Anno II, n. 1
febbraio - marzo 2009
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2 euro
I
mmaginiamo di comprare, mettiamo a quattro euro, un mazzo di carte siciliane. Sono 40 carte. Ci possiamo giocare a scopa, a scopone, a tressette o a briscola, possiamo inventarci e provare qualunque gioco: alla fine restano sempre e solo 40 carte. Poi ci viene in mente un’idea: stampiamo 40 biglietti, ciascuno recante la dicitura “vale una carta”. Subito dopo ce ne viene un’altra: questi biglietti li mettiamo in vendita. E così abbiamo emesso il nostro titolo, si chiama “Carte Siciliane”, ed il suo valore effettivo è uguale al valore del mazzo di carte (4 euro) diviso per il numero di carte (40), cioè 10 centesimi. Che rappresenti il due di coppe o il re di denari, il nostro titolo non vale più di dieci centesimi. Adesso dobbiamo convincere qualcuno a comprarli, ma per farlo dobbiamo suscitare la convinzione che si tratti di un buon affare. Per queste ultime cose ci rivolgiamo ad apposite strutture ed a personale specializzato. I professionisti del collocamento svolgono egregiamente il loro lavoro, e le nostre 40 carte, o meglio, i titoli che le rappresentano, sono stati tutti acquistati. E adesso? Bisogna che qualcuno li venda, e per farlo è sufficiente suggerire a qualcun altro di comprarli. Ma come si convinceranno i nuovi acquirenti? Si dirà a Mario: “Pippo il mese scorso ha comprato il titolo a 10 centesimi e adesso è disposto a venderlo a 13. E’ vero che tu lo paghi il 30% in più, ma sicuramente potrai rivenderlo ad altri, ottenendone anche tu un profitto”. Si dirà a Francesco: “Mario, qualche settimana fa, ha comprato da Pippo, a 13 centesimi , questo titolo che adesso ne vale 19”. E Francesco comprerà, e quando lo riterrà opportuno cederà il suo titolo a Giulia, che lo comprerà con la prospettiva di rivenderlo ad Agata, ciascuno, naturalmente, con la prospettiva di trarne un vantaggio economico. Con i soldi così facilmente guadagnati, Pippo, Mario, Francesco, Agata e tutti gli altri cercheranno altre opportunità, facendo lo stesso gioco, magari utilizzando non solo i titoli delle carte siciliane, ma di altri tipi di carte, addirittura creandone di nuovi, quando gli esistenti non dovessero essere sufficienti. Grazie al semplice meccanismo secondo cui la domanda di questi titoli ne fa aumentare il prezzo, che il prezzo ne fa aumentare i profitti, e che i profitti ne fanno aumentare la domanda, ci si ritrova davanti ad una formidabile, stratosferica ascesa del nostro titolo. Sembra di vedere una coloratissima bolla di sapone che, ben gonfia d’aria, spinta
per l’oroscopo, si fandal caldo alito dei no troppe fumose previsiobambini e da un mite venni ma ci si guarda bene dal precisare fatti ticello primaverile, si allontana dal suolo e circostanze. speranzosa di trovarlo sempre più blu. Ma, come tutti i bambini sanno per esperienza, le bolle presto o tardi scoppiano, e così, un brutto giorno, ci si deve rendere conto che, per qualche sfortunato acci- Pensiero e Linguaggio 2 dente (che prima o poi qualcuno individuerà con un buon margine di sicurezza), La strada 3 nessuno è più disposto a pagare 20 euro per un titolo che rappresenta un quattro Dorothea Lange 4/5 di spade che, se ben ricordiamo, vale al massimo la bellezza di 10 centesimi. Gaza 6 Tutti cercano di vendere, facendo crollare il prezzo dei titoli. Il crollo dei prezzi Diritti civili 7 spinge a vendere e le vendite spingono in picchiata i titoli. E’ il panico tra la gente Crisi finanziaria 8/9 comune. Pippo, Francesco, Mario e le altre risparmiatrici rimangono con il cerino Socialcard/neoliberismo 10 in mano, e si bruciano. Nel gioco del cerino acceso, come la speculazione di borsa 11 viene definita dal premio Nobel per l’eco- Stati Uniti nomia Paul Samuelson, chi paga è sem12 pre lo sprovveduto. Le sorti del mercato Danteggiamenti finanziario, quando appaiono magnifiche 13 e progressive, sono il portato delle geniali Licio Gelli menti di economisti, banchieri e statisti; 14 quando, invece, scoppia la bolla specula- Patti Lateranensi tiva, la responsabilità è di chi ha voluto ed ottenuto un mutuo per una casa senza Miti d’acqua 15 aver offerto sufficienti garanzie. Questo numero offre ampio spazio a ma- S. Agata 16 teriali e spunti di riflessione intorno alla crisi economica, argomento su cui, come
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pensiero
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Un giorno, durante una lezione, il prof. Korzybski prese dalla valigetta un pacco di biscotti avvolto in una carta bianca e cominciò a mangiarne. Mentre mangiava, ne offrì agli studenti e qualcuno accettò. Buoni, vero? disse, e ne prese un altro. Gli studenti masticavano vigorosamente. Ad un certo punto Korzybski tolse la carta che avvolgeva il pacco e si videro le parole BISCOTTI PER CANI. Gli studenti rimasero stupiti, e qualcuno corse in bagno con le mani sulla bocca. Vi ho appena dimostrato, signore e signori, che la gente non mangia solo cibo, ma anche parole, e che il gusto del primo spesso è condizionato dal gusto delle seconde disse Korzybski. Con ciò voleva dimostrare che, in certi casi, la sofferenza è determinata dalla confusione tra la realtà e la rappresentazione che ne fa la lingua. La lingua, che è un codice di comunicazione, non è uno mezzo neutrale, ma esprime, mediante le sue regole e la sua struttura, un ben determinato punto di vista. Roses are red; Il verbo to be ci dice che le rose sono rosse, le viole sono Prendiamo, ad esempio, la filastrocca inglese: Violets are blue. blu, il miele è dolce e così sei tu. Honey is sweet, Il testo descrive una situazione oggettiva: le cose stanno così! And so are you. Il soggetto si limita a rilevare ciò che indiscutibilmente di Teo Quasinono deve apparire a tutti.
Quanto
Cosa accade se, invece, riscriviamo il testo sostituendo il Roses look red; verbo to be? Violets look blue. Honey tastes sweet, Le rose sembrano rosse, le viole sembrano blu, il miele As sweet as you. appare dolce al gusto, dolce così come mi appari tu. Qui le cose non sono come sono: è il soggetto che, esprimendosi, ne determina le caratteristiche cromatiche, gustative e morali.
sono buoni i biscotti ....... per cani
Sulle orme delle ricerche di Korzybski, D. David Bourland Jr., (1928-2000) ha elaborato l’English-Prime, comunemente chiamato E-Prime, un linguaggio in tutto simile all’inglese, ma mancante delle forme del verbo to be. Le frasi composte con questa lingua comprendono raramente la forma passiva, circostanza che costringe chi scrive o chi parla a pensare differentemente. Con E-Prime chi scrive deve individuare esplicitamente il soggetto, rendendo così il testo più semplice da comprendere. Si capisce, allora, che E-Prime non è solo una variante dell’inglese, ma rappresenta una vera e propria disciplina mentale, che sottopone ad un filtro il proprio linguaggio e quello altrui. Ad esempio “il film è stato bello” può diventare “ho apprezzato il film”: in questo modo le regole di questa lingua esprimono la natura soggettiva dell’esperienza dello spettatore invece che la qualità oggettiva del film. L’uso dell’E-Prime rende più difficile la confusione tra fatti e opinioni, elementi questi che, presen- Alfred Korzybski tati distintamente, consentirebbero, nella melma comunicativa che caratterizza l’attuale sistema dell’informazione, la costruzione di conoscenze e la maturazione di coscienze fondate su di un pensiero autonomo e critico. Alla prova dei fat-
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ti l’E-Prime, come tutti i linguaggi artificiali, appare abbastanza difficile e farraginoso da utilizzare, come è stato dimostrato nelle sperimentazioni sinora effettuate. Tuttavia, è importante cogliere dall’E-Prime l’elemento critico che ne rappresenta il fondamento: il linguaggio veicola non solo dati di fatto ma, anche e soprattutto, giudizi di valore. Attraverso la parola noi possiamo trasmettere, e di fatto trasmettiamo, atteggiamenti mentali che pensiamo siano assolutamente estranei al nostro modo di pensare. Ripensare e riflettere sul nostro modo di scrivere e di parlare non è solo un modo di sottrarsi all’uso di una lingua impoverita, omogeneizzata ed asservita agli imperativi della velocità e della sintesi a tutti i costi (vedi in proposito i messaggi pubblicitari, significa anche rifiutare parole ed espressioni di matrice razzista, sessista, classista e favore di termini non stupidamente “politicamente corretti”, ma effettivamente capaci di attuare una comunicazione efficace, orizzontale e non discriminante. Ma per arrivare a questo non è sufficiente eliminare il “to be”: l’arabo ed il russo, pur non avendolo, non hanno superato i limiti dell’inglese. Se le radici del potere sono nell’economia, forse conviene dare un’occhiata dalle parti del “to have”.
