La Rete Che Collabora

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La Rete che collabora Dalla comunicazione “uno a uno” alla collaborazione di massa. Davide Tarasconi [email protected] - http://www.davidetarasconi.net

1. Introduzione La natura di Internet è sempre stata quella di rendere possibile nuove forme di comunicazione, di dati prima e di informazioni e contenuti multimediali poi: il fatto che si parli delle origini di Internet come progetto militare per un sistema di comunicazione in grado di sopravvivere ad attacchi nucleari spesso maschera il fatto che, in realtà, il sistema non venne mai utilizzato in maniera funzionale per scopi bellici e militari. I vantaggi di una comunicazione mediata dall’infrastruttura di rete divennero quasi immediatamente sfruttati in ambito accademico, dove la circolazione di idee e delle scoperte scientifiche potevano aumentare l’efficacia della collaborazione fra colleghi e università: non a caso la progenitrice di Internet non fu un segretissimo progetto militare, ma una rete informatica costruita fra le quattro università di UCLA, Stanford, Santa Barbara e Utah. Circa vent’annni più tardi, l’invenzione dei protocolli che diedero vita al World Wide Web moderno erano una ulteriore un’evoluzione di stampo tecnico e anche comunicativo: la possibilità di separare il Web, come insieme di documenti e siti, dalla sua infrastruttura fisica di rete e l’esplosione dei personal computer avvenuta alla fine degli anni ’80 aumentarono in maniera esponenziale ed imprevista la crescita di questa infrastruttura. La velocità delle migliorie tecniche e dell’espansione hanno prodotto un cambiamento anche nella percezione dello scorrere del tempo: il “tempo di Internet” e del mondo dell’informatica in genere è estremamente più veloce del 1

La licenza d’uso completa: http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5/it/

tempo “reale” e i 25 anni passati dall’introduzione dei protocolli HTTP valgono, e in termini di evoluzione tecnica superano ampiamente, 100 anni di sviluppo e innovazioni del mondo industriale “classico”. In questo mondo piccole rivoluzioni e capovolgimenti di fronte iniziano e terminano nel giro di pochi mesi, evoluzioni importanti avvengono in maniera parallela e sincrona: difficile quindi tracciare un percorso storico accurato relativo all’evoluzione di Internet e della Rete, soprattutto degli ultimi anni. Una tendenza che spicca, tuttavia, è quella di una sorta di cambio di paradigma che sta avvenendo proprio negli ultimi anni: gli strumenti per comunicare in Rete sono diventati talmente pervasivi ed evoluti che dalla “semplice” piattaforma per la comunicazione si è passati al Web collaborativo. Benché, come detto in precedenza, fin dalla nascita di Internet le comunicazioni erano improntate alla collaborazione fra scienziati, gli strumenti utilizzati negli ultimi 10 anni hanno subito una evoluzione radicale, aprendo l’era della collaborazione di massa. Dallo sviluppo di software open source all’elezione di Barack Obama, cercherò di fare una panoramica di come la Rete ha coinvolto e sta coinvolgendo sempre più persone in questa nuova dinamica collaborativa che sta cambiando il volto della Rete e, soprattutto, presenta effetti e conseguenze rilevanti soprattutto fuori dalla Rete.

2. La Rete che comunica Della storia di Internet e della Rete abbiamo sentito e letto tante versioni: la maggior parte di questi racconti sono, a seconda dei casi, abbastanza superficiali oppure eccessivamente tecnici. Addirittura direi che, date le problematiche tecnologiche e organizzative relative allo sviluppo di una rete informatica, forse la documentazione più estesa e facilmente reperibile è quella relativa allo sviluppo tecnico dei vari protocolli che permisero la trasmissione di dati e in seguito le prima comunicazioni fra gli utenti. Il mio intento in questa sezione è quello di guardare questa storia dal punto di vista della Rete come piattaforma di comunicazione fra le persone. Decido quindi di non parlare dei

progetti militari legati allo sviluppo di Internet, ne di approfondire eccessivamente i dettagli tecnici: non perché questi non abbiano avuto influenza, ma piuttosto perché l’evidenza storica suggerisce che se la fase di nascita di queste tecnologie è stata innegabilmente favorita da investimenti governativi per scopi militari, lo sviluppo dei primi strumenti di comunicazione è totalmente indipendente da logiche imposte dall’alto.

Email. Il precursore dell’email, sistema di comunicazione che ad oggi rimane uno dei più utilizzati, fu un sistema che permetteva di salvare file in remoto sulle prime macchine collegate ad ARPAnet: stiamo parlando dei primi anni ’60 e i computer erano mainframe ai quali gli utenti accedevano tramite terminali stupidi. Nel 1965 l’email divenne il modo più semplice attraverso il quale questi mainframe multi-utente potevano rendere possibile la condivisione di messaggi ed informazioni. In

questa

era

pioneristica

le

innovazioni

erano

fortemente

legate

all’avanzamento tecnico e tecnologico, alla capacità di calcolo dei computer e l’email divenne negli anni a seguire un sistema di comunicazione da singolo computer a singolo computer, quindi più “personale: è stato stimato che già nel 1973 il 70% del traffico dati su Internet era riconducibile all’utilizzo dell’email. Questo mezzo di comunicazione divenne così popolare negli anni a seguire da guidare il primo esperimento commerciale di Internet: nell’estate del 1989 la MCI Communication rese disponibile un sistema chiamato MCI Mail che permetteva, tramite un collegamento modem-telefono e un personal computer, di inviare messaggi testuali che sarebbero poi stati inviati ad altri utenti del sistema MCI oppure potevano essere stampati e inviati per posta ordinaria. Curiosamente, questo sistema di comunicazione che ha contribuito a fare conoscere Internet al grande pubblico in un primo momento, è rimasto dal punto di vista tecnico uguale a se stesso fin dai primi anni ’90: in molti hanno dichiarato la “morte dell’email” recentemente, a causa dell’utilizzo fin troppo intensivo che in certi ambiti produce il problema dell’information overload, a causa della quantità sempre più grande di spam e anche a causa dei numerosi

sistemi di messaggistica istantanea che rendono la comunicazione più immediata e ancora più personale.

Chat. Quasi contemporaneamente allo sviluppo dei primi sistemi di posta elettronica, a metà degli anni ’60, venne sviluppato un primo sistema di messaggistica istantanea che sarebbe stato destinato ad avere un enorme successo nei decenni a venire. Nato in era pre-Internet e pre-WWW, questo sistema di comunicazione ha avuto una comprensibilmente lunga evoluzione: agli inizi il sistema di messaggistica veniva usato sui grandi mainframe per la notifica, ad esempio, dal sistema di stampa ma venne adattato molto presto per permette comunicazioni immediate fra gli utenti connessi ad un unico mainframe2. Nel corso dei decenni si è passati a sistemi di chat non più su un singolo mainframe ma fra singoli computer, alla messaggistica esclusivamente tramite testo si sono aggiunti client, interfacce grafiche e sistemi per lo scambio di file. L’utilizzo della chat come mezzo di comunicazione è diventato un elemento di cultura popolare principalmente a causa dell’istantaneità delle comunicazioni: l’uso diffuso di software di messaggistica istantanea ha rotto il clichè della asincronicità delle comunicazioni sulla Rete, accelerando in maniera esponenziale la percezione del tempo e ampliando quella dello spazio. La pervasività di uno strumento così immediato è stata aumentata negli ultimi anni dalla presenza di connessioni Internet sempre più diffuse e dalla disponibilità di cellulari e terminali mobili che hanno reso la possibilità di essere “always on” una realtà in molti ambiti: in un ecosistema di questo tipo i problemi che affliggono l’email, come citato in precedenza, possono essere travalicati grazie ai sistemi di messaggistica istantanea – questa condizione ha

2

Alcuni cenni tecnici sulla storia dei primi sistemi di email e di messaggistica istantanea: “The

History of Electronic Mail” - http://www.multicians.org/thvv/mail-history.html

portato molti esperti, opinionisti ed utenti avanzati a prefererire chat (o servizi simili) all’email, decretando la morte di quest’ultima3.

