposo in allegria era costituito dal sottoporre a parenti e amici domande, quesiti o indovinelli da risolvere. Era un’attività scherzosa e divertente frutto di immaginazione e fantasia, influenzata sia dalla saggezza popolare che da una vena maliziosa priva di volgarità. Questo è evidente nella tradizione degli indovinelli siciliani, ma se anche alcune frasi o situazioni sembrano “osè”, la soluzione spesso è del tutto estranea all’allusione piccante e anzi la malizia sta tutta in chi ascolta. Gli indovinelli del passato sono in versi e in dialetto. Descrivono situazioni o para gonano og getti e cose che appartengono a un mondo che non esiste più, se non come memoria. Ecco allora che vengono fantasiosamente descritti fr utti (melograno, fichi d’india), animali (la capra, l’asino) e lavori tradizionali (carrettiere, ferraru) che difficilmente oggi descriveremmo allo stesso modo. Piante e animali sono addirittura chiamati con nome e cognome (il fungo Filippo Abbanti). Ma l’enigma conserva il suo fascino ed è difficile non cedere alla tentazione di trovare la risposta. Gli indovinelli sono un’esca formidabile per accendere la nostra curiosità. Anche ora che, televisione a parte, abbiamo mille altri svaghi. Indovinelli tratti da: Quattrocento indovine'i siciliani di Carmelo Assenza, Thomson Ed., 1998

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utto ha inizio nel 1998, quando la legge Turco-Napolitano istituisce in Italia il sistema dei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza. Si prevede il “trattenimento in centri di permanenza temporanea e assistenza di stranieri sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento con accompagnamento coattivo a'a *ontiera non immediatamente eseguibile”. Viene ribadita già da allora l’estraneità delle strutture al circuito penitenziario, nonché la conformità del trattenimento in essi condotto sia alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che all’omogeneità della misura alle normative previste negli altri ordinamenti europei. In questo modo, tutti gli stranieri approdati nel nostro paese e finiti all’interno di un centro di permanenza hanno ottenuto lo status di trattenuti o ospiti, e non di detenuti. La mancanza del permesso di soggiorno, documento indispensabile per una loro regolare permanenza, comporta com’è noto un illecito amministrativo: lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, non può per questo motivo essere recluso in una casa circondariale (pena prevista per i reati). Ma ecco che entra in gioco la figura del prefetto espellente, che può trattenere una persona in un centro qualora rilevi “sulla base di circostanze obiettive il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento”. Ma andiamo oltre. Nel 2002, con l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini viene nuovamente modificato il sistema delle espulsioni e del conseguente trattenimento degli stranieri in questi centri, trattenimento che ha rappresentato una vera novità nell’ordinamento italiano, essendo una procedura strettamente connessa alla disciplina delle espulsioni e delle relative modalità di esecuzione di queste ultime, nonché alla regolamentazione dei flussi migratori: con l a B o s s i - Fi n i , l e e s p u l s i o n i t r a m i te accompa gnamento immediato alla frontiera, da evento eccezionale diventano una regola. Risultando però materialmente impossibile eseguire tutte le espulsioni in maniera immediata, per mancate identificazioni degli stranieri o per indisponibilità degli stessi vettori, la soluzione sempre più spesso adottata è stata quel la del trattenimento degli immigrati presso i CPTA: anche questa è così divenuta una regola costante della nuova politica per l’immigrazione. Rifacciamo il punto della situazione. Quando per lo Stato diviene impossibile rimpatriare un immigrato giunto in Italia, questo viene in un primo momento trattenuto per sessanta giorni in un centro di permanenza temporanea, successivamente obbligato a lasciare il paese entro cinque giorni. Obbligo che di fatto non potrà mai essere adempiuto, vista la mancanza per un clandestino di documenti e di mezzi economici necessari. Lo straniero andrà allora incontro alle severe pene previste dalla legge, scontando in questo modo un reato di clandestinità. Nei centri sono stati trattenuti anche i richiedenti asilo. Per chi ha chiesto in Italia lo status di rifugiato politico, vi è stato il trattenimento in un centro di accoglienza,

