Intermediari Finanziari Bilanci E Vigilanza.docx

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Intermediari finanziari: bilanci e vigilanza 13_02_2017 - Introduzione La Vigilanza. Esistono due modelli di riferimento per la vigilanza: la vigilanza amministrativa e prudenziale. La differenza tra la vigilanza amministrativa e prudenziale può essere immaginata come un problema di gestione del traffico automobilistico. In quella amministrativa si può immaginare come se in ogni auto si mettesse vicino a ogni guidatore un vigile urbano. In un certo periodo storico in Italia avveniva in un modo molto marcato. Negli anni 70, nel settore bancario, ci sono stati dei momenti nel quale il 95% degli attivi della banca veniva allocato sulla base delle regole di vigilanza. Per cui la capacità manageriali al massimo era il 5% che rimaneva. Questo ha in qualche misura distrutto il sistema bancario perché ha fatto perdere le competenze per scegliere, in quanto non servivano più. (Es di altro vincolo: 1975 – Diritto penale valutario: se esportavi più di 5m di capitale dopo 2gg si era già condannati in quanto vi era processo per direttissima. Ha un suo retaggio storico, perché dopo l’unità di Italia c’era la pena di morte per chi esportava oro dal paese, in quanto il valore della moneta dipendeva dalla quantità di oro presente nelle riserve e quindi era alto tradimento = pena di morte.) Il problema dell’emergenza che ha portato alla vigilanza amministrativa così pregnante è riconducibile alla storia economica del dopo guerra, che ha del paradossale perché nel 1961 la Lira ha preso l’Oscar della moneta più solida al mondo. Un paese che dal dopo guerra ha avuto un boom economico, uno sviluppo economico molto forte. Tant’è che tutte le tigri asiatiche, dagli anni 80 in poi, hanno sostanzialmente copiato il modello di sviluppo economico italiano, ottenendo risultati simili. Noi invece abbiamo deciso di cambiarlo, e all’inizio degli anni 70 troviamo tutto l’oro dello Stato in pegno a tedeschi e francesi per poter chiedere loro dei prestiti in quanto la bilancia dei pagamenti era saltato. Cosa è successo dal 61 al 70? È successo che invece di fondarsi, come paese manifatturiero, sul lavoro si è deciso che non si poteva più avere un costo del lavoro e un tenore di vita inferiore a quello di francesi e tedeschi e si è finiti quindi con lo svilimento del vantaggio competitivo. Invenzione della “Via Italiana allo Sviluppo”. In cosa consisteva? Intuizione che, visto che abbiamo la moneta forte, possiamo far salire l’inflazione e allentare la politica monetaria. Il vantaggio competitivo, prima il basso costo del lavoro, passa al costo del denaro basso. E quindi sostituiamo in vantaggio con un altro. Il gioco è durato qualche anno, poi con i vari meccanismi di indicizzazione dei salari, con i rapporti di scambio con l’estero e anche per un fattore esogeno che è la modificazione dei rapporti di scambio tra i paesi produttori e trasformatori di materie che con la crisi del prezzo delle materie prime (Con il boom dei prezzi si è creata la ricchezza nei paesi produttori, si è ridimensionata la creazione di valore aggiunto nei paesi trasformatori. Ci si trova da una situazione in cui avevamo un’industria recente, di parte post bellica (riconvertita) che si sviluppava bene per i costi bassi, a una situazione in cui il costo del lavoro si era allineato e i prezzi delle materie erano esplosi. Noi non ci siamo più ripresi. L’indicizzazione dei salari ha obbligato continue svalutazioni della moneta (Anche più volte l’anno). Bilancia dei pagamenti in rosso = sempre più oro in pegno. Il mondo delle imprese italiane a quel punto diventa drogato, per cui esse pretendono svalutazione se no non possono acquistare all’estero. Si arriva al 1975 con il diritto penale valutario In questo contesto la vigilanza viene asservita un po’ alla politica economica. Per cui le autorità di vigilanza diventa uno strumento per ottenere non solo quanto serve alla vigilanza, ma anche obbiettivi di politica economica. Es: legge bancaria del 36 – le banche sono obbligate ad acquistare le obbligazioni degli istituti di credito speciale, che operano a medio lungo. Canalizzano finanziamenti al sistema economico a medio/lungo (fondiario/industriale/agrario/peschereccio) Si finanzia il mondo delle imprese in un modo un po’ regolato, perché se si garantisce un certo flusso di risorse dalle banche ordinarie agli istituti di credito speciale si garantisce il finanziamento alle imprese. Questo processo verrà chiamato di “doppia intermediazione – doppio circuito”. Lo avevamo solo noi un modello del genere, perché negli altri stati avevano una separatezza tra credito industriale (merchant banking, ingresso nel capitale delle imprese – non finanziamento alle imprese. Che è il problema da cui è generata la riforma bancaria, in quanto nel dopo guerra le banche si erano ritrovate in possesso delle industrie fallite. Si è vietato la partecipazione e anche la concessione del credito. Con le direttive comunitarie si è superata questa situazione. Il debito pubblico italiano in quegli anni il debito/pil era modesto e finiva tutto nelle banche. Le banche, quindi, sulla base dei vincoli definivano come allocare le risorse, senza poter manovrare. Effetto: è sparita la professionalità nelle banche. Per questo meccanismo valutario, tutte le operazioni valutarie era sottoposte a una burocrazia incombente (per cui il dipendente era un pubblico ufficiale). Depauperamento della cultura e, tra tutti questi strumenti, era importante il cosiddetto “Massimale sugli impieghi”, il tasso di espansione del credito che valeva per ogni singola banca. Questo vuol dire che se una banca è brava nel fare le sue valutazioni e la maggior parte delle volte non sbaglia, può fare molto credito senza grandi perdite, se le si mette un vincolo si trova con un potenziale che non può esprimere. Dall’altro lato una banca che non è capace di fare la propria attività si trova con una richiesta di credito solo perché l’altra banca non può esercitare la propria attività oltre i limiti imposti. Questo ha creato una situazione diversa dagli standard internazionali, in quanto una industria deve rivolgersi a più banche per ottenere le risorse per crescere. Si perde il rapporto fiduciario con una banca, a scapito di un rapporto multi fiduciario, secondo un’idea perniciosa che “la banca non mi da quello che mi serve” (fenomeno fidi multipli). Questo ha creato una serie di problemi: 1 – marcata diffidenza nei rapporti banca/impresa che pensa che la banca non vuole darle i soldi. Nel dialogo, che in astratto converge nei bisogni delle parti, è nata l’idea che ci sia un conflitto e che l’impresa deve fare le furbate per ottenere le risorse. Es: imprenditore compra titoli di stato e poi li dà in garanzia alla banca, perché paga di tasse. Lo stato fa “concorrenza sleale” in quanto fa pagare tasse più basse rispetto gli altri prodotti. Mano a mano che la situazione economica è degenerata, lo Stato ha cominciato a fare spesa pubblica finanziata col debito. Nel giro di un po’ di anni, fino gli inizia degli anni 80 si è creato un gran debito pubblico, che ha innescato un meccanismo perverso per cui se si andava in banca per comprare debito pubblico il dipendente scoraggiava il cliente per dirottarlo su prodotti della banca, senza dirgli che nella pancia della banca c’era un enorme c’era quantità di debito pubblico. E lo stato rispondeva iniziando a mettere tasse sugli interessi di depositi. In questo modo negli anni 80 c’è stata una rincorsa: emissione di debito e gioco sporco tra banche e stato perché prima comprava tutto il debito il sistema bancario, poi quando siamo entrati nella normativa europea mantenere questi vincoli

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sul sistema bancario risultava difficile e allora si è cominciato a ricorrere a i giochetti sporchi. Una parte sempre più importante del debito pubblico è finita in tasca ai risparmiatori, e mano a mano che essi hanno iniziato a conoscere e apprezzarlo lo Stato è stato spinto ad emetterne sempre di più. Poi, a un certo punto, abbiamo cominciato ad avvicinarci alle regole europee, aprire il mercato dei capitali, interconnetterci con i sistemi europei. Ma rientrando nei circuiti finanziari europei è successo che i tassi hanno cominciato a crescere in termini reali, ma il nostro sistema economico apparentemente ha cominciato ad andare meglio: sviluppo, grandi investimenti... In pochissimi anni è raddoppiato il debito pubblico, che ha drogato il boom economico. Ma, alla fine, è stato un bene o un male? Fine anni 80, 89.. La spesa pubblica si è trasformata in consumi, non in investimenti produttivi. La fine, il parallelo tra l’andamento del 14_02_2017 Le caratteristiche delle imprese bancarie – Richiamo. (Introduzione ai fini delle problematiche di vigilanza) Le banche svolgono una pluralità di funzioni. Quella più nota è quella di intermediazione: raccolta fondi attraverso diverse forme tecniche, e nell’investimento di queste risorse in una pluralità di forme tra cui quella che connota l’attività bancaria, l’attività creditizia, e la concessione di crediti. Oltre alla concessione del credito, nell’attivo della banca ci sono le attività finanziarie, che svolgono un duplice ruolo: - servono a garantire una forma di remunerazione delle disponibilità eccedenti il credito; - servono a preservare un profilo di liquidità che consente alla banca, salvo situazioni particolari, di far fronte ai propri impegni di liquidità. Le forme prevalenti di attività finanziaria sono essenzialmente di due tipi: AF in contropartita con la banca centrale/in contropartita con le altre banche (dove l’elemento prevalente è la liquidità); attività finanziarie diverse, possibilmente di mercato (titoli a reddito fisso), che danno una caratterizzazione di investimento di mercato verosimilmente a prezzi fattibili prossime al prezzo di carico con una remunerazione più alta rispetto a quella della liquidità. In questo processo di intermediazione noi abbiamo una serie di questioni rilevanti: una prima questione attiene all’approccio strategico alla gestione dell’attivo. Estremizzando ci sono due ipotesi: 1-APPROCCIO DI POLITICA RESIDUALE: si immagina che come attività core si facciano prestiti e l’attività finanziaria sia residuale ai prestiti. La dimensione delle attività finanziarie dipende dalla dimensione dell’attività dei prestiti. In questo approccio, si presume che i prestiti rendano più delle attività finanziarie (in condizione di efficienza di allocazione) e le attività finanziarie rendano più della liquidità. Le banche fanno attività finanziarie come ripiego all’impiego nel credito, perché si presuppone che le banche sappiano fare meglio l’attività di impiego (Aspetto debole perché l’attività si impara con l’esperienza). L’aspetto più critico dell’approccio residuale all’attivo è che se io compro i titoli quando ho bassa domanda di credito, tutta la liquidità va sui titoli, ma questo vale anche per tutte le banche del sistema, e i titoli cresceranno di prezzo e di conseguenza i rendimenti saranno bassi. Seguendo la logica, quando aumenta la domanda di prestiti venderò i titoli, ma lo faranno anche gli altri istituti con risultato che li venderò con una perdita in conto capitale e quando inizieranno a rendere di più. Quindi l’approccio residuale è un approccio non particolarmente brillante, perché porta a comprare e vendere a condizioni peggiori con un sistematico profilo di perdita in conto capitale e anche un profilo di perdita in termini di rendimento. Si ha una gestione con una redditività sistematicamente bassa se non in perdita. 2 – APPROCCIO FLESSIBILE: A priori dico: faccio tempo per tempo quello che sembra conveniente, anche in una prospettiva di anticipare le dinamiche del mercato e quindi compro i titoli quando i prezzi scendono (cercando di anticipare concorrenti e mercato, andare contro tendenza e guadagnare). Cerco di trarre il massimo sia dai crediti che dai titoli, gestendo il mix volta per volta. Può presentare grossi rischi se sbaglio le previsioni. Un’altra criticità, specialmente nei sistemi bancocentrici (sistemi europei, diversamente dai sistemi anglosassoni) è che risulta abbastanza difficile gestire variazioni significative del volume del credito in un contesto di relazioni con la clientela (vincolo nella gestione delle risorse). Se il cliente va male e lo si abbandona per investire in titoli è bene altrimenti ti manda al diavolo. Quindi una certa vischiosità dei rapporti di clientela si manifesta nella gestione dell’attività creditizia non rendendo facile manovrare i volumi. TERZO APPROCCIO: che per certi aspetti è un’evoluzione del secondo GESTIONE INTEGRATA DELL’ATTIVO E DEL PASSIVO: nel regolare i flussi di investimento dell’attivo in crediti/titoli si agisce anche sul fronte del passivo. Quando si opera una simile politica si può decidere anche di modificare il volume assoluto, incrementando o riducendo la raccolta. Se non ho possibilità di raccolta conveniente, posso ridurre il volume e non andare a comprare titoli a condizioni sfavorevoli. Quando invece convengono sia raccolta che acquisto di titoli o impiego, posso spingere la raccolta per poi andare anche comprare titoli. Come regolo la raccolta? Con le condizioni economiche, la remunerazione sugli strumenti più elastici. La raccolta però è un elemento molto variegato, ci può essere una componente anelastica alle condizioni di remunerazione, mentre ci sono situazioni iper-elastiche (imprese). Uno dei problemi della politica del passivo è quella della segmentazione della raccolta, perché per la banca è stupido pagare più interessi a quello che non ti porta più volumi. Se so che una persona è molto elastico devo fare un’attenta gestione per i volumi. Come segmento la raccolta? Creo prodotti differenziati, che individuano i diversi segmenti di clientela cercando di abbinarli bene all’elasticità dei clienti e poter gestire bene i volumi. Questo schema si può trasporre anche nei rapporti con la banca centrale, ma fino a un certo punto. In quanto una bassa liquidità comporta un rischio di liquidità. Una volta era gestito con il buonsenso della banca, ora la vigilanza impone dei requisiti di tipo patrimoniale anche sulla liquidità (doppio tipo di requisiti). (Qui si dà per scontato che si cerchi la qualità di fonti e impieghi). C’è un impatto della Vigilanza, delle regole che dicono fino a che punto posso muovermi, i controlli, le informazioni che devo dare riguardo all’attività. Ma c’è un problema di impatto di queste logiche anche sul bilancio: a seconda dei criteri con cui valuto nel bilancio le poste, ho delle ripercussioni. Per cui le scelte di gestione sono condizionate dall’impatto sul bilancio. Un criterio, invece che un altro, porta a scrivere

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una perdita io adotterò una politica di allocazione delle poste diversa che implica diverse valutazioni che portano a non iscrivere una perdita. In teoria, invece, la contabilità dovrebbe essere qualcosa di neutro. Quella che sarebbe la logica di gestione, viene prima tarata con i vincoli di vigilanza e in secondo luogo filtrata con l’impatto sul bilancio (Con un’ottica di breve termine in termine di perdite/utili di bilancio, e di m/l con una logica di creazione di valore. L’orizzonte temporale è un fattore molto importante e molto trascurato dai quantitativi, perché non è stato trovato un modo efficiente di rappresentarlo.). Quando si applica la Vigilanza, i suoi modelli quantitativi, occorre sempre tenere presente il suo margine di errore poiché basato su ipotesi semplificatrici. È un orientamento e quindi ci saranno scostamenti dalla realtà. Tanto quanto nelle scelte di vigilanza usiamo algoritmi, tanto dobbiamo mantenere la consapevolezza che si otterranno degli scostamenti dalla realtà. L’importante è che i grossi scostamenti siano un’eccezione. È molto interessante vedere che la genesi di tutte le regole di vigilanza è sempre fortemente correlata a un piccolo gap temporale rispetto all’insorgenza di un problema. Si modifica la Vigilanza sempre dopo che il problema si è verificato. Si creano norme per evitare che un problema si presenti nuovamente. Si corre ai ripari, non si prevede i problemi. Ma succederà sempre un nuovo danno, si spera solo che non si ripeta. L’importante è che non avvenga un problema ingestibile. Un problema fondamentale è che il metodo contabile non è neutro, bensì funzionale a ciò che si vuole far vedere ai controllori esterni . È come se si modificasse a piacere l’unità di misura. Tema importante: le banche operano con i clienti, coi mercati e tra di loro. - Coi mercati. Riguarda in primo luogo due fattori: la componente delle attività finanziarie sotto forma mobiliare (comprano/vendono titoli) e la componente della raccolta sotto forma mobiliare (emettono titoli di debito, tralasciamo le azioni) obbligazioni bancarie quotate (le non quotate non vengono calcolate molto per il profilo di scarsa liquidabilità). La connessione sui mercati è formidabile, perché se un soggetto è forte sui mercati può raccogliere un sacco di fondi, o se è forte nella gestione delle attività finanziarie guadagna un sacco di soldi con il trading sui titoli a reddito fisso (se fa politica flessibile). - Connessione con l’interbancario. L’interbancario che coinvolge sia l’Attivo che il Passivo, perché posso sia investire che raccogliere fondi sull’interbancario. La prima cosa da dire è che l’interbancario è il segmento più elastico che esista, nel senso che se il tasso interbancario è fissato a un certo livello i soggetti non sono disposti a prendere a prestito a tassi più alti o a prestare a tassi più bassi. L’efficienza del mercato interbancario è molto più alta del settore retail. Il vantaggio è che se una banca ha bisogno di liquidità, basta che sia disposta a remunerare anche di poco in più rispetto al tasso interbancario che riceverà una marea di offerta. A condizione che la banca venga percepita SOLIDA (esempio della crisi: non c’era fiducia tra istituti bancari). Stesso vale per l’investimento di liquidità, basta richiedere anche poco di meno rispetto al tasso interbancario. C’è un segmento dell’interbancario, che è particolare e riguarda l’insieme dei rapporti tra singola banca e banca centrale, rapporti che rientrano da un lato tra le competenze di politica monetaria e dall’altro rientrano nella particolare funzione della banca centrale che viene definita come “banca delle banche / prestatore di ultima istanza”. Prestatore di ultima istanza: se una banca è corta di liquidità = ha impegni a scadenza che non riesce ad onorare con il proprio attivo (rimborsi di diversi impieghi), l’unica certezza che c’è è che esiste la banca centrale che può risolvere il problema. Domanda: perché la banca centrale è comunque in grado di risolvere il problema, se ritiene di poter risolvere il problema? Perché stampa moneta. Si tratta di un problema di opportunità: valutare se una banca può entrare in difficoltà in termini di liquidità. Le banche sanno che se hanno sbagliato le previsioni dei flussi di cassa, o si trova con condizioni di mercato troppo svantaggiose con le altre banche possono rivolgersi alla Banca centrale. Ci sono diverse possibilità, che rientrano nelle logiche delle politiche monetarie, e collaterali, delle diverse banche centrali, frutto della storia/tradizione, valutazioni e implementazioni teoriche che non per forza siano perfette. Alcune caratteristiche paradigmatiche: - La differenza verte sul livello di discrezionalità della banca centrale. Noi abbiamo agli estremi opposti un meccanismo automatico (livello 0 discrezionalità. Si pongono delle condizioni che se rispettate portano alla concessione del credito) e un meccanismo discrezionale (a ogni richiesta si decide). Il meccanismo quasi completamente discrezionale è stato il meccanismo della Banca d’Italia prima dell’euro: ciascuna banca richiedeva e la banca centrale decideva per ogni singolo le condizioni del prestito, con funzioni quasi di calmiere. Nel senso che se una banca richiedeva troppo spesso, questa veniva vista male, incapace di gestire i propri flussi. Quindi c’era una tolleranza decrescente. Il meccanismo automatico è qualcosa di molto prossimo al meccanismo BCE: essa definisce che cosa è stanziabile per avere il finanziamento, fa il finanziamento ad aste e quindi chi rispetta garanzie, ha accesso illimitato al credito. Senza livelli di discrezionalità, si guarda solo il problema della solvibilità. Chi è solvibile ma non liquido ottiene tutto. Chi non è solvibile e non liquido va messo in risoluzione, messo fuori di mercato. Quindi, nel modello BCE il rifinanziamento è sostanzialmente automatico, a patto di portare collaterali a garanzia. Finché una banca porta collaterali (Solitamente titoli. Motivo per cui le banche ne hanno nell’attivo: hanno la fungibilità della liquidità ma rendono di più, ma essendo titoli si ha il rischio di oscillazione dei tassi con conseguente perdita in conto capitale. Quando c’è stata la crisi di liquidità del sistema le banche si sono trovate con l’interbancario sparito, e quindi le banche con più impieghi che raccolta si sono trovate corte di liquidità, e il gap andava risolto. È successo che un po’ si è andati a prendere in banca centrale, la BCE ha inondato con una valanga di miliardi di euro di moneta il sistema. E le banche: nella prima fase hanno comprato titoli di stato e li hanno dati a garanzia, per cui si è creata una situazione dove le banche compravano titoli, li davano a garanzia per avere liquidità con la quale ottenevano altri titoli per ottenere altri finanziamenti, gonfiando la quantità di titoli nella pancia delle banche e il volume di prestiti richiesti. Con il problema che la BCE emetteva denaro sperando che arrivasse all’economia reale. Ma le banche hanno continuato a riempirsi di titoli di stato e debiti vs la BCE. Poi la BCE ha detto che se non si fossero fatti prestiti all’economia reale non avrebbe concesso ulteriori crediti. Allora il gioco è cambiato. Il problema è che la liquidità per certe banche non era sufficiente, la carta stanziata in BCE non era sufficiente.