Alfred Habdank Skarbek Korzybski (1879-1950), ingegnere, filosofo e matematico americano di origine polacca, è il creatore delle “General Semantics”, nelle quali afferma che la conoscenza è limitata dalla struttura del sistema nervoso e da quella del linguaggio. Gli uomini non conoscono il mondo per diretta esperienza ma attraverso le loro astrazioni.
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I protagonisti di questo romanzo sono un padre e un figlio sen-
za nome che vagano in un mondo dove non è rimasto più nulla. Il viaggio, come spesso accade nella letteratura americana, ricopre una grande importanza anche nel romanzo di Cormac McCarthy e costituisce lo sfondo alla vicenda. L’America percorsa a piedi dai due protagonisti è, infatti, un paese ridotto a un cumulo di macerie, detriti e cenere. Le cause della catastrofe sono sconosciute, forse un cataclisma di natura bellica o ecologica, che vuole suggerire il fatto che l’uomo ha fatto scempio della Terra in modo irreversibile e totale; mentre l’immagine dell’oceano, dove sono diretti i due protagonisti, affiora tra le pagine con l’evanescenza di un miraggio. Padre e figlio avanzano lentamente sospingendo un carrello da supermercato, che contiene residui di un mondo ormai lontano: abiti raccattati dalle rovine delle abitazioni, teli di plastica per coprirsi quando piove o nevica, cibo in scatola, unica e rara fonte di sostentamento per chi non voglia praticare il cannibalismo. In questa realtà grigia e priva di sentimenti autentici, il rapporto tra padre e figlio, fatto di tenerezza e comprensione, si erge a simbolo dell’ultima scintilla di umanità superstite in un mondo carat-
Cormac McCarthy
terizzato da crudeltà e ferocia. I due protagonisti dicono spesso di “portare il fuoco”, cioè un bagliore di luce e calore, che può essere interpretato come la metafora del legame di affetto che li lega, o come l’embrione di un rinnovato sentimento di solidarietà nato dalle ceneri della violenza. Nei rapporti con gli altri reietti che incontrano sulla loro strada, i due protagonisti hanno differenti reazioni: mentre il padre pensa solo a difendere se stesso e il figlio con la forza e le armi, come un eroe del vecchio West, il bambino cerca, al contrario, di aiutare gli sfortunati esseri viventi di cui fa conoscenza, di Silvia Mazzucchelli senza preoccuparsi unicamente della propria sopravvivenza. E’ qui che si annida il significato profondo del romanzo, che segna
anche una svolta rispetto alle opere precedenti di questo autore: alla fine della narrazione rimane solo il figlio, vero portatore del fuoco, cioè della pietà verso i propri simili, sentimento che manca al padre, per certi aspetti somigliante agli altri personaggi di McCarthy, che
Un padre e un figlio senza nome vagano in un mondo dove non è rimasto più nulla. Tenerezza e comprensione sullo sfondo desolato di un mondo apocalittico hanno fatto della violenza fine a se stessa la loro unica filosofia di vita, e per questo destinato inevitabilmente a soccombere.
Cormac McCarthy. L’autore, nato nel 1933, originario del Rhode Island, poi trasferitosi nel Tennessee e infine nel Sud-Ovest degli Stati Uniti, è considerato dal critico accademico Harold Bloom uno dei magnifici quattro della narrativa americana: gli altri sono Philip Roth, Thomas Pynchon e Don de Lillo. La violenza è il tema centrale delle sue opere, che raccontano in maniera lucida e brutale una serie ininterrotta di crudeltà ed abiezioni. L’autore cerca infatti di mettere in discussione l’ideale di libertà su cui l’America ha costruito la propria identità nazionale, che, lungi dall’essere un approdo civilizzatore, viene da lui dipinto come una legge di natura violenta e disumana. Il nucleo fondamentale dell’opera di Cormac McCarthty è costituito da dieci romanzi composti in un arco temporale che va dal 1965 ai giorni nostri. Ricordiamo Il guardiano del frutteto (1965), Il buio fuori (1968), Figlio di Dio (1974) e Suttree (1979). A partire dal 1985 la sua narrativa si arricchisce di un’altra tematica, il mito dell’Ovest e della frontiera, nei quali l’uso della violenza emerge con particolare rilievo: Meridiano di sangue (1985) e i tre volumi della cosiddetta Trilogia della frontiera costituita da Cavalli Selvaggi (1992), Oltre il confine (1994) e Città della pianura (1998). Seguono poi il romanzo Non è un paese per vecchi (No Country for Old men, 2005) e infine la La strada (The road, 2006). Quasi tutta la sua opera è stata tradotta per l’editore Einaudi. Due film sono stati tratti dai suoi romanzi: Passione ribelle (All the Pretty Horses, 2000) di Billy Bob Thornton, e Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men, 2007) dei fratelli Cohen, che nel 2008 ha vinto l’Oscar come miglior film, oltre ai premi per la miglior regia, migliore sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista.
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Don’t Stop Believing (1936)
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iente di più facile, oggigiorno, che scattare delle foto. Grazie alle nuove teconologie digitali, la fotografia è diventata una forma di divertimento diffusa e di facilissimo utilizzo. Si fotografa per fissare il momento, per conservarne un ricordo, per cogliere della realtà istanti comici o tragici. Un tempo, quando la tecnica fotografica era a disposizione di pochi, fotografare era molto più complicato. L’opera di alcuni intraprendenti pionieri, uomini e donne, conserva di quei primi anni foto che sono veri e propri documenti di un’epoca passata. Dorothea Lange, fotografa americana, è una di questi. Lange ha avuto la straordinaria capacità di documentare momenti drammatici di uno dei periodi più difficili della nostra storia recente: gli effetti della crisi economica del 1929. C’è bisogno di aggiungere che quel periodo dei tardi anni Venti ha una forte analogia con gli anni che stiamo vivendo? Quasi quasi, prendo anch’io il mio telefonino e scatto delle foto… basta guardarsi attorno per cogliere tutti i segni di una nuova recessione. E perché allora non lo fate anche voi? E mandate le foto al giornale, l’email è giornalelarcobaleno@g mail.com. Chissà che tra voi ci sia una nuova Dorothea Lange?