procedura che ha rappresentato una vera e propria violazione dei diritti dei richiedenti asilo, assimilati completamente ai clandestini. Ad essere trattenuti sono stati anche i minori non accompagnati. Con il trattenimento all’interno di un centro di permanenza temporanea molti stranieri sono stati privati della libertà personale, quella libertà costituzionalmente garantita, senza aver commesso alcun reato, a meno di non considerare tale anche il semplice fatto di essere stranieri. Vi è stata un’ovvia compressione dei diritti di difesa, e la “detenzione amministrativa” nei confronti degli stranieri è diventata una forma di segregazione legata alla condizione stessa dei migranti. L’istituzione dei CPT ha sollevato quindi numerosi dubbi circa un loro preoccupante profilo di incostituzionalità. La loro esistenza è apparsa in netto contrasto con i più basilari principi etici di qualunque società, con gli elementi giuridici fondanti il nostro ordinamento e la nostra Costituzione. Vi è stata una violazione dei principi dello Stato di Diritto e una negazione dei diritti umani e civili sanciti dalla Costituzione per cittadini e stranieri. Detto ciò, devo purtroppo prendere atto che ad oggi nulla è cambiato, ne sembrano felici le novità ultime in campo. L’anno appena trascorso ha però visto, tra polemiche e accuse in campo politico, la messa in atto di un Disegno di Legge Delega sull’immigrazione, la cosiddetta L egge Amato Ferrero. Ciò che appare immediatamente evidente dai contenuti, ancora in discussione, è la mancata rottura con quella politica migratoria repressiva che tanto ha caratterizzato le leggi precedenti. Nello specifico, per quanto riguarda i CPTA, è stato previsto il loro superamento (non la chiusura immediata), allo scopo di assicurare l’identificazione degli stranieri ed il loro rimpatrio, tramite una nuova articolazione e moltiplicazione delle strutture detentive: “centri per l’esecuzione dell’espulsione” a carattere detentivo per coloro i quali si sottra g gono all’identificazione, e “strutture di accoglienza” per irregolari in condizioni di bisogno. Fermo restando la stessa logica di base, nessuna nuova legge sarà mai in grado di far cambiare l’attuale stato delle cose, dare la vera accoglienza ed assistenza ai migranti, ridare loro la speranza.

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l’arcobaleno

in parlamento Per sistema elettorale si intende quel complesso di norme che regolamentano l e e l e z i o n i i n t u t te l e s u e f a s i , a cominciare dalla presentazione delle candidature. Quindi il sistema elettorale, una volta scelto, trasforma i voti espressi dagli elettori in se#i. I sistemi elettorali di base sono il sistema maggioritario ed il sistema proporzionale,

collegio che viene invece deciso dalle segreterie dei partiti.

SITEMA ELETTORALE SPAGNOLO

IL SISTEMA PROPORZIONALE Il sistema proporzionale non prevede collegi uninominali, ma la possibilità di presentare più candidati per ogni lista nell’ambito di ciascuna circoscrizione territoriale e la possibilità di assegnare i seggi in proporzione ai voti ottenuti. Se

Il sistema elettorale spagnolo è un sistema proporzionale. Il territorio nazionale è diviso in tante piccole circoscrizioni, in ciascuna delle quali viene eletto un numero generalmente basso di rappresentanti (in media 7).