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La BCE, anche sotto pressioni politiche, ha attenuato quindi i requisiti dei titoli stanziabili a garanzia allargando la lista di titoli stanziabili, dall’altra le banche hanno cominciato a creare titoli (non loro titoli), titoli partendo dagli impieghi: cartolarizzazione. Venivano trasferiti pacchetti di crediti a società Veicolo, che o li compra (tenendosi il rischio) oppure li compra lasciando il rischio alla banca oltre una certa soglia. Problema: la società veicolo compra questi titoli con fondi esterni alla banca o è una partita di giro? La cartolarizzazione ante crisi vedeva la figura di un terzo che comprava i titoli, li metteva sul mercato e sperava di guadagnare dai crediti. La cartolarizzazione post crisi vede la banca che vende al Veicolo, ma in cambio ottiene i titoli emessi dallo stesso Veicolo per metterli in BCE. Quindi si spostano in BCE crediti per ottenere liquidità. E quindi è un ulteriore canale di creazione di liquidità, che non si sa se rimarrà o meno in futuro in uno scenario meno espansivo. Un tema di assoluta attualità è quello del debito sovrano sotto i profili di bilancio e di vigilanza. In Europa non vige l’obbligo di svalutare il debito sovrano, e a livello di vigilanza non abbiamo il vincolo di misurare il rischio del debito sovrano sull’assorbimento del patrimonio. Questo vuol dire che la banca italiana che ha in pancia ha BTP li iscrive a valore di acquisto, rimborso (a seconda di dove li vanno a iscrivere) ma non deve valutarli. Mentre gli altri titoli vanno valutati. Quindi è evidente che se noi adottassimo come criterio di bilancio e di valorizzazione del patrimonio di vigilanza ai fini di solvibilità la valutazione dei titoli sovrani le banche italiane dovrebbero essere immediatamente ricapitalizzate in quanto piene di titoli di stato. in particolare modo ora che comprano per mettere in BCE. E qui emerge in conflitto tra la Germania che sostiene la misurazione del rischio dei titoli sovrani, in quanto non avrebbe nessuna ripercussione e altri paesi che dicono che non va valutato, con diverse motivazioni. Una via per arrivarci, meno dolorosa per il sistema paese, è quella di introdurre un requisito di diversificazione del rischio sul debito sovrano: non si può avere titoli sovrani di un solo paese. Già questo consentirebbe di modificare il portafoglio. Si pongono due problemi: se vengono acquisiti altri titoli di debito sovrano, esempio titoli tedeschi, cala il rendimento del portafoglio delle banche. Secondo problema, chi si compra il nostro debito tra le banche degli stati esteri? Conclusione: c’è, indirettamente, una difficile allocazione di ruoli tra politica monetaria e politica di Vigilanza, perché gli scopi di queste due funzioni sono diversi, ancorché nella funzione monetaria sia anche la funzione di prestatore di ultima istanza. Ma la funzione di prestatore di ultima istanza ha l’obiettivo di preservare l’equilibrato funzionamento della liquidità del sistema; mentre la Vigilanza ha lo scopo di garantire la solvibilità dei singoli e del sistema. Da questo punto di vista, di difficoltà di allocazione, ci sono due modelli. Modello di riferimento: assoluto divieto di attribuire entrambe le funzioni a un unico soggetto, in quanto una prima o poi preverrà sull’altra. (come l’italia in anni 70, funzione monetaria assoggetta la vigilanza alle sue funzioni o contrario: assoggettare la politica monetaria alla politica di vigilanza, trasferire fondi alle banche per poterle salvare a costa bassissimi). Ipotesi opposta: è bene dare le funzioni allo stesso soggetto perché ci sono notevoli vantaggi in termini di sinergie informative/operative: se uno stesso soggetto gestisce entrambe le funzioni condividendo le informazioni può perseguire economie di scala; quando sono i soggetti sono prestatori di ultima istanza ha maggiore capacità di valutare se il soggetto è solvibile o no. Quando è nato l’euro si è deciso che la politica monetaria va tutta alla BCE e la vigilanza va in prospettiva all’EBA (Con scopo di coordinamento), ma poi si è deciso di fare l’Unione bancaria, che ha portato in capo alla BCE anche la Vigilanza in quanto si è visto che nella crisi la BCE è stata l’unica ad avere la potenza per sostenere le banche. Il pericolo che si è visto è che lasciando una vigilanza frammentata il problema è stato che in situazione di crisi ognuno salva sé stesso. Formalmente le governance dei due poteri sono in capo a due soggetti diversi, in pratica poi il vertice è unico. Quindi la contaminazione dell’una nell’altra è evidente. Sicuramente è importante che vi sia trasparenza ed equilibrio, che se anche c’è una contaminazione è importante che il mercato la veda. Non può esserci opacità, una contaminazione che nessuno vede. Altre attività delle banche oltre l’intermediazione: altre attività che richiedono almeno in parte, delle attività di regolamentazione e che possono impattare sul bilancio.

Incassi e pagamenti/circuito dei pagamenti. La stragrande degli incassi e pagamenti sono i pagamenti elettronici. La banca è, ad oggi, la piattaforma più utilizzata per regolare i pagamenti (moneta bancaria). Oltre alla banca la canalizzazione degli incassi e pagamenti vede la Posta (in altri paesi il Banco posta è scorporato dall’attività postale e costituisce una banca vera e propria). In Italia la scissione deve ancora avvenire. Da un punto di vista della vigilanza, le poste hanno delle regole loro, soprattutto fino ad oggi hanno una limitazione enorme: fanno servizio di incasso e pagamento, fanno raccolta, ma non fanno impiego in quanto la raccolta va alla Cassa depositi e prestiti. Dal lato della raccolta fa da concorrente alle banche, anche se non è una vera banca. È competitor in modo indiretto sul lato degli impieghi, lavora in convenzione con le banche per offrire mutui. L’unione europea ha fatto una direttiva sui servizi di pagamento, che aveva lo scopo di iniziare un processo di deregolamentazione e di ampliamento della concorrenza nei servizi di pagamento: i servizi di pagamento possono essere esercitati da tutti quelli che rispettano certi standard di sicurezza e che siano autorizzati a farlo. Una volta potevano farlo solo le banche e le poste e le società finanziarie che gestiscono carte di credito ecc. Ora, e in prospettiva, possono farlo coloro che possono garantire quegli standard a che siano autorizzati . E chi sono? Ad esempio: società che gestisce una rete telefonica. Esempio: sim telefonica (può essere usata come incassi e pagamenti) (Esempio di Google, Apple, Samsung per inserire la funzionalità di carta di credito nel telefono. Microsoft ha brevettato, non messo in commercio, la E-Sim: chiave elettronica crittografata che consente anche gli incassi e pagamenti. Anche i supermercati vogliono entrare nel mercato. C’è un braccio di ferro tra banche e nuovi soggetti che hanno nuove tecnologie e che vogliono sostituirsi alle banche. Il potenziale degli incassi e pagamenti ha un potenziale enorme, porterebbe via depositi alle banche. Già la prepagata è una sorta di deposito, infruttifero. Già ci sono le carte conto, che hanno iban ma non sono conto e quindi non sono soggette a imposta di bollo. È un business legato ai volumi, e quindi è gestito da banche che hanno volumi di transazioni.

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Un altro business è quello dell’intermediazione mobiliare , che riguarda tutta l’attività di servizi mobiliari che le banche fanno in contropartita con la clientela soprattutto nell’ambito del risparmio (vendita del prodotto mobiliare retail o private). Il vantaggio di questa attività è di sfruttare la piattaforma commerciale e ottenere commissioni. E la stessa piattaforma può essere utilizzata per vendere il prodotto assicurativo, prendendo commissioni senza aumentare di troppo i costi. Queste attività parallele procurano ricavi senza troppo aumentare i costi, hanno una buona prospettiva di fidelizzazione della clientela perché se le do tutti i prodotti non serve che vada da altri competitor. C’è un problema di latente conflitto di interessi tra cliente e intermediario, perché c’è il rischio che l’intermediario orienti il risparmio in modo distorto: verso prodotti che pagano maggiori provvigioni, non facendo un buon servizio al cliente (scelta sbagliata nel lungo termine); rischio che nel momento di crisi le banche che avevano difficoltà sulla raccolta hanno cercato di spingere i clienti a comprare prodotti interni rispetto prodotti esterni, privilegiando la liquidità rinunciando alle commissioni. Ma non è quello di cui il cliente ha bisogno.

15_02_2017 Bilancio delle banche Tutte le imprese hanno un sistema contabile che è obbligatorio e serve per alimentare le informazioni per fare il bilancio. Questo sistema è la Co.Ge Contabilità Generale. Ci sono poi delle imprese degli strumenti contabili ulteriori che servono prevalentemente allo scopo di alimentare informazioni per il processo decisionale: contabilità analitica o dei costi. Serve per il controllo di gestione. Non è obbligatoria e chi la applica può dare la forma che vuole in funzione dell’uso che vuole fare delle informazioni. Il bilancio oltre essere estratto da una serie di informazioni è anche frutto di una serie di congetture, per una motivazione molto semplice: noi il bilancio lo facciamo con riferimento a un orizzonte temporale, mentre le operazioni di azienda non hanno il riferimento temporale, possono avere una durata più lunga o a cavallo di più esercizi. Quindi abbiamo tutta una serie di convenzioni che trattano questo disallineamento. Noi diremo che se vogliamo vedere la storia vera, l’unica cosa vera è che si vede ciò che incassiamo e paghiamo. Tutto il resto sono ipotesi. Ed è per questo che quando si fanno le analisi di valore in teoria si dovrebbero utilizzare i flussi di cassa. Un’azienda potrebbe vendere all’infinito, ma se non incassa è finita. Allo stesso vale per gli investimenti. La contabilità registra in Partita Doppia tutti gli accadimenti aziendali. Dalla Cont Gener si passa al bilancio con una serie di operazioni, le operazioni di chiusura che trasformano il dato contabile in dato di bilancio sulla base di criteri di redazione e di valutazione. Anche la banca ha la contabilità generale, ma avendo tutto informatizzato ha tante contabilità. O meglio, ha un sistema informativo contabile molto complesso, dove c’è la Co Ge e tutto attorno c’è un sistema di Contabilità ausiliarie ma necessarie. Per esempio, dalla Co Ge non si è in grado di calcolare i singoli interessi di competenza di un singolo cliente o di un singolo debitore. Quindi ci sarà una contabilità ausiliare che determinerà la liquidazione periodica degli interessi. Vale per ogni attività: es servizio di incassi e pagamenti, la procedura degli anticipi SBF (perché registro che incasserò tra un mese, per poi tenere evidenza dell’effettivo incasso o meno). Tutte queste autonome aree contabili hanno un’interazione con la contabilità generale. Il sistema contabile informativo è complicatissimo, perché essendo tutto informatizzato gestisce ogni attività, ogni servizio. È anche un elemento limitativo, in quanto vincola l’operatività (es creare nuovi prodotti che il sistema informativo non può gestire); il vantaggio è l’avere informazioni in tempo reale su tutto. Un secondo discorso è che le banche sono strutturate su più sedi, la direzione e gli sportelli, per cui c’è un ulteriore contabilità sezionale di sportello, ovviamente uguali l’uno all’altro, che riversano informazioni sul sistema centrale. Anche qui, ci sono varie possibilità: possiamo immaginare che venga tutto riversato in tempo reale/fisico o oppure possiamo immaginare che il riversamento di tutte le contabilità sezionali vengano fatti in differita. L’idea in passato era quella di lavorare di giorno e scaricare di notte. Appena chiuso lo sportello inizia lo scaricamento nel database centrale. Ora quasi tutte le banche hanno la gestione in outsourcing e la direzione centrale non ha in tempo reale tutte le informazioni, o per averlo occorre avere un sistema particolare di trasferimento delle informazioni. Un tempo le info viaggiavano su reti private (società del consorzio che avevano le reti), ora viaggia tutto su internet con spazio virtuale dedicato. Notevolissimi problemi di carattere informativo e contabile, perché occorrono filtraggi delle informazioni per verificarne la coerenza e l’assenza di errori. Quindi abbiamo un ordinamento sezionale, che alimenta il database centrale che ha le sue sottosezioni (possibilmente integrate, in quanto è uno degli elementi di competitività delle banche). La contabilità generale e ausiliarie servono per tenere le informazioni e alimentare il bilancio. E quindi tutto sommato è come se fosse un sistema più complicato di una qualsiasi impresa. C’è un elemento di delicatezza, perché la contabilità della banca fa fede in giudizio nei rapporti contrattuali: fino a prova di truffa, la banca porta il suo documento contabile , stampa (Es) il suo estratto conto e quello fa fede. Es una volta finito il periodo di contestazione dell’estratto conto (Contestazione: onere della prova). Fanno fede come se fosse un atto notarile, quello che documenta lei fa fede fino a prova contraria. Anche perché le banche sono soggetti vigilati e si presuppone che il Vigilante vigili anche su questa cosa. Valenza della contabilità di certificazione dei rapporti in essere. Ma il centro del problema è la differenza, tra logiche di impianto contabile e formazione del bilancio. Per le imprese ci si pone solo il problema di identificare schemi e metodi di valutazione. Il sistema contabile della banca non serve solo a fare il bilancio, ma serve necessariamente a fare anche le segnalazioni di vigilanza all’Autorità. Per cui, da un lato, il sistema contabile genera il bilancio, dall’altro genera le segnalazioni. Primo problema: nel codice civile, che comprende le norme sul bilancio, ci sono le regole sulla tenuta delle scritture contabili e di congruenza tra le scritture contabili e il bilancio. Per cui l’alimentazione del bilancio può avvalersi di tutti i sistemi ausiliari, ma in qualche misura transita sempre per la contabilità generale, perché è obbligatoria per legge. Per cui i passaggi sono: impianto contabile – contabilità generale – redazione del bilancio.

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Il codice civile non ci parla però delle segnalazioni di vigilanza. Come sono alimentate allora tali segnalazioni? In teoria ognuno le alimenta come vuole, a patto che i gli ispettori verifichino che non barino. Il dettaglio informativo delle segnalazioni è molto dettagliato, molto più rispetto al bilancio e molto più dettagliate della Nota integrativa. Nel caso delle segnalazioni di vigilanza non è prescritto come alimentarle, è solo prescritto che devono essere date corrette ed è noto che poi gli ispettori vengano a controllare che siano corrette (Se non lo sono = sanzione amministrativa dall’autorità; se sono manipolate, c’è dolo = sanzione penale, per ostacolo all’autorità di Vigilanza. *anomalia di vigilanza perché si passa per il Giudice). Quindi abbiamo due prodotti: bilancio e segnalazioni, che hanno finalità diversa. Le segnalazioni servono all’Autorità per una diagnosi ai fini di verificare come va l’attività della banca; il bilancio è un’informativa pubblica redatta secondo i principi del bilancio. Una prima questione: capire se, al dilà della fonte delle informazioni, il dato che viene alimentato sulle segnalazioni o bilancio è uguale o no. Perché il dato sia uguale è necessario che vi sia qualche procedura che confronta, verifica e riconcilia i due dati per garantire che siano sempre uguali. Però non è sufficiente, è necessario molto di più. In particolare due cose (in ipotesi in cui nessuno imbroglia): - uguale criterio di rappresentazione (perché se uso due sistemi diversi, non avrò mai gli stessi dati); - uguale criterio di valutazione (perché se valuto diversamente alla fine la stessa cosa, classificata nello stesso modo, non avrà lo stesso valore. Potrebbe avere senso, se le finalità conoscitive sono diverse.) Da questo punto di vista: [Problema del doppio binario del bilancio: civilistico e fiscale, quello fatto con i criteri di deducibilità. Ma chi redige il bilancio civilistico con i criteri fiscali commette un falso in bilancio. Quindi ci si trova in una situazione nella quale chi redige il bilancio segue i criteri fiscali, redigendo quindi un documento non rappresentativo della funzione del bilancio] Possiamo immaginare sì un doppio binario, possibile, tra bilancio civilistico e segnalazioni di vigilanza perché avendo diverse finalità si ammettono diverse rappresentazioni. Lo stesso bilancio non è un monolite, in quanto ci sono diversi tipi di bilanci. I criteri per il bilancio civilistico: quelli del CC e nei suoi rimandi ai principi Italiani/Internazionali. Dal ‘75 in Italia abbiamo il bilancio con i due prospetti (SP e CE, prima il conto economico era ricondotto a una voce di sintesi). Dopo una prima fase di miglioramento del bilancio italiano, sono iniziate ad uscire tutta una serie di direttive comunitarie in materia di bilancio. E abbiamo come riferimento direttive specifiche sui specifici bilanci (Banche, assicurazioni): il bilancio CEE. Per cui il bilancio della banca non è nel Codice Civile, come una volta, ma è in una regola speciale. Cosa c’è di diverso in questo provvedimento speciale rispetto al generale? Il completamento è diverso nel CEE: ci sono sia SP che CE che hanno voci diverse, un diverso modo di rappresentazione dei dati di bilancio. Una seconda cosa, che nel bilancio CEE è diversa, riguarda alcuni criteri di valutazione: per alcune questioni si seguono delle strade diverse rispetto il bilancio delle imprese. Per esempio, in alcuni casi è previsto che si utilizzi il principio della valuta di regolamento rispetto alla competenza economica (valutazione per cassa vs/ competenza economica). Successivamente e l’Europa, anche su pressioni internazionali, abbandona l’idea di un bilancio civilistico europeo, frutto della tradizione continentale non anglosassone, e recepisce in maniera non prevalente alcuni principi anglosassoni (vicini a quelli USA), negoziati da opportune commissioni, che vanno verso la valutazione al fair value abbandonando il costo storico. Questo terzo stadio è di normative sempre europee, me un sistema di bilancio basato sui principi contabili internazionali. Per quanto riguarda il bilancio della banca, e anche delle assicurazioni, il passaggio dal Bilancio CEE al Bilancio dei principi internazionali porta una enorme novità, data dal fatto che pur mantenendo dei prospetti diversi rispetto a quelli del CC, i criteri di valutazione convergono verso quelli dei principi internazionali (usati dalle imprese non finanziarie, non c’è una distinzione tra IAS/IFRS per banche e imprese). Quindi, in un certo senso, è un ritorno al passato, perché quando c’era il CC i criteri per le banche e assicurazioni erano gli stessi, poi col CEE si è data una normativa speciale e infine con gli IAS/IFRS sono ritornati uniformi. E I CRITERI PER FARE LE SEGNALAZIONI DI VIGILANZA? Chi li decide? I criteri operativi li decideva, in passato, l’Autorità: banca d’Italia. Fasi Bilancio. - Bilancio civilistico pre bilancio CEE/CC: regole civilistiche comuni, cambia solo il CE per le banche (c’era un decreto per derogare al CE del CC). Ma ai fini di vigilanza, le regole sono quelle dettate da quelle della Banca d’Italia, che con l’andare degli anni ha costruito un corpus molto ampio di informazioni da trasmettere ed è andata a disciplinare nelle Istruzioni per le segnalazioni di vigilanza per ogni voce come va costruita e valutata. Per cui, in questo primo stadio, bilancio e segnalazioni viaggiano in modo completamente indipendenti. Almeno in apparenza, perché il bilancio civilistico viene approvato dai soci e depositato, una volta ogni tato ci può essere un azionista che impugna il bilancio in tribunale. Se così avviene deciderà il Giudice chi ha ragione, ma è abbastanza raro. Le segnalazioni di Vigilanza vengono inviate all’Autorità, che le elabora. Elaborandole, se riscontra incongruenze può richiedere informazioni suppletive o mandare l’ispettore. Il bilancio CC viene controllato si e no una/due. Le segnalazioni vengono controllate SEMPRE dall’Autorità. Si portava a una situazione per la quale le banche erano portate a redigere il bilancio CC secondo le Istruzioni di Vigilanza, come le imprese erano spinte a seguire le norme fiscali. Il Giudice non guarda alle istruzioni della Banca d’Italia. Non sul bilancio civilistico, può essere un elemento di buona fede per dare una pena più leggera (una sorta di “doppio binario”). - Bilancio CEE/l’Italia recepisce con norma il bilancio CEE delle banche: nel bilancio CEE (Direttiva) ci sono le regole di rappresentazione e valutazione; nelle regole di valutazione c’è un certo numero di opzioni su alcune questioni (dovute a tradizioni contabili diversi) mentre su altre questioni non si dava opzioni. Quindi gli stati, quando hanno recepito il bilancio CEE, hanno dovuto scegliere tra le situazioni possibili. In altri pochi casi la Direttiva dava possibilità di deroga al criterio, previa deliberazione e motivazione alla Commissione. Per cui i Bilanci CEE erano uniformi sotto rappresentazioni, ma sotto l’aspetto della valutazione non completamente uniformi. Quando hanno applicato il bilancio CEE in Italia, il Parlamento ha delegato al Governo di fare le