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White Angel Breadline (1932)
Dorothea Lange
orothea Lange è stata una dei più importanti fotografi della prima metà del Novecento. Nacque il 26 maggio 1896, a Hoboken, una cittadina sul mare del New Jersey, dove, all’epoca, la maggior parte dei Toward Los Angeles (1932) circa 40mila abitanti lavorava nei cantieri navali o in una fabbrica di strumenti di precisione. In questo ambiente operaio crebbe la piccola Dorothea, figlia di immigrati tedeschi. All’età di sette anni contrasse la poliomelite, una malattia molto comune in quel periodo, che su di lei ebbe conseguenze definitive costringendola a zoppicare per tutta la vita. Quando il padre, di origini tedesche, abbandonò la famiglia, Dorothea cambiò il proprio cognome di nascita (Nutzhorn), adottando quello della madre (Lange). Sulle prime non pensò affatto di dedicarsi alla fotografia, arte che in quei primi anni del 1900 era appena nata. Come molte ragazze della sua generazione, intraprese invece studi che l’avrebbero preparata all’insegnamento e frequentò per qualche tempo la New York Training School for Teachers (una scuola di formazione per insegnanti). Ma già a diciassette anni spostò i suoi interessi sulla fotografia. Lavorò per qualche tempo nello studio del fotografo Arnold Genthe prima di studiare fotografia alla Columbia University sotto la guida di Clarence H. White. Lange, poco più che ventenne, nel 1918 si trasferì in California, a San Francisco, dove l’anno seguente aprì un proprio studio fotografico, dedicandosi prevalentemente ai ritratti. Fu in quel periodo che entrò a far parte del California Camera Club dove conobbe Consuelo Kanaga (1894-1978), anch’essa una pioniera della fotografia, una delle prime fotoreporter, collaboratrice del San Francisco Chronicle. Come fotografa ritrattista Lange ebbe molto successo fino alla crisi economica segnata dal crollo di Wall Street nel 1929. Negli anni della Grande Depressione cominciò a produrre immagini “impegnate”, rivolgendo la sua attenzione alla realtà e alle trasformazioni sociali. La fotografia di un gruppo di uomini disoccupati in coda per la distribuzione gratuita del pane, White Angel Breadline (1932), attirò sulla sua opera l’attenzione dei critici nazionali e, tra questi, Williard Van Dyke che nel 1934 scrisse un importante articolo sul suo lavoro nella prestigiosa rivista Camera Craft. Grazie al successo ottenuto, nel 1935 fu invitata ad entrare a far parte ( da Roy Stryker) della Farm Security Administration, un’importante agenzia fotografica federale, formata da un piccolo gruppo1 di fotografi e fotografe, impiegati a documentare le condizioni di vita dei poveri delle zone rurali in America. Nel corso degli anni che la videro attiva con la Farm Security Administration, Lange seguendo i flussi migratori dei lavoratori che dall’est del paese si spostavano verso la più ricca California, produsse numerose fotografie divenute celebri come Migrant Mother (1936), ritratto fotografico di una madre con i figli, che illustra meglio di qualsiasi frase scritta lo smarrimento e l’angoscia interiore di chi è abbandonato a se stesso.
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ritratti l‘arcobaleno
di Marina La Farina
Nell’uso sapiente di un realismo non compiaciuto da emozioni e sentimenti, Lange è vicina alla corrente artistica della Nuova Oggettività tedesca, un movimento artistico principalmente pittorico nato in Germania alla fine della prima guerra mondiale, i cui artisti cercarono la rappresentazione della realtà senza trucco.Sempre durante gli anni Trenta, Lange incontrò Paul S. Taylor, un sociologo dell’Università della California. Taylor la invitò ad accompagnarlo nei suoi viaggi di studio sui lavoratori migranti. Il libro che realizzarono insieme con testi di Taylor e fotografie di Lange, An American Exodus: A Record of Human Erosion, fu pubblicato nel 1939. La composizione grafica del volume fu molto studiata dall’autrice. Ogni ritratto è una storia a sé, rivela drammi o speranze, e nella sequenza delle immagini leggiamo tante storie particolari, quasi piccoli racconti senza trama su uno scenario unitario, quello della crisi e del viaggio alla ricerca di una vita migliore, un po’ come avviene nei film a episodi e nella letteratura americana di autori a lei contemporanei come Faulkner, Hemingway e Dos Passos. Tracce evidenti dell’influenza che Lange, con le sue fotografie caratterizzate da una visione epica del viaggio e della miseria, ebbe sulla cultura contemporanea sono visibili nel film Furore (1940) del regista John Ford (tratto dal famoso romanzo di John Steinbeck, The Grapes of Wrath, letteralmente l´uva dell´ira). Nel 1942 Dorothea Lange fu incaricata dalla War Relocation Authority di documentare l’internamento della popolazione nippoamericana durante la seconda guerra mondiale. Documentò in tal modo i cambiamenti avvenuti durante il secondo conflitto mondiale sul cosiddetto “fronte interno”, lavoro che fu spesso censurato dalle autorità federali. Fu anche impiegata tra il 1943 e il 1945 dell’ Office of War Information (1943-45) (ufficio di informazioni di guerra). Nel dopoguerra collaborò con Life Magazine realizzando prestigiosi servizi documentari come Three Mormon Towns (1954) con Ansel Adams e Death of a Valley (1960). Viaggiò con la sua macchina fotografica anche in Asia, Sud America e nel Medio Oriente. Dorothea Lange morì di cancro l’11 ottobre 1965, poco prima dell’apertura della sua prima grande retrospettiva al Museum of Modern Art in New York City. Le sue foto hanno ottenuto il meritato riconoscimento nel 1972, quando il Whitney Museum ha organizzato la mostra “Executive Order 9066”, che comprendeva tra l’altro 26 sue opere. Tra i suoi lavori pubblicati: The Roots of a Career (1935), Study of Migrant Workers (1935), Dorothea Lange: Photographs of a Lifetime (2005) con note di Lange, un saggio dello psichiatra Robert Coles e una postfazione di Therese Heyman. (note) 1 Esther Bubley, Marjory Collins, Mary Post Wolcott, Arthur Rothstein, Walker Evans, Russell Lee, Gordon Parks, Jack Delano, Charlotte Brooks, John Vachon, Carl Mydans e Ben Shahn
Migrant Mother (1936)
Family Walking on Highway (1938)
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conflitti Nel momento in cui scriviamo queste
righe tutto il mondo sta a guardare i fatti che insanguinano il vicino Oriente trattenendo il respiro. Non sappiamo se al momento in cui leggerete queste righe la violenza militare israeliana sarà allentata o se si saranno placati gli spiriti militaristi del governo israeliano . Quel che ci preme dire non può esaurirsi nei facili atteggiamenti umanitari della condanna o dell’indignazione. Di fronte a quanto sta accadendo e a quanto si sta preparando in quei luoghi, alcuni provano solo ripugnanza per chi vive nell’angoscia che la sacralità della Basilica di Betlemme possa essere profanata nella preoccupazione che la divina mangiatoia possa essere lordata dal sangue arabo. Oppure c’è chi cerca di mettere sullo stesso piano la lotta di resistenza del popolo palestinese con la violenza indiscriminata dello stato ebraico, al fine di giustificare la seconda come forma di difesa dalla prima. Oppure, c’è chi semplicemente non vede l’ora che tutto questo finisca per poter continuare a rifornire la propria auto di carburante senza spendere troppo. Ammettiamolo, nell’apprendere le notizie che arrivano dai territori palestinesi, la parola che ci esce continuamente dalla bocca non è quella che ci viene per prima in mente. Tutt’al più la nostra lingua dice sterminio, distruzione o soppressione spietata talvolta metodica di un gran numero di persone, ma la vera parola per definire quello che accade è genocidio, pulizia etnica, annientamento dei palestinesi, metodica distruzione di un gruppo etnico, religioso, razziale, il che è molto peggio dello sterminio. Questo però è un termine che in qualche modo ci rifiutiamo di usare, perché un suo utilizzo in un contesto simile minerebbe alle fondamenta molte delle certezze su cui abbiamo costruito questo mondo, la sua quiete, la sua prosperità.
Come possiamo chiamare genocidio la striscia lunga e interminabile di morte che sta tracciando Israele nei territori palestinesi, dopo esserci ripetuti tanta volte che il genocidio è un‘atrocità del passato, frutto del peggiore oscurantismo, che
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di Luciana Casciardi ce, posizioni interscambiabili e funzionali l’una all’altra; ma soprattutto tutto ciò si scontra con le nostre sicurezze, con il nostro bisogno di ordine, con la nostra stringente logica da ragionieri che determina la nostra quieta esistenza da bottegai satolli. La tranquillità del nostro sonno e dei nostri affari lo esige, la propaganda mediatica lo conferma: la gente pensa che non c’è nessun genocidio in corso nei territori palestinesi. L’informazione di regime ci dice che vi è solo una spietata caccia ai terroristi che per tragiche circostanze si ripercuote duramente anche sulla popolazione civile. Ma, se le cose stanno così, che dire del numero tatuato sui prigionieri palestinesi, agghiacciante riproposizione di una delle pratiche naziste? Che dire della distruzione di case, interi villaggi anche questa praticata un tempo contro gli ebrei? Che dire di tutti quei morti – donne, vecchi, bambini- che non possono rientrare di certo nello stereotipo del terrorista inneggiante alla guerra santa? E perché se il problema sono i terroristi che usano i tunnel sotterranei che congiungono Gaza all’Egitto attraverso il valico di Rafah per importare armi, perché non bombardare il tunnel invece di bombardare scuole gestite dall’ UNRWA1 o moschee, o ambulanze della Mezza Luna Rossa? 2 Come si vede non ci sono molte alternative di fronte al massacro in atto : o il silenzio del consenso, al tempo stesso risultato e garanzia del quieto vivere, o l’interrogativo del dissenso. Ma questo interrogativo portato fino in fondo ci trova disposti ad ascoltarne le risposte?