Sistemi elettorali, le regole di gioco della democrazia rappresentativa

Francese, Spagnolo, Tedesco o… Italiano? di Beppe Spampinato che possono combinarsi in diversi modi e dare luogo a numerose possibilità di sistemi misti. IL SISTEMA MAGGIORITARIO Il sistema maggioritario tende a premiare il partito o la coalizione di forze politiche che ottiene più voti e prevede, normalmente, tanti co'egi uninominali quanti sono i rappresentanti da eleggere. Questo sistema può essere a turno unico (sistema adottato in Italia per le elezioni politiche dal 1993 al 2001), con il quale viene eletto in ciascun collegio il candidato che ottiene più voti in assoluto; oppure può essere a doppio turno, nel qual caso viene eletto, al primo turno, il candidato che ottenesse la maggioranza assoluta dei voti (50% + 1). Nel caso in cui nessuno dei candidati ottenga il quorum richiesto, si procede ad un secondo turno detto “ballottaggio”, cioè si torna a votare scegliendo non più fra tutti i candidati, ma solo fra i due che hanno ottenuto più voti. In alcuni paesi è previsto che possano partecipare al ballottaggio non i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti, ma tutti quelli che abbiano superato una percentuale di voti stabilita (per es. il 15%). In entrambi i casi – turno unico o doppio turnorisulterà eletto il candidato che avrà ottenuto più voti. Con il sistema maggioritario i partiti, per ottenere almeno un voto più degli altri, formano delle coalizioni, cioè si presentano insieme ad altri partiti per realizzare uno schieramento più ampio e quindi occupare un maggior numero di seggi. Questo meccanismo è riconosciuto da alcuni come aspetto positivo, sia perché garantirebbe ma g giormente la governabilità favorendo i partiti-coalizioni maggiori, sia perché rende più agevole la realizzazione del bipolarismo. Gli aspetti negativi di tale sistema rimangono sia la penalizzazione dei partiti più piccoli, sia la negazione agli elettori della possibilità di scegliere il candidato da presentare al

per esempio in una circoscrizione 500 elettori dovessero eleggere 5 parlamentari appartenenti a 3 partiti X, Y e Z e questi ottenessero i seguenti voti: X 300, Y 200, Z 100, verrebbero eletti i 3 più votati del partito X, i 2 più votati del partito Y, ed 1, il più votato, del partito Z. Questo sistema elettorale garantisce la presenza, in proporzione alle preferenze espresse, di rappresentanti anche delle minoranze; di contro, da alcuni viene guardato con sospetto perché determina un eccessivo frazionamento del quadro politico che rende più instabili i governi.

SISTEMA ELETTORALE FRANCESE Il sistema elettorale francese è un sistema maggioritario a doppio turno eventuale. Al primo turno viene eletto il candidato che riesce ad ottenere il 50% + 1 dei voti. Se nessuno ottiene tale quor um si procede ad un secondo turno al quale partecipano i candidati che, al primo turno, hanno ottenuto almeno il 12,5 % dei voti degli aventi diritto (normalmente il 20% dei voti validamente espressi) risultando eletto il candidato che ottiene la maggioranza dei voti.

All’interno della singola circoscrizione esiste uno sbarramento del 3% (i seggi vengono ripartiti solo tra le liste che raggiungono tale soglia). Anche in Spagna le liste sono “bloccate”, cioè si può votare la lista ma non il singolo candidato, anche se il numero basso di candidati garantisce un rapporto vero tra questi e il territorio. SISTEMA ELETTORALE TEDESCO

Il sistema elettorale tedesco è un sistema misto, cioè il 50% dei seg gi viene assegnato sulla base di co'egi uninominali a turno unico (viene eletto il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti) e la restante metà dei seggi viene attribuito con il sistema proporzionale. I seggi vengono però assegnati solo alle liste che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti (sbarramento al 5%). Le liste presentate sono definite “bloccate” in quanto l’elettore può esprimere solo un voto di lista, ma non quello di preferenza, e i candidati vengono eletti, dopo la definizione dei seggi spettanti ad ogni lista, in ragione della loro posizione all’interno della lista.

COLLEGI UNINOMINALI Per collegio uninominale si intende l’ambito territoriale nel quale ogni partito o coalizione di partiti presenta un unico candidato e nel quale viene eletto un solo rappresentante. ELEZIONI POLITICHE Si chiamano così le votazioni alle quali tutte le cittadine e i cittadini sono chiamati (ogni 5 anni) ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento: 630 deputati e 315 senatori. QUORUM Percentuale di voti necessari per essere eletti GOVERNABILITA’ Possibilità per il governo di rimanere in carica per tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, e attuare il programma politico sul quale ha chiesto e ottenuto la fiducia dalle Camere BIPOLARISMO Situazione per cui, nell’ambito di uno Stato con diversi partiti, si tende a farli convergere in due blocchi contrapposti. SEGGI Posti che i partiti o gli schieramenti ottengono in Parlamento (o anche nelle altre assemblee elettive), in seguito a elezioni.