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regole. Ma di fatto le regole sul bilancio CEE le ha fatte la Banca d’Italia. In questo provvedimento, per di più, si fa rinvio alle spiegazioni della Banca d’Italia. La Banca d’Italia, nel momento in cui ha messo mano sulle regole di scrittura del bilancio coglie l’occasione per fare gli stessi criteri per bilancio e segnalazioni per fare collimare le voci (dove posso modifico i criteri di modo da far combaciare le voci). Cambiava solo la rappresentazione. Portava a criteri ben lontani rispetto alle imprese industriali del CC, in ambito bancario però portava a una uniformità. Per cui quando è entrato in vigore il meccanismo del bilancio CEE, si era venuta a creare una sorta di capacità di collegare i due fattori. Il bilancio CC è sempre emanazione delle scritture contabili obbligatorie, le segnalazioni le prendiamo dove vogliamo. Ma la banca d’Italia si era inventata una procedura (BI-REL) che consentiva di usare le segnalazioni per alimentare il bilancio d’esercizio e far sì che entrambi fossero congrui. In sostanza la Banca d’Italia usava il bilancio come strumento di ulteriore verifica delle segnalazioni. Questo è stato il punto di massima coerenza tra bilancio civilistico e segnalazioni di vigilanza, il frutto di un avvicinamento di due cose indipendenti operato attraverso le deroghe e le opzioni consentite dall’Europa in sede di adozione e dove non c’erano cambiando in sede di vigilanza sulla base delle norme civilistiche. In qualche misura sparisce il doppio binario, con il problema che il risultato dà una visione Civilistica un po’ starata…si va a compromessi tra i due strumenti mentre prima entrambi erano tarati in funzione di quello che si voleva ottenere. C’è da tenere conto che la Banca d’Italia è l’autorità di vigilanza sulle banche che ha costruito il set di informazioni più estese al mondo, la prima e più esaustiva ad adottare sistemi di trasmissione delle informazioni. - Si adottano i principi contabili internazionali, i quali sono enunciati in via di principio dalla Normativa Europea . Ma sostanzialmente si limitano a dire poco, rinviando alla fonte esterna frutto di una serie di organizzazioni che emanano i principi contabili che partono dalle organizzazioni americane ed europee le quali convergono in una organizzazione sovranazionale e lavorano a statuire i principi contabili. In questo modo per le banche, assicurazioni e industrie si usano gli stessi principi. Per cui le banche tornano ad usare gli stessi principi delle altre imprese. Rimane diverso lo schema di rappresentazione, ma i principi per fare il bilancio e le valutazioni restano gli stessi. E allora, se il bilancio evolve in una direzione si rompe l’aggancio alle segnalazioni e si torna al doppio binario perché altrimenti le Segnalazioni si farebbero con dei criteri funzionali al bilancio civilistico (e che non è idoneo a far comprendere alla Vigilanza). La banca d’Italia, nel caso in cui non vi erano elementi negativi nel seguire il bilancio cc lasciava seguirli e lasciava adottare i principi internazionali per le segnalazioni di Vigilanza. C’è un ulteriore stadio, evoluzione del terzo, frutto di una novità: l’unione bancaria. Sono uscite le Istruzioni della BCE, con un nuovo sistema di segnalazioni. Il contenuto e il criterio sono nuovi, frutto di un ripensamento di amalgama delle tradizioni dei paesi dell’Euro. [Sito BCE e BDIT, guarda la Sezione Vigilanza] Il bilancio tende a trasporre tutto attraverso i principi di consolidamento. È molto più importante oggi nelle banche che nelle assicurazioni. La differenza, oggi, è che per le banche ma solo in parte per le assicurazioni la vigilanza bancaria è di regola consolidata, mentre nelle assicurazioni salvo qualche piccolo elemento è individuale. La vigilanza consolidata comporta singole segnalazioni interne che poi vengono convogliate in una segnalazione unica della capogruppo (oppure si può chiedere di mandare le singole o solo quella della capogruppo). Nel caso delle assicurazioni, questo non è completamente operativo ma in linea di principio esse hanno la vigilanza individuale e poi qualche opzione di selezione di gruppo. Tutto un altro impianto contabile si moltiplica, con ulteriore complessità perché si hanno informazioni alimentate da soggetti giuridici indipendenti. C’è una norma che obbliga alle controllate di sottostare alle regole di impulso e coordinamento della capogruppo. Vi è un conflitto tra impulso e coordinamento e responsabilità della controllata quando essa riceve ordini non legali. Vi è quindi la creazione di un organo interno di Audit per controllare il gruppo dall’interno.

20_02_2017 – Intervento sugli schemi di bilancio delle banche – Andrea Martini (Revisore contabile) Mentre un tempo la banca faceva un unico “mestiere” (trasmissione di risorse tra soggetti in surplus e deficit, famiglie e/o imprese. Prevalentemente banche commerciali e di breve termine) e aveva un controllo pubblico. Ora troviamo banche che svolgono l’attività bancaria e attività di intermediazione finanziaria. Perché la banca è debole? Quale può essere il suo tallone d’Achille? La liquidità, il ritiro dei depositi. Negli schemi della banca: passivo / raccolta (depositi retail [massa di depositi molto stabile, anche se a vista. Ma sostanzialmente il 70% è una passività medio/lungo termine], corporate: è una raccolta un po’ più complessa – sono grosse partite molto più mobili perché sensibili alle condizioni bancarie; raccolta interbancaria, chi non sa impiegare il retail lo impiega nell’interbancario; Soggetti qualificati che vogliono essere controgarantiti, che portano ad investire in titoli (per rendere sicura la manca). *L’asset più illiquido sono gli impieghi, es: mutuo a 5 anni, non ha un prezzo. Non è un asset liquido, per cui ho bisogno di asset liquidabili facilmente – come i titoli: preferisco i titoli alla liquidità perché hanno una remunerazione più alta a parità di liquidità. Nella sostanza negli attivi e passivi abbiamo: masse di crediti, masse di titoli e masse di eligible; queste masse producono proventi/oneri. Ma nel bilancio troviamo anche le commissioni, proventi da speculazione, riserva di liquidità, attività finanziarie detenute fino a scadenza…(La liquidità è un requisito importante per la vigilanza, indice LCR). Altro elemento è la leva finanziaria. Dov’è l’importo più grande in un modello di business di una banca retail/corporate? Voce 70- Crediti vs/ Clientela. La seconda voce è il comparto titoli (Es 40- Riserva di liquidità). Tra le attività materiali possiamo trovare i mobili delle filiali (l’arredamento); nelle immateriali si possono trovare i software (ma può essere un costo di outsourcing), si trova l’avviamento. In più ci sono voci di Att. Immateriali. Es. Avviamento negativo: devo rettificare il valore degli attivi che ho comprato. In teoria l’avviamento è il plusvalore di quello che ho comprato. [Scrivere caso Barclays – Mediolanum]

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Voce 140. Attività non corrente e gruppi di attività in via di dismissione: bisogna informare il lettore che l’obiettivo è la dismissione, non la gestione, di rami di azienda (attività/passività/masse). 20. Attività finanziarie detenute per la negoziazione: la banca prende posizione sui mercati, c’è una parte della banca che compra e vende titoli. Attività continua di trading, che comporta rischi. Quanto più è grande la massa media più è un’attività a rischio di mercato. E la perdita va immediata a conto economico. L’altro rischio è il guadagno senza aver venduto il titolo: utile non liquido. Altro rischio è che ho guadagnato su strumenti non prontamente liquidabili. Quindi, in questa voce: quanta parte è liquida e illiquida? Avrò diversi tipi di fair value a seconda dei diversi strumenti. Passivo: debiti vs banche. Derivano da due casistiche: rapporti di conto corrente tra banche e banche per regolare partite di terzi; debiti che sorgono per posizione finanziarie con banche (BCC prestavano la loro raccolta ad altre banche, perché avevano una scarsa capacità di impiego precludendosi una parte di profitto. Prestavano a banche con eccesso di impiego. È una voce molto alta in banche molto prenditrici verso altre banche. Conto Economico 30. Interessi attivi massa attiva (+interessi da time value) – interessi passivi massa passiva.

21_02_2017 Crediti e inquadramento sia nell’ottica di bilancio che in ottica di vigilanza. Primo problema: quali sono i crediti. In generale la risposta sembra ovvia: crediti vs banche e crediti vs clientela. In realtà a seconda del tipo di bilancio che si va a prendere, ci possono essere altre voci in cui si trovano i crediti. Per ipotesi: attività in via di dismissione; altra ipotesi riguarda tutta una serie di attivi che non vengono classificati nella voce crediti ma che ne sono indissolubilmente connessi, tutti quegli attivi che nascono dal recupero crediti; posso trovarci titoli, immobili, merci (oro). Prima considerazione, importante anche in ottica di vigilanza: dai crediti possono originare situazioni patologiche che lo possono trasformare in altre cose, che non ci dovrebbero essere nel bilancio della banca che non dovrebbero esserci nell’attività della banca (in quanto non è nel suo mestiere). Anche le azioni non potrebbero esserci, a condizione che:” sono temporanee/destinate alla vendita” o “solo se derivano da operazioni di recupero crediti”. Queste attività di solito possono trovarsi tra le attività in via di dismissione, come coerenza logica con la temporaneità della detenzione. Seconda considerazione: non tutti i crediti li troviamo nello stato patrimoniale. I crediti di firma non vengono iscritti nell’attivo, in quanto non hanno un’erogazione monetaria. Li trovo nell’attivo solo se viene escusso, se si è arrivati alla situazione patologia (c’è l’erogazione monetaria solo se non è andato a buon fine). Dove si trovano questi crediti? Una volta, nel bilancio italiano e CEE, si trovavano in calce allo stato patrimoniale “sotto la linea” (impegni e rischi, evidenziavo i rischi che erano connessi alle operazioni non iscritte a bilancio (caso dei crediti di firma), o operazioni iscritte a bilancio ma senza evidenziare i rischi; gli impegni: impegni che la banca ha assunto nei confronti di terzi per fare qualche cosa, non sono crediti di firma ma sono, per esempio, le linee di credito non completamente utilizzate. Non è un rischio in essere, ma è un impegno a consentire a utilizzare che potrebbe comportare un rischio. Non comporta un rischio di credito, ma un rischio potenziale di liquidità. Può configurare anche un rischio di credito, perché se vuole usare e io non ho denaro corro un rischio0). Crediti di firma: con il bilancio IAS non i evidenziano sotto la linea, ma sono evidenziate in nota integrativa (una sezione apposita); nel bilancio CEE c’era una voce di sintesi e poi si specificava in Nota Integrativa. Classificazione dei crediti Discorso generale su come si è andata evolvendo la classificazione. Da un punto di vista logico noi abbiamo due macro categorie: “credito in bonis”, “credito deteriorato”. Il concetto di credito in bonis sta a significare che la posizione creditizia non ha, al momento della classificazione, segnali di criticità di nessun genere (forte/debole) e quindi lo consideriamo un credito sano. Attenzione: il fatto che sia in bonis non significa che non presenti elementi di rischiosità; però se lo consideriamo in bonis non abbiamo nessun elemento specifico che fanno emergere criticità. Corriamo un’alea circoscritta a un rischio fisiologico che con il tempo potrebbe emergere. Per valutare un credito in bonis, va tenuto conto dell’elemento statistico della perdita. Crediti deteriorati: sono quei crediti per i quali è già emerso qualche elemento di criticità (leggero/pesante/ecc). Da un punto di vista logico noi sappiamo che i crediti in bonis possono nel tempo diventare deteriorati; il tasso di trasformazione da crediti in bonis a deteriorati possiamo definirlo “tasso di decadimento” del credito. Uno degli elementi di valutazione importanti nella valutazione in una banca è sempre di cercare di capire, con una serie storica, come determinare il decadimento. Può anche accadere che un credito deteriorato torni in bonis, che a un certo punto gli elementi di criticità riscontrati spariscano, implicando la necessità di riclassificare a in bonis. Abbiamo dei trasferimenti dalle due macro aree. Una cosa importante, se facciamo un’analisi dei crediti puntuale, è non sommare questi due flussi. Vanno tenuti distinti, perché il tasso di decadimento potrebbe subire una variazione. Il decadimento: flusso Bonis --> Deteriorato al lordo di eventuali reflussi in bonis. Il rientro da Deteriorato a in Bonis non influenza il tasso di deterioramento, in quanto potrebbe dipendere dalla congiuntura. Il tasso di deterioramento è un elemento per comprendere la qualità del credito. Uno degli indicatori importanti è il rapporto: Bonis/Deteriorato. Livelli di deteriorato sul totale del credito superiore al 20% sono drammatici. [Per ora si parla solo su valori nominali, non si considerano le svalutazioni]. Procedure di lavoro sui crediti: come faccio a individuare i crediti deteriorati?

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Le Autorità di Vigilanza (BCE oggi) non dicono come operare, definiscono solo le caratteristiche sulle quali un credito è deteriorato o meno. Ai fini del bilancio, lo stesso, dobbiamo rappresentare le stesse cose. Nella pratica occorre mettere in piedi un meccanismo per controllare tutto il portafoglio in bonis, in modo da cogliere con la maggiore rapidità possibile segnali di criticità che possano comportare il passaggio a credito deteriorato. Questo si può fare in molti modi, con un passaggio mediato dall’uomo più o meno marcato: posso prendere un software che opera completamente la selezione o che elabori dati ai fini decisionali dell’uomo. Solitamente c’è una procedura che scandaglia e segnala certe situazioni e poi c’è l’uomo che valuta. Il problema è: valuto tutto il credito in Bonis o posso utilizzare una procedura diversa? Alcuni utilizzano una struttura a strati: divido il Bonis in “più sicuri” o “meno sicuri/crediti sotto osservazione” (cominciano ad avere qualche elemento non ancora di criticità, ma meritano un monitoraggio maggiore). Questo tipo di approccio sicuramente ha il vantaggio di concentrare l’attenzione del monitoraggio, più leggero su tutti gli altri, e di convenienza in termini organizzativi. L’aspetto problematico dell’approccio è che qualche volta può essere usato contro chi lo segue: a volte l’Autorità di vigilanza potrebbe partire da quelli sotto osservazione e sindacare il fatto che alcuni sarebbero dovuti essere stati inseriti tra i crediti già anomali e sanzionare per errata segnalazione ai fini di vigilanza. Occorre stare attenti a non porre crediti deteriorati nel cassetto dei crediti sotto osservazione. Analisi dei deteriorati: storicamente, almeno in Italia, l’analisi dei deteriorati nasce come filtraggio da tutti i crediti (in bonis) dei crediti oramai dati quasi per spacciati. Cioè quelli che la banca ritiene, sulla base delle informazioni in suo possesso, riferibili a soggetti in una situazione di crisi irreversibile. [Qui si parla ancora di classificazione, che impatta su come classifico il credito e si ragiona sulla crisi irreversibile. Non implica la valutazione del credito, quello compete alla valutazione e guarda alle garanzie. I due elementi non possono compensarsi] Tradizionalmente si andava a vedere solo questo, e il concetto di posizione creditizia nei confronti di un soggetto in situazione di crisi irreversibile veniva definita “sofferenza”. Le banche, all’inizio, dovevano individuare le sofferenze, elemento di Vigilanza (dovevano essere analiticamente segnalate) e rilevante ai fini di bilancio perché dovevano essere valutate in modo più attento (= quantomeno in modo analitico, non forfettario. Ogni singola posizione andava classificata e valorizzata singolarmente. Mentre nei crediti non in sofferenza si poteva operare per masse sia in classificazione che in valutazione) Tema importante: “stato di insolvenza” = non è in grado di onorare i propri impegni, da un punto di vista giuridico lo stato di insolvenza viene dichiarato dal Tribunale come “inadempimento rispetto ad un obbligo contrattuale”. In realtà, da un punto di vista economico, non si parla di insolvenza, ma di solvibilità e liquidità. Si distinguerà l’insolvenza in quanto non solvibile (Pass> Att) oppure insolvente in quanto ha problemi di liquidità (non riesce a liquidare il suo attivo). Da un punto di vista economico la solvibilità è un problema e bisogna dichiarare il decesso, la solvibilità porta alla dichiarazione del decesso; la liquidità si può risolvere, dove c’è solvibilità, con l’erogazione di un finanziamento anticipandogli i soldi. Situazione delicata: fin che le banche concedono credito a un’impresa, anche se non è solvibile non può essere dichiarata insolvente. Nel momento in cui la banca non eroga più il credito, questa diventa insolvente. Considerazioni: 1) Chi fa diventare insolvibile è la banca, in quanto può decidere di tagliare la liquidità. La difficoltà della banca sta nel capire se il soggetto è non solvibile o non liquido. 2) Dal punto di vista giuridico non c’è questa sottile differenza, si parla solo di inadempimento. È importante ricordare che il concetto di sofferenza non presuppone la dichiarazione dello stato di insolvenza. Una volta si parlava di stato di decozione in stato irreversibile ancorché non dichiarata dal Tribunale. È una valutazione economica, non giuridica. A volte le cose coincidono: gran parte delle sofferenze sono dichiarate inadempienti. L’inadempimento non dichiarato non è una scusa per non mettere a sofferenza. A volte la banca può mettere in piedi un comportamento non legale, che consiste nell’aspettare di mettere in stato di inadempienza nel momento in cui divento creditore preferito. Incorrendo in un comportamento lesivo della par conditio creditorum e quindi reato. Questa era una situazione tipica italiana, dove era importante determinare le sofferenze (Al dilà della dichiarazione di insofferenza). Poi, con l’andare degli anni, a fini di vigilanza (vale per il set di informazioni che le banche devono mandare all’Autorità di Vigilanza) per monitorare meglio il credito si è pensato di non fare una discriminazione così netta nei crediti. Per capire gli stati intermedi è stato introdotto il concetto di “incagli/partite incagliate”. Il concetto di partite incagliate si innesta bene sul concetto di sofferenza. Che cos’è l’incaglio: credito nei confronti di una controparte in stato di difficoltà non ancora irreversibile; mentre la sofferenza è irreversibile”. Il percorso logico è: Bonis – Incaglio – Sofferenza (che forse tornano in bonis). Da incaglio può diventare sofferenza o tornare in Bonis. Con il tempo hanno cominciato ad emergere dei metodi di valutazione delle sofferenze in bilancio, mentre non emergevano per gli incagli. E quindi gli incagli erano solo informazioni ai fini di Vigilanza. Il tasso di deterioramento quindi ora si sdoppia: il primo passa da in bonis a incaglio e un secondo da incaglio a sofferenza. Come facciamo a vedere se l’impianto sta in piedi? Se i crediti non passano direttamente da in Bonis a Sofferenza. All’interno dei crediti in bonis avrò una zona di “crediti sotto osservazione”, che a volte vengono chiamate “in pre contenzioso” situazione nelle quali inizio a negoziare le condizioni del rientro. Nel precontenzioso siamo già negli incagli? Dipende dall’intensità dei segnali. Il problema in sede di Vigilanza e di Bilancio è il non mettere a incaglio situazioni in bonis, o non metto a sofferenza situazioni incagliate. Peggio se non metto a sofferenza dei crediti in bonis.