Piazze virtuali. Il passo successivo all’email, che simulava virtualmente le comunicazioni personali uno-a-uno della posta cartacea, fu quello di permettere alle persone di riunirsi in “piazze virtuali” dove poter discutere dei più disparati argomenti. Furono nuovamente degli studenti universitari i primi a creare strumenti, reti e canali canali di comunicazioni dedicati ai loro interessi: sul finire degli anni ’70 furono ideati sia Bullettin Board System (BBS) che Usenet, i primi sistemi di discussione online che permettevano di leggere e scrivere messaggi pubblici e di organizzarli in newsgroup a seconda dell’argomento trattato. Nonostante alcune differenze tecniche e organizzative tra BBS e Usenet4, questi sistemi rappresentavano la prima forma di rifugio collettivo per molti studenti e appassionati: molti eventi storici della storia di Internet e della Rete sono stati scritti nelle pagine virtuali di newsgroup e BBS, come l’annuncio del progetto World Wide Web da parte di Tim Berners-Lee nel 1992 o il primissimo nucleo di quello che diventerà Linux, nato da un messaggio e una richiesta di aiuto lasciata da Linus Torvalds nel 1991. La

realtà

dei

newsgroup non era tuttavia

sempre

così idilliaca

e

necessariamente legata al desiderio e alla possibilità di discussione: quello di Usenet e di BBS era infatti la sede dei primi scambi illegali di software proprietario e in tempi recenti ci sono stati provvedimenti legali per forzare la chiusura di alcuni canali utilizzati per lo scambio di materiale pedopornografico. 3

Una rapida ricerca della frase “is email dead?” su Google offre qualcosa come 240 milioni di

risultati: l’argomento è quindi assai discusso, le opinioni raramente sono discordanti nel definire la crisi dell’email, mentre divergono le conclusioni sulla gravità di questa crisi. 4

BBS era dotato di una struttura centralizzata basata su server che spesso erano computer

privati del cosiddetto SysOp, il “padrone di casa”. Se il server non era disponibile, l’intero sistema di messaggistica non era raggiungibile. Usenet era invece una rete distribuita e variabile di server costantemente aggiornati per sopperire alla fragilità di una rete centralizzata.

Nel corso del tempo Usenet, ma soprattutto BBS, tecnicamente più limitato e relegato ad ambiti locali, sono lentamente passate di moda e, come l’email, sono state vittime dello spamming, cedendo lo scettro della comunicazione online ai forum, ai blog e alla messaggistica istantanea5. Proprio i forum furono un salto evolutivo di queste piattaforme: se Usenet e BBS erano le piazze virtuali pre-WWW, i forum si moltiplicarono a dismisura con l’espansione della Rete. Da fenomeno di nicchia e a volte relegato fisicamente su reti limitate sotto forma di newsgroup, i forum divennero sempre più famosi perché iniziarono a comparire su un maggior numero di siti web, principalmente come strumento per creare un senso di appartenenza ad una determinata comunità. Il loro utilizzo come luogo di risoluzione di problemi e assistenza tecnica da parte delle aziende consacrò questo strumento anche in campo commerciale: le aziende, soprattutto quelle tecnologiche, scoprirono una nuova dimensione del customer care e l’importanza di comunicare, conversare con i propri clienti – e non solo con i clienti, ma con tutti i collaboratori interni e ed esterni, fornitori e partner commerciali.

World Wide Web. L’invenzione e la diffusione del Web gioca un ruolo fondamentale nella storia delle comunicazioni mediate da reti informatiche: se Internet

aveva

avuto

uno

sviluppo

non

uniforme,

favorendo

la

frammentazione, anche fisica, di diverse reti e protocolli di comunicazione, il Web permise una omogeneizzazione che fu di fondamentale importanza. Mentre esplodeva l’utilizzo di newsgroup e in generale di tutti quei sistemi di comunicazione che iniziavano a rivoluzionare e a costruire un nuovo concetto di “audience” c’era un problema di base riguardante Internet che, ancora alla fine degli anni ’80, non era stato affrontato.

5

Usenet ha continuato a mostrare un incremento del traffico dati al suo interno, dovuto

principalmente a spamming e file sharing: la comunicazione si è spostata altrove. Google ha lanciato nel 2001 la piattaforma Groups ( http://groups.google.com/ ), una sorta di Usenet del nuovo millennio, integrandone gli archivi storici fino al 1981.

La mancanza di standard rendeva la condivisione e la presentazione delle informazioni difficoltosa, anche in ambito accademico: fu un ricercatore del CERN, Tim Berners-Lee, che per primo propose un sistema per gestire le informazioni su Internet basato su una rete di documenti legati fra loro da collegamenti ipertestuali, chiamato World Wide Web. L’esigenza di avere una rete di documenti indipendente dalla struttura fisica di Internet avrebbe facilitato le esigenze di condivisione di Berners-Lee e dei colleghi, ma già da subito si poteva intravederne un potenziale maggiore. “The WorldWideWeb (WWW) project aims to allow all links to be made to any information anywhere. [...] The WWW project was started to allow high energy physicists to share data, news, and documentation. We are very interested in spreading the web to other areas, and having gateway servers for other data. Collaborators welcome!”6 Nessuna delle idee di Berners-Lee era intrinsecamente rivoluzionaria, il concetto di collegamento ipertestuale era stato immaginato già nel 19457, ma una serie di circostanze favorevoli lanciarono una nuova era: Berners-Lee era riuscito a creare semplici ma potenti strumenti di base attraverso i quali costruire l’intera infrastruttura del WWW, decidendo di rilasciare online, gratuitamente, tutto il materiale in un periodo storico in cui il personal computing stava diventando una realtà. Il grande merito di Berners-Lee e di chi collaborò con lui fu quello di fornire i “mattoni” per la costruzione di un’infrastruttura dotata di standard comuni e aperta, libera da influenze commerciali. Per citare 6

Un estratto dalla prima descrizione ufficiale del progetto, scritta da Berners-Lee sul

newsgroup “alt.hypertext” il 6 Agosto 1991. Come illustrato in precedenza alt.hypertext era un newsgroup su Usenet, frequentato da sperimentatori di sistemi ipertestuali. 7

Vannervar Bush, visionario ingegnere statunitense, è accreditato per essere stato il primo ad

avere immaginato, nel suo articolo “As We May Think”, un sistema chiamato “memeplex” che, considerata la tecnologia dell’epoca, era molto simile a come Internet prima e il World Wide Web dopo sarebbero stati sviluppati.