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in parlamento

Da una lacrima sul viso ho capito molte cose: era il 1964 e Bobby Solo, allora

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C o s t i t u z i o n e . In p r a t i c a l a Costituzione, pur riconoscendo esclusivamente al popolo il potere sovrano, prevede che la democrazia, anziché essere espressione continua e diretta della volontà dei cittadini, ne sia un’espressione periodica e rappresentativa. Le elezioni, dal verbo latino eligere, scegliere, c o s t i t u i r e b b e r o l o s t r u m e n to attraverso cui il popolo, troppo numeroso, troppo incompetente, troppo occupato, delega il proprio potere ad un gruppo selezionato di cittadini, dotato di particolari caratteristiche. Non mi sembra, però, che queste caratteristiche siano l’onestà, il disinteresse, l’altruismo, la scienza, la diligenza, l’umiltà, lo spirito di ser vizio. Nessuno, mi pare, è disposto ad affermare che i nostri (e gli altrui) politici sono al servizio del popolo e ne fanno gli interessi, che nel gestire la res publica si impoveriscono, che danno spazio agli onesti e capaci invece che ad amici e parenti.

Ma la televisione, i reattori nucleari, la conquista della luna, il computer, il DNA, internet, la microchirurgia, la tecnologia digitale e milioni di altre cose, non erano forse un’utopia solo pochi decenni addietro? Ed il padre padrone, le donne sottomesse, l’educazione violenta, la sistematica discriminazione sessuale, non erano forse la normalità?

cantante emergente, provava in questa canzone a spiegare cause ed effetti di una lacrima. Effetti potentissimi, se è vero che poche lacrimucce sono bastate ad Hillar y Clinton per ribaltare a proprio favore il risultato elettorale nello stato del New Hampshire, dove era sicuramente dato per vincente il suo Se l’uomo è la misura di tutte le cose, concorrente Barak Obama. Questa non si comprende come possa essere un storiella, oltre che singolare, è molto gigante in tutte le manifestazioni del istruttiva, perché spiega parecchie cose pensiero, della scienza e della s u l s i s te m a d i e s p r e s s i o n e d e l l a tecnologia e rimanere un pigmeo, sovranità popolare negli Stati Uniti guarda caso, solo nella sua capacità di d’America, la più grande potenza organizzarsi in società. mondiale, nonché esempio ricorrente Immaginiamo di saltare all’indietro di indiscussa ed indiscutibile democrazia rappresentativa. Chi di un secolo: siamo quasi tutti governerà il mondo, a partire dal contadini, viviamo in una stanza, non abbiamo acqua corrente ed novembre del 2008, non sarà chi è più elettricità, non mangiamo mai saggio, più intelligente, più esperto, più carne, lavoriamo una dozzina d’ore onesto e così via, ma solo chi sarà riuscito, con qualunque mezzo e al giorno, ci muoviamo poco e a impiegando enormi risorse piedi, abbiamo un solo vestito, siamo magri, bassi, siamo analfabeti, economiche, a convincere al voto il viviamo poco… Tutto è diverso dalla signor Smith, probabilmente meno nostra vita odierna: tranne il sistema competente ed interessato alla politica di quanto non lo sia il di rappresentanza politica! nostro signor Rossi. Qualcuno potrà sostenere In a l t r e p a r o l e , i Democrazia diretta la conservazione di prossimi scenari del Sistema orizzontale di relazioni politiche in cui le decisioni che questo e mondo intero, e quindi vengono prese collettivamente attraverso assemblee tenute s o c i a l erelitto politico d i p e n d e anche le nostre vite, nell’ambito in cui si opera: lavoro, scuola, quartiere, ecc. Chi dall’impossibilità pratica dipenderanno in buona i c o n s ultare misura, oltre che dalla assume una decisione è coinvolto nel problema e ne ha conoscenza d d i r e t t a m ente tutti i q u a n t i t à d i s o l d i diretta. Per decidere in ambiti più ampi ci si organizza mediante cittadini. E’ falso. Oggi è u t i l i z z a t a , d a u n a delegati, che esprimono la volontà dell’organismo delegante. Tali possibile conoscere la battuta azzeccata o da delegati, a differenza dei politici di mestiere, sono temporanei e v o l o n t à d e i c i t t a d i n i una gaffe, da un look addirittura, come si dice, revocabili in qualsiasi momento. piacevole o trasandato, in tempo r e a l e. da una parola di meno o Tecnicamente potrebbero di troppo, da un sorriso essere realizzati sistemi molto più Tutti predicano che i politici sono o da una lacrimuccia del candidato sicuri di una scheda, utilizzabili vincente. E si aggiunga il fatto che il tutti uguali, sbraitano ed inveiscono, sempre, dappertutto e a costi prossimo presidente degli Stati Uniti gridando al ladro ed al prepotente… risibili. sarà in ogni caso l’espressione di una ma, alla prima occasione, ritornano a netta minoranza: nel 2004 Bush è stato Ma a questo non si pensa. Destra e votare! E si giustificano dicendo che eletto con poco più di 62 milioni di voti sinistra sono occupate a scegliere, non c’è rimedio, che tanto il mondo su circa 300 milioni di abitanti. ancora una volta, un sistema è sempre andato così e così E in Italia? La Costituzione afferma elettorale che, ovviamente sarà il continuerà ad andare, che la solennemente, all’art. 1, secondo migliore possibile, in grado di democrazia diretta non è comma, che La sovranità assicurare finalmente stabilità dei appartiene al popolo aggiungendo, praticabile, che un’organizzazione governi e rappresentanza popolare. subito dopo, che la esercita nelle sociale orizzontale, senza capi e E gli utopisti sarebbero i sostenitori forme e nei limiti della della democrazia diretta? capetti è un’utopia.