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Questa era la situazione italiana qualche anno fa, dove la discrezionalità di classificazione dava problemi. Banche e Vigilanza usavano comportamenti opportunistici, la banca barava nella classificazione e l’ispettore cercava di essere troppo rigoroso. Con problemi a livello patrimoniale della classificazione rigorosa da parte della Vigilanza [seconda parte]. A questa situazione si sono apportate alcune modifiche, di due tipi: una prima modifica ha introdotto una nuova categoria di credito deteriorato, con un meccanismo di identificazione semi automatico/automatico. Per cui dalle posizioni in bonis si devono segnalare ai fini di Vigilanza i “Crediti scaduti/Sconfinati da almeno X giorni/per diverse caratteristiche/forma tecnica”. Le operazioni scadute dovevano essere individuate (cosa che sarebbe dovuta essere fatta per default). “Sconfinanti” vuol dire che ho dato una linea di credito e il cliente è fuori da questa linea. Può derivare da diverse situazioni:” C/c sul quale arriva un addebito – la banca potrebbe anche bloccare il pagamento. La prassi italiana, è stata (una volta che abbiamo dismesso le cambiali e usato le Ri. Ba. La cambiale se non pagata, va in protesto; la Ri.Ba no.). L’idea di vietare gli sconfinamenti deriva da comportamenti non ortodossi dei sistemi. Un comportamento era quello di dare una solta di autorizzazione a sconfinare senza regolarizzarla, senza fare una delibera di fido. Ma non rientrava nelle regole: se autorizzo a sconfinare, gli sto concedendo un fido a scadenza e va quindi regolarizzato. Per cui, controllando si trovava una discrepanza tra l’utilizzato e l’autorizzato. Quindi la nuova definizione di crediti va contro i “non pago in tempo/vado oltre il concesso”. La logica è che tutti quelli che commettono questi comportamenti, sono sospetti di avere situazioni critiche. Li chiamo “deteriorati leggeri”; è un invito a prestare attenzione. Per la banca, nel dialogo coi clienti, si cerca di dialogare con quei clienti per non doverli segnalare. Gli Scaduti/Sconfinati o tornano in Bonis o vanno a Incaglio. La seconda novità è stata introdurre una nuova categoria: “Ristrutturati”. Noi abbiamo, tradizionalmente, una pessima abitudine di non usare bene le forme tecniche: per cui accade di non coniugare la durata dei fabbisogni e delle coperture/forme tecniche. Per cui si trovano clienti che non hanno problemi, ma una struttura del passivo completamente sbagliata. Ristrutturazione del passivo: negoziare le strutture delle scadenze per coniugarle con l’attivo. Possiamo avere operazioni di ristrutturazione del passivo che sono solo una revisione degli errori del passato, per rimettere le cose in ordine, Attivo e Passivo in equilibrio. Ci sono invece delle imprese che, essendosi indebitate eccessivamente a breve e avendo qualche problema quando va a scadenza il debito non sono in grado di rimborsarlo perché non hanno sufficienti flussi di cassa. Si cerca di consolidare il debito. Ma se tutto questo nasce da un problema, non è una semplice messa in ordine. Qui l’onere sarà molto maggiore sul medio lungo. E allora, quando uno è in difficoltà comincia ad avere problemi di sconfinamento/ritardo; poi va a incaglio. Da qui: o va a sofferenza o gli si fa un consolidamento del debito (una ristrutturazione per problemi, si rinegoziano le condizioni e se introduciamo qualche elemento non di mercato non si passa da incaglio a bonis ma da incaglio a ristrutturati. Condizione non di mercato: gli diminuisco il debito, concedo una scadenza più lunga, un tasso più basso. È una sorta di rinuncia da parte della banca, che va indurre a considerare la situazione come “sotto osservazione” e quindi va a messo in “Ristrutturato”. Se dopo un X tempo tutto va bene, può tornare in Bonis. Se invece va male, lo si mette o a incaglio o in sofferenza. Questa era la situazione italiana prima dell’unione bancaria, ed aveva rilievo per la Vigilanza (dovevo segnalare tutto) e sul bilancio CEE veniva ripreso ma non analiticamente. Con il bilancio CEE si doveva valutare una per una le posizioni in sofferenza, si doveva valutare in modo analitico gli incagli; mentre per tutte le altre voci si poteva valutare per masse / forfettarie. Con il bilancio IAS non ci sono queste categorie, ma ci sono i criteri per valutare i crediti . Quando parte la Vigilanza unica, si deve ricomporre il sistema di valutazione e classificazione dei crediti dentro l’Area Euro e quindi alla fine è uscito un sistema che praticamente (semplificando) evidenzia le sofferenze e gli altri deteriorati dove non esistono più gli incagli, c’è una sorta di graduatoria di deteriorato ma inizia ad essere deteriorato già quando è scaduto/confinato e si passa poi direttamente alle sofferenze

27/02/2017 Tema della valutazione dei titoli - carattere generale e l’evoluzione nel bilancio. In Generale. Perché le banche comprano titoli? Come già detto, I) per esigenze di liquidità; II) per esigenze di redditività; III) per recupero crediti, dove si acquisisce “quello che c’è” (non è un investimento ottimale per la banca, saranno detenuti per essere smobilizzati il prima possibile e/o alle condizioni più favorevoli) questi nell’ottica di rappresentazione/valutazione sono detenuti per essere pronti a uscire dal bilancio. In astratto non dovrebbero nemmeno esserci. [Le regole di Vigilanza dicono che possono essere detenute temporaneamente solo per recupero crediti, e le si valuta in modo crescente col passare del tempo in termini di assorbimento del patrimonio (arrivo in T dove peseranno come dei titoli normali, detenuti non per alienazione).] Il primo e più importante problema che dobbiamo affrontare è: la valutazione dei titoli di Stato. Se noi seguissimo i principi contabili internazionali, senza nessun condizionamento, dovremmo andare a misurare il rischio implicito nei portafogli di titoli di stato indipendentemente dallo stato emittente. E questo sia per quanto riguarda la valorizzazione di bilancio, sia per quanto riguarda ai fini di Vigilanza, nel calcolo dell’assorbimento di patrimonio che l’avere i titoli comporta. Senza tenere conto di condizionamenti relativi allo Stato emittente. I condizionamenti dello Stato emittente sono fortemente presenti in primo luogo nella politica monetaria; in secondo luogo nella politica di Vigilanza; in terzo luogo nella politica di bilancio. - Come sono presenti nella politica monetaria? All’interno dell’Unione Bancaria (sistema banche area paesi Euro, sotto Autorità BCE) la funzione di prestatore di ultima istanza prevede la possibilità di avere accesso al finanziamento illimitato da parte della

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BCE (automatico) a condizione di presentare Titoli stanziabili e l’anticipazione della BCE che fa a fronte dei Titoli prevede l’applicazione di uno scarto che tiene conto essenzialmente della rischiosità del titolo dato a garanzia, e sotto questo punto di vista diciamo che per motivi di carattere politico (nel senso della politica europea) si è scelto di dare fino ad un certo punto una sorta di equivalenza ai titoli di stato degli stati aderenti. Cosa che in una logica di finanza non esiste: qualsiasi titolo va valutato per sé stesso. Perché in una logica di finanza si possa immaginare una valutazione equivalente di tutti i titoli dell’Area Euro bisognerebbe che ci fosse implicita una qualche forma di mutualità del debito, l’impegno reciproco di garantirsi il debito pubblico. Questo avrebbe diversi gradimenti. (È bene che sia così, perché finché le politiche di bilancio non sono uniformi si rischierebbe di far saltare il sistema). Quindi in un’ottica di politica monetaria, i titoli di tutti gli stati dell’EU sono accettabili con un piccolissimo correttivo, che il livello dello scarto applicato tra titoli dati e credito ricevuto dipende dal Rating del Paese emittente (per quelli dell’euro). Il meccanismo della BCE prevede che di tutte le agenzie di Rating conosciute si prenda la singola valutazione migliore (quindi anche una sola agenzia che ha un risultato più alto fa fede alla BCE per l’applicazione dello scarto) - Nella Vigilanza? Per la Vigilanza ancora non sono oggetto per l’assorbimento di capitale. - Nel Bilancio? Sclip È importante perché in astratto (non troppo) i titoli andrebbero sempre valutati sotto tutti gli aspetti. Quindi dovrebbero essere valutati secondo una precisa, coerente e uniforme metodologia di apprezzamento del rischio e individuazione del prezzo come per tutti gli altri titoli simili. L’idea di fondo: in uno Stato, il titolo di Stato sia l’attività free risk. Quando si parla di Free Risk, si immagina che sia il titolo dello Stato in cui si parla. In un contesto di mercato unico, come l’Unione Bancaria, se noi dovessimo parlare di Free Risk dovremmo considerare il Titolo dell’Unione Bancaria (che non c’è) oppure prendendo i titoli di stato dei vari componenti potremmo pensare che il Free Risk sia quello del titolo con meno rischio. Quindi nel considerare lo scarto con il Free Risk benchmark, qualsiasi scarto di rendimento starebbe a significare anche uno scarto di rischio. Qualsiasi stato comparabile (decennale, a tasso fisso, dell’Unione Bancaria) presenterebbe un profilo di rischiosità se da un rendimento superiore al titolo benchmark. In astratto anche il Free Risk benchmark (Bund tedesco) è rischioso. Però è una buona proxy. L’indicazione di rischio del differenziale è solo una indicazione, altre sono: il rating, il numero di CDS che scontano sul titolo di debito (costo di copertura a termine), ecc. Non sempre sono tra loro coerenti, misurano l’intensità del rischio in maniera diversa, ma sono importanti segnalatori. Che cosa potrebbe accadere? Potrebbe accadere che si supera la convenzione di eguaglianza dei debiti pubblici, introducendo per tutti e tre i livelli il principio della valutazione del debito pubblico con criteri di mercato. Quindi la valutazione si dovrebbe considerare in modo significativamente diverso il debito tedesco, greco e italiano. Questa situazione, che di per sé è molto delicata, in questo contesto diventa molto delicata perché le banche europee si sono riempite di titoli di stato nazionali in maniera anomala rispetto alle serie storiche tradizionale per ottenere importanti fette di liquidità dalla BCE che, in modo anomalo, ha emesso sui titoli. Questo fatto ha comportato nei bilanci un aumento notevolissimo del portafoglio titoli (di stato, ma non solo) e un corrispondente passivo una situazione debitoria verso la BCE. Risulta un bel problema: se dovesse cambiare il metodo di valutazione e dover apprezzare i titoli di Stato andando a valori di mercato ci sarebbero delle perdite violente, dovuta alla quantità anormale. Ci sarebbero in ogni caso, a in questo caso in modo molto violento dovuto all’enorme volume di titoli nei portafogli. Non avessimo questo fenomeno a fronte della politica monetaria della BCE che ha sostituito l’interbancario. Il rischio è che: i paesi con le banche più deboli, i paesi con il debito più grande (e non possono fare operazioni di salvataggio per le banche) e i paesi che hanno banche che hanno riscorso di più alla BCE creano un mix piuttosto esplosivo. L’impatto di questo mix potrebbe essere problematico sull’assorbimento di Vigilanza che aumenterebbe di moltissimo il patrimonio necessario per mantenerlo a livello attuale e (effetto indotto) lo stesso paese emittente riceverebbe un pesantissimo problema in quanto questo tipo di approccio direzionerebbe gli acquisiti del sistema bancario verso altri titoli, o di dover concedere rendimenti maggiori. Sommato al fatto che la BCE inizierà a cambiare politica dovuta all’inflazione, il rischio crescerà ancora. Non è detto che poi sui tre piani le modifiche saranno contestuali. Può essere che magari si vada nella direzione di misurazione del rischio più attenta in momenti diversi. Sicuramente alcune di queste scelte sono influenzate dagli accordi politici tra i partner. È evidente che se dovessero esserci dei rafforzamenti difficili nella disciplina di bilancio dei paesi dell’Euro il problema potrebbe stemperarsi. Il problema è: asimmetria unica gestione della moneta – molteplice gestione delle politiche di bilancio – molteplice gestione della politica di Vigilanza (decisa un po’ dall’Autorità [Commissione, Consiglio dei Ministri e Parlamento Europeo] / applicazione della Vigilanza (EBA / BCE) / politica monetaria. Altra categoria particolare: titoli rinvenienti dal processo di cartolarizzazione e (in particolare) di auto cartolarizzazione. Perché si fa la cartolarizzazione in banca: motivi noti in letteratura vs/ motivi contingenti che sono frutto di aberrazioni normative di singoli contesti che portano a comportamenti incoerenti con il modello di riferimento generale. Nel caso specifico nostro, una degenerazione rilevante in Italia, l’uso prevalente era sicuro una degenerazione: si usava un modello di successo all’estero per uno scopo completamente diverso. Lo scopo era di poter ripulire il bilancio dai crediti. Le banche italiane, a differenza delle estere, quando un credito andava male avevano una tempistica di gestione in Bilancio di quella posizione creditizia lunghissima (normalmente più lunga di 10 anni, perché il fisco italiano consentiva di fare un accantonamento a fini fiscali solo di un %, stabilita da tabelle del Ministero, del monte crediti in essere. Tutto l’eventuale accantonamento superiore non era deducibile se non rateizzando in molti anni. Per cui per la banca andare a fare una cartolarizzazione significava eliminare da bilancio la posizione con un prezzo certo e giuridicamente inopponibile dal fisco (in quanto era un prezzo di compravendita). Le banche serie le valutavano ai fini

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civilistici, ma avevano una enorme somma di crediti fiscali per tanti anni, con un grandissimo problema nel momento in cui vado a fare un bilancio in rosso. Perché questi crediti fiscali, relativi a tasse che recupererò in futuro, dal punto di vista di bilancio le posso iscrivere solo se ho la certezza della continuità aziendale. Se ho tanti anni in perdita, non potrei nemmeno iscriverli perché svanisce la certezza della continuità aziendale. Con gli IAS si è iniziato a discutere di come iscriverli a bilancio e se posso iscriverli o meno. Attraverso la cartolarizzazione (cessione?) si eliminavano le posizioni problematiche. Perché c’è qualcuno disposto ad acquistare la posizione? 1) La paga talmente poco che alla fine ci guadagna dal recupero; 2) Perché magari fa il bilancio fuori dall’Italia e li deduce immediatamente, nell’esercizio in cui accerta la svalutazione del credito. 3) Li pagava pochissimo, ma poi alla fine la banca li ripagava. Si faceva un contratto di cessione del credito e in parallelo un contratto di consulenza (per la valutazione del credito) alla stessa società con importo superiore al ricavo di cessione (e il servizio era deducibile). Questo caso avveniva solo nei casi più disastrati. Pulendo il bilancio allineo la posizione civilistica a quella fiscale, risparmiando imposte. Con la cartolarizzazione si smette di cedere il credito. Ai fini di bilancio è fondamentale distinguere le cartolarizzazioni nelle quali il cedente mantiene, almeno in parte, il rischio da quelle in cui la banca mantiene solo il servizio di incasso dei crediti ceduti. Non ci sono grandi novità, salvo che quel prodotto, titolo emesso dal Veicolo, è un prodotto che il proprietario Veicolo si tiene (come faceva quando comprava i crediti) o è un prodotto che si usa per fare “pacchetti regalo” che potrebbero in teoria potrebbero essere venduti solo ai curatori, ma che invece sono stati venduti anche a soggetti non idonei. Qual è l’approccio alla cartolarizzazione dei paesi dove è nata? (Logica corretta) è una logica prevalentemente legata al prodotto mutuo (nasce sui mutui e lì si perfeziona) e serve a migliorare la provvista. Banca: emette obbligazioni per 100 ed emette mutui per 100. Una volta che la banca ha fatto questo, se è gestita bene è immaginabile che abbi uno spread tra le due operazioni (altrimenti perderebbero). Ovviamente ha dei rischi (di credito, di trasformazione delle scadenze, di illiquidità se vanno a rimborso prima delle passività). Cosa vuol dire cartolarizzare: cedo i miei mutui, in astratto anche tutti, a una società Veicolo. Es Cedo 80. La cosa migliore che si può fare è: nella cessione trasferire con una valorizzazione leggermente più bassa di quella che ho. (trasferisco il flusso di cassa dei miei mutui a un tasso per cui quello che compra non riceve tutto quello che si guadagna, di modo che quello che acquista riesce a finanziare l’acquisto e guadagnare qualcosa ma io non traferisco tutto il mio guadagno. In questo modo ingesso lo spread a CE, fino a scadenza, di quei mutui: prezzo ricevuto dal Veicolo – Interessi incassati – interessi della raccolta. A fronte di 80 ceduti, io ottengo una somma. Io a quel punto ho 80 che mi rientrano. A seconda della forma gli 80 li iscrivo come debito o rischio. In ogni caso ho un flusso in entrata nel conto finanziario. A seconda che mantengo rischio o no, rettifico o meno l’importo del mutuo. Con l’incasso posso fare nuovi mutui, senza emettere nuove obbligazioni. Se su questi 80 di nuovi mutui riesco a ingessare di nuovo lo spread, ri avrò a CE un secondo spread. E posso operare in questo modo finché sono capace di fare cartolarizzazione. Serve a migliorare la provvista di fondi: faccio maggiori volumi a parità di raccolta. Quando le condizioni di mercato non sono poi così favorevoli. Raccolgo nei momenti migliori, emettendo obbligazioni, e poi opero sui volumi ingessando lo spread quando mi conviene. Il motivo essenziale è per dare un’alternativa di provvista di fondi a chi concede mutui, che riesce a fare più mutui anche se non riesce a vendere più obbligazioni perché non è conveniente; oppure fa un mix. L’operazione ha un effetto leva, ma è importante quando riesco a ingessare lo spread. Se non ho le condizioni non conviene farlo Con il sopraggiungere di questo approccio anche le banche italiane iniziano a fare cartolarizzazioni. Iniziano a coesistere cartolarizzazioni a fini di pulizia di bilancio e a fini fiscali e anche operazioni per fare provvista. Quando sopraggiunge la crisi, le banche cominciano a buttare una marea di titoli di stato in BCE. Cominciano poi a studiare un’altra innovazione, che prima non aveva senso. Dare una terza funzione alla cartolarizzazione. Si cedono i mutui, e poi si estende la logica ad altri tipi di attivi, ma il Veicolo rivende alla banca il pacchetto cartolarizzato (auto cartolarizzazione). L’effetto che si ottiene è che: i mutui si riducono, ottengo titoli dal Veicolo da poter dare alla BCE per ottenere liquidità per continuare l’operatività, o fare altre cose. Passare da mutui a crediti qualsiasi, le banche hanno fatto grandissime cartolarizzazioni per ottenere il finanziamento BCE, trasformando grandi classi di crediti in titoli stanziabili. Cosa tecnica: di solito la società Veicolo non emette un tipo ti titolo, emette uno o due tipi: Senior (più sicuro), Junior (meno sicuri), Mezzanine (Via di mezzo). Le perdite colpiscono in sequenza: Junior, Mezzanine, Senior. Non è detto che debba essere completamente estinto il Junior per colpire il Senior. (I tipi di titoli sono diretti per essere venduti a diverse categorie di investitori). Se vado a vendere spazzatura, posso avere due situazioni: o mantengo una certa alea del rendimento del portafoglio (fino ad un certo livello di perdite se le becca il Veicolo e oltre le sopporto io, e a bilancio devo evidenziare i rischi) oppure io vendo il portafoglio di crediti e poi mi compro un po’ di titoli emessi dal Veicolo, per evitare di inserire la clausola di garanzia del credito, e sono sicuro che mi daranno i peggiori titoli (tranche Junior) Come valuto i crediti in cartolarizzazione? Non è un tema facilmente risolvibile. Dipende dalla qualità del portafoglio ceduto e altri fattori.

01_03_2017 Bilanci degli altri intermediari finanziari. Chi sono? Sono quelli dell’art 106 TUB (post riforma) e sostanzialmente sono quelli dell’Ex art 107 TUB. Si tratta di intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Ci sono tanti soggetti con tante caratteristiche diverse, e comportano schemi di bilancio diversi. I criteri sono gli stessi della banca, ma gli schemi sono diversi in quanto cercano di rappresentare in modo abbastanza evidente le attività caratteristiche di questi intermediari.