Doc Searls8, la Rete non avrebbe mai visto la luce se fosse stato per manager e aziende, i cosidetti “soliti sospetti”.

Blog. Il primo “periodo d’oro” della Rete è legato alla traduzione online della realtà comunicativa offline: le email sostituiscono la corrispondenza via posta, i grandi gruppi editoriali creano versioni online dei loro giornali e riviste, così come le reti televisivi sfruttano la Rete come canali comunicativi. Anche le attività commerciali si trasferiscono online, con più o meno successo, e l’ecommerce trasforma la Rete in una macchina da soldi. La Rete cresce e si sviluppa in modo esponenziale e creativo, ma rimane, per un periodo relativamente lungo di tempo, un medium abbastanza passivo: le comunicazioni sono ancora incanalate in maniera top-down e statica. Le informazioni sulla Rete vengono gestite da coloro che le gestiscono nel mondo reale: informarsi online non è molto diverso da farlo offline, è solo un cambio di medium, non della tipologia di comunicazione.

Una piccola/grande

rivoluzione nel campo della comunicazione in Rete avviene con la diffusione dei blog: piattaforme di pubblicazione personale, sono stati spesso definiti come “diari online” e lo sono stati forse nella fase embrionale della loro breve esistenza, databile attorno alla prima metà degli anni ‘90. Il punto di svolta di questi diari online fu la possibilità tecnica di poter commentare ogni singolo articolo: i blog sono diventati bacheche personali attorno alle quali si sviluppano conversazioni spesso incentrate su temi a volte ancora più di nicchia rispetto a quelle dei forum o dei newsgroup. I blog hanno nel tempo guadagnato fama come fonti di informazione alternativa: in un’epoca in cui le grandi multinazionali dell’informazione spesso offrono notizie sempre più preconfezionate, i blog rappresentano un punto di vista personale che attira sempre più l’interesse di chi sfrutta la Rete come fonte informativa.

8

Senior editor del Linux Journal, sostenitore del movimento Open Source e co-autore de “The

Cluetrain manifesto” (http://www.cluetrain.com/ ), una serie di tesi sul futuro dei mercati del 1998 nella quale viene riportata la famosa affermazione “Markets are conversations”.

Anche i blog, come gli altri strumenti di comunicazione online di cui ho parlato in precedenza, attirano le attenzioni delle industrie più disparate, per motivi diversi: innanzi tutto i blog possono dare una voce umana ad un’azienda, offrire la possibilità di una canale di comunicazione informale per inserirsi nella comunicazione sulla Rete in maniera più dinamica. Da un altro punto di vista i blog rivoluzionano il concetto di informazione online in molti modi: costringono i media tradizionali a reinventarsi, a dimenticare l’approccio top-down ad aprirsi alla conversazione attiva. Se una volta i giornali avevano una pagina dedicata alle lettere dei lettori, ora tutti i maggiori network di informazione permettono ai lettori di commentare ogni singolo articolo: questo ha un profondo impatto sulle dinamiche dell’informazione sia online che offline perché l’offerta informativa online negli ultimi anni è molto più allettante e coinvolgente di quella online. Questo non significa che ognuno di noi può essere un giornalista e che stiamo assistendo alla morte del giornalismo o dell’informazione come la conoscevamo: semplicemente questi strumenti di comunicazione online hanno raggiunto un grado di maturità tale da poter essere utilizzati in maniera professionale ed avere un impatto informativo che nessuno strumento online finora aveva avuto. La comunicazione si disperde ancora di più, diventa più fluida ed ognuno può essere “editore di se stesso”: la storia dei blog e dei loro impatto sulla comunicazione in Rete è stato e sarà oggetto di numerosi libri, non è questa l’occasione nella quale dilungarsi sull’argomento. Da qualche tempo si fantastica già sulla morte dei blog: si tratta di una provocazione gratuita, ma è innegabile che negli ultimi due anni hanno preso piede sistemi di microblogging che in virtù della limitazione della lunghezza dei messaggi e della loro utilizzabilità sui cellulari pare abbiano eroso una parte dei contenuti online. Su un altro versante, quello dei mondi virtuali (o metaforici) e dei giochi di ruolo online di massa, si assiste alla virtualizzazione sempre più spinta di luoghi e tempi di socializzazione e di comunicazione: il blog quindi si ritrova in mezzo a due strumenti diversi per fruizione e tipologia di comunicazione, non, quindi, di validi sostituti.

L’aspetto fondamentale dei blog è quello di rappresentare l’evoluzione ultima della comunicazione online, uno strumento che ha suggerito nuovi metodi di fare e diffondere informazioni, creare consenso e sviluppare conversazioni online: la forza delle comunità, dei lettori e degli autori dei blog, come degli utilizzatori delle precedenti forme di comunicazione e discussione online, hanno decretato con il tempo e in forme diverse un cambio di paradigma, il passaggio dalle conversazioni frammentate a quelle più orientate ad un fine ultimo, la collaborazione.

III. Dalla comunicazione alla collaborazione Collaborare online. La collaborazione di massa mediata sulla Rete ha alcune caratteristiche basilari che la distinguono, indipendentemente dalla tipologia dei progetti che si prendono in esame da cooperazione e altre forme di organizzazione del lavoro: la collaborazione, a differenza della cooperazione, richiede un certo livello di coordinazione fra individui che possiedono, o sono messi in condizione di possedere, una serie di conoscenze condivise. È ovvio che non si possa scindere in maniera così decisa il processo comunicativo da quello collaborativo: la discussione ha un ruolo fondamentale ma, all’interno della cornice interpretativa che si usa per capire i fenomeni di collaborazione online, gli strumenti classici per le comunicazioni (forum, newsgroup, chat, ecc.) sono ormai di così facile utilizzo che tendono a disperdere e frammentare le comunicazioni in una maniera tale da rendere impossibile il loro utilizzo in maniera coordinata e allo scopo collaborativo. È per questo motivo che le conoscenze condivise e condivisibili sono così importanti: esse mediano il gap informativo che esiste fra i singoli partecipanti di un qualsiasi progetto collaborativo, rendendo possibile la collaborazione (ad esempio su Wikipedia) senza la necessità di comunicazioni accessorie (si può contribuire ad un articolo di Wikipedia senza partecipare alle discussioni sul suo contenuto, ad esempio9).

9

Nell’estremità superiore di ogni articolo di Wikipedia, e di qualsiasi progetto basato su wiki, si

possono notare il link alla sezione “discussion”, nella quale sono riportati in ordine cronologico

Benché nella breve ma vivace storia della collaborazione sulla Rete gli esempi più efficaci riguardino la produzione di software o di “conoscenza testuale”, i principi base, gli strumenti a disposizione e le modalità di interazione permettono l’estensione dei benefici anche a diversi tipi di progetti, online e offline. Dal punto di vista storico, però, l’evoluzione delle collaborazioni sulla Rete ebbe inizio grazie alle conoscenze condivise di quei gruppi di ricercatori e accademici per primi si trovarono a caratterizzare lo sviluppo tecnico della Rete in base a come loro stessi usavano questo strumento. A seguire cerco di delineare un percorso storico sull’evoluzione della collaborazione online, citando sia strumenti tecnici che particolari progetti e fenomeni, spesso fra di loro correlati.