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economia Facciamo un breve riassunto di cosa

banche ci concedono per acquistare le nostre case. Per la banca il mutuo è una forma di guadagno, grazie

r iabil a v o s e s ? a t

a gli interessi pagati dai clienti, ma nel contempo è un rischio, se il cliente non riesce a pagare le somme dovute. Gli interessi sono il prezzo del mutuo o del prestito. Viene concordato tra la banca e il cliente un piano di pagamento, normalmente a rate, per la restituzione della somma prestata

banca dimostrando di stare per acquistare un bene immobile di valore superiore alla somma che si chiede in prestito. La banca verifica la regolarità dell’acquisto e concede il prestito garantendosi sull’iscrizione dell’ipoteca sulla casa. Come scegliere il mutuo?

impossibile sostenere. Quali le novità per venire incontro al le esigenze di questi soggetti? S i a l’ABI (Associazione Banche Italiane) sia il governo con la Finanziaria 2008 sono intervenuti nel tentativo di arginare la grave situazione che si è c r e a t a . L’ A B I , c o n u n a raccomandazione rivolta alle banche, ha dato delle indicazioni, che dovrebbero corrispondere agli interessi dei clienti, suggerendo la possibilità di rinegoziare il mutuo senza costi per il consumatore, poiché le spese notarili dovrebbero essere a carico della banca che subentra, ed inoltre tutta la procedura per modificare le condizioni del mutuo, le rate e anche la banca e r o g a n te d o v r e b b e e s s e r e p i ù semplice e veloce. Anche nella finanziaria vi sono tante novità sul fronte dei mutui: arrivano infatti aiuti alle famiglie in difficoltà con i pa gamenti, con l’istituzione di un fondo

La regola p i ù i m p o r t a n te non è quella di valutare solo il tasso d’interesse, ma prendere il considerazione anche altri fattori che sono: la stabilità più o meno del reddito ed anche l’organizzazione personale: con il tasso fisso si può sapere e programmare con certezza quello che si potrà pagare per ogni rata e per tutta la durata del mutuo; tuttavia sarà più elevato il compenso richiesto dalla banca ed inoltre se i tassi scendono non sarà stato un buon affare. Se si sceglie il tasso variabile la rata varia con il trascorrere del tempo essendo collegato ad un indice variabile che prende il nome di EURIBOR al quale viene aggiunto anche un ulteriore percentuale chiamata SPREAD. Se  si sceglie il tasso strutturato, dopo un periodo a tasso fisso (24 m e s i ) v i e n e d a t a a l c l i e n te l a possibilità di scegliere tra tasso fisso e tasso variabile.  Il rialzo record dell’ EURIBOR