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Poi ci sono degli altri intermediari finanziari, cosiddetti un tempo “non vigilati” all’articolo 106, e ora vengono chiamati intermediari finanziari minori e in linea di principio (pur dovendo iscriversi come intermediari nei diversi comparti) non sono vigilati dalla Banca d’Italia. Hanno delle regole di vigilanza ex ante, ma non hanno l’Autorità di Vigilanza primaria; in qualche caso hanno un’Autorità di Vigilanza minore (es Confidi minori hanno una loro autorità che è a sua volta vigilata dalla Banca d’Italia; la Banca d’Italia vigila su quelli maggiori. Salvo eccezioni: i vigilati dalla banca d’Italia sono obbligati ai bilanci IAS, quelli minori non sono obbligati (fanno riferimento al vecchio bilancio CEE) Istruzioni per la redazione del Bilancio e dei rendiconti degli intermediari finanziari, degli istituti di pagamento, degli istituti di moneta elettronica, delle SGR e delle SIM. Schema generale per gli intermediari finanziari, SGR e SIM. Struttura documento: 1 Capitolo: “Principi Generali” del bilancio e vale per tutti (come sono gli schemi e il riferimento ai prncipi internazionali) 2 Capitolo: “Il bilancio dell’impresa” individuale e i contenuti (SP, CE, Prospetto redditività complessiva/variazioni PN/rendiconto fin/rendiconto sulla gest 3 Cap: “Il bilancio consolidato” [12:53] 4 Cap: “I documenti contabili delle succursali di intermediari di altri Paesi” (infra ed extra comunit con regole diverse) Serie di allegati. A/B/C/D A- Schemi di bilancio e di nota integrativa degli intermediari finanziari B- Schemi di bilancio e di nota integrativa delle SGR C- Schemi di bilancio e di nota integrativa delle SIM D- Rendiconto del patrimonio destinato degli IMEL e degli Istituti di pagamento ibridi Lo schema è stato adattato di modo tale di rappresentare le specificità A - Schemi di bilancio e di nota integrativa degli intermediari finanziari - Bilancio intermediari generici.

Intermediari finanziari generici? Es: società di leasing/factoring/credito al consumo/prestiti personali ATTIVO: nessuna voce nuova rispetto a quella della banca; PASSIVO: Copertura = Specifica vs Generica: Singolo tipo di strumento vs Gruppo di strumenti omogenei; Facile da trovare vs/ Difficile da trovare; 110 – b Altri fondi: vi trovo anche le rettifiche di valore dei crediti di firma, che non essendo iscritti nell’attivo (solo in Nota integrativa come Rischi) non possono avere rettifica diretta. Cosa trovo di diverso? Non trovo Debiti da raccolta attraverso depositi (posso averne solo attraverso obbligazioni)

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Interessi attivi: molte società ma non tutte erogano crediti; Gli interessi passivi sono il “costo della provvista” ma escludono il costo dei depositi. Una volta la vigilanza sulle banche era molto pesante; La vigilanza sugli intermediari finanziari non bancari non esisteva praticamente. Con l’andare del tempo la vigilanza sulle banche è diventata sempre più pesante, mentre quella sugli intermediari non bancari è stata scissa: vigilati e non vigilati. Poi anche sui vigilati è piovuta addosso una certa quantità di adempimenti e regole gestionali. Per cui sul mercato la distanza tra l’essere intermediario vigilato e banca vigilata si è ristretta. Questo fenomeno non è stato neutrale, perché ad un certo punto gli intermediari non bancari si sono posti il problema di valutare se diventare banche, in quanto i vantaggi in termini di minore vigilanza non erano compensati dalle minori attività eseguibili. Quindi molte società finanziarie sono diventate banche specializzate in particolari settori del credito. Margine di intermediazione: risultato più importante per l’intermediario finanziario. C’è però sempre da osservare che all’interno della categoria ci sono situazioni molto eterogenee, es i Confidi: hanno sì degli interessi attivi, m a in realtà non fa prestiti per cassa ma per firma e quindi la voce tipica di ricavo dei Confidi sono le Commissioni Attive (richieste a fronte del rilascio del credito di Firma); una società di Leasing avrà gli interessi Attivi come voce predominante. Il risultato della gestione operativa non è comparabile con il risultato della gestione caratteristica delle imprese industriali. Questo perché nelle imprese industriali abbiamo, schematicamente: Ricavi di vendita – Costi di produzione = Ris Operat – OF= Risultato Ante Imposte – Imposte = Risultato netto. La gestione caratteristica riguarda ricavi di vendita e costi di produzione. Risultato Operativo è utile per controllare l’efficienza della gestione caratteristica: ROI= RO / Tot Impieghi. Successivamente si guarda alla gestione finanziaria. In questo prospetto, e anche in quello delle banche, gli Oneri Finanziari non possono essere esclusi dalla gestione caratteristica, in quanto derivanti dall’attività di intermediazione che è la gestione caratteristica stessa. Per cui il risultato della gestione caratteristica è il margine di intermediazione (al lordo dei costi non finanziari) e il risultato della gestione operativa (al netto dei costi non finanziari) Quindi il risultato della gestione caratteristica di un’impresa industriale e il risultato della gestione operativa dell’intermediario finanziario sono due cose non omogenee: il primo non comprende il costo della provvista, quello delle seconde sì. Per cui per la Banca non si può mai parlare di ROI, perché non si può costruire (occorre fare tutte altre considerazioni). Gli altri prospetti Prospetto della redditività complessiva degli intermediari: da conto della formazione del risultato in termini economici. Rappresenta la redditività complessiva partendo dal risultato/scomponendo le determinanti. Mette in evidenza alcuni profili comparativi tra voci.

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Prospetti variazione del PN

È fondamentale per gli intermediari finanziari. È importante perché ricostruisce le variazioni del PN, elemento chiave perché architrave della Vigilanza. Anche se qui si parla di Patrimonio contabile. A seguito degli obblighi delle recenti disposizioni di Basilea gli intermediari finanziari, banche in particolare, devono pubblicare nell’ultima parte del bilancio delle informazioni relative ai dati del Patrimonio di Vigilanza e della Solvibilità, come si collocano. Una volta era segreto, conosciuto solo dalla banca e dall’Autorità di Vigilanza. Il patrimonio civilistico è un elemento della Solidità. L’ulteriore aggiunta sulla base di Basilea di pubblicazione, dà un’ulteriore informativa: una volta si immaginava che nessun soggetto che entra in contatto con la banca si ponesse più di tanto il problema della solvibilità della banca, bensì una fiducia incondizionata. Con il passare del tempo si sono adottati degli strumenti (Fondo di Garanzia dei depositi sotto i 100k). Con l’unione bancaria è cambiata la filosofia del rapporto banca e cliente, Rendiconto Finanziario (Diretto/Indiretto) Conciliazione Nota Integrativa A) Politiche contabili – indica se hanno seguito completamente i principi contabili o se hanno operato qualche deroga o politica particolare. Qui è contenuto obbligatorio. In linea di principio il contenuto non può essere modificato. Ma se c’è un problema di significatività posso andare a modificare (Espandere / Accorpare) a. Sezione 1°: dichiarazione di conformità ai principi contabili internazionali. Se qualcuno dichiara di aderire, ma poi non lo fa può essere denunciato per falso in bilancio b. Sezione 2°: principi generali di redazione di bilancio c. Sezione 3°: eventi successivi alla data di bilancio (set di informazioni al bilancio). Tra il 31/12 e la data nella quale viene approvato il bilancio. Ovviamente il bilancio non ne tiene conto, ma c’è l’obbligo di tenerne conto in Nota d. Sezione 4°: altre informazioni. Sezione molto libera nella redazione.

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Qui possono essere indicate eventuali informazioni riguardo le partecipazioni, intrecci societari, influenze rilevanti. Informazioni che non vanno indicate nel bilancio consolidato, non va fatto nei bilanci individuali che fa parte del bilancio di gruppo (in quanto fatte dalla capogruppo). Terzo elemento importante è l’informativa sui trasferimenti tra portafogli di attività finanziarie, è fondamentale per banche, intermediari finanziari e ancora di più alle assicurazioni. Si vuole dare trasparenza alle riappostazioni contabili: bisogna dare evidenza degli spostamenti tra portafogli, per vedere se dietro i risultati di bilancio ci sono manovre o meno. Quarto punto riguarda l’informativa sul fair va lue: quali sono i criteri attraverso si giunge alla valutazione del fair value B) Informazioni sullo Stato Patrimoniale – dettaglio delle voci: per ciascuna vanno indicati tassativamente i criteri di iscrizione, classificazione, valutazione, cancellazione e rilevazione delle componenti reddituali. Elenco obbligatorio, se non indicate potrebbe essere un elemento di contestazione Civilistica. C) Informazioni sul Conto Economico D) Altre informazioni Quello che è importante per la banca è vedere le diverse profilature del rischio, le diverse categorie di crediti (forma tecnica/ area regionale/ classe dimensionale). IFRS 7 “Financial Instruments: Disclosures” – Impatto a breve se succede qualcosa. Ha un ruolo non importante tutto sommato, perché a livello di Vigilanza ci sono gli stress test che danno una valutazione migliore. E’ da capire se gli stress test sono pubblici o non sono pubblici. Nei primi esercizi gli stress test di Vigilanza sono stati resi pubblici con nome della banca. In campo assicurativo hanno pubblicato Operazioni fuori bilancio. Problema: non compaiono nello SP. Nei bilanci rep CEE erano chiamate “operazioni sotto la linea”, in quanto collocate sotto la fine dello SP (Impegni e rischi). Ora sono messe nella Nota integrativa. Le operazioni fuori bilancio sono importanti negli intermediari finanziari, perché negoziano nel processo di intermediazione dei contratti dove assumono/ricevono impegni a fare/dare e questi comportano impegni simili a quelli delle voci dell’attivo. (es. Fidejussione: impegno a pagare). Nelle operazioni fuori bilancio noi dobbiamo distinguere le garanzie finanziarie rilasciate/ricevute e tutti quei derivati finanziari in cui non c’è scambio di capitale (quelli in cui i due flussi di cassa calcolati alla stipula sono equivalenti, una delle due parti non devono compensare, es lo Pair Swap) Allegato B – SGR Stato Patrimoniale

Distinzione alla Voce 60: importante perché nell’SGR c’è la gestione dei fondi. Il bilancio dell’SGR non comprende gli asset dei fondi, in quanto essi hanno un loro bilancio, fatto con i criteri dei fondi. Le connessioni tra SGR e fondi sono: scambio di servizi e pagamento delle commissioni. Lo schema del Passivo è abbastanza omogeneo, leggermente più semplificato ma nulla di diverso. Quello che cambia è il CE: l’SGR non ha come attività caratteristica quella di incassare/pagare interessi perché non fa provvista/impiego di fondi. Intermedia e fa servizi su titoli, gestisce in monte e gestisce individualmente (consulenza) [Le SIM fanno anche consulenza separata dall’attività di intermediazione]. Come voce tipica avremo le commissioni attive/passive e un saldo parziale.

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Nello stato delle SGR, se esse gestiscono particolari categorie di fondi (speculativi o fondi chiusi con prevalenza di asset non quotati), hanno l’obbligo di assumere una compartecipazione al rischio: se vendono quote di un fondo speculativo devono comprarne anche loro. Nello stato patrimoniale negli investimenti, se vendono quote di quel tipo di fondi, si trovano quote degli stessi fondi che gestiscono come partecipazione obbligatoria. È una forma di garanzia per evitare che assumano troppi rischi a danno degli investitori.

Bilancio delle SIM

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Lo stato patrimoniale delle SIM è sostanzialmente quello standard. La sim fa: negoziazione o gestione (individuali) e consulenza. Per fare consulenza non servono investimenti finanziari, per fare gestione di patrimoni gli investimenti sono dei clienti, per fare negoziazione servono in astratto due cose: magazzino di soldi e magazzino di titoli (per comprare e vendere ai clienti) a meno che la SIM va in contropartita ai clienti contestualmente al mercato. La SIM di negoziazione ha il suo magazzino quando va in contropartita con i clienti perché se invece va in contropartita anche al mercato si configura come un Broker, prende una commissione per girare sul mercato le commissioni. Se invece va in contropartita con i suoi magazzini viene remunerata con commissioni + spread denaro/lettera (Se sa operare). La bontà della SIM è quella di avere una rotazione molto veloce di modo di avere i prezzi del magazzino sempre allineati a quelli di mercato (rotazione veloce * margine bassissimo); se invece ha una rotazione molto lenta non è una SIM di negoziazione, bensì una banca di investimento (rotazione lenta * margine altissimo). Le voci fondamentali, che sono sempre le stesse, sono le voci che riguardano i titoli e in particolare le attività finanziarie detenute per la negoziazione. Ovviamente ci possono essere anche passività finanziarie detenute per la negoziazione.

Nelle SIM si ha tutto insieme e si fa Margine di intermediazione. E le voci sono un po’ diverse: la voce più importante è la Voce 10, 20, 30, 40.

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06_03_2017 Vigilanza Perché il settore finanziario/bancario/assicurativo è sottoposto a vigilanza? Per gli stessi motivi per cui è posto a norme speciali e a regolamentazione. Le argomentazioni teoriche alla base di questo regime speciale rispetto a quello comune per le imprese (imposte a vigilanza generica, non c’è un’Authority speciale, ci sono solo Authority speciali che incidentalmente le vigilano). Nel settore finanziario normativa/regolamentazione/vigilanza sono molto pregnanti e tendono a normare e sottoporre a Vigilanza praticamente tutto. Questo avviene, principalmente, sulla base di due idee: Esistono degli effetti a catena nel caso di dissesto di un intermediario, effetti a catena (cosiddette “esternalità”) che potrebbero a causa di un piccolo evento, determinare una sorta di effetto sistemico. Cosa che nel settore non finanziario di solito non c’è (anche se salta la più grande aziende non saltano tutte le aziende). Fattore di esternalità per diversi motivi: il motivo più evidente è il comportamento dei clienti: se una banca non restituisce i depositi, “si crea la coda” e i clienti di altre banche possono perdere fiducia nei loro intermediari e andare tutti in massa a ritirare i loro depositi mettendo in situazione di illiquidità della banca (la massa scritturale è in misura molto più enorme della massa di moneta legale). L’idea è che si crea il panico, la corsa agli sportelli, e non si distingue una banca buona e non. I clienti non sanno distinguere banche buone e non. Il modello logico era: c’è un ordinamento speciale, un corpus di regolamentazione, regole di vigilanza, una o più autorità per cui il cliente tutto sommato non deve preoccuparsi del fatto che la banca di far fronte ai suoi impegni nei suoi confronti, perché questo meccanismo complesso e in ultima istanza la presenza dell’Autorità fa sì che se ne debba occupare l’Autorità con un set di regole/norme che rendono efficace l’intervento dell’Autorità. Si arriva a far intuire al cliente che se una banca è aperta allora funziona bene. Si crea un clima di fiducia diffusa e vi siano meno elementi possibile che creano sfiducia. L’idea pervasiva: si crea un meccanismo per garantire clima di fiducia e si evidenzino meno elementi possibili di sfiducia. L’unico a porsi il problema dell’operatività della banca deve essere l’Autorità, che deve preoccuparsi di togliere dal mercato le banche inefficienti (secondo la logica nel modo meno doloroso e visibile possibile per evitare di rovinare il clima di fiducia). Ed era lo scenario tradizionale, che valeva per banche/intermediari e assicurazioni. Con una diversa intensità nello spazio e nel tempo di presa (più o meno forte) di questo sistema. L’evoluzione nel tempo: la teoria della vigilanza mondiale e l’esigenza di armonizzazione europea hanno messo continuamente in discussione il modo in cui si fanno norma speciale/regolamentazione/vigilanza sugli intermediari. Il primo intervento di regolamentazione europea, partorito con grandissima difficoltà, (Prima Direttiva Banche) ha rappresentato un tentativo, molto difficile, di definizione del perimetro, perché nei vari paesi dell’Unione Europea il concetto di banca era un concetto diverso. Il primo intervento di razionalizzazione europea, che aveva in parte lo scopo di creare un mercato unico (mercato dove vengano condivise le regole, regolamentazioni e possibilità di lavoro e la vigilanza) doveva partire da ordinamenti e filosofie di vigilanza, tradizioni, abitudini diverse per cercare di realizzare delle condizioni uguali per tutti. E questo voleva dire che ciascuno doveva in qualche modo di cambiare quello che faceva prima. Nessuno era disposto a buttare via tutto e accettare supinamente le regole degli altri, per cui si creava una situazione di necessità di addivenire a dei compromessi per renderli digeribili a tutti. Questo primo livello di direttive aveva come scopo principale di definire un perimetro, aveva come oggetto: chi è la banca, chi è l’assicurazione? In ogni paese c’erano concetti diversi. L’Italia, per esempio, partiva con una storia abbastanza comune a Fr e Germania, una storia significativamente diversa da UK e Paesi Anglosassoni ispirati all’UK. Ma, a seguito della grande crisi bancaria del 29, lo Stato era dovuto intervenire per salvare le più grandi banche private (Anche pubbliche) erano state salvate da una situazione in cui si erano di fatto riempite di titoli azionari di tutte le più grandi aziende italiane andando a sostenere la fase di riconversione post primo conflitto mondiale e si sono ritrovate la proprietà. Lo stato ha creato l’IRI che si è preso il controllo di banche e le partecipazioni nelle imprese. E a chiusura del cerchio, nel 1936 abbiamo la legge bancaria. Legge bancaria con la quale, rispetto alla situazione precedente, si introducono delle regole che creano nel nostro paese una forte discontinuità. Discontinuità che è atta a impedire che si riverifichi in futuro il dissesto del sistema. La regola

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impedisce alle banche di avere situazioni incestuose con le imprese e quindi, salvo deroga, le banche non possono lavorare sul capitale di rischio ma solo sul capitale di debito (possono finanziarie ma non posso possedere azioni). Secondo pilastro, si prevede che ci sia anche una specializzazione tra banche a breve e medio lungo, andando a creare la figura di banca di deposito (azienda di credito) e l’istituto di credito speciale (opero a medio lungo su attivo/passivo e attività funzionale: credito speciale). Il rapporto banca impresa blocca rapporto incestuoso in tutti e due i sensi: neanche le imprese possono controllare le banche. Per molti anni nel nostro paese è stato un grande problema: l’Italia ha avuto uno sviluppo ritardato e quindi un problema del nostro sistema economico è stato quello dell’arretratezza dei capitali. Vietare a chi ha i capitali di entrare nelle banche, o porlo a condizioni di non fare attività di altro genere, ha creato un problema di sviluppo. Prima della legge bancaria c’erano grandi banche che avevano azioni nelle grandi imprese, ma anche grandi imprese che avevano azioni nelle grandi banche. Nel dopo guerra, nel secondo dopo guerra, c’erano anche grandi imprenditori privati/gruppi industriali privati e quindi era difficile immaginare che ci potesse essere un qualche imprenditore di banca o di assicurazione. Il soggetto economico di grande banca non c’era, non avevano i soldi per comprarla. Quei pochi che avevano i soldi dovevano decidere se tenere la loro attività industriale o venderla per comprare la banca. Mancava il soggetto economico e la gran parte delle banche era in mano allo Stato attraverso l’IRI, alcune come San Paolo di Torino, Monte Paschi, Banco Napoli, Banco Sicilia, BNL erano enti pubblici; le casse di risparmio erano tutti enti pubblici. Rimanevano fuori solo qualche banca locale, le banche popolari e le casse rurali (pre BCC). Confrontandoci con gli altri paesi europei nei quali il sistema bancario era principalmente privato. Dietro il sistema bancario privato degli altri Paesi c’erano dei soci privati che facevano i banchieri. Da noi venivano chiamati banchieri i manager delle banche, non c’era un proprietario. I grandi manager di banca italiani non erano proprietari, non avevano il controllo societario. In questo scenario adottare un modello di perimetro unico in Europa ha comportato degli stravolgimenti enormi. Cosa ha individuato la Prima Direttiva? Il perimetro di concetto di banca, ben diverso da quello italiano. Il perimetro europeo vede una banca de-specializzata (non banca universale): una banca che non ha vincoli alla tipologia temporale o di forma tecnica di raccolta/impiego. Viene a cadere la differenza tra Banca di Deposito ed Istituto di Credito Speciale: una banca può impiegare/raccogliere a breve/medio/lungo, fare operazioni di factoring/leasing. Per noi è stata una grande rivoluzione che ha fatto scomparire gran parte degli istituti di credito speciale. Tra i fatti virtuosi c’è Mediobanca, tra le meno virtuose Medio Credito del Friuli. Perché sono scomparsi? Perché prima vigente il concetto di specializzazione temporale, le banche di deposito non potevano operare a M/l. Ma un cliente di una banca di deposito aveva bisogno di credito anche a M/l, non compra una casa con un C/c. Allora succede che nel sistema bancario le banche di deposito avevano il rapporto con il cliente, raccoglievano i depositi e facevano impieghi a breve; gli istituti di credito speciale facevano gli impieghi a medio/lungo, ma non avevano rapporto stretto con il cliente, anche perché non avevano l’informazione “andamentale” del cliente. Quindi succedeva che la banca di deposito che aveva il cliente per le operazioni che non poteva fare le faceva fare all’ICS e con il tempo si stabilivano relazioni durevoli (rapporti privilegiati tra istituti) e in questo rapporto c’erano degli scambi significativi di operatività: la BD aveva controllo continuo e traghettava i clienti verso l’ICS, ma aiutava anche l’ICS a fare provvista tramite obbligazioni. Negli anni 60 il mercato del reddito fisso IT era tra il più importanti al mondo e gli strumenti più importanti erano le “Cartelle fondiarie” le Obbligazioni degli ICS, che vendevano titoli sul mercato. Mano a mano che la situazione economica IT è andata deteriorandosi e che lo Stato ha a mano a mano emesso sempre più titoli ha messo in crisi l’economicità dell’emissione ICS che ha portato a: emetterli all’estero, comportando un rischio di tasso e quasi obbligando a iniziare a fare anche finanziamenti in valuta; altra soluzione, anche grazie alle regole di vigilanza e regolamentazione, decidevano le Autorità come doveva investire la banca vincolando una parte degli investimenti delle banche in Obbligazioni ICS andando a creare il fenomeno della “doppia intermediazione”: la BD raccoglie i depositi, li impiega in obbligazioni ICS, e l’ICS fa mutui. Il vantaggio del doppio passaggio al tempo, visto che non esistevano le cartolarizzazioni, stava nella possibilità di creare liquidità vendendo le Obbligazioni (non esistevano le cartolarizzazioni). Mano a mano che le Obb ICS finivano nelle DB era come se fosse finita l’idea di specializzazione. Arriva il modello Europeo e c’è la de specializzazione. Quindi tutte possono fare raccolta e impieghi a breve e lungo. POSSONO, NON DEVONO. Il modello iniziale della banca europea è DESPECIALIZZATO: POTERE DI FARE, NON OBBLIGO. Dipende dalla strategia. Concretamente è successo che le BD si sono adottate delle capacità tecniche per fare M/L e si tenevano i clienti buoni, inviando i peggiori all’ICS. Quindi le banche isolate, non facenti parte di un gruppo, si sono ritrovate con una qualità del credito a mano a mano che peggiorava perché la banca di deposito non aveva interesse a mandare un cliente buono agli ICS. Allora o: l’ICS sono talmente forti che si comprano le BD o viaggiano alto come business, oppure vengono inglobate in un gruppo (Es. IMI – Gruppo Intesa). Questo è stato un processo di de specializzazione del sistema, non a passaggio a banca universale. Il passaggio a Banca Universale è avvenuto molto tempo dopo, ma non è avvenuto in Italia. La Banca Universale ha la caratteristica di fare operazioni anche sul capitale di rischio. La de specializzazione vista sopra opera sempre e solo sul capitale di credito (non compro azioni, non faccio operazioni sul capitale di rischio). La Banca Universale è una realtà che può operare sia su capitale di credito che di rischio. Poi ci sono le banche che fanno prevalentemente operazioni sul capitale di rischio (banca d’affari – ingegneria finanziaria, grande consulenza, M&A, collocamenti sul mercato, consulenza; Banca d’Investimenti – acquisizione di patrimonio e detenzione dello stesso). Oggi sul mercato Europeo è consentito di fare banca universale. Banche italiane che sono universali non ce ne sono per davvero. C’è un altro concetto che non va confuso con la Banca Universale: Haus Bank. Ha un significato completamente diverso: di solito è una banca universale, ma non viene chiamata così perché universale. Ma perché presuppone il modello di “banca di riferimento”, quindi accade che alcune imprese nella carta intestata mettono il nome e marchetto della banca. “Io sono cliente di Deutche Bank, loro mi sostengono e io li sosterrò tutta la vita”. I rapporti sono veramente stretti, la banca certifica la mia credibilità finanziaria e io mi impegno a operare solo con lei,