La strage di Gaza nell’indifferenza del mondo occidentale
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non può trovare legittimità in una democrazia moderna come viene definita quella di Israele. Si dice che essendo state vittime del genocidio nazista, avendo subito infami
persecuzioni, come possono gli israeliani indossare i panni del carnefice e fare ad altri ciò che in passato sono stati costretti a subire? Possiamo scomodare la psicanalisi analizzando la dinamica della vittima- carnefi-
note 1 Agenzia delle Nazioni Unite per lʼaiuto alle vittime di guerra 2 Equivalente orientale della Croce Rossa
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società l‘arcobaleno
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18 dicembre dell’anno appena concluso è stata presentata all’ONU, da parte della Francia e in nome di tutta l’Unione Europea (Italia inclusa), la “Dichiarazione dei diritti umani, l’orientamento sessuale e l’identità di genere”. Questo documento, leggiamo sul sito di Amnesty International, costituisce un atto «di condanna degli abusi dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt)». Tale dichiarazione è importante per due ragioni: da una parte perché integra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che indica le prerogative irrinunciabili per la salvaguardia della dignità e della felicità di ogni individuo; dall’altra perché condanna fermamente le
gli omosessuali di Mauritania, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Yemen, Sudan, Iran, Afghanistan, Nigeria e Somalia: in questi paesi se si viene sorpresi col proprio partner si rischia l’impiccagione o la lapidazione. Il contenuto della dichiarazione presentata all’ONU, in estrema sintesi, condanna queste violenze e afferma che nessun essere umano, per il proprio orientamento – cioè se si è gay, lesbiche o bisessuali – o per l’identità di genere – ovvero se si è transessuali – può essere privato della libertà e dei diritti fondamentali né può venire condannato a subire torture o alla pena di morte. Un grande passo di civiltà, secondo i paesi che hanno firmato il documento, che va in
progetto di vita comune. L’obiezione vaticana appare, però, forzata e ha suscitato molte polemiche nell’opinione pubblica internazionale e anche italiana. Le associazioni Lgbt nostrane, infatti, hanno accusato le gerarchie vaticane di preferire che gli omosessuali vengano uccisi piuttosto
di Dario Accolla che siano riconosciuti i diritti civili fondamentali. A livello diplomatico, inoltre, Maxime Verhagen, il ministro degli esteri olandese ha chiamato il nunzio pontificio ad Amsterdam per esprimere
ONU: presentata la Dichiarazione per la depenalizzazione dell’omosessualità. Ma la chiesa dice no discriminazioni, le torture e i soprusi che ancora oggi, nel 2009, vengono praticati a danno delle persone Lgbt. Essa, inoltre, ha avuto il sostegno di vari paesi di tutti e cinque i continenti, comprese sei nazioni africane e molti stati sudamericani e asiatici. Ancora oggi, infatti, proprio in Asia e in Africa, in particolar modo, ma anche altrove, essere gay o bisessuale, lesbica o trans, è considerato un reato che viene punito con le pene corporali, la prigione o addirittura con la pena di morte. In Guyana, ad esempio, in America del Sud, è contemplato il carcere a vita. Così come in India o in Tanzania. In Africa, in alcuni stati, è prevista la reclusione temporanea: fino a quattordici anni nel Malawy, ad esempio. Più sfortunati ancora
direzione di una crescita della democrazia e della libertà in tutto il pianeta. Per questa ragione stupisce l’opposizione della Città del Vaticano che non vuole che passi la proposta francese. «Gli stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come ‘matrimonio’ verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni» è il timore della Santa Sede, espresso da monsignor Celestino Migliore, delegato papale presso le Nazioni Unite. La paura della chiesa cattolica, in altre parole, è quella che questo documento possa rendere più facile l’approvazione di leggi a favore delle coppie di fatto anche dello stesso sesso in quei paesi in cui non è prevista nessuna norma a tal proposito. Coppie, ricordiamolo, unite da sentimenti e da un
le perplessità del proprio governo, che ha avallato fortemente la Dichiarazione, sulle posizioni della chiesa di Roma. Eppure, a leggere la proposta francese, non si parla affatto di matrimonio gay o di obbligo nei confronti dei paesi stranieri, così come paventa il Vaticano. È invece vero che l’omosessualità è ancora considerata un reato in novanta paesi. E per chi, come la chiesa, considera la difesa della vita una priorità assoluta, un’eventuale apertura verso le coppie gay e lesbiche dovrebbe passare in secondo piano di fronte alle uccisioni di persone che hanno l’unica colpa, ammesso e non concesso che di colpa si tratti, di amare secondo una natura che viene indicata troppo spesso come sbagliata o immorale.
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economia
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�������� �������e ����� della grande crisi del Le cause della crisi economica in corso
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nel 2008 sono state da quasi tutti gli specialisti individuate negli eccessi della finanza statunitense e, più in particolare, nella proliferazione dei cosiddetti mutui subprime, concessi per l’acquisto di beni immobili. Con tale denominazione ci si riferisce ai mutui ipotecari erogati senza il rigoroso accertamento della capienza del valore dei beni offerti in garanzia e senza la verifica dell’esistenza di redditi del mutuatario sufficienti a consentirgli la restituzione del capitale ed il pagamento degli interessi. Il ricorso diffuso a questa forma di finanza creativa è stato insieme causa ed effetto, in un processo cumulativo di reciproca alimentazione, del contemporaneo verificarsi della cosiddetta bolla immobiliare, ossia del formidabile aumento del valore degli immobili tra il 2001 ed il 2006. Si può dire che l’incremento di valore degli immobili consentiva ai mutuatari di ottenere nuovi o maggiori prestiti, così come è altrettanto corretto affermare che la massa di prestiti di nuova creazione determinava l’ulteriore aumento della domanda e del valore degli immobili. Tale possibilità di lettura doppia ed invertibile, ma pur sempre corretta, dello stesso fenomeno, indica chiaramente che origine e primo motore vanno ricercati all’esterno di esso. Determinante, per l’innesco del processo cumulativo, è stata la progressiva abrogazione di norme che regolamentavano e limitavano rigorosamente le funzioni ed attività monetarie, creditizie, valutarie e finanziarie, introdotte, non a caso, a seguito della grande crisi del 1929. Tale politica di cosiddetta deregulation, originatasi negli Stati Uniti, ha avuto i suoi primi inizi negli anni Settanta, all’epoca della presidenza Carter, per poi estendersi, in tempi e gradi diversi, praticamente all’intera economia mondiale. I governi Usa delle successive presidenze hanno poi sempre più accentuato la tendenza ad eliminare e ridurre regole, controlli e limiti all’attività di banche ordinarie, banche d’affari, fondi di investimento, assicurazioni, società ed operatori finanziari in genere. Le regole via via abrogate erano state introdotte a tutela dei risparmiatori e degli investitori e, in genere, della clientela degli operatori bancari e finanziari,
comprendente famiglie di lavoratori, pensionati ed altre categorie non particolarmente informate e competenti in materia finanziaria. Esse erano finalizzate ad impedire, o almeno a limitare od ostacolare, il ripetersi degli abusi speculativi e predatori, che erano stati in rilevante misura all’origine della grande crisi iniziata nel 1929. Il minimo che si possa dire è che la deregolamentazione dei governi e dei presidenti Usa degli ultimi quattro decenni ha reintrodotto rilevanti fattori di rischio, opacità ed instabilità nelle attività finanziarie, e che è del tutto improbabile che tale scelta possa essere stata inconsapevole o casuale. Se la deregulation costituisce la causa di fondo della attuale crisi, il detonatore ne è stata la politica monetaria e creditizia seguita dalla riserva federale Usa (Fed), in particolare la manovra dei tassi di interesse, attuata a partire dal 2001. L’allora presidente della Fed, Alan Greenspan, avviò una politica di drastica riduzione del livello dei tassi, dopo la crisi susseguente all’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, allo scopo di favorire il rilancio dell’economia. Se tale decisione della Fed è stata talmente condivisa da essere considerata praticamente obbligata, la gran parte degli economisti è invece concorde nel ritenere errata e temeraria la scelta di protrarre il periodo di denaro a buon mercato per un periodo troppo lungo. Gli esperti sono altrettanto concordi nel ritenere eccessivi e troppo ravvicinati i successivi aumenti dei tassi di interesse, un’inversione di rotta iniziata da Greenspan all’inizio del 2005 e proseguita l’anno dopo dal suo successore Ben Bernanke. Tali aumenti vengono indicati come il fattore immediato scatenante della crisi. Inizialmente soprattutto finanziaria e creditizia, la crisi si è poi estesa a tutte le attività produttive ed a livello globale, per le strette connessioni che ormai legano tutti i settori dell’economia in ogni parte del mondo.