di solidarietà per i mutui che si riferiscono alla prima casa. Vengono eliminati le penali per l’estinzione anticipata dei mutui e da ultimo è stata recepita anche la raccomandazione dell’ABI, mettendo nero su bianco la cosiddetta “portabilità dei mutui”, cioè la possibilità di trasferire il proprio mutuo da una banca ad u n’ a l t r a c h e o f f r e m i g l i o r i condizioni, escludendo per il cliente penali o oneri di qualsiasi natura in caso di surrogazione. E’ la banca surrogante (che subentra) che si fa carico di tutte le spese e dell’espletamento della procedura per il trasferimento del mutuo. Se la Finanziaria in corso di votazione verrà approvata questi tre punti che abbiamo sopra elencato non sono certamente una svolta ma un piccolo p a s s o a v a n t i n e i co n f r o n t i d i soggetti più deboli che hanno per decenni subito le vessazioni del sistema bancario.

a s s o fi s t , i s tu

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ha portato alla crisi dei mutui negli Stati Uniti e quindi nei mercati mondiali proiettando il problema anche in Italia. Negli USA si è diffusa l’abitudine a concedere mutui per l’acquisto d’immobili anche  a  soggetti ad alto rischio, ovvero persone che non potevano dare garanzie di restituire con regolarità il denaro. Proprio perché erano ad alto rischio i tassi d’interessi del mutuo, per questo tipo di “prestito”, erano mantenuti molto alti. Po i è accaduto l’inevitabile, la gente ha cominciato a non riuscire a pagare,

negli ultimi anni, ha comportato per molte famiglie italiane indebitate a tasso variabile un aggravio sulle rate del mutuo che per molti è diventato

La crisi dei mutui negli USA

di Elsa Campanella

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più gli interessi. Come si ottiene un mutuo? Il mutuo si ottiene andando in

Il

problema d e i

bloccando di fatto il rientro dei soldi. Ma che cosa sta dietro il mutuo e alla banca che lo eroga? In realtà, la banca che eroga il mutuo non ha sempre la liquidità (i soldi) per fare quel prestito ed allora lo “cartolarizza”, si inventa cioè dei prodotti finanziari da vendere a investitori che hanno soldi. Per invogliare all’acquisto di questi prodotti si promettono agli acquirenti tassi di resa molto alti perché sostenuti da mutui ad alto rischio e con tassi a loro volta molto alti. Si costruisce così una speculazione nei mercati finanziari a danno dei soggetti economicamente più deboli ed inoltre su un bene che è la casa che dovrebbe essere considerato un diritto. L’impossibilità di questi soggetti ad alto rischio (in altre parole prive di lavoro stabile, reddito stabile, o precari) di restituire i prestiti crea un effetto “domino” dalle banche, agli investitori delle banche, ai mercati finanziari mondiali, alle borse mondiali. Questi squilibri hanno portato ad un rialzo dei tassi e ciò ha provocato una grave crisi in molte famiglie che hanno acquistato la casa, soprattutto tra coloro che negli ultimi tre anni hanno stipulato un mutuo a tasso variabile. Ma cosa è il mutuo? Il mutuo secondo il codice civile è il contratto col quale una parte (la banca) consegna all’altra (colui che ha bisogno di soldi) un determinata quantità di denaro e quest’ultima si obbliga a restituirla di solito pagando degli interessi. Il mutuo  è un termine giuridico per tutte le forme che noi chiamiamo “prestito”. Nei casi più comuni il mutuo è il prestito che le

EURIBOR è il tasso di riferimento per il calcolo del tasso variabile , si tratta dei tassi applicati alle banche europee tra di loro per lo scambio di denaro, pubblicato dalla BCE (banca centrale europea). Ogni giorno, alle ore 11.00 la BCE comunica qual è il tasso medio utilizzato tra le banche europee per la compravendita di denaro tra le stesse Esempio: Se l’EURIBOR è del 4% e l’interesse che noi paghiamo alla banca per il mutuo è del 7 % la differenza prende il nome di SPREAD (il guadagno effettivo della banca)