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si muove con altre banche solo dopo aver sentito la banca di riferimento. La Banca di Riferimento non è prevista in nessuna norma, è solo una filosofia operativa. Lato negativo: l’appoggio incondizionato di un’impresa può essere un pericolo quando essa inizia a collassare. Un’altra evoluzione del perimetro è l’evoluzione con i comparti mobiliare ed assicurativo. Con il passare del tempo con il passare delle regole comunitarie hanno attenuato molto in confine tra operatività bancaria e mobiliare. La banca hanno cominciato a porre in essere attività mobiliare a fianco di quella bancaria in modo legittimo, per cui la barriera tra l’attività bancaria (perimetro della banca) e l’attività mobiliare (perimetro degli intermediari mobiliari diversi dalla banca) si è affievolita fino quasi a scomparire; oggi come oggi sono poche le attività che la banca non può fare, come la gestione di fondi (destinato alle SGR). In questo modo abbiamo due conseguenze: con l’entrata nelle attività mobiliari deve sottostare alle regole mobiliari; nella Vigilanza sulla banca deve essere tenuto conto dell’effetto di queste attività. Nei confronti dell’attività assicurativa la questione è molto più complessa: quello che ha avuto un boom è lo sviluppo della banca-assurance di un rapporto di distribuzione (molto di più dei prodotti vita). Molto minori sono stati gli sviluppi di attività assicurativa a tutto tondo, in quanto in Europa l’impresa bancaria non può fare direttamente l’attività assicurativa. Non può emettere polizze. A livello di gruppo può essere proprietaria di un’assicurazione. A livello di gruppo può essere proprietaria di una SGR. [Livello Mondo] A livello mondiale ogni paese ha sue leggi, regolamenti, Autorità. Lo scenario mondiale è che per finanziare scambi, commercio internazionale, per espandersi ci sono tante banche che aprono in uno stato e poi iniziano ad operare in altri stati. Il problema: la banca che è di uno stato ha le sue regole. Ma quando esce dallo stato usa ancora quelle regole? Dal punto di vista di norme e regolamenti e autorità varrebbero quelle dello stato dove si apre. Problema, da sempre noto, di rendere compatibili leggi/regole/autorità/procedure diverse per quelli che frequentano più paesi/che vogliono accedere ai centri finanziari mondiali (NY/Londra/Tokyo/Singapore/Hong Kong/Bahrein). Allora una grande diffidenza da parte dei Paesi ospitanti di banche non del loro paese. Regole di Basilea: fatte presso la Banca dei Regolamenti internazionali. Nata dopo la prima guerra mondiale perché c’era difficoltà nel gestire pagamenti dalla Germania ai Paesi vincitori; in realtà faceva regolamenti tra Stati e Banche centrali per spostare fondi. Questa banca era sostanzialmente un campo neutro, non apparteneva a nessuno stato come influenze. Scoppiata un’importante crisi in una banca controllata da una banca europea in un altro paese = dissesto banca = panico, perché i Paesi hanno iniziato a vedere ancora peggio l’insediamento di altre banche, a chiedere requisiti più pesanti, a rendere meno facile entrare. Ma questo minava lo sviluppo dei centri internazionale e la circolazione internazionale del mercato dei capitali. E allora alcune banche centrali di alcuni paesi (USA, UK / Banche del G7) si sono trovati a Basilea e hanno fatto un accordo per stabilire che tutte le banche che voglio lavorare in più di un paese (almeno dei paesi partecipanti) devono rispettare delle regole comuni, altrimenti non vengono autorizzate ad operare fuori dal loro paese. Queste regole comuni non sono un trattato internazionale, non sono un accordo tra stati, chi li ha stipulati non sono un’Agenzia dell’ONU. Sono un accordo “tra gentiluomini” capi di banche centrali che avevano competenza diretta sull’Autorità di vigilanza del loro paese (in alcuni casi solo in parte) che tra di loro si sono messi d’accordo sui principi e si sono impegnati a fare in modo che il loro paese sposasse le regole. 1) Le regole di Basilea valgono solo per chi vuole operare fuori dal loro paese; 2) Visto che tutti i paesi, compresi URSS e dittature, voglio avere accesso delle banche ai centri finanziari al circuito internazionale. Allora le regole vengono rispettate da tutto il mondo, con conseguenza di un’efficacia massima degli accordi. 3) Questo non vale assolutamente per il settore assicurativo. Si rifà sempre a Basilea ma funziona in modo completamente diverso (è assembleare) (anche perché non c’è il prestatore di ultima istanza, elemento fondamentale. L’autorità di Vigilanza è un po’ spuntata) Il futuro di Basilea è un continuo aggiustamento. Il primo accordo ha creato il Cooke Ratio. L’evoluzione della regolamentazione sulle banche è un continuo provvedimento a crisi accadute. Crisi ed Evoluzione hanno un perfetto nesso causale, i miglioramenti sono un continuo rincorrere ai fallimenti precedenti. In un certo senso non è che nascono da un’analisi teorica, da fantasia di un legislatore, nascono da bisogni empirici: si verifica un problema, cambiamo le norme in modo evolutivo. Conclusione: Evoluzione italiana/Europea + Evoluzione a livello mondo In una visione d’insieme risulta: l’Unione Europea che deve armonizzare le regole, ma va avanti senza conseguire risultati (ognuno vuole le sue regole). Un primo colpo alle resistenze viene dato da una trovata: non si vuole armonizzare? Facciamo una regola semplice: su quello che non è armonizzato usa le regole che si ha in casa. Ma avendo armonizzato il perimetro, chi rispetta il perimetro può operare in tutto il mercato unico. Lasciando che ognuno si porti dietro le proprie regole nel perimetro unico si scardina il sistema: il paese con regole più pesanti vede le banche più penalizzate nell’uscire, i paesi che hanno le regole più leggere vedono le loro banche più avvantaggiate. Dopo una prima esperienza del Mutuo Riconoscimento (ogni paese europeo riconosce alle banche autorizzate in un altro stato europeo di poter operare nel proprio stato ma con le regole del paese autorizzante) dove:” visto che non riusciamo ad armonizzare, lasciamo che la concorrenza spiazzi le barriere” e non si è parlato di armonizzazione attraverso le regole comunitarie, bensì come rincorsa dei paesi con regole un po’ più stringenti nell’allentarle per non farsi scalzare dai Paesi con regole meno stringenti. Conclusione “MIX” Visto che non si riesce ad armonizzare e che Basilea ha dato le regole per il mondo, si prende le regole di Basilea e le si impone come obbligatorie in Europa non solo per le banche che vanno al di fuori, ma per tutte le banche. Il modo di armonizzare è stato abbandonato e si impone Basilea a tutte le banche anche le più piccole con sportelli solo a livello territoriale. Ma è una regola asimmetrica, perché negli altri paesi non vale per tutte le banche (vale solo per chi esce). Però ha servito a scardinare l’impossibilità di armonizzare.

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Regole omogenee per banche non omogenee ha portato a costi di vigilanza. Solo da poco è passato il principio di Proporzionalità: chiedo la vigilanza in base alle dimensioni dell’Istituto. Sono diventate regole per l’Unione Europea, non per l’Unione Bancaria. 07_03_2017 Strumenti della Vigilanza bancaria. Gli strumenti sono orientati all’ottenimento di diversi risultati, per ora abbiamo visto solo il risultato della tutela dei risparmiatori e quindi della tutela dell’integrità della banca per tutelare i risparmiatori. Se la banca non ha un requisito patrimoniale idoneo non è in grado di rimborsare i risparmiatori, perché le perdite se non possono essere assorbite dal patrimonio vengono assorbite dal passivo e quindi dai depositi. Ci sono poi degli obiettivi più generali, di ordinato funzionamento del sistema del credito che possono riguardare diversi profili. C’è un Profilo più economico, che riguarda la politica economica più in generale e l’interesse che il circuito di intermediazione funzioni e il credito arrivi dove necessita. È un profilo a confine tra Vigilanza e Politica Monetaria. L’altro profilo è più giuridico e riguarda tutti i profili di legalità dello svolgimento dell’attività bancaria, che sono oggetto di verifica della vigilanza e riguarda molti aspetti: un profilo della trasparenza nei rapporti con la clientela (trasparenza come elemento delle negoziazioni dei beni e servizi bancari). Sulla legalità ci sono un sacco di altre cose: antiriciclaggio (serve a cercare e reprimere attività variegate. È riconducibile alla criminalità organizzata, pulizia di denaro nero e repressione frodi in campo fiscale). Ci sono tutta una serie di norme di vigilanza non sulla solvibilità, ma sulla correttezza dei comportamenti della banca, esempio nei confronti degli affidati che riguarda ad esempio usura/concussione/estorsione; ci sono problemi di tipo governance (requisiti per chi svolge le funzioni di sindaco, manager); profilo riguardante i problemi nei conflitti di interesse nelle cariche (es direttore di una banca che sceglie il consiglio di amministrazione per “tenerli al guinzaglio” attraverso fidi o concessione di lavori; all’interno del management). La Vigilanza si è infilata in questi temi, regole di comportamento, dando standard, facendo verifiche arrivando addirittura a disciplinare i comportamenti. [Es: viene detto che il Presidente della Banca non è organo esecutivo, può dirigere i lavori del consiglio e ha una rappresentanza esterna, non può partecipare ai processi decisionali in modo monocratico e non può partecipare agli organi dei processi decisionali su temi operativi. Può partecipare ai processi decisionali solo su temi strategici. Non può stare nel Comitato esecutivo. Altro tema è avere un certo numero di amministratori indipendenti (non riconducibili ai soggetti che hanno grandi poteri sulla banca, grandi azionisti) che hanno l’esclusività su aspetti dell’operatività. Questi temi legati all’operatività bancaria sono importanti, in alcuni casi invasivi dell’operatività, ma non hanno un carattere di vigilanza amministrativa come aveva un tempo in Italia l’imporre alle banche cosa dovevano fare. La Vigilanza amministrativa nell’Italia degli anni 70 dava indicazioni dall’Autorità su come investire, di modo che il management non aveva possibilità di decidere. Il fatto che ci siano tanti temi non deve portare a dire che è amministrativa. È una vigilanza prudenziale non di tipo patrimoniale, è incentrata sulla correttezza dei comportamenti. Evoluzione di Basilea – Logiche e modifiche L’accordo di Basilea del 1988 è l’accordo che ha definito lo standard patrimoniale minimo necessario per poter operare al di fuori del Paese sede. Ed è immediatamente diventato lo standard mondiale. La logica dell’accordo di Basilea è molto semplice: si cerca di costruire una relazione tra il rischio che la banca sopporta e il buffer patrimoniale che ha a disposizione per fronteggiare questo rischio e si immagina che fintanto il rapporto resta sopra un certo livello la banca sia nella norma; mentre all’avvicinarsi e al superamento verso il basso la banca diventa problematica, oggetto di attenzioni da parte dell’Autorità per far ripristinare il livello soglia o prendere provvedimenti (Ridurre livelli di intermediazione e profilo di rischio; inibizione dell’attività della banca finalizzato alla chiusura o alla vendita). La versione dell’88 del coefficiente di Basilea è molto semplice. Ci sono state molte modifiche successive all’indice che lo hanno reso molto meno semplice, ma concettualmente il modello è sempre lo stesso. La sofisticazione è nei meccanismi computazionali, non nelle logiche. È stato ampliato il perimetro di rilevazione dei rischi, ad ogni passaggio si è tenuto conto di un rischio/aspetto in più. Ma la logica rimane sempre RISCHIO/BUFFER PATRIMONIALE. Questo approccio è l’approccio di vigilanza prudenziale relativo al requisito di solvibilità, se c’è abbastanza patrimonio per fronteggiare i rischi. Finché c’è sufficiente patrimonio per fronteggiare i rischi l’attivo risulta maggiore del passivo = sei solvibile. Una prima questione è la definizione del concetto di patrimonio. Quello iscritto a bilancio è il patrimonio netto civilistico fatto secondo le norme civilistiche. Ai fini di vigilanza fin dall’inizio, dal Cooke Ratio, forse anche perché non c’erano CEE e IAS si è ritenuto importante non considerare come buffer patrimoniale il patrimonio netto civilistico in quanto sarebbe stato diverso da paese a paese, ma si è andato a costruire un altro concetto di patrimonio, che per semplicità si usa chiamare patrimonio ai fini di vigilanza. Questo patrimonio è una somma di componenti, fin dalla sua origine. Alla nascita la struttura prevedeva 3 componenti: + patrimonio di base (capitale sociale / riserve costituite con utili realizzati) + patrimonio supplementare (riserve non create con veri utili: riserve da rivalutazione; no utili a nuovo. L’elemento fondamentale è che composto da “elementi ibridi di patrimonializzazione”) -deduzioni). Patrimonio supplementare è composto dagli “elementi ibridi di patrimonializzazione”, in senso lato da due tipologie: - titoli subordinati (possono essere rimborsati solo dopo aver rimborsato tutti gli azionisti): vengono considerati a patrimonio supplementare perché la subordinazione del titolo consiste nel fatto che possono essere rimborsati solo dopo aver rimborsato tutti gli altri creditori e poco prima degli azionisti; l’Autorità di vigilanza può imporre anche la conversione di questi strumenti in azione e quindi hanno un rischio quasi patrimoniali;

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strumenti ibridi di patrimonializzazione in senso stretto: strumenti con caratteristiche a metà strada tra azione e obbligazione. Sono difficilmente emessi. La regola è che il patrimonio supplementare non può essere computato in misura superiore al patrimonio di base. Es. Banca A: Patrimonio Base 100 e Patrimonio supplementare 150 Banca B: PB 100 e PS 100. Quanto hanno di patrimonio di Vigilanza? A=B=200. Quindi ai fini di Vigilanza hanno un patrimonio di Vigilanza uguale. Immaginiamo che per accadimenti l’Autorità di Vigilanza imponga alle due banche di avere un PdV pari a 300. La Banca A per passare a 300 implementa 50 di PB; la Banca B per passare a 300 deve implementare 100 di Patrimonio, al massimo 50PB e 50PS Avere una certa quantità di Patrimonio Supplementare eccedente può essere una cosa positiva in caso di necessità. Con l’evoluzione delle regole, non solo si calcola il patrimonio segmentandolo ma anche l’algoritmo di computo per confrontare rischi e patrimonio viene segmentato: per cui non ho un solo indicatore, bensì più di uno. Ho un indicatore calcolato solo sul patrimonio di base (Core capital) e poi un indicatore su tutto il patrimonio di Vigilanza, a fronte degli stessi rischi. Problema delle deduzioni (componente negativa del patrimonio di vigilanza): perché ci sono le deduzioni? Nascono dall’esigenza di 1) Andare a considerare solo il vero patrimonio: problema nell’88 quando i bilanci lavoravano a valori lordi. Nell’attivo trovavamo i crediti lordi e non svalutati delle perdite presunte. C’era l’esigenza di andare a calcolare il “Dubbio esito” e di andare a dedurre dal patrimonio contabile queste perdite presunte, in quanto patrimonio non disponibile. Quando si è passati a bilanci che iscrivono i crediti valutandoli al valore netto non ci si è più posti il problema se non per poste residuali. 2) Evitare che uno stesso patrimonio sia usato più volte. La regola che si è inventata in assenza di una vigilanza consolidata dice che dal mio patrimonio di vigilanza vado a dedurre le quote di partecipazione in altre banche (originariamente, poi esteso ad altri intemrediari e assicurazioni). Es: immaginiamo di avere due banche, A e B. Immaginiamo che A abbia 1500 di crediti 300 di AF / 100 di Patrimonio e 1700 di Raccolta. Questa banca ha quindi 100 di PdV. Immaginiamo che questo 100 rapportato ai rischi insiti dell’attivo sia sufficiente. Se questa banca dei 300 di AF detiene 200 di titoli qualsiasi e 100 di azioni della banca B, la quale ha 1500 di raccolta e 1400 Crediti e 200 AF succede che A sta usando sempre gli stessi 100 di Patrimonio. E quindi, concettualmente se facciamo il consolidato, viene fuori che i Crediti sono 2900 AF 400 Raccolta 3200 e Patrimonio solo 100 e probabilmente questo 100 di Patrimonio rispetto l’attivo non è più congruo. Allora la regola che si è creata, in assenza di una Vigilanza consolidata è una regola che vuole evitare che si usi più volte il patrimonio come una catena di san antonio. Quindi: dal PdV devo andare a dedurre le quote di partecipazione e di controllo in altre banche (originariamente) e negli altri intermediari e assicurazioni. Così se facciamo il calcolo tra B e A se A ha investito in un’altra banca, il suo PdV è uguale a 0. Ricapitolando, dal PdV si va a dedurre: valore degli investimenti in altre banche/intermediari finanziari/assicurazioni quando si tratta di partecipazioni di controllo o meno; se ho azioni per negoziazione non li vado a dedurre. Con l’andare degli anni si è adottato un sistema di vigilanza equivalente rispetto alla forma organizzativa. Che io sia un soggetto che fa tutto o un soggetto economico articolato su più soggetti giuridici, un gruppo, la Vigilanza dovrebbe essere neutrale. Alla fine si è arrivati poi alla consolidata. Che una banca abbia X di raccolta e Y di impieghi come singola o come gruppo è indifferente ai fini di Vigilanza. Alla singola ho Vigilanza singola e il gruppo ho Vigilanza consolidata; nella consolidata non ho piena esclusione della Vigilanza per singolo (all’interno del gruppo ogni partecipante è vigilato singolarmente, però quella che conta è la Vigilanza consolidata. Quello che cambia a livello individuale è che per i singoli all’interno del gruppo ci sono dei margini prefissati di flessibilità nell’allocazione del PdV tra i soggetti). Come si misura il rischio? Nelle banche il rischio, in via intuitiva, deriva dai crediti e attività finanziaria, da possibili perdite di valore degli cespiti dell’attivo. Mentre non promana dal passivo in quanto esso in teoria non può produrre perdite perché non si rimborsa più del nominale, questo in prima approssimazione. E la costruzione del Cooke ratio (‘88) parte dalla considerazione: il rischio è insito nell’attivo. Per misurare il rischio si va a prendere tutte le possibili voci dell’attivo, le dettaglia in tipologie omogenee, dopodiché sulla base di una serie di ipotesi/stime ad ogni categoria omogenea viene assegnato un coefficiente. Questi coefficienti, che assumono un valore tra 0 e 100%, sono dei pesi che vorrebbero rappresentare il rischio della singola voce; la metrica 0 -100 vuole evidenziare tutte le possibili situazioni, dove 0 è qualcosa di impossibile in quanto “priva di rischio” e 100% è la posta che ha la rischiosità massima. [Nella versione originaria c’era anche una posta 200% che poi è stata tolta e che riguardava le sofferenze, considerate rischiose il doppio del normale come una sorta di penalizzazione per chi ne aveva di più.] Passare da una somma delle voci dell’attivo, a una somma delle voci moltiplicate per il peso = attivo pesato per il rischio. Noi sappiamo con certezza che l’attivo pesato per il rischio è un valore minore dell’attivo patrimoniale (sarebbe uguale solo se avessimo pesi 100%]. Il vincolo di Basilea del Cooke ratio ci dice che una banca ha il Patrimonio di Vigilanza/Totale attivo = 12.5 (almeno) Patrimonio di Vigilanza/Totale attivo ponderato per il rischio = 8% (almeno) [deve essere comunque superiore onde evitare problemi eventuali] Nel modello di Basilea con l’implementazione data in italia, si va a calcolare periodicamente il rispetto della regola, con una qualche asincronia. L’osservazione di questa regola viene fatta di norma 4 volte l’anno alla fine di ogni trimestre. Ma confronto grandezze di date diverse. Facendo riferimento al dato al 31/12, noi calcoliamo il rapporto tra il PdV del 31/12 e l’attivo ponderato per il rischio al 31/12, e bisogna essere sopra all’8%. Non lo facciamo al 31/12, ma lo facciamo con riferimento ai dati al 31/12, il termine per la segnalazione del patrimonio di vigilanza sarà in un momento successivo al 31/12.