GNU/Linux. Si potrebbe tranquillamente affermare che il software open source si sia sviluppato grazie alle Rete e che la Rete si sia sviluppata grazie all’open source. Senza entrare nei dettagli tecnici, parliamo di un movimento, una comunità di esperti di software che collaborano su base volontaria allo sviluppo di tecnologie e software con il fine ultimo di rilasciare tali prodotti senza restrizioni d’uso e modifica, a patto che chi riutilizzi e modifichi il software in questione lo renda liberamente disponibile a sua volta. Come abbiamo visto ai primordi dell’era informatica le idee e le implementazioni a livello di software di queste idee fluivano liberamente e molto spesso gratuitamente da un’università all’altra: con il tempo però il software diventò un prodotto commerciale come tanti e quindi soggetto a restrizioni. Nel 1984, Richard Stallman, ricercatore presso il MIT, decise di iniziare una personale crociata contro le forzature introdotte dalla aziende che sviluppavano software commerciale: Stallman voleva sviluppare in proprio un intero sistema operativo e renderne disponibile il “codice sorgente”, così che chiunque con le

tutti i commenti fatti dagli utenti a lato delle determinate sezioni di un articolo, e il link “history”, nel quel viene riportata la cronologia e la tipologia delle modifiche apportate al testo.

competenze tecniche per farlo avrebbe potuto sistemare errori, introdurre modifiche e migliorare costantemente il risultato. Il punto di svolta fu quello di ideare una licenza, la GNU10 General Public License (GPL), nata per proteggere qualsiasi progetto volesse rilasciare il software con un grado di libertà quasi totale: era nato il movimento del free software. L’utilizzo di “software libero” rappresentava un’opportunità da sfruttare per chiunque avesse ambizioni di creare o modificare facilmente nuove applicazioni: le prime comunità di sviluppatori di “software libero ”nacquero attorno a strumenti di comunicazione collettivi come mailing-list e newsgroup. Fu proprio in queste sedi virtuali che venne posta una delle pietre miliari della storia di questo movimento: nell’Agosto del 1991 un giovane programmatore finlandese, Linus Torvalds, scrisse un messaggio sul newsgroup comp.os.minix: “I'm doing a (free) operating system (just a hobby, won't be big and professional like gnu) for 386(486) AT clones. (…)” Quello che nessuno avrebbe potuto prevedere è che questo progetto iniziato a tempo perso, che nella sua prima versione contava 10000 righe di codice11, avrebbe coinvolto negli anni a venire migliaia di programmatori volontari da tutto il mondo: Linux era il cuore del sistema operativo “libero” immaginato da Stallman che non avrebbe mai visto la luce se non si fosse appoggiato alla comunità nata attorno a Torvads, il quale divenne divenne padre putativo del sistema GNU/Linux che ora equipaggia una miriade di sistemi, da cellulari a grandi mainframe.

10

GNU’s Not Unix è un acronimo ricorsivo, utilizzato da Stallman per esplicitare la sua presa

di distanze da Unix, sistema operativo non open source (o meglio non free – dove free non sta ad indicare “gratis”, ma “libero”) . Per maggiori informazioni: http://www.gnu.org/ 11

Linux ha raggiunto la versione 2.6.28 e ora conta qualcosa come 10 milioni di righe di codice -

http://www.heise-online.co.uk/open/Kernel-Log-Higher-and-Further-The-innovations-ofLinux-2-6-28--/features/112299/5 .

Dall’ideologia del free software si è passati al pragmatismo dell’open source: questo nuovo metodo collaborativo per lo sviluppo del software si è dimostrato talmente efficiente da avere sovvertito le logiche ferree che avevano regolato per anni l’industria informatica tradizionale. Il software open source ha dimostrato in molti casi di essere qualitativamente migliore delle controparti closed source: per molti esperti del settore è ancora difficile capire come un movimento iniziato con software reso disponibile gratuitamente e sviluppato in maniera volontaria sia diventato oggi un business miliardario in constante crescita, supportato dalle più grandi multinazionali del settore IT. Quello che è evidente è che intere comunità nate sul Web hanno potuto comunicare e collaborare in maniera talmente efficace da inventare nuovi prodotti, nuovi metodi di sviluppo e nuovi mercati, uscendo dalla virtualità intrinseca che spesso caratterizza Internet.

CVS. Come visto nella precedente sezione, le comunità accademiche di esperti e tecnici furono le prime a definire strumenti e standard per mediare le comunicazioni attraverso Internet: furono anche pionieri dei primi approcci puramente collaborativi della storia della Rete. Le esigenze che spinsero lo sviluppo di strumenti più sofisticati dell’email e dei newsgroup erano legate all’ambito dello sviluppo di software open source in maniera collaborativa: la possibilità di poter collaborare a più mani sul codice rendeva necessario un sistema che permettesse di tenere traccia delle modifiche fatte da ogni utente per evitare ovvie inconsistenze che in campo informatico si sarebbero tradotte nel malfunzionamento o addirittura nell’inutilizzabilità del software stesso. Nel 1990, pochissimi anni dopo la nascita ufficiale del movimento free software, venne sviluppato il primo sistema di questo tipo, detto Concurrent Versioning System (CVS), che divenne lo strumento che permise lo sviluppo collaborativi globale dei primi software open source: tramite un sistema di questo tipo i partecipanti ad un progetto possono accedere alle versioni del codice più aggiornate, utilizzarle in locale sui propri computer a scopo di modifiche, e poi caricare la versione aggiornata e modificata sul sistema centralizzato che si

occupa di registrare in maniera automatica l’entità e la quantità di modifiche effettuale. Il neonato movimento dell’open source, come visto nel precedente paragrafo, attinse a piene mani da questo nuovo sistema: all’ingrandirsi delle comunità di appassionati che collaboravano ad un progetto, i sistemi classici di comunicazione come newsgroup e chat risultavano limitanti e poco adatti ad un’attività frenetica che richiedeva enorme precisione e accuratezza.

Wiki. Se i CVS rappresentarono il primo sistema specificatamente sviluppato per favorire la collaborazione online, va preso atto anche il fatto che si trattava, e si tratta tuttora, di strumenti per “addetti ai lavori”. Data la natura tecnica dell’oggetto della collaborazione, questi strumenti, per quanto evoluti e tecnicamente all’avanguardia, erano e sono destinati ad una nicchia di programmatori ed esperti di software: se è vero che la diffusione di questi sistemi online ha permesso a molti studenti di informatica di apprendere, perfezionare e diffondere le basi della programmazione, altrettanto va detto che al Rete è rimasta per un primo periodo un luogo dove imperava il sapere tecnico, un luogo poco appetibile per chi non fosse un esperto di informatica. Alcuni anni dopo l’invenzione dei CVS qualcuno pensò di applicare l’idea del versioning anche a qualcosa di diverso dal codice: nel 1995 Howard Cunningham mise online il primo sistema wiki che si ispirava alla semplice idea di permettere agli utenti di un sito/progetto di creare, modificare e commentare testi. “I think there's a compelling nature about talking. People like to talk. In creating wiki, I wanted to stroke that story-telling nature in all of us. Second, and perhaps most important, I wanted people who wouldn't normally author to find it comfortable authoring, so that there stood a chance of us discovering the structure of what they had to say.” 12