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ambiente D a molti in Italia - cittadini e strutture istituzionali nazionali e locali – la gestione dei Rifiuti viene trattata come un se fosse un dramma sociale. E’ proprio così? No! Certo, la percezione dipende dal modo di come si opera nelle varie aree territoriali. Nel nostro paese e su scala globale ci sono molte differenze. Le radici sono complessivamente comuni. Il modello di gestione potrebbe essere un’opportunità per tutti i cittadini e per l’ambito sociale complessivo. Ba sterebbe riflettere in maniera adeguata ed attuare in modo determinante alcuni indirizzi operativi di tipo alternativo. E’ molto importante che questo venga fatto in tempi rapidi. A maggior ragione in questa precisa fase storica caratterizzata da continui e pressanti allarmi sullo stato di salute del la nostra Terra. Mo l t e nuove sensibilità e nuove specifiche ricerche si stanno attivando sul piano planetario per individuare una diversa scaletta d’uso delle risorse naturali, dei modelli gestionali e comportamentali dei governi e dei cittadini. L’effetto serra si incrementa a dismisura, crescono le temperature, scompaiono molte biodiversità e specie animali,…..si sciolgono i ghiaccia perenni, si impoveriscono sempre più le preziose falde acquifere. Serve fare presto, molto presto, incentivando al massimo tutte le tecniche e le modalità che non producano, per oggi e domani, nefasti effetti collaterali. La gestione dei Rifiuti ricade in questo contesto. L’obiettivo essenziale è: “rifiuti zero”. Il p r o c e s s o p a r te a “ m o n te ” , d a l l e molteplici fonti di produzione che caratterizzano la vita quotidiana di tutti. Poi, c’è la “valle”, costituita dagli organi preposti alla gestione pubblica a dai cittadini. I Loro atti decisionali e i comportamenti sono una componente fondamentale della filiera di produzione e gestione dei rifiuti. Tutti ormai, almeno nelle nostre aree occidentali “abbondanti”, siamo stati abituati al consumismo molte volte inutile, e allo spreco più sfacciato…. almeno sui tanti che su scala planetaria hanno ancora bisogno delle più elementari necessità per la sopravvivenza. Da qui già si amplifica a dismisura la necessità dei sistemi di smaltimento dei rifiuti, in diretta connessione con le enormi e variegate quantità prodotte. La questione non riguarda tanto e soltanto la parte finale della filiera, costituita da noi cittadini, e la produzione casalinga che chiusa in busta viene buttata nei contenitori. La dinamica inizia dai processi primari dei prodotti immessi nei mercati. Per non parlare delle innumerevoli e nocive scorie tossiche di tanti incontrollati prodotti chimici e derivati (…meno male che in Italia non abbiamo quelli prodotti dai sistemi nucleari) che, oltre ad avere un lunghissimo periodo di “mantenimento” degli effetti nocivi, sono ormai ben presenti in tutti i prodotti di largo e

comune consumo. I rifiuti prodotti dalle catene industriali, comprese quelle dell’alimentazione, più quelli apportati dai tanti compar ti del sistema – prevalentemente inquinati rappresentano la parte preponderante dei volumi complessivi. Se ne parla poco, ma così è! Sull’uso corrente di produzione di rifiuti basti pensare solo a i c o n te n i to r i d e l l ’ a c q u a i n u s o cosiddetto potabile. In Italia c’è il più alto consumo europeo di acque imbottigliate. Annualmente vengono consumate parecchi miliardi di bottiglie di plastica che vengono trasportate in maniera forsennata, “salgono e scendono” la nostra penisola…..e poi buttate dopo l’uso. Quanti beni di continuo uso comune sono fatti di m a te r i a l e r e s i s te n te e d u r a t u r o ? Tantissimi. Di fatto non esiste il