Differenze ed La crisi attuale non ha visto le code interminabili per il ritiro dei depositi bancari e la corsa disperata degli investitori per salvare il salvabile, né l’epilogo drammatico della rovina di banchieri e finanzieri, almeno non nelle dimensioni che, invece, caratterizzarono il crollo del 1929. Tale differenza rispetto alla “Grande crisi” dipende in larga misura dal fatto che se ne sono studiate origini, dinamiche e conseguenze e sono stati elaborati strumenti monetari e creditizi idonei ad evitare, quantomeno, gli aspetti più traumatici per banchieri, finanzieri, investitori e risparmiatori. È presto, invece, per poter dire se le importanti conoscenze teoriche nel frattempo acquisite saranno effettivamente messe in pratica per affrontare i problemi della gente comune connessi ai fenomeni di disoccupazione, precarietà e miseria, che la crisi odierna sta determinando o aggravando. Notevoli sono, però, anche gli elementi di somiglianza fra le due crisi, pur a distanza di 80 anni. È verosimile che Greenspan abbia
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di Francesco Mancini
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Come dalla crisi
d analogie con la ����� del agito in maniera consapevolmente spericolata per stimolare la spesa dei consumatori, favorendo l’espansione del loro indebitamento, tramite l’aumento del valore delle loro proprietà immobiliari, e non per favorire banchieri d’affari e speculatori senza scrupoli. Si trattava, però, di una scelta praticamente obbligata, data la politica del governo in carica negli Usa, contraria alla riduzione della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza tramite l’aumento della spesa pubblica e della tassazione dei redditi più alti. Della sempre più grave ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza provocata da tale politica, a differenza di molti economisti suoi connazionali, il presidente della Fed non ha mai messo in luce la intrinseca pericolosità per la stabilità finanziaria ed economica. È indubitabile, infatti, che le decisioni della Fed abbiano nei fatti favorito il proliferare di strumenti finanziari (i c.d. derivati) a carattere piramidale e ad alto rischio, ed il formarsi di bolle speculative di ogni genere (petrolio, materie prime alimentari e di ogni altro genere, ecc.).
Il crollo di borsa del 1929 e la successiva crisi economica, la cosiddetta Grande Depressione, provocarono un fiorire di studi teorici e di sperimentazioni pratiche, finalizzate, da un lato, ad eliminarne o, almeno, ridurne gli effetti negativi e, dall’altro, a cercare di evitarne la ripetizione. Come allora, le politiche anticrisi oggi proposte tendono a combattere la caduta della domanda e del giro d’affari delle imprese, la disoccupazione ed i rischi di caduta dei prezzi (deflazione), tramite programmi di lavori pubblici finanziati con espansione del debito pubblico ed emissione di moneta. Contestualmente, si cerca di reintrodurre e rafforzare regole e limiti all’attività di banchieri, finanzieri e uomini d’affari, che proprio in occasione della “Grande crisi” erano state messe a punto e varate, ed alla cui abrogazione o inosservanza si devono in massima parte i guai attuali. Storici ed economisti hanno però sottolineato, numeri alla mano, che i volumi d’affari del biennio 1928-29 furono nuovamente raggiunti e superati dagli Stati Uniti solo dopo il rilancio degli armamenti e l’entrata nella seconda guerra mondiale e col successivo varo del piano di interventi per la ricostruzione post bellica noto come piano Marshall. Onde evitare il rischio del ripetersi di simili infauste “soluzioni” peggiori del male, oltre che per ragioni di
Il meccanismo innescato da Greenspan appare, per tale aspetto, largamente analogo a quello che caratterizzò la seconda metà degli anni Venti. Anche allora la crisi finanziaria fu preceduta da una bolla immobiliare, che, per una bizzarra coincidenza, ebbe origine in Florida, proprio come quella scoppiata nel 2007. Inoltre, anche negli anni precedenti il crollo borsistico del 1929 vi fu una analoga formidabile finanziarizzazione dell’economia, con creazione continua e crescente di debiti e strumenti finanziari basati su altri strumenti finanziari, derivati di derivati di derivati… . È pressoché superfluo, infine, rammentare come in ogni epoca analoghi processi abbiano sempre comportato il progressivo moltiplicarsi ed accentuarsi dei rischi, con corollario di abusi, illegalità, corruzioni e truffe, che vengono invariabilmente a galla quando le bolle si sgonfiano.
obbiettiva necessità e razionalità, sarebbe opportuno che i colossali investimenti che si rendono comunque indispensabili fossero finalizzati ad affrontare i problemi globali dell’umanità. In altri termini, il calo delle attività produttive e dell’occupazione andrebbe più opportunamente fronteggiato aggredendo problemi quali la desertificazione, la deforestazione, la sostituzione delle fonti di energia fossili con fonti rinnovabili, la carenza o mancanza di acqua e di alimenti per una parte rilevante della popolazione mondiale, le emergenze nel settore della sanità in quasi tutte le nazioni, ma soprattutto nei paesi più poveri. Ciò significherebbe aumento reale della ricchezza e miglioramento delle condizioni e prospettive dell’umanità, anche qualora dovesse comportare ristagno o flessione di ricavi, prezzi e profitti per uomini d’affari, manager, banchieri e finanzieri. Le mosse finora attuate dai governi coinvolti hanno invece, finora, privilegiato il salvataggio ed il sostegno di colossi finanziari, bancari ed industriali, dimostrando, in tal modo, di non avere appreso la lezione della storia.
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economia Un nome nuovo per un antico strumento di controllo sociale. La “tessera
dei poveri”, come un tempo veniva chiamata, coniugata con lo spettacolo televisivo, corrisponde oggi al “panem et circenses” degli imperatori romani, col quale una parte cospicua della popolazione non solo accettava la miseria in cui versava ma forniva di rimando ai governanti il suo più ampio consenso. Nulla di nuovo sotto il sole? Beh, ci sarebbe che nei secoli il popolo si era fatto meno bue. La “tessera di povertà” aveva lasciato il posto ai servizi sociali dei Comuni. La vergogna, e l’umiliazione d’essere poveri, e quindi ai margini del consesso sociale, avevano preso il sopravvento. La povertà non veniva più considerata un cataclisma naturale ma il risultato di precise politiche economiche e sociali, condotte sulla pelle delle persone. Il povero, ad onta di tutte le leggi sulla privacy, sbandierava le sue piaghe perché venissero al più presto curate. Minacciava di rivoltarsi. Questo ancora pochi anni fa. Lo spettacolo desolante degli ultimi giorni testimonia di quanto in basso sia giunto lo spirito pubblico (ossia l’intelligenza critica delle persone). Non solo si accetta il ritorno all’antica filosofia, ma vi è una rincorsa a moltiplicare le elemosine, ad estenderle (quindi ad estendere la povertà) oltre i consueti limiti di sopravvivenza e di reddito. Vi è una crisi economica feroce – questa la scusa. Ma quando mai una crisi economica si è superata con la carità pelosa, con l’intervento sporadico ed effimero, con l’assistenzialismo più becero? Forse, però, sta qui l’ultima novità del capitalismo italiano: rendere strutturale anche la povertà.