12

Citazione tratta dall’intervista “Exploring with Wiki: A conversation with Ward

Cunnigham”, 20 Ottobre 2003 - http://www.artima.com/intv/wiki.html

I wiki possono essere considerati, semplificando enormemente, dei CVS per i testi online: dato che l’oggetto della collaborazione con i wiki diventava più appetibile anche per l’utente medio della Rete, questo sistema è diventato una sorta di paradigma dell’era collaborativa di Internet. Grazie a questo sistema l’accesso alla conoscenza in Rete non era più relegata agli esperti di materie informatiche e neppure informarsi rimaneva un’attività passiva: chiunque poteva iniziare a condividere le proprie conoscenze su un determinato argomento ed essere aiutato nell’impresa da chiunque volesse partecipare usando una piattaforma basata su wiki. Dal punto di vista tecnico e di esperienza utente questa piattaforma unisce un potente sistema per l’organizzazione dei contenuti da un editor di testi ibrido che si è rivelato particolarmente performante: per modificare o aggiungere un testo in un wiki non occorre essere un programmatore, utilizzando un semplice linguaggio “intermedio” è possibile produrre in breve tempo pagine di una certa complessità e profondità. Wikipedia è diventato il più famoso e grande esempio di collaborazione online sfruttando questa tecnologia, mentre sempre più aziende adottano wiki per gestire documenti e conoscenza all’interno della loro organizzazione: nel “fenomeno wiki” si possono individuare le radici di un cambiamento epocale che riguarda l’approccio alla collaborazione e alla condivisione di conoscenza online: si potrà apprezzare come la grande maggioranza dei progetti collaborativi sulla Reta siano correlati l’uno all’altro. I testi di Wikipedia, per fare un esempio che calzi alla perfezione con quello di cui ho scritto in precedenza, sono resi disponibili con una licenza GNU Free Documentation License: è una versione della GPL modificata per garantire una serie di libertà specifiche sulla documentazione online, piuttosto che sul software.

Non solo Wikipedia e software. Benchè Wikipedia

e i progetti di

sviluppo di software open source siano diventati i più grandi progetti di collaborazione online di sempre, la collaborazione di massa in Rete non si ferma alla "creazione di conoscenza" o produzione di software. Uno degli aspetti

interessanti è quello relativo a progetti che si sono sviluppati addirittura in era pre-WWW e pre-Internet, che hanno trovato nuova ragione di essere e linfa vitale con l’esplosione di tecnologie collaborative degli ultimi decenni. A seguire riporto alcuni esempi eterogenei di collaborazione mediata tramite i nuovi strumenti e piattaforme che la Rete mette a disposizione dei propri utenti: non vuole e non può essere un elenco esaustivo di progetti collaborativi, dato che la quantità di questi ultimi sta aumentando a dismisura, ho preferito sottolineare alcuni esempi che dimostrino la varietà di applicazioni che strumenti tecnicamente simili possono permettere.

Ricerca e sviluppo distribuita. Le economie globali del XXI secolo hanno sperimentato pregi e difetti delle tecnologie informatiche: speculazioni eccessive e aspettative visionarie hanno condotto ad isterie collettive e a successivi crolli finanziari. Innovare per sopravvivere è diventato un imperativo per chiunque in qualsiasi settore, dai più tradizionali ai più high tech, e le aziende si stanno rendendo conto che non sempre fra le proprie risorse interne possono contare sui migliori professionisti di un determinato campo. Se le aziende nell’era della globalizzazione industriale vedevano nell’outsourcing un modo per tagliare gli alti costi sul personale presenti nelle nazioni più industrializzate, il crowdsourcing, ovvero la ricerca di idee al di fuori delle “mura aziendali” è un’ulteriore prova degli impatti che la Rete collaborativa sta avendo anche nel mondo reale. Innocentive, per fare un esempio, è una società che attraverso un sito web13 ha costituito una comunità globale di oltre 100000 scienziati ed esperti dei più disparati campi del sapere: le aziende e le istituzioni si rivolgono ad Innocentive proponendo un problema da risolvere e chi lo risolve, singolarmente, ma molto più facilmente in collaborazione con altri membri della comunità, si aggiudica una ricompensa. Ad oggi Innocentive, fondata nel 2001, può vantare collaborazioni con 64 grandi compagnie che hanno lanciato più di 800 “sfide” alla comunità di esperti 13 http://www.innocentive.com

che è rivelata talmente efficiente da muovere fondazioni che hanno finanziato pesantemente l’avvio di un intera divisione di Innocentive interamente dedicata alla risoluzione di problemi per i paesi in via di sviluppo. Ha fatto scalpore il caso di Netflix14, compagnia leader nel campo del noleggio di film via posta, che nel 2006 lanciò una sfida sulla Rete, mettendo in palio un milione di dollari: i partecipanti devono essere in grado di migliorare del 10% l’algoritmo che Netflix utilizza per individuare le preferenze e i gusti dei propri clienti. Ad oggi il team “BellKor in BigChaos” guida la classifica dei migliori risultati e dei pretendenti al premio finale, avendo migliorato l’algoritmo originale del 9.63%15. Questo approccio innovativo alla risoluzione di problemi ha fatto breccia in alcune delle più grandi multinazionali e aspetta di essere sfruttato anche dalle realtà più contenute: il paradigma dell’open innovation sovverte le regole gerarchiche dei business tradizionali, creando una schiera di appassionati sostenitori come di critici spietati. L’aspetto più interessante di questa nuova corsa al “filantropismo a premi” è che non si tratta di una novità assoluta: Dava Sobel, nel suo “Longitudine”, racconta l’appassionante e rocambolesca storia dell’invenzione del metodo per il calcolo preciso della longitudine, che venne stimolata a suon di premi in denaro dal governo inglese. Era il 1714 ed erano in palio l’equivalente odierno di 10 milioni di euro: fu un orologiaio autodidatta a trovare la soluzione mentre alcuni degli scienziati più importanti della storia come Galileo, Cassini, Huygens, Newton e Halley avevano fallito miseramente. Il suggerimento che viene dal XVIII secolo per le aziende di oggi proiettate al futuro è semplice e potente: le buone idee sono “là fuori”.

@Home. Avere un collegamento Internet e un computer a casa propria è diventata una realtà quotidiana : in molte democrazie si parla dell’accesso ad Internet come un diritto insindacabile, equiparabile alla libertà di pensiero e di espressione. La disponibilità di banda larga e di computer connessi a livello 14 http://www.netflix.com 15 http://www.netflixprize.com/

globale ha stimolato l’idea che ha portato allo sviluppo del progetto SETI@Home, iniziato nel 1999 presso l’università di Berkeley con lo scopo di sperimentare un sistema di calcolo distribuito per individuare eventuali segnali radio di origine extra-terrestre, catturati dal radiotelescopio di Arecibo: utilizzando un semplice software è possibile sfruttare i “tempi morti” del proprio computer contribuendo al più grande progetto di distributed computing del mondo. Non solo: in termini di potenza di calcolo, la rete di SETI@Home rappresenta ad oggi il più potente supercomputer esistente. SETI@Home è stato il primo ed è attualmente il più esteso e potente progetto di questo tipo al quale ne sono seguiti altri16: Rosetta@Home e Folding@Home, progetti dedicati al calcolo distribuito di per la simulazione di modelli molecolari per individuare nuove cure, Einstein@Home, per l’individuazione di di onde gravitazionali che contribuirebbero in una pietra miliare per il mondo della fisica, LHC@Home, un progetto per simulare e migliorare il funzionamento del Large Hadron Collider del CERN. I progetti di calcolo distribuito supportato da volontari si stanno moltiplicando ed evolvendo rapidamente, così come la scienza e la tecnologia che sta alla base di questo nuovo metodo di ricerca.