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Poi andiamo al 31/03: calcoliamo il Totale ponderato per il rischio al 31/12, ma non avendo il bilancio trimestrale usiamo il PdV del 31/12. Asincronia: uso dati di periodi diversi, il PdV lo trovo nella matrice dei conti delle Segnalazioni di Vigilanza, il PdV invece non lo abbiamo dove non c’è il trimestrale. 30/06: abbiamo il bilancio semestrale (obbligatorio), per cui abbiamo il PdV al 30/06/Totale dell’attivo ponderato per il rischio al 30/06; i valori sono allineati come periodo. 30/09: PdV al 30/06 / Totale ponderato per il Rischio al 30/09; di nuovo asimmetrici. Le vecchie regole di Vigilanza dicevano che se al 31/03 o 30/09 sono successi fatti rilevanti (che possono mettere in dubbi l’esistenza del patrimonio della data precedente) devono essere segnalati. Fatti rilevanti che riguardano il patrimonio, perché se sono successi fatti rilevanti che possono mettere in dubbio che ci sia ancora il patrimonio della data precedente bisogna comunicarli per cui ne tiene conto l’Autorità. I due veri dati sono al 31/12 e 30/06 in quanto allineati; al 31/03 e 30/09 prendiamo dati non omogenei, con la salvaguardia che se dovessero essere accaduti fatti straordinari questi devono essere segnalati. Il fatto che il numeratore si muove sempre e il denominatore non si muove sempre può comportare grossi problemi, perché se io sono prossimo all’8% basta un aumento dei volumi a parità di rischio si sfora l’8%. Come posso muovermi quando sono sulla soglia? Lavoro sul numeratore 1- Più semplice possibilità, ma non più facile da applicare: aumento patrimonio, richiedo capitale ai soci. Gli azionisti di solito non amano mettere soldi aggiuntivi. Un aumento di capire a parità di redditività annacqua i rendimenti per gli azionisti, se non in ottica di miglioramento della redditività. 2- Se risulta difficile l’aumento di capitale utilizzo strumenti ibridi, ad esempio un subordinato: perché non vado ad annacquare le quote degli azionisti attuali, perché il subordinato non vota in assemblea. Posso fare un appello al pubblico risparmio vendendo un prodotto che non ha diritto di voto. Lavoro sul denominatore: tengo fermo il PdV. 3- Modifico la composizione dell’attivo, senza agire sui volumi. Cambio il Mix: dismetto le attività che avevano un peso maggiore, aumentando nel contempo con il ricavo le attività con il peso più basso. Riduco quindi l’attivo pesato a parità di volume. Difficile a farsi: le attività meno rischiose sono anche quelle meno redditizie, quindi se cambio il mix vado sicuramente a ridurre la redditività della banca; molti degli attivi più rischiosi sono rappresentati dai crediti vs/clientela, voce più importante del bilancio delle banche. Il primo Basilea pesava tutti i crediti vs/clientela non garantiti da garanzia reali con un coefficiente pari a 100, mentre quelli garantiti 50, crediti vs banca 30, crediti vs/Stato/Settore pubblico/Banca Centrale 0 (abominio). Quindi se io vado a cedere gli attivi pesati 100/crediti vs/ clientela, primo devo riuscire a farli rientrare. Non è scontato. Secondo, so che in maniera un po’ rapida il rientro dei crediti verso la clientela è probabile che perderò quella clientela. In generale riduzioni brusche del credito tende a rovinare i rapporti di clientela, la fidelizzazione: una volta revocati i fidi molto difficilmente ci lavorerò nuovamente. Peggio: in realtà, al di là del coefficiente di Basilea, se io voglio ridurre il volume dei crediti alla clientela e voglio essere sicuro di farlo, a chi taglio i fidi? Ai clienti buoni o quelli cattivi? Se taglio ai cattivi è molto probabile che questi non siano capaci di pagarmi, facendo emergere nuove sofferenze (finchè non revoco i fidi magari posso anche credere che siano buoni i crediti); allora dovrei richiedere il rientro alla clientela buona, con il risultato che oltre a rovinare il rapporto di clientela peggioro la qualità del portafoglio. Se invece vado a ridurre l’attivo con un coefficiente più basso devo, per controbilanciare, muovere dei volumi molto più ampi. Es: potrei chiudere tutto l’interbancario e comprare titoli di Stato, passando da 30 a 0. Quindi questa operazione è molto complessa. Quello che si potrebbe fare è lavorare sui segmenti di clientela più elastici e quindi vado a “revocare” ai clienti più buoni facendo in modo che siano loro ad andarsene utilizzando la leva delle condizioni economiche, poiché sono sicuro che in un secondo momento rientrerà quando gli offrirò condizioni migliori. La segmentazione è un’operazione molto complessa, in pochi sanno farla. 4- Riduco il volume l’attivo. Questa ipotesi di solito non è molto gradita perché rimpicciolisce la banca. Però in certe condizioni di mercato può essere opportuno: bassa redditività delle attività finanziarie, alto costo della provvista = riduco l’attivo, rinuncio alla provvista più costosa = riduco i volumi e il rischio. Una delle cose più semplicistiche dell’accordo di Basilea è considerare qualcosa Free Risk: - crediti vs banche centrali (dei paesi OCSE) - Titoli di Stato (il titolo del paese ospitante è free risk): questo modo di ragionare è frutto di un accordo politico, perché nessuno stato ha accettato di considerare sé stesso più rischioso dell’altro. In astratto anche il Bond meno rischio è intrinsecamente rischioso. Lo spread è una misura di rischio maggiore. Il problema è diventato di estrema rilevanza quando si è fatta l’Unione bancaria. Si è fatta una Vigilanza unica, per cui anche il metro di misura dovrebbe essere unico: non è affermabile che nell’area euro, in cui vige l’Unione Bancaria, il Bund è rischioso come un BTP. Si è iniziato a discutere a riguardo il superamento di questo concetto. L’Unione bancaria è stata fatta per sganciare il rischio delle banche dal rischio dei singoli stati: il rischio del soggetto banca dal Debito sovrano, perché con la Crisi si è vista la connessione dei rischi. E quindi attraverso l’Unione bancaria è stato un tentativo per una moneta unica, che però alle spalle non ha un Governo, di dire che le banche dell’Euro non sono legate al paese dove hanno sede, ma sono dell’Euro: una banca dell’Euro che ha sede a Milano con il debito pubblico italiano. La sua territorialità è l’Euro, non l’Italia. L’Unione bancaria però manca ancora di un completamento, come ad esempio la condivisione europea della tutela dei depositi. C’è il meccanismo della risoluzione, meccanismo molto complicato se salta una banca presente in tutta Eu. Manca sempre dietro un Governo. L’ultima cosa che è stata fatta in vista dell’unione bancaria e prevalentemente in un contesto europeo è quella di considerare questo vincolo (con tutti gli aggiornamenti) non in senso statico ma in senso dinamico: noi osserviamo com’è a un dato istante e poi immaginiamo alcuni scenari che riguardano un istante t successivo; vediamo cosa succede a quell’indicatore nei diversi scenari: negativo e molto negativo = stress

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test. Vedo se la banca rispetta il requisito anche in situazioni difficili o molto difficili. E quindi la linea nella quale già si opera è quella che la banca deve avere non solo i requisiti minimi, ma anche degli extra requisiti e rispettare il requisito minimo anche in condizione di stress. Ci sono banche che sono prossime al requisito minimo che in condizione di stress reggono, e banche molto sopra il requisito minimo che in condizione di stress vanno a patrimonio negativo. Questo è dovuto dalla struttura degli attivi, dalla volatilità dei prezzi degli elementi attivi. Quindi non basta rispettare il requisito in senso statico, perché se succede qualcosa di anormale magari si rischia di perdere tutto. [Appunto] Cartolarizzare per ridurre il volume dell’attivo e migliorare il requisito patrimoniale: spesso la cartolarizzazione non trasferisce il rischio, con il risultato che cartolarizzando ma mantenendo il rischio si diminuiscono i volumi ma non il rischio con il risultato di peggiorare la situazione della banca.

08_03_2017 Cosa succede dopo l’88. Succede che a livello europeo si sviluppano le regole dell’attività mobiliare con una normativa che è stata definita poi “EuroSIM” superata dal TUF. E quindi sostanzialmente dal 92 si cominciano a delineare alcune regole europee sull’attività mobiliare. Queste regole europee, che tra l’altro hanno visto sparire gli agenti di cambio/nascere le SIM in Italia, si sono cominciati ad individuare dei paletti per l’intermediazione mobiliare che però all’inizio non riguardavano le banche. La normativa sull’attività mobiliare andava a intersecarsi anche con le banche, nel senso che queste cose potevano essere fatte dalle banche. Partendo da questa considerazione, che riguarda il nostro paese ma anche l’Europa in altri contesti normativi pensiamo agli Usa la disciplina dell’attività mobiliare era molto consolidata: in quegli anni Meryll Lynch era la più grande casa di Titoli (società di brokeraggio) degli USA, ma era grande come la più grande banche americana. In Italia il più grande operatore in titoli era minuscolo in confronto alla più grande banca italiana, perché non c’era una grande tradizione. Negli USA c’era una grande separatezza tra banca e intermediari e quindi si trovavano soggetti enormi in entrambi settori; questo accadeva anche in Giappone con la Nomura, che era un colosso dell’intermediazione. Da noi quando sono nate le SIM, prima non c’era nulla. Adesso ci sono qualche grande SIM, ma sono in mano alle banche. Per cui, per i paesi continentali (un po’ meno per il Regno Unito) queste regole sul settore mobiliare sono state molto importati perché hanno fatto nascere un settore. Nel nostro paese fino a quel momento il mondo era diviso in due: una molto piccola, con gli agenti di cambio e non erano intermediari (Erano mediatori, ricevevano gli ordini e passavano sul mercato ma non potevano andare in contropartita diretta con i clienti); le banche che andavano in contropartita su tutto ad esclusione di quello su cui operavano gli agenti di cambio (la loro attività era sottoposta a riserva, per cui se una banca voleva operare sui titoli quotati azionari di cambio doveva passare l’ordine all’agente di cambio). In questo momento è importante perché nasce in Italia (dove c’era ancora la legge sui mercati del 1913). In un contesto che comincia ad aprirsi, in cui anche l’Europa comincia a dire la sua nella prima metà degli anni 90 un a famosissima banca inglese (Bering (?)) salta per aria a causa della filiale asiatica, sostanzialmente per infedeltà del responsabile che assume posizioni speculative decine di volte il consentito dai limiti interni. Allora come già detto, questo caso crea una situazione di grande imbarazzo (era un’istituzione importante) e allora il comitato di Basilea si mette al lavoro preso atto che almeno le banche europee avevano una notevole importanza nell’ambito delle operazioni mobiliari. Sostanzialmente si dice:” Abbiamo fatto il Cooke Ratio che va a vedere la solvibilità rispetto agli asseti (crediti e af) ma l’attività mobiliare delle banche si sostanzia soprattutto per fare negoziazione. E allora quali sono i rischi che possono derivare alla banca da questa attività? Vengono emanati, prima in sede di Basilea e poi in sede di Unione Europea (non in USA perché erano due ambiti separati), i “Principi prudenziali in materia di rischi di mercato” costruiti con una logica che tende a replicare il modello del Cooke Ratio e quindi tende sempre ad andare a individuare un assorbimento di PdV rispetto all’attività che la banca pone in essere. Tende a replicare solo la logica:” Collegamento tra Rischi e Buffer di Patrimonio”, però poi i meccanismi di calcolo sono articolati e non ci porta ad un unico indicatore, ma ci porta ad una batteria di indicatori. Sono articolati per cui per ciascun profilo di rischio collegato al mercato abbiamo uno o più indicatori che determinano l’assorbimento. Alla fine la somma dei singoli assorbimenti di capitale ci dà il PdV necessario per il rischio di mercato. Per cui non abbiamo solo un vincolo legato all’attivo ponderato per il rischio, ma anche un secondo vincolo derivante dal rischio dell’attività mobiliare. Questa normativa entra in vigore il 01/01/1996. Cosa è oggetto di esame? È oggetto l’esame il rischio diverso da quello già computato nel Cooke Ratio, per cui si applica solo alle attività di negoziazione non a quei titoli che la banca detiene per scopi diversi dalla negoziazione. Sostanzialmente, usando la terminologia dell’epoca (ancora prima dei Bilanci IAS, appena nascevano i CEE) “Tutta quella parte di strumenti non immobilizzati”. Innanzitutto, i tipi di rischi esaminati sono 5: - Direttamente connessi alla negoziazione di titoli , riguardano solo la parte di attivo connesso alla negoziazione: 1 Di posizione. È quello più importante in termini di rischiosità e più complesso nella struttura degli indicatori. Che cos’è? Il rischio derivante dall’oscillazione dei prezzi dei valori mobiliari sia per i movimenti di mercato, sia per la situazione dell’emittente. È quindi un RISCHIO DI PREZZO (andamento mercato + singolo emittente). L’assorbimento patrimoniale richiesto viene calcolato separatamente per l’andamento del mercato e l’andamento dell’emittente. Il primo indicatore (mercato) può essere chiamato “Rischio Generico”, relativo alla possibilità di perdite causate dall’andamento avverso dei prezzi della generalità degli strumenti finanziari negoziati. Il secondo è “Rischio specifico”. Come si può cercare di individuare un rischio di posizione generico? Stiamo parlando di attività per negoziazione, il portafoglio non lo scelgo io come è composto, è in funzione della domanda e dell’offerta oppure li ho comprati io immaginando che li vogliano, quindi uso una logica di magazzino (non di portafoglio – deve far ruotare il più possibile il magazzino e lavorare sullo spread; volumi molto forti che girano molto forte e quindi il valore di carico tende ad allinearsi a quello di mercato; l’alta rotazione dovrebbe esserci su tutti i titoli, per non accumulare i rischi). E allora, per quanto riguarda i titoli a reddito fisso, qual è lo strumento più idoneo a misurare il rischio generico (di tasso)? La Duration, la variazione del prezzo rispetto al tasso di interesse è misurato dalla Duration. Per quanto riguarda il rischio generico c’è

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la relazione inversa tasso/prezzo. La Duration dei titoli indicizzati? Nel caso di titoli indicizzati, concettualmente, es: titolo a 3 anni, due cedole e rimborso. Nel fare i calcoli portiamo tutto a fine, reivesto le cedole che incasso; il meccanismo logico è che io porto tutti i flussi a scadenza e poi il montante lo attualizzo ad oggi per vedere il tasso; al momento iniziale t0 sono tutti uguali, ma poi ex post sono tutti diversi. Per cui posso aver comprato un titolo al 10% e trovarmi in un momento successivo a t0 con un tasso all’11/9/7%. Il risultato all’emissione è noto: prezzo di emissione; dato quel prezzo avremo il prezzo all’emissione uguagliato al flusso attualizzato con i come incognita. Però possiamo farlo solo all’emissione, il tasso i è istantaneo. Da quel momento in poi ci sono due possibilità: o il titolo è quotato su un mercato efficiente e quindi il prezzo è sul mercato e i lo calcolo come prima, ma correggendo il periodo; se non è quotato si usa la stessa formula, cerchiamo il Valore Teorico: andando a cercare su un mercato di scambi (efficiente possibilmente) un titolo che abbia le caratteristiche più vicine possibile, ne vediamo il rendimento e usiamo il tasso come tasso di attualizzazione per il titolo non quotato. Se non trovo un titolo comparabile, si calcola un fattore di conversione tra titolo non quotato e quotato. È interessante vedere che un titolo emesso e rimborsabile a 100, se non ha variazioni di tasso per tutta la sua vita (assurda, in astratto) dovrebbe quotare sempre 100 e offrire un rendimento pari a quello di emissione. Nel momento in cui subisce una perturbazione, cade di prezzo e riparte verso 100 (perché rimborserà a 100). Se questo titolo è stato emesso con il rendimento al 10, e ora il rendimento è a 12% questo titolo va a sovrapporsi alla curva di un titolo che a emissione avrebbe 12%? È sotto o sopra a quello che originariamente aveva 12%? È sopra perché io perdo il Delta tra 10 e 12 solo sul passato, ma sul futuro lo perdo sul prezzo di rimborso, ma sulle cedole intermedie lo recupero per periodi diversi (sul periodo mancante e sul periodo intero) e quindi reinvestendo una parte del flusso a 12, perdo meno del 12. Sono un poco sopra rispetto ad aver comprato a 12. Il reinvestimento mi garantisce un rischio minore a quello di un ZCB; più sono elevati i numeri delle cedole o di importo maggiore e più “vado verso l’alto” e la Duration si accorcia. Cosa succede se sono a tasso variabile? Non conosco il secondo e terzo flusso. A livello computazionale, il rendimento ex ante considera tutte le cedole uguali. La Duration tende ad essere uguale (nel titolo a tasso variabile se varia il tasso di interesse) con la scadenza del meccanismo di aggiustamento, perché la variazione mi adegua ai valori di mercato, è pari allo scarto tra una cedola e l’altra. Un titolo a tasso indicizzato sostanzialmente equivale a un tasso fisso a duration, della duration pari alla prima cedola. Il problema è come andare a misurare il rischio. E la duration è la derivata del prezzo rispetto alle variazioni di tasso: a parità di condizioni chi ha la stessa duration ha la stessa perdita. Se la variazione non è minima, occorrerà guardare la convexity. E per le azioni? Non c’è la Duration, di solito si va a prendere degli indicatori generali di mercato si va a vedere la correlazione con il mercato. Come si vanno a vedere gli assorbimenti di capitale di PdV per il rischio generico?  Per i titoli di debito bisogna andare a prendere il rischio generico sulla base di un sistema di misurazione del rischio di tasso di interesse che si fonda sul calcolo della posizione netta relativa a ciascuna emissione, e la successiva distribuzione per ciascuna valuta in diverse fasce temporali