l‘arcobaleno
di Natale Musarra
FILOSOFIA DELLA MISERIA
Ci dicono che questa sia la più grave crisi
finanziaria dal 1929. La gravità della crisi del ‘29 ha costituito un punto di svolta nel pensiero economico dominante. Allora erano in vigore le teorie economiche liberiste, le quali sostenevano la necessità di lasciare le persone libere di arricchirsi, in quanto dalla ricchezza del singolo sarebbe derivata la ricchezza di tutti, a condizione che lo Stato non fosse intervenuto ad alterare gli equilibri che il mercato avrebbe raggiunto spontaneamente. Particolare non trascurabile è che lo Stato al quale si negava ogni intromissione era quello Stato assoluto che si impossessava dei beni che i sudditi, non ancora considerati cittadini, producevano. Si diffusero così le teorie keynesiane (dall’economista John Maynard Keynes) che assegnavano
IL CUGINO DI
ROBIN HOOD di Francesca Spampinato
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allo Stato il compito di intervenire per sostenere l’economia di ciascun paese. Queste teorie, messe in atto, videro lo Stato intervenire anche per redistribuire la ricchezza mediante il meccanismo dei tributi (soprattutto a carico dei più ricchi) finalizzati all’accesso ai servizi
indispensabili (sanità, scuola, assistenza...) soprattutto per chi non poteva fruirne per ragioni economiche. Negli anni ‘70 si cambia di nuovo direzione: Ronald Reagan -presidente USA- , Margaret Thatcher -primo ministro inglese- e molti altri capi di governo, ispirati dall’economista Milton Friedman dell’università di Chicago, ritengono che la pressione fiscale (rapporto tra spesa pubblica e reddito nazionale) sia troppo elevata e che ciò costituisca un freno per la crescita economica. Iniziano allora i tagli alla spesa pubblica e si dà il via alla privatizzazione dei servizi sociali in nome dell’efficienza. Queste scelte, chiamate neoliberiste, hanno però qualcosa di diverso dal liberismo “classico”: il benessere dipende ora dalla “competitività” in nome della quale si sacrificano i bisogni dei più deboli per incentivare nel mercato, ormai mondiale, gli interessi di pochi ed enormi centri di potere economico. Sotto questa etichetta lo Stato interviene ancora, ma non più per assicurare i servizi sociali, bensì per sostenere grandi gruppi industriali e finanziari sulle spalle della massa dei cittadini contribuenti. Basti pensare agli aiuti per la rottamazione auto alla Fiat, alla copertura dei debiti dell’Alitalia, e al sostegno alle banche. Queste ultime, dopo aver fissato tassi usurari ed averci fatto pagare i loro debiti, una volta “risanate” saranno nuovamente in grado di imporci le loro condizioni. In tutto questo mi sembra di vedere due immagini che si sovrappongono e si integrano: una è la carta dell’Appeso dei tarocchi, l’altra è quella di Robin Hood, ma non è proprio Lui, è suo cugino, quello che toglieva ai poveri per dare ai ricchi.
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l‘arcobaleno
L’insediamento
del nuovo governo statunitense segna un’inversione di tendenza nella politica estera della principale potenza militare globale. Non si tratta solo di una valutazione relativa al programma elettorale del nuovo presidente in materia di relazioni
è impegnata in modo differente su tutta la superficie del pianeta. Quello mediorientale è quindi solo il primo scenario su cui il nuovo presidente dovrà impegnarsi, in prospettiva forse il meno rischioso per i contraccolpi futuri all’economia statunitense. Barack
questi anni ha stretto saldi rapporti con alcuni dei paesi asiatici emergenti, soprattutto l’India, ma ha anche mantenuto buoni legami con alcuni degli alleati storici degli USA in Medioriente. Il senatore John Mc Cain, rivale di Obama
I nuovi scenari della politica estera statunitense
Il mondo secondo l'ultima amministrazione statunitense
di Salvo Torre internazionali, ma anche della perdita di interesse verso alcuni conflitti in cui il paese è impegnato ormai da diversi anni. La rilevanza strategica di molte aree che oggi sono al centro di conflitti dipende, infatti, anche dall’impostazione generale dell’economia statunitense e dalle prospettive politiche della nuova amministrazione. In questo momento gli Stati Uniti non sono coinvolti solo nei conflitti armati in Medioriente e in Asia centrale (Iraq e Afghanistan), ma anche nel mantenimento di una complessa macchina diplomaticomilitare che comprende basi distribuite su tutto il pianeta e il finanziamento indiretto di molti gruppi o partiti che ne condividono le linee di politica internazionale. Il paese possiede una grande macchina bellica che
Obama rivendica il primato della diplomazia, ma nei prossimi anni dovrà lavorare soprattutto alla ricostruzione dell’immagine del suo paese, isolato politicamente e considerato negativamente dalla maggior parte dell’opinione pubblica mondiale per la prima volta nella sua storia. La scelta di alcuni membri del nuovo governo può indicare alcuni possibili scenari e chiarire anche come potrebbe svilupparsi la nuova politica estera. Joe Biden, il vicepresidente, è stato, infatti, nella scorsa legislatura il presidente della commissione esteri del Senato, un organo che controlla di fatto l’erogazione di fondi a tutti gli interventi internazionali, per cui ha potuto seguire con attenzione la formazione dello scenario che ha imposto in politica estera George W. Bush. Hillary Clinton, grazie anche all’azione della fondazione presieduta dall’ex presidente Clinton, in
nella corsa alla Casa Bianca, è stato di fatto uno dei principali artefici di un nuovo clima da guerra fredda instaurato con la Russia e con diverse delle nazioni dell’Asia occidentale. Mc Cain negli ultimi anni ha sostenuto politicamente i gruppi politici filo-occidentali avversari di governi come quello russo o ucraino, riuscendo spesso anche a mobilitare ingenti fondi a sostegno delle loro attività. Tali politiche però sono state anche valutate dalla commissione presieduta da Biden, che adesso potrebbe decidere se cambiare linea politica o scegliere di proseguire lungo lo stesso percorso. Gli Stati Uniti sono ancora la principale potenza militare globale, ma nei prossimi mesi dovranno decidere se continuare ad agire solo con i pochi alleati rimasti o aderire ad un’idea di dialogo che coinvolga gli altri paesi.
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C’è chi crede che, come per l’inno
di Antonio Balsamo la poesia della “divina” Commedia. nazionale, anche per il poema di Dante Che la legga senza le pause, la modusi stia sviluppando in Italia un amore lazione di voce, le nazional-popolare. profondità di Carlo Azeglio Ciampi, da capo dello t o n o , neo per disposizione d’animo, Stato, pensò bene di suscitare un popomente, sensibilità, è una lare amor patrio, esortandoci tutti delle apparenze ad imparare e cantare “Fratelli di questo d’Italia”.