Clickworkers. L’aumento esponenziale della potenza e della diffusione dei computer, accoppiato con la possibilità di sfruttare infrastrutture di rete per la creazione di supercomputer distribuiti, ha fatto accarezzare all’umanità il sogno utopistico di poter risolvere problemi sempre più complessi grazie a questa nuova forma di intelligenza artificiale. Se da una parte è vero che esiste una classe di problemi che possono essere risolti in maniera più efficiente ed ottimale solamente aumentando la capacità di calcolo, esistono tuttavia un insieme di problemi che rimangono di difficile o impossibile risoluzione per un computer. Di nuovo, le possibilità che la Rete offre per sfruttare una grande quantità contributi volontari può fare la differenza: nel Novembre 2000 la NASA inizio 16

Un elenco completo ed aggiornato di progetti volontari di distributed computing può essere

trovato sul sito http://www.volunteerathome.com

l’esperimento Clickworkers, che consisteva nel richiedere a chiunque fosse interessato a partecipare di individuare, con semplici click del mouse, crateri sulle foto della superficie di Marte17. L’esperimento aveva lo scopo di dimostrare come un progetto scientifico che non poteva essere eseguito da un computer, che avrebbe richiesto mesi e il coinvolgimento di personale qualificato, poteva essere svolto in un breve periodo da volontari senza alcuna esperienza: la quantità esorbitante di partecipanti al progetto e, proporzionalmente, la quantità di input ha reso possibile una mappatura completa e precisa della superficie di Marte. Il progetto Clickworkers della Nasa è stato considerato un successo e continua sia nella forma originale (ora con nuove immagini di Marte ad alta risoluzione) sia come una serie di progetti satellite. Un altro progetto/esperimento che sfrutta l’intelligenza umana distribuita per la risoluzione di compiti troppo complessi per essere automatizzati è il Mechanical Turk di Amazon18: si tratta di un servizio web che permette di sfruttare l’intelligenza umana per svolgere compiti (HITs - Human Intelligence Tasks) quali la valutazione e comparazioni di immagini, scrivere brevi recensioni di prodotti o siti oppure l’individuazione dei musicisti di un determinato pezzo. Ad ogni compito portato a termine viene assegnata una ricompensa che generalmente và da 1 dollaro a 10 cents: la maggior parte dei compiti però sono quelli che vengono ricompensati meno. Nonostante Mechanical Turk, a differenza di Clickworkers, non abbia prodotto risultati di rilievo l’esperimento è ancora in corso e ha mostrato alcuni aspetti interessanti: sembra infatti che l’accuratezza delle risposte non sia in alcun modo legata alla difficoltà della domanda e all’importo della ricompensa, fatto che apre molte prospettive interessati per studiare il fenomeno della collaborazione online volontaria dal punto di vista economico e sociologico. 17 Un

esempio di rilevamento dei crateri è disponibile alla pagina

http://clickworkers.arc.nasa.gov/sample-results 18 https://www.mturk.com/mturk/welcome

Gutenberg online. La possibilità di condividere, creare e modificare contenuti online si scontra spesso con le vecchie concezioni che riguardano i diritti d’autore e il copyright. La Rete si è dimostrata reattiva nello sfruttare una piattaforma collaborativa per diffondere le opere di pubblico dominio: iniziato nel 1971 da Michael Hart, il progetto Gutenberg (http://www.gutenberg.org/ ) oggi riunisce migliaia di volontari che hanno lo scopo di digitalizzare, archiviare, rendere disponibili gratuitamente e in formato elettronico i libri che, secondo le normative vigenti, diventano di pubblico dominio. L’aspetto interessante è che il progetto sia nato ai primordi di Internet: nel 1971 Hart aveva infatti accesso ad uno dei 15 mainframe universitari che sarebbero stati il nucleo iniziale di Internet. Fino al 1989 Hart e i primi volontari che partecipavano al progetto ri-scrivevano a mano i libri che entravano progressivamente in regime di pubblico dominio: la possibilità di effettuare scansioni, la disponibilità software per il riconoscimento dei caratteri e l’esplosione del Web furono catalizzatori che aumentarono esponenzialmente la quantità di opere rese disponibili, la quantità di fruitori del servizio e, soprattutto, la quantità di nuovi volontari coinvolti nel progetto. Il 2000 fu un anno di svolta per il progetto Gutenberg che venne supportato da un’apposita fondazione: sulla scia del successo del progetto Gutenberg venne lanciato un progetto collaborativo, inizialmente non affiliato, chiamato Distributed Proofreaders. Si tratta, essenzialmente, di un “controllo qualità” dei testi messi a

disposizione

dal

progetto

Gutemberg:

siccome

i

software

per

il

riconoscimento dei caratteri non sono infallibili, ai volontari di Distributed Proofreaders vengono presentate le immagini pagine scansite con affiancato il testo relativo. Potendo contare su migliaia di volontari, lo sforzo di questa operazione certosina viene distribuito e reso più efficiente: ad oggi, dei 25000 titoli offerti dal progetto Gutenberg, oltre 14000 sono stati revisionati dai volontari di Distributed Proofreaders (oltre 2000 sono quasi conclusi e un migliaio quelli correntemente in fase di revisione19). 19

Le statistiche sintetiche possono essere reperite al termine della home page del progetto,

all’indirizzo http://www.pgdp.net/c/

4. Conseguenze della collaborazione di massa Come si è visto, l’impatto della collaborazione di massa è molto più esteso di quello che si potrebbe inizialmente pensare: se è vero che sono i progetti che sono nati e si sviluppano principalmente online ad attirare più attenzione mediatica e un maggior numero di partecipanti, altrettanto vero che la collaborazione sta valicando i confini virtuali per penetrare in iniziative nel mondo reale.