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di Domenico Stimolo alimentari, fogliame e rimanenze di potature (umido), carta, imballaggi vari, vetro, plastiche, lattine legno, elettrodomestici, parti elettriche o elettroniche, lampade, farmaci, batterie, e tanto altro ancora. Dai residui dell’umido si ottiene il compost, può essere utilizzato come fertilizzante nelle coltivazioni agricole o, per lavorazioni di seconda scelta, come sottofondo stradale drenante. Dai recuperi differenziati del secco si è ormai in grado di produrre moltissimi oggetti: riuso delle cose in vetro, carta per tutti gli usi (…quanti alberi non tagliati), quaderni, libri, cartelle per la scuola, scarpe, indumenti, mobili, sedie, bus ed automobili, panchine, e tantissime altre c o s e a n c o r a . In o l t r e , g l i s c a r t i alimentari, specie quelli prodotti giornalmente dalle grandi catene di consumo collettivo, invece di essere buttati, potrebbero essere riutilizzati, prima del deterioramento, sostenendo le tante persone che anche in It a l i a v i v o n o i n condizioni di povertà. Ne potrebbero beneficiare anche i cani e gatti randagi o ricoverati nei canili. Sì! La raccolta differenziata può e deve essere fatta. Si recuperano enormi risorse, si abbatte l’inquinamento del te r r i to r i o … . a p a r t i r e d a l l e f a l d e acquifere e dalle coltivazioni agricole, si protegge la salute, si salvaguardano gli ambienti urbani. In parecchie aree nazionali e in molti ambiti internazionali sono stati raggiunti ottimi risultati, con punte che toccano anche l’80% del totale dei rifiuti prodotti.. Il resto, molto poco, va nelle discariche. Si abbassano, di molto, i costi di gestione complessivi, e quindi, i valori economici delle tariffe pagate dai cittadini. Questa efficace e necessaria dinamica di trattamento dei rifiuti dimostra che gli inceneritori o termovalorizzatori non hanno motivo di esistere. Si risparmiano enormi risorse economiche, si salvaguarda la salute minacciata dalle nanoparticelle espulse nell’aria dai cicli dell’incenerimento. La nostra area territoriale catanese, la Sicilia e il Meridione in generale, per strutturale insipienza e negligenza delle classi dirigenti, purtroppo è molto indietro. Dove la cultura della differenziata, del riciclo e riuso è inesistente… vince… così si vorrebbe... il venefico modello dell’incenerimento. Il modello della gestione alternativa dei rifiuti è stato trattato a Catania giorno 1 dicembre dello scorso anno, con una lezione magistrale tenuta dal prof. statunitense Paul Connet, presso l’aula ma gna dell’ex monastero dei Benedettini ( oggi adibito a facoltà universitarie) davanti ad oltre 800 persone, di cui oltre 500 studenti provenienti da molte scuole superiori di Catania. Grande attenzione ed entusiasmo partecipativo per contribuire a un reale e concreto cambiamento. Ne abbiamo proprio bisogno.

Rifiuti una gestione alternativa è possibile

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metodo del “vuoto a rendere”. Lungo…. la catena prevale sempre il metodo dell’usa e getta. Lo stesso vale per gli imballaggi…tantissimi, vari, colorati, ingombranti ed “allettanti” all’occhio. Poi le buste di plastica tanto in uso in tutti i punti di vendita, a partire dai super ed iper mercati: decine e decine di miliardi di contenitori di plastica annualmente utilizzati nel nostro paese; nella stragrande maggioranza dei casi rigorosamente non biodegradabili…che poi insozzano per millenni terre e mari. Gli esempi sarebbero ancora tantissimi. Un dato fondamentale è certo. La quantità di generazione dei rifiuti, dati i modi utilizzati viene già largamente alimentata alle fonti di produzione, prima dell’utilizzo quotidiano. Si tratta in molti casi di prodotti molto nocivi sul piano ambientale e sanitario. Nella cultura della “convenienza” all’uso di questi o di quelli, oltre al valore prezzo economico bisognerebbe inserire in maniera determinante il costo sociale, ambientale e sulla salute umana. Se si cominciassero a quantificare questi valori, traducendoli tutto in leggi ed indirizzi di comportamento vincolanti, si modificherebbero di conseguenza le condotte industriali che sarebbero i n d o t te o co s t r e t te a d a s s u m e r e atteg giamento molto più eco compatibili. Dopo che i prodotti sono stati utilizzati o consumati dovrebbe essere applicata la seconda parte della filiera, una “scienza” di fatto: la differenziazione degli scarti e dei rifiuti, il riciclaggio, il riuso. Contrariamente alla “cultura” dell’uso e getta inculcata da anni dalle catene delle produzioni nei rifiuti si ritrovano vere e proprie miniere di ricchezze, materiali secchi o umidi che trattati in maniera idonea possono essere rimessi nella catena dell’utilizzo quotidiano dei cittadini, in modo diretto, trasformato o opportunamente trattato: residui

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