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Ma un movimento di labbra, mentre la mano destra si pone sul pettorale sinistro, non è sufficiente ad attuare una conversione patriottica delle coscienze. Crediamo forse veramente che, cantando l’inno di Mameli senza fatica e danni al borsellino, possano diventare “patrioti” coloro che non danno alla “patria” il dovuto (le tasse, per esempio) o coloro che sui “patri” servizi (sanità, trasporti, difesa, banche…) ingrassano? E che dire poi di chi non paga i servizi civili (strade, ferrovie), vende (o compra) esami, concorsi e lauree, o deturpa il territorio con edificazioni abusive? Insomma, si pretende che un’Italia largamente ladra in ogni suo ceto e categoria professionale prenda una patente “patriottica” per via d’un inno. O che cerchi di scoprirsi “patriottica” elevando a poema nazionale la Commedia, sicuramente il capolavoro più conosciuto. Ma, all’italiana, come l’inno di Mameli, ignorandone le parole, balbettandone qualche verso smozzicato, non comprendendone o non curandosi affatto di comprenderne l’altissima e severa lezione morale. E pensare che il nostro padre Dante scrisse la Commedia proprio per promuovere l’auspicio di un rinnovamento delle coscienze, capace di attuare una conversione “cristiana” della cristianità, mal guidata dai papi, troppo impegnati a favorire il lucroso turismo di massa del Giubileo del 1300. Ad alimentare la dantofilia patriottarda da qualche tempo s’è gettato un guitto - Roberto Benigni è il suo nome - che, affettando amore per il poema, si mostra divinamente ispirato dalla “Commedia”. Coronato d’alloro, batte le piazze d’Italia, versando nei “cuori” del pubblico, meglio se pagante, l’illusione di sentirsi divinamente battere dentro
l’espressione varia del viso, l’avvicendarsi di sguardi sereni od ironici, smarriti o gioiosi, assorti o penetranti, pare non importi a lui, né a coloro che siedono in piazza per mostrare di sublimarsi con lui. Chi è abituato a ben altri lettori di poesia non può non misurare la sua abissale distanza, ad esempio, da Vittorio Gassman. Questi aveva un’infinita varietà, ignota al guitto, di toni d’atmosfere e registri d’espressione che, se non gli dava la laurea in lettere, ne faceva certo una calda voce narrante, recitante, interpretante. Il guitto neanche “recitando” Dante smette le contorsioni di clown, né i suoi caratteristici legnosi movimenti. Così legnosi, da figurare un burattino. Il suo miglior film, l’unico da lui magistralmente interpretato, è “Pinocchio”, proprio perché lui stesso è Pinocchio. Un’Italia “dantista” per opera d’uno, che a Dante (l’ha mai studiato?) è estra-
t e m po guardone di volgari “grandi fratelli” televisivi. L’Italia è dantista in piazza, perché la recitazione di Dante è l’ultima invenzione d’una modaiola scorza di “cultura”. Ma oltre che assistere (come assiste all’aperto a spettacoli di capodanno) ode? ascolta? consente con Dante? capisce il significato dei suoi personaggi? E quella stessa Italia, che festeggia l’anno veniente e canta con la bocca “Fratelli d’Italia”, sente davvero un poema che invoca la “giustizia” e mostra le vie della rettitudine dei governi e dei cittadini? O si accontenta di un sentimentalismo da fiction televisiva, che è tutto quanto il guitto induce? C’è un altro interprete, questa volta laureato studioso (o che tale si crede), che da una decina d’anni almeno legge la Commedia ad uditori volenterosi. E’ uno che, non riuscendo a capire un passo del poema, scrisse in una nota che Dante non aveva un atlante geografico e non sapeva dove fosse esattamente Calaruega. E’ uno che nel suo commento alla “Commedia” ha preteso di modernizzare, quasi giornalizzare il poema, rendere appetibili le notizie dal passato, trattandole come cronachette d’oggi. Che equivale a zuccherare l’orlo d’un bicchiere, per rendere meno amara l’indispensabile medicina. Un aneddoto trecentesco narra che Dante, udendo un ciabattino cantare male il suo poema, s’adirò con lui e gli scaraventò gli attrezzi in strada. Cosa farebbe oggi, contro il critico con laurea e il cantore senza laurea?
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l‘arcobaleno
Il
discorso di fine anno del Presidente del Consiglio ha riportato d’attualità la proposta di “Repubblica presidenziale”, con conseguente mutamento o “eversione” della forma costituzionale dello Stato, che fu il perno del programma politico della P2. Con la P2 riemerge dalle nebbie del passato anche la figura di Licio Gelli, una delle più inquietanti della storia dell’Italia repubblicana. Gelli, massone dal passato fascista e di agente dei servizi segreti americani, è stato a più riprese indicato come uno dei “burattinai” di quella “strategia della tensione” che, anche attraverso stragi di cittadini inermi (Piazza Fontana a Milano, treno Italicus, Piazza della Loggia a Brescia e stazione di Bologna), puntò negli anni settanta del Novecento ad instaurare in Italia un regime di polizia, che
le nomine alle più alte cariche dello Stato, le decisioni parlamentari, le scelte di politica economica, e la pubblica opinione. I due principali programmi della P2, risalenti agli anni 1974-1975, furono ritrovati tra le carte sequestrate alla figlia di Gelli nel 1982. Si tratta dello Schema R. e del Piano di Rinascita Democratica (entrambi facilmente reperibili su Internet). Lo Schema R., presentato all’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, simpatizzante della P2 (sarà successivamente costretto a dimettersi, con l’accusa di corruzione), prevedeva la sostituzione della Repubblica parlamentare con una Repubblica presidenziale, in cui il presidente avesse ampi poteri di fare e disfare le leggi, revisionare a piacimento la Costituzione, riformare le Camere, trasformare il servizio militare di leva in volontario, ripristinare
sindacali. Nonostante fosse evidente il grado elevato di realizzazione che questo Piano, al momento della sua scoperta, avesse raggiunto, la Commissione Parlamentare d’inchiesta, istituita il 23 settembre 1981, escluse tuttavia che la P2 avesse avuto finalità eversive: si limitò ad accertare lo scambio di favori tra i suoi membri e formulò un’apposita legge che proibisse la costituzione in Italia di società segrete. La relazione “di ampia maggioranza” (“Anselmi-Occhetto” dai nomi dei suoi principali esponenti), con la quale concluse i suoi lavori il 10 luglio 1984 (dopo 147 sedute e 198 testimoni), risente infatti delle preoccupazioni politiche dell’epoca e dell’esigenza di recuperare al gioco democratico una parte importante della classe dirigente italiana, coinvolta a
la pena di morte, vietare gli scioperi e limitare alcune libertà civili. Il Piano di Rinascita Democratica dettava i tempi e le modalità per conseguire, dall’interno del vigente sistema parlamentare, gli obiettivi fissati nello Schema R.; come, cioè, attuare l’occupazione progressiva delle principali cariche dello Stato, dell’esercito, della magistratura, dell’economia, della finanza, della carta stampata, della televisione, ecc. procedendo poi per mezzo di decreti legge “immodificabili” alle varie riforme in senso autoritario dell’apparato statale e produttivo, adescando ovvero reprimendo violentemente le opposizioni politiche e
vario titolo nello scandalo. Gelli, dopo una latitanza dorata e una facile evasione dal carcere svizzero di Champ Dollon, tornò in Italia nel 1987 ed oggi rilascia interviste, lancia messaggi cifrati e torna a intessere vecchi e nuovi intrighi. Ma a distanza di trent’anni la verità storica acquista contorni sempre più netti ed appare incontrovertibile che, con la loro idea di “Repubblica presidenziale”, oggi riproposta dai più alti vertici istituzionali, Gelli e la P2 tentarono di ribaltare le fondamenta stesse della democrazia in Italia.
Il ritorno di icio Gelli
di Natale Musarra si opponesse ai “nuovi movimenti” (del ’68 e del ’77) e soprattutto impedisse l’avvento del partito comunista al governo. Gelli fondò la P2 o “Propaganda 2” nel 1971, ispirandosi ad una precedente loggia massonica segreta, la “Propaganda”, creata cent’anni prima allo scopo di consentire alle alte personalità italiane della politica, dell’economia e del giornalismo, di aderire alla massoneria, combinare i propri affari ed aiutarsi nelle rispettive carriere, lontano da occhi indiscreti. L’elenco della P2, rinvenuto largamente incompleto il 17 marzo 1981 nel corso di una perquisizione negli uffici di Gelli, ad Arezzo, comprendeva 962 nomi, tra cui quelli di 6 ministri, 12 sottosegretari, 36 parlamentari, un’altra cinquantina di politici (segretari, presidenti e membri di partito, ecc.), 400 alti ufficiali dell’esercito (il capo di stato maggiore, 35 generali dei carabinieri, i responsabili dei servizi segreti), il comandante dalla Guardia di Finanza, i vertici delle principali banche italiane, editori e direttori di vari quotidiani, alcuni industriali, il presidente della RAI e l’attuale capo del governo, Silvio Berlusconi. Una concentrazione di potere tale da condizionare pesantemente
MASSONERIA: Associazione per lo più segreta che, seppur costituita ufficialmente in Inghilterra nel 1717, affonda le sue radici in epoche antichissime, quando professare idee diverse rispetto a quelle correnti poteva condurre a sicura disgrazia se non addirittura alla morte. Perciò la massoneria ospitò tra le sue file, nei secoli, eretici, liberi pensatori, rinnovatori sociali, e si fece paladina d’innumerevoli battaglie di civiltà (dall’istruzione laica alla parità tra i sessi, dalla istituzione della Croce Rossa alla legge sul divorzio). Ma la segretezza e la solidarietà molto stretta tra gli affiliati può talvolta degenerare e anziché operare per il bene dell’umanità, com’è scritto nei loro statuti, le “logge” che raggruppano i “libero-muratori” (detti anche così per l’uso dei simboli dell’arte delle costruzioni) possono trasformarsi in vere e proprie bande criminali.