Economia. Se prima accennavo alla ricerca e sviluppo distribuita, al crowdsourcing come nuovo metodo per fare incontrare un mercato della domanda di soluzioni ad un nuovo, sterminato mercato dell’offerta di nuove idee20, occorre considerare anche l’impatto che la collaborazione online ha in situazioni estreme: ovvero quando l’argomento o l’oggetto della collaborazione è talmente ristretto che non esistono ne un mercato di riferimento, ne interessa da parte della comunità accademica. Questo è un ambito in cui si possono muovere gruppi di persone in grado di dare inizio allo sviluppo di nuovi progetti o prodotti senza pensare ad un ritorno economico. Altrettanto vero che hobbisti e amatori di qualsiasi campo hanno ora a disposizione mezzi tecnologici, non solo informatici, per produrre attrezzatura e oggetti ad hoc: ad esempio, in molte discipline sportive, spesso legate al mondo degli sport estremi, non è raro che alcune mode lanciate dagli sportivi più intraprendenti si trasformino in mercati prima di nicchia e poi in espansione. È successo così per il windsurf, per le mountain bike e per il kite surf: quest’ultimo, in particolare, s’è sviluppato in era molto recente, tanto con i mezzi informatici e tecnologici di oggi è possibile disegnarsi e costruirsi il proprio kite surf a prezzi più convenienti di molte offerte commerciale – vale la 20

Può essere notato anche il fenomeno inverso: la presenza massiccia di soluzioni in attesa di

una applicazione. Stanno nascendo molto compagnie e “think tank” che riuniscono esperti dai settori più disparati allo scopo di creare incubatori di idee e soluzioni che possono essere interrogati dalle istituzioni e dalle aziende nel caso queste ultime si trovassero in difficoltà nell’innovarsi.

pena far notare che il kite surfing, disciplina inventata nel 2001, ha comunque sviluppato un’industria in crescita esponenziale21 nonostante si terreno di sperimentazione e produzione amatoriale e artigianale. A causa di questi interessanti risvolti commerciali e organizzativi, ora il potere della conoscenza condivisa e dell’intelligenza collettiva viene vista di buon occhio anche da quelle organizzazioni che fino a questo momento hanno considerato la segretezza e la chiusura come vantaggi competitivi da sfruttare sul mercato. Le aziende ora sanno che se ignorano la voce dei clienti e potenziali clienti, trasmessa con tutti i sistemi di comunicazione che la Rete offre, essi saranno in grado di coordinarsi e organizzarsi per creare i propri prodotti o introdurre innovazioni richieste che non sono state accolte dai mercati troppo “sordi”.

Politica. Sotto molti punti di vista, la fiducia delle persone nelle istituzioni politiche è ai minimi storici: i partiti politici e i loro rappresentanti stentano nel tentativo di attirare le attenzioni di un elettorato potenziale sempre più “distratto” da un maggior numero di fonti di informazione e controinformazione. La distanza fra il mondo della politica e i bisogni delle popolazioni è massima, in Italia come in molte altre nazioni. Contemporaneamente, però, la Rete permette nuove forme e luoghi di aggregazione che da virtuali diventano anche reali: liste civiche e gruppi di pressione sono aumentati esponenzialmente come alternative “dal basso” alle rigide gerarchie dei partiti politici classici. La Rete aggrega e permette alle persone di collaborare e la vittoria di Barack Obama al termine della lunga campagna per le elezioni presidenziali statunitensi è la prova che un partito politico può e deve trovare supporto all’esterno della propria struttura. La strategia di Obama è stata vivisezionata e studiata per mesi, e continuerà ad esserlo, in quanto per la prima volta un uomo politico di questo livello ha usato

21

Alcune cifre: 5000 kite surf venduti nel 2001, 30000 nel 2002 e circa 70000 nel 2003, con un

giro d’affari di circa 100 milioni di dollari (fonte: Eric Von Hippel, “Democratizing Innovation”, vedi Bibliografia).

un approccio di apertura totale nei confronti della Rete e dei propri potenziali elettori: usare la Rete per farsi conoscere22, creare un sito che non solo fosse una vetrina di promesse politiche ma un vero social network23 per i potenziali elettori, coinvolti attivamente, liberi di poter sottoporre domande e ascoltati veramente come portatori di idee e innovazioni. Così come il mondo politico, anche istituzioni e servizi pubblici possono e con ogni probabilità saranno investite da questa inversione di tendenza: le risposte per la soluzione dei problemi non verranno più fornite a monte, ma risaliranno da valle. Questo è uno dei tanti casi in cui le tecnologie per invertire il flusso comunicativo e re-inventare quello collaborativo sono già presenti e mature da tempo, ma il passo culturale da effettuare è abbastanza arduo da intraprendere e richiedera tempi quasi geologici se comparati a quelli della Rete.

All right reversed.24 I cambiamenti in corso non sono solo di tipo quantitativo (“better, faster, cheaper”) ma stanno avendo un impatto radicale in ambiti relativi alla legislazione e del diritto d’autore e di copia: nell’ambito della proprietà intellettuale, ad esempio, questa cultura del remix, del mashup, della modifica e della re-distribuzione di software porta a rivedere le posizioni classiche relativamente a come dovrebbero essere gestiti i diritti sui contenuti.

22

Barack Obama è passato da essere un anonimo outsider democratico alla Casa Bianca in poco

più di due anni: un arco di tempo irrisorio se prendiamo come esempio i tempi geologici della politica, un arco di tempo che ben si sposa con la compressione della dimensione temporale alla quale gli utenti della Rete sono abituati da sempre. 23

Un social network, o rete sociale, online può essere considerato come il non-plus-ultra delle

tecnologie e strumenti comunicativi e collaborativi che la Rete offre: molto brevemente si tratta di un sito web che permette agli utenti, previa iscrizione, di partecipare in attività collaborative attraverso wiki, di scrivere blog, di caricare immagini e video e, in generale, di creare una comunità online dotata di tutti gli strumenti più avanzati. 24

La citazione deriva da un gioco di parole di un amico di Richard Stallman, per commentare il

cambio di prospettive che il ricercatore stava per imporre al mondo del software: sulla base di questo aneddoto Stallman credo il termine “copyleft” per distinguerlo dall’odiato “copyright”.

La rivoluzione iniziata con l’introduzione della GNU General Public License, che invece di proteggere il software da “appropriazioni indebite” lo apriva alla collaborazione su scala globale, si è estesa anche in altri ambiti produttivi: nuove forme di licenze mutuate dalla GPL originale o come le licenze Creative Commons25 permettono a chiunque di ridistribuire e utilizzare materiale audio, video e testuale in maniera legale per favorire produzioni indipendenti

e

originali di film, musica, immagini e informazione senza le restrizioni classiche derivanti da un copyright di tipo “All rights reserved”. A fronte di queste nuove libertà che i produttori di contenuti possono sfruttare, le industrie cinematografiche e musicali stanno estremizzando le loro posizioni, contrarie alla “pirateria”, e inscenando un’autentica guerra santa parallela alla ben più seria “War on terror” lanciata contro il terrorismo globale. L’impatto più devastante di questa Rete sempre meno passiva sembra infatti essere quello di rendere meno passive anche le persone coinvolgendole in processi

comunicativi

e

collaborativi

a

supporto

della

democrazia:

l’informazione tradizionale subisce la concorrenza di blog, web tv e giornalismo partecipativo (citizen journalism). Le voci si moltiplicano, creando spesso rumore di fondo ma garantendo una pluralità dell’informazione e un’indipendenza che da decenni non può essere garantita dai media tradizionale, per motivi economici e strutturali.

Informazione. A lungo si potrebbe discorrere sulla completezza e la correttezza dell’informazione online, soprattutto quando non passa per canali ufficiali26: il punto è che questo tipo di informazione si sta dimostrando più

25

Creative Commons ( http://creativecommons.org/ ) è un’associazione no-profit fondata da

Lawrence Lessig nel 2001: il suo scopo è quello di offrire, a chiunque produca contenuti e li distribuisca online e offline, una serie di licenze di copyright che permettano l’utilizzo e il riutilizzo legale dei contenuti. 26

Sempre che il termine “canale ufficiale” abbia ancora senso in questo contesto. In casi di

situazioni di emergenza ed eventi imprevisti, come l’attacco alla Torri Gemelle del 2001 o dello tsunami che ha colpito il Sud-Est asiatico nel 2004, i cosiddetti “canali ufficiali” non hanno

apprezzata e sta avendo più impatto perché più veloce, più rapida, più fluida. Diverse ricerche su questo aspetto hanno dimostrato che in quest’epoca di information overload gli utenti della Rete, ma non solo loro, preferiscono un’informazione “sporca” ma immediata, concisa e super partes piuttosto che subire passivamente un flusso di notizie preconfezionate e di dubbia obiettività. Il mondo del giornalismo è stato investito in pieno dall’avvento della Rete, che, come è successo per altri mezzi di comunicazioni tradizionali, dalla posta cartacea alla TV, ha risposto con una reazione “mimetica”, ovvero quella di offrire online un semplice surrogato dell’esperienza cartacea. Le incursioni vicendevoli sempre e più frequenti di blogger nel mondo del giornalismo e di giornalisti che hanno iniziato a scrivere su un blog hanno reso sempre più sottile e confuso la divisione, sempre più spesso ritenuta forzata, tra informazion giornalistica e l’informazione autonoma, personale, partecipativa e non allineata che i nuovi strumenti diffondono in Rete. Anche in questo settore l’evoluzione degli strumenti di comunicazione ha iniziato ad avere un impatto a livello organizzativo, favorendo metodi e strumenti collaborativi unici in grado di unire l’immediatezza della produzione e della fruizione delle informazioni ad una dimensione più riflessiva portata dalla collaborazione a più mani.

5. Conclusioni Nonostante la moltitudine di prospettive che questi sviluppi della nuova era delle Rete ci obbliga a prendere in considerazione, è difficile prevedere sia l’estensione che l’intensità dei cambiamenti: altrettanto vero che negare o sminuire l’importanza di certi fenomeni dimostrerebbe una miopia fuori luogo. Fenomeni basilari legati al campo strettamente comunicativo come leggere, guardare un video o ascoltare musica, sono sempre stati legati ad un’attività di tipo individuale e spesso passivo. Gli utenti della Rete hanno ora a disposizione

potuto che affidarsi ai contributi prodotti con cellulari e blog da chi viveva determinate situazioni in prima persona.

strumenti sempre più immediati per produrre e modificare testi, video e musica. La Rete diventa attiva e collaborativa: viene sfatato il mito dell’inventore solitario e si riscoprono la serendipità e l’intelligenza (o stupidità27) collettiva. Le nuove opportunità offerte dalla Rete permettono di creare, modificare e collaborare in maniera sempre più immediata ed efficiente: questo influenza direttamente molti aspetti relativi a come i media e prodotti tradizionali vengono prodotti e consumati, creando nuove categorie di produttoriconsumatori (prosumers), cambiando le gerarchie dei mercati e dei rapporti fra aziende e consumatori e dando nuova linfa vitale ad una serie di strumenti che, inventati a scopo di vincere sfide tecnologiche ai primordi dell’era di Internet, sono diventati colonne portanti dell’evoluzione culturale dell’uomo. La nuova Rete collaborativa sembra rendere possibile sia l’innovazione democratica che l’innovazione della democrazia: senza lasciarsi prendere da sogni e deliri dei tecnologi, la recente vittoria di Barack Obama è stato il culmine di una campagna elettorale giocata anche sui meccanismi di collaborazione resi possibili da piattaforme online dedicate alla mobilitazione delle comunità locali statunitensi. Da questo deriva la possibilità, per chiunque disponga di attrezzature digitali reperibili a cifre irrisorie nel più vicino supermercato, di raccogliere e produrre informazioni in maniera locale e capillare: il citizen journalism e la “politica 2.0” non devono solamente essere deliranti visioni di un futuro in cui chiunque può essere giornalista o politico, ma, in maniera più obiettiva, strumenti avanzati che vanno a completare e a migliorare quei settori che fino a questo momento avevano posto resistenza, più o meno attiva, ai cambiamenti che la Rete aveva già portato in altri ambiti.

27

Il nuovo volto della Rete rapprensenta un cambiamento così radicale rispetto al passato tanto

da acquisire estimatori e detrattori in egual modo. Uno dei più ferventi critici di questo nuovo corso della Rete è Andrew Keen, autore del libro “The Cult of the Amateur”: dal suo punto di vista il Web sta distruggendo la nostra cultura, azzerando l’importanza degli esperti in qualsiasi settore, favorendo un appiattimento verso il basso di qualsiasi forma di conoscenza e abilità professionale e artistica.

L’innovazione democratica, invece, potrà avere avere un enorme impatto, e in parte già lo ha avuto, sul modo in cui il sistema industriale produrrà nel futuro. Nel corso della storia industriale molte innovazioni non sono arrivate dalle grandi multi-nazionali: come racconta Charles Leadbeater nel suo “The rise of the pro-ams”, un prodotto oggi famoso come la mountain bike è nato come un esperimento di un gruppo di appassionati californiani, che hanno trasformato un’idea in un prototipo amatoriale che, solo in un secondo momento, è diventato un successo mondiale. Lo stesso dicasi del windsurf, nato da esperimenti di appassionati di surf e trasformatosi in un nuovo sport e un nuovo mercato supportato da una industriale. La Rete è stata, prima di tutto, una piattaforma per favorire la comunicazione e le discussioni: le idee condivise hanno proliferato per tanto tempo e per tanto tempo sono rimaste allo stesso tempo imbrigliate e frammentate nella Rete, in una sorta di meccanismo auto-referenziale che ne ha limitato l’efficace trasmissione all’esterno. Ora queste idee, queste persone, hanno trovato canali e strumenti in grado di amplificarne la portata e di travalicare il mondo virtuale, impattando su vari aspetti del mondo reale. Diversi sono ormai i casi che sfatano luoghi comuni relativi all’innovazione “solitaria”: le innovazioni e le scoperte sono sempre state portate avanti in maniera collaborativa, anche se spesso in maniera inconsapevole. Oggi non è più possibile negare l’evidenza che grandi risultati possano essere conseguiti solo e unicamente sfruttando conoscenze e risorse distribuite e condivise: questo vale sia per aziende che devono fare quadrare i bilanci al termine di ogni trimestre, sia per una serie di associazioni no-profit e composte da volontari che collaborano a grandi e piccoli progetti guidati dalla semplice passione. Grazie all’evoluzione sempre più spinta dei sistemi di comunicazione online, la collaborazione in Rete rappresenta una delle più importanti evoluzioni ed ancora ampiamente in corso: la speranza è che, dopo averlo immaginato per decenni, la Rete, o meglio, le persone che abitano la Rete, possano iniziare a fare la differenza anche nel mondo reale, influenzando i media tradizionali,

inventandone di nuovi, modificando e ampliando l’approccio alla politica e alla democrazia, cambiando le logiche dei mercati, della produzione industriale e ponendo nuovi paradigmi relativi alla creazione e condivisione di conoscenza al fine di creare una società più attiva, equa, democratica e informata.

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