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l‘arcobaleno
Gli anniversari hanno il merito
di costringerci a considerare gli avvenimenti, sempre più distanti nel tempo, in modo più distaccato e meditato. Il matrimonio tra il regime fascista e la chiesa cattolica celebrato l’11 febbraio 1929, aveva un significato riparatore, nel senso che tendeva a ricucire la lacerazione che l’ideologia liberale e risorgimentale aveva provocato alla tradizione teocratica e medievale con la presa di Porta Pia (20 settembre 1870). Il 13 febbraio 1929 Pio XI definiva Mussolini “l’uomo che la Provvidenza Ci ha
di Anteo Quisono
Tito si estendeva fino ed oltre Mosca, territorio dell’incontrastato dominio di Stalin. A poco più di un mese dal vertice tra Stalin, Roosvelt e Churchill, il capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, annuncia a Salerno la svolta. Si tratta di un’importante scelta politica che determinerà il futuro istituzionale dell’Italia repubblicana. Da adesso in poi i monarchici ed il maresciallo Badoglio non sono più il nemico, ma il punto di riferimento di un’unità nazionale nella quale devono confluire pacificamente le componenti ideali della società italiana: quella cattolica, quella laico-liberale e quella socialcomunista. Coerentemente con la svolta di Salerno, Togliatti, che è
mento. Togliatti non è d’accordo ma poi, per amor di patria, si convince. Inoltre i cattolici insistono perché nella Costituzione vengano esplicitamente richiamati i Patti Lateranensi. Togliatti si oppone fermamente,e, fino alla vigilia del voto, difende il principio di uno Stato in cui non ci sia una religione di Stato. Poi, con un voltafaccia che sorprende gli alleati, i suoi compagni e gli stessi cattolici, Togliatti annuncia il voto a favore dell’articolo 7, che al secondo comma recita: I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Quali siano state le motivazioni, i comunisti sapevano bene che l’articolo 7 era in contraddizione con i principi di uguaglianza (art. 3) e di libertà religiosa (art. 8). Questo articolo, inoltre, attribuisce valore costituzionale ad un semplice trattato tra Stati ed è congegnato in modo tale da non potere essere abrogato né con un referendum (lo impedisce espressamente l’art. 75), né unilateralmente con una legge ordinaria (richiedendo invece il procedimento di modifica costituzionale previsto dall’art. 138). Non può neppure, infine, essere oggetto di modifica per iniziativa legislativa popolare (art. 80). Se sul piano politico è un inciucio, su quello giuridico è una trappola. Quarantacinque anni dopo l’ex socialista Mussolini, toccava al socialista Craxi, il 18 febbraio 1984, il compito di aggiornare i rapporti tra Stato e Chiesa. Con il nuovo Concordato scompariva il riferimento alla religione di Stato, eliminando così uno dei due puntelli -l’altro è il riconoscimento della sovranità della Santa Sede- dei Patti Lateranensi. Si è arrivati, quindi, all’assurdo, come ha rilevato il filosofo Emanuele Severino, di un articolo della Costituzione che è fondato su di un presupposto inesistente. La perdita della qualifica di “sola religione dello Stato” e della obbligatorietà dell’ora di religione nelle scuole veniva ricompensata con l’introduzione dell’ora di religione nelle scuole materne e, soprattutto, sostituendo il vecchio sistema della congrua col meccanismo dell’8 per mille, molto, molto più vantaggioso per la Chiesa. Ancora una volta si perdeva l’occasione per restituire la fede ed il sentimento religioso alla sfera naturale della coscienza e dei valori etici per continuare a farne oggetto di bassa speculazione economica e di condizionamento delle scelte politiche.
I Patti Lateranensi e l’art. 7 della
Costituzione
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fatto incontrare”, un incontro veramente provvidenziale, dato che al neonato Stato della Città del Vaticano venivano riconosciute esenzioni fiscali e concessioni finanziarie pari a circa sette miliardi di euro attuali. Inoltre il riconoscimento della religione cattolica come sola religione dello Stato, l’introduzione del matrimonio concordatario e dell’insegnamento della religione nelle scuole, per citare solo i provvedimenti più importanti, accordavano alla Chiesa una posizione di monopolio incontrastato nella sfera morale e pedagogica. Non minori erano i vantaggi per il regime fascista, che poteva adesso disporre di preti e parrocchie, una vastissima e capillare rete per l’organizzazione e la gestione del consenso. Con questo retroscena la vittoria contro il nazifascismo del 25 aprile del ‘45 poteva aprire nuove prospettive anche per i rapporti con la Chiesa. Gli accordi di Yalta del febbraio del ‘44 avevano sancito la spartizione del mondo tra le potenze vincitrici, assegnando a ciascuna la propria zona. All’Italia era toccata l’influenza angloamericana, con un ruolo delicatissimo di cerniera con la zona orientale, che dalla Yugoslavia del maresciallo
anche ministro della giustizia, dopo essersi adoperato per disarmare le formazioni partigiane, nel giugno del ‘46 proclama l’amnistia ai fascisti. Intanto, all’Assemblea Costituente, si discute dei rapporti tra Stato e Chiesa e se è il caso di inserirli nella nuova Costituzione. Socialisti, esponenti del partito d’azione e buona parte dei liberali sono contrari. Che senso ha, infatti, scrivere, come nel primo comma dell’articolo 7, Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani? Lo stesso che avrebbe se, invece della Chiesa cattolica, ci fosse scritto Malta, Svizzera, Honduras. Tutti sappiamo che gli stati sono tali se il loro ordinamento è sovrano; se, cioè, non ne riconoscono un altro superiore. Ad ogni modo i cattolici, De Gasperi in testa, ne chiedono l’inseri-
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ambiente l‘arcobaleno
Tutto iniziò dall’acqua Tutto iniziò dall’acqua Tutto iniziò dall’acqua Tutto era immobile e l’estensione del cielo era vuota. Ancora non era apparsa la superficie della terra, c’era solo l’acqua calma, il mare placido, solitario e tranquillo…..(Maya- Quiché) Due dèi, Quetzlcoatl e Tezcatlipoca, portarono giù dal cielo la Dea della Terra: aveva gli arti sparsi di occhi e bocche con le quali mordeva coma una bestia feroce. Prima che portassero giù la dea, l’acqua già esisteva, anche se nessuno sa chi la creò….(Aztechi) In principio tutte le cose erano nella mente del Wakonda. Tutte le creature erano spiriti che cercavano un posto dove potessero incarnarsi in un’esistenza corporea. Salirono fino al sole, proseguirono fino alla luna, ma non erano dimore adatte. Allora scesero sulla terra e videro che era coperta d’acqua...(OmahaNord America)
i t i M d’acqua
Massimo Campigli: “Portatrici d’acqua”, 1931 olio su tela
In principio non esisteva che l’acqua e in ogni direzione il cielo era terso e puro. Quand’ecco si formò una nuvola che, aggomitolandosi su se stessa si trasformò in un coyote. Si alzò un cumulo di nebbia che, aggomitolandosi, divenne una volpe argentata…(Achomavi- Nord America)
Al principio non c’era terra. C’era soltanto Okun, il mare, una massa d’acqua che di sotto si stendeva all’infinito, mentre di sopra c’era Olorun. Il dio del cielo e del mare erano coevi ed erano i padroni del mondo…(Yoruba-Nigeria) All’origine non esisteva che l’acqua: acqua a perdita d’occhio fin sopra le montagne più alte. Sull’immensa distesa d’acqua nuotava un’enorme tartaruga le cui uova generavano gli animali …(PigmeiAfrica) Izanagi e Izanami, dal ponte sospeso del cielo, immersero la lancia ingemmata nell’acqua salata che si rapprese tenacemente; tirata su la lancia, l’onda salata gocciolante giù dalla punta si ammassò e diventò un’isola ( Kojiki-Giappone) Al principio non c’era che un’immensa distesa d’acqua, su cui galleggiavano i due spiriti creatori Ara e Irik in forma di uccelli. Piombando giù i due spiriti trassero fuori dall’acqua due sostanze solide della forma e dimensione di un uovo di pollo, con le quali formarono il cielo e la terra…(Iban-Borneo)
l‘arcobaleno
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storia santagatal aica l‘arcobaleno
di Antonio Squeo
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