Ogni riga ha il suo peso, che non è il peso di assorbimento di capitale: è un fattore di ponderazione. Ci sono delle regole particolari per gli indicizzati, zcb, ecc. ecc. Il concetto importante è che queste sono le distribuzioni temporali di classificazione del rischio del portafoglio a reddito fisso (si sommano le posizioni simili). Nulla interessa la tipologia di emittente, perché è rischio specifico. Allora la classificazione viene fatta per vita residua. Se ho titoli di valute diverse, li devo raggruppare per valute; ovviamente ho posizioni che si compensano tra

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lunghe e corte: ho titoli comprati da ricevere / venduti da consegnare = vado a compensare e determinare il saldo. A questo punto compenso, all’interno di ciascuna fascia, i saldi tra lunghe e corte per valuta omogenea. Poi vado a compensare, all’interno di ciascuna delle tre zone, le fasce attigue (da 3°6m, da 6m a 1y) posso compensare lo sbilanciamento di una fascia con una fascia attigua (prima o dopo). Non posso compensare con una fascia non attaccata. Questo vuol dire che: o Primo faccio il calcolo per singolo titolo o Compenso per categoria omogenea di fascia o Compenso per zone tra le fasce Alla fine il rischio che risulta è di importo basso. Questo ragionamento sottende che le reattività a 3/6 è diversa ma non lontanissima, per cui un po’ si stempera. Per cui si consente questa elasticità. Quelli che rimangono fuori sono gli “Scarti”, e su di essi si va a calcolare l’assorbimento patrimoniale. Esso varia tra le Zone (1/2/3) e tra le fasce interne; varia tra il 10 e il 30% dello scarto. I valori a cui si fa riferimento sono anche collegate a operazioni fuori bilancio. Come si va a calcolare il rischio specifico sui titoli di debito? Viene determinato sommando i valori assoluti delle posizioni Lunghe e corte dei diversi titoli ponderate secondo i coefficienti di una tabella. I coefficienti tengono conto della natura dell’ Emittente. Per singola categoria i coefficienti sono più di uno: dipende dalla controparte, emissione qualificata/non, durata in termini di vita residua. Vale anche qui che i titoli di debito area OCSE sono Free Risk. Titoli di Capitale. Anche qui rischio generico e specifico. Il rischio generico per tutti i titoli quotati sui mercati regolamentati è calcolato semplicemente applicando l’8% sulla posizione generale netta (tutto il portafoglio di titoli azionari e assimilati). Il rischio specifico per tutti i titoli quotati sui mercati regolamentati è calcolato applicando il 4% sulla posizione generale Lorda (=La più grande tra dare e avere. Dare 10 Avere 5 = Netta: 10-5; Lorda: 10) Poi ci sono delle regole specifiche per i non quotati. La regola iniziale era l’applicazione del 12% sulla Posizione Lorda. Ci Sono poi regole per investimenti, certificati ecce cc. Una cosa importante è che nella determinazione del rischio di posizione Dei titoli a reddito fisso e di capitale si tiene conto anche dei derivati relativi a questi strumenti. Riassumendo: ho un portafoglio di negoziazione, il quale sopporta un rischio generico e uno specifico. Nel portafoglio Distinguerò tra titoli a reddito fisso e titoli di debito ed applicherò i coefficienti di ponderazione. 2

Di regolamento: rigurda la possibilità che nelle operazioni di transazioni su titoli, la controparte dopo la scadenza del contratto non abbia ancora adempiuti all’obbligazione di consegna dei titoli o di pagamento dell’importo dovuto. È il rischio di un ritardato adempimento. Perché è importante per chi fa negoziazione che l’adempimento sia puntuale: perché i titoli che compro/vendo li voglio tenere all’infinito, ma li muovo velocemente, ho bisogno subito della liquidità e dei titoli per continuare a operare (non devo andare a incidere sulla Tesoreria per supplire alla mancanza di liquidità per un inadempimento). Il criterio per l’assorbimento: è temporale, c’è una prima franchigia di 5 giorni dove non si assorbe nulla; poi la somma delle posizioni scadute e non regolate a mano a mano che passa il tempo assorbono capitale in modo crescente (sia che siano titoli, sia che siano soldi: adempimento in titoli è se li ho comprati / adempimento in denaro se li ho venduti)

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Di controparte: riguarda la possibilità che la controparte non adempia ai propri obblighi contrattuali, una volta avvenuta la scadenza del contratto. Qui non adempie proprio, è una cosa più grave. In astratto dipende dalla solvibilità della controparte, ma potrebbe dipendere anche dalla volontà di non adempiere. È un concetto più ampio. Vediamo cosa accade in termini di assorbimento di capitale per inadempimento. Bisogna distinguere per tipologie di titoli, ma anche per collocazione temporale del processo di inadempimento: potremmo avere un inadempimento anche prima della scadenza del contratto (se noi abbiamo motivo di ritenere che a scadenza non adempi. Es: vendo i titoli con regolamento tra 1m, ma dopo 10gg mi accorgo che non pagherà). Il rischio può essere valutato in qualsiasi momento, nel momento in cui hai la percezione suffragata da qualcosa. Il concetto della valutazione è “il calcolo di quanto perdo”: confronto il prezzo di mercato del bene ceduto/comprato (o una sua proxy) con il valore iscritto a contratto. L’assorbimento per rischio di controparte, esempio se io vendo un BTP a 95 e poi il prezzo va a 93 sul mercato io assorbo 2: se l’acquirente non adempie al pagamento, io posso vendere sul mercato realizzando però 93. Per converso, se il prezzo va a 97 non assorbe nulla e

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sono coperto. L’assorbimento è riconducibile al differenziale negativo rispetto all’esecuzione del contratto, se il differenziale è positivo non me ne devo preoccupare. Ci sono delle regole un po’ particolari su andare a stabilire quanto assorbire su quello scarto (es OCSE assorbo 0) e poi a seconda del tipo di attività posso assorbire dall’1.6 all’ 8%. 1,6% attivi in titoli che nel Cooke hanno peso 20% -

Di concentrazione dei rischi (riguarda tutto l’attivo): nasce come concentrazione dei rischi in ambito mobiliare (SIM). Viene mutuato nelle banche, ma ci si accorge che per le banche non ha senso andare a calcolare la concentrazione su un portafoglio titoli senza tenere conto del fatto che molti emittenti di quei titoli siano anche affidati, ovvero sono dei clienti. E quindi per le banche la concentrazione dei rischi tiene conto sia delle operazioni di credito, sia degli investimenti in titoli. Concentrazione dei rischi di credito, vincoli: fido massimo per cliente rapportato al patrimonio della banca (Grande fido). Adesso le regole per i crediti sono suddivise su due livelli: 1) censimento dei Grandi fidi, quelli che superano un certo livello sul patrimonio; 2) per Plafond dei Grandi fidi: patrimonio moltiplicato per un coefficiente (tre parametri distinti). La somma di tutti i Grandi Fidi non può eccedere quella somma di Plafond. Qui non è che si rifanno i calcoli come sui rischi di credito, qui il calcolo è molto più generico. Si vanno a vedere le esposizioni complessive sui grandi clienti per credito e per titoli: quindi se io ho affidato X per un importo e gli ho comprato obbligazioni/azioni io andrò a computare la posizione complessiva nei confronti di X. Tutta questa disciplina deve essere fatta a livello di gruppo, e in questo concetto di gruppo rientrano anche cosa che non sono giuridicamente ricomprendibili nel concetto di gruppo (affidamento personale all’imprenditore o anche ai familiari) estensione molto forte per evitare raggiri. Da tutto questo calcolo si escludono i titoli emessi dalla clientela e non facenti parti del portafoglio non immobilizzato (si escludono quelli per negoziazione, non sono per investimento). La capienza del patrimonio di vigilanza viene presa come riferimento e questo tipo di rischio funziona in modo diverso, funziona come vincolo: se tu superi la soglia hai una franchigia temporale per rientrare; se si supera la franchigia temporale poi assorbe il patrimonio. Quindi a seconda che siano titoli di caratteristiche diverse la soglia è grosso modo 10gg, passati i quali comincia a venire assorbito il patrimonio in misura crescente. COPIATO DALLA BANCA D’ITALIA

Le Istruzioni di vigilanza in materia di concentrazione dei rischi (cfr. Cap. 5 del presente Titolo) dispongono che le banche sono tenute all'osservanza di un limite quantitativo inderogabile (limite individuale di fido), rapportato al patrimonio di vigilanza, per le posizioni di rischio nei confronti dei clienti. Le attività di rischio che rientrano nel portafoglio di negoziazione di vigilanza della banca non sono prese in considerazione ai fini del rispetto della disciplina. Le disposizioni della presente Sezione prevedono il rispetto di un requisito patrimoniale specifico per le banche che, per effetto delle posizioni di rischio relative al portafoglio di negoziazione di vigilanza, superano il limite individuale di fido. Tale requisito è calcolato in base alle posizioni di rischio del portafoglio di negoziazione di vigilanza che hanno determinato il superamento del suddetto limite. Le banche e i gruppi bancari possono superare il limite individuale di fido purché rispettino le seguenti ulteriori condizioni: 1) il patrimonio di vigilanza, che residua dopo la copertura dei requisiti patrimoniali per il rischio di credito, il rischio di controparte ed i rischi di mercato (cfr. Parte prima, Sezioni III e IV del presente Capitolo), sia sufficiente a coprire il requisito patrimoniale aggiuntivo previsto dalla presente Sezione, l'eventuale requisito patrimoniale consolidato previsto nella Parte prima, Sez. VII, del presente Capitolo nonché gli altri requisiti patrimoniali; 2) qualora siano trascorsi al massimo 10 giorni dal momento in cui si è verificato il superamento, l'esposizione che risulta dal portafoglio di negoziazione di vigilanza verso il cliente o il gruppo di clienti connessi non superi 5 volte il patrimonio di vigilanza della banca; 3) qualora siano trascorsi oltre 10 giorni, il complesso dei suddetti superamenti sia contenuto entro 6 volte il patrimonio di vigilanza della banca. Relativamente al portafoglio di negoziazione di vigilanza, l'esposizione verso un singolo cliente o gruppo di clienti connessi è data dalla somma della posizione lunga netta calcolata per ogni strumento finanziario emesso dal cliente stesso o dal gruppo di clienti connessi e dell'esposizione al rischio di regolamento e di controparte verso lo stesso cliente determinata secondo quanto disposto nel presente Titolo. La posizione di rischio connessa con il portafoglio di negoziazione di vigilanza viene determinata ponderando l'esposizione sulla base di quanto stabilito al Cap. 5 del presente Titolo. 2. Calcolo del requisito patrimoniale Il requisito patrimoniale per il rischio di concentrazione che le banche sono tenute a osservare è determinato secondo il procedimento di seguito indicato: a) viene calcolata la "posizione di rischio complessiva" sommando, per ciascun cliente, la posizione di rischio relativa al portafoglio di negoziazione di vigilanza a tutte le altre posizioni di rischio; b) si verifica per ogni cliente l'eventuale "eccedenza" rispetto al limite individuale di fido, definita come la differenza tra la posizione di rischio complessiva verso un cliente e il limite individuale di fido; c) per i clienti per i quali sussiste un'eccedenza, si ordinano le posizioni di rischio del portafoglio di negoziazione di vigilanza a loro riferibili allo scopo di individuare quelle più rischiose a cui riferire l'eccedenza; A tal fine le posizioni del portafoglio di negoziazione di vigilanza sono ordinate a partire da quelle soggette ai requisiti patrimoniali relativi al rischio di posizione specifico (cfr. Parte prima, Sez. III, del presente Capitolo), e

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successivamente inserendo quelle soggette ai requisiti sui rischi di regolamento (cfr. Parte prima, Sez. IV, del presente Capitolo) e di controparte (cfr. Capitolo XY del presente Titolo); nell'ambito di ciascun profilo di rischio, l'imputazione va effettuata partendo dalla componente cui si applica il più elevato requisito patrimoniale; d) si prendono in considerazione le posizioni così ordinate fino a che la loro somma non raggiunga l'eccedenza di cui al punto b); e) qualora l'eccedenza non si sia protratta per più di 10 giorni, la copertura patrimoniale aggiuntiva è pari al doppio della copertura patrimoniale richiesta a fronte del rischio di posizione specifico, del rischio di regolamento e del rischio di controparte per le posizioni individuate conformemente al punto d); f) qualora l'eccedenza si sia protratta per più di 10 giorni, la copertura patrimoniale aggiuntiva è determinata: — sommando le posizioni individuate conformemente al punto d) negli scaglioni di cui alla colonna 2 della Tabella 1 della presente Sezione, a partire dalla posizione con requisito minore, fino al raggiungimento del limite massimo di ogni scaglione; — moltiplicando i requisiti patrimoniali relativi alle posizioni così classificate per i corrispondenti coefficienti indicati nella colonna 3 della Tabella 1 della presente Sezione; — sommando il risultato del prodotto tra requisiti patrimoniali e relativi coefficienti. -

Di cambio (riguarda sia l’attivo che il passivo): sui rischi di cambio si calcolano sull’intera operatività della banca. Vuol dire che considero tutto l’attivo, tutto il passivo e operazioni fuori bilancio tenendo anche conto di tutti i derivati in cambi. Come faccio il calcolo? Lo faccio per singola valuta: calcolo la posizione netta della singola valuta e, per tradizione, lo faccio per i metalli preziosi. Annotazione al punto 3) Faccio la somma di tutte le posizioni nette, perché sarebbe sottostimare il rischio perché andrei a compensare valute non correlate tra di loro. Faccio due somme separate, somme delle posizioni lunghe e delle posizioni corte. E poi il parametro su cui faccio l’assorbimento è la più grande tra le due somme: per singola valuta lavoro sulla netta, ma poi per somma di valuta considero separatamente le nette lunghe da quelle corte. La cosa interessante è che il rischio di cambio tendenzialmente potrebbe pareggiarsi (si parla di pareggiamento non di pareggiamento) se la banca ha l’abilità di bilanciare l’attivo e il passivo per valute e scadenze (rischio di tasso). Es: fa mutui in franchi svizzeri, deve emettere obbligazioni in franchi svizzeri COPIATO DA DOCUMENTO BANCA D’ITALIA:

“Il rischio di cambio rappresenta il rischio di subire perdite per effetto di avverse variazioni dei corsi

delle divise estere su tutte le posizioni detenute dalla banca indipendentemente dal portafoglio di allocazione. In relazione a tale rischio, le banche sono tenute alla osservanza di un requisito patrimoniale pari all' 8 per cento della "posizione netta aperta in cambi". Sono escluse dalla presente disciplina le banche la cui "posizione netta aperta in cambi" è contenuta entro il 2 per cento del patrimonio di vigilanza. La "posizione netta aperta in cambi" è determinata: 1) calcolando la posizione netta in ciascuna valuta e in oro; 2) convertendo in euro le posizioni nette sulla base del tasso di cambio, o del prezzo per l'oro (cfr. Parte prima, Sez. IX , del presente Capitolo); 3) sommando, separatamente, tutte le posizioni nette lunghe e tutte le posizioni nette corte; 4) sommando la posizione netta, lunga o corta, in oro al maggior valore fra la somma delle posizioni nette lunghe e la somma delle posizioni nette corte. Il maggiore fra il totale delle posizioni nette lunghe e il totale delle posizioni nette corte costituisce la "posizione netta aperta in cambi". Non rientrano nel calcolo della "posizione netta aperta in cambi": a) le operazioni a termine di acquisto o vendita di titoli in valuta con regolamento nella valuta di denominazione del titolo; b) le attività che costituiscono elementi negativi del patrimonio di vigilanza; c) le partecipazioni e le attività materiali. Le esclusioni previste ai punti b) e c) non sono consentite quando si tratti di attività coperte globalmente o specificatamente sul mercato a pronti o su quello a termine. Le attività e le passività indicizzate al tasso di cambio di un paniere di valute sono scomposte nelle diverse valute proporzionalmente al peso di ciascuna valuta nel paniere di riferimento. Nel calcolo della posizione netta in cambi le valute per le quali la somma di tutte le attività e passività non supera il 2 per cento del complesso delle attività e passività in valuta sono aggregate fra loro e trattate come un'unica valuta. L’oro è comunque trattato separatamente dalle valute .” Rischi di mercato in senso stretto per la banca derivanti dall’intermediazione sono i primi 3; il rischio di concentrazione è ibrido perché tiene conto anche dei crediti; il cambio è un concetto ancora più ampio. Gli ultimi due vengono inseriti perché sono operazioni di mercato.

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L’assorbimento totale derivante dai rischi di mercato è la somma di questi requisiti, per cui noi dobbiamo avere PdV dal 01/01/1996 per il rischio implicito nell’attivo ponderato per il rischio, per le attività di mercato e poi si andrà ad aggiungere. Sostanzialmente è modulare e non intercambiabile: un pezzo va per il Cooke Ratio, ma non per le altre cose salvo che, nel rischio di concentrazione il Plafond non tiene conto di quello utilizzato dagli altri coefficienti (il plafond su cui io calcolo se io sono fuori o no è l’intero PdV senza togliere i pezzi dei vari assorbimenti). Il problema aperto è che sia nel Cooke Ratio sia nei rischi di mercato i Titoli di Stato OCSE sono considerati Free Risk. Se si ponderassero per il rischio effettivo sarebbe un rischio per il Cooke Ratio. Teniamo conto che in Italia i valori dei titoli negoziati in un anno, o valori dei titoli di stato in contropartita con la clientela è una cifra ancora molto più grande. Quindi in negoziazione hanno una cifra enorme, per cui anche una piccola percentuale di ponderazione si mangerebbe tutto il capitale.

13_03_2017 Basilea 2 Tema chiave di Basilea 2: ha comportato moltissime modifiche. Cerca di dare un impiatno più generale al problema Ha portato ad una suddivisione delle regole prudenziali in 3 parti: i 3 pilastri di Basilea 2 [che sono diventati anche 3 pilastri della vigilanza assicurativa.] I 3 pilastri hanno 3 connotazioni molto diverse tra di loro, che in qualche misura si completano. [Lettura dalle Istruzioni del tempo]

Primo pilastro: requisiti patrimoniali. Riprendono il Cooke Ratio sui rischi patrimoniali, riprendono le regole sui rischi di mercato (rivisitandone profondamente i meccanismi in particolare sul rischio di credito) e aggiungono un nuovo requisito patrimoniale: il requisito sui rischi operativi. La logica del secondo e terzo pilastro è completamente diversa da quella del primo pilastro.

Il Secondo Pilastro non ci dà un requisito patrimoniale quantitativo, implicitamente ci dà un requisito più qualitativo. Ma in realtà non è incentrato sul requisito patrimoniale in senso computazionale. È legato al processo del controllo prudenziale, processo in senso dinamico. Il processo di controllo prudenziale vuol dire che noi andiamo a vedere in che modo la singola banca approccia il problema. Il processo si articola in due fasi: 1 – Fase interna della singola banca 2 – Fase esterna, in una sorta contradditorio con la banca Il processo prudenziale SRP: Supervisory Review Process. 1) È rappresentata dall’analisi del processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale e prende il nome di ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process). Viene fatto dalla singola banca e rappresenta un’autonoma valutazione dell’adeguatezza patrimoniale sia attuale che prospettica (prospettica come innovazione di basilea). Si deve tenere conto di a. Rischi assunti b. Strategie aziendali 2) SREP (Supervisory Review and Evaluation Process) e viene fatta dall’autorità di Vigilanza. (Basilea 2 nasce prima dell’Unione bancaria e Basilea 3 e l’Unione bancaria, quindi lo SREP lo facevano le singole Autorità Nazionali.) Parte dall’ICAAP della singola banca, l’Autorità lo studia, formula un giudizio complessivo sulla banca e attiva, se serve, le dovute correzioni. Lo SREP si basa su un confronto tra Vigilanza e Banca. L’Autorità, studiato l’ICAAP dialoga con la banca se lo ritiene opportuno per ottenere ulteriori informazioni riguardo: ipotesi logiche sottostanti; motivazioni a sostegno delle valutazioni adottate dalla banca. Per realizzare l’ICAAP le banche devono dotarsi di una serie di strumenti: - Definire una strategia per comporre l’ICAAP; - Predisporre gli strumenti e procedure per determinare quanto sia il patrimonio adeguato, sia in termini di importo quanto in termini di composizione. Deve essere adeguato alla copertura di tutti i rischi ai quali potrebbe essere esposta la banca, anche rischi diversi da quelli del primo pilastro (di credito, di mercato, operativi). Il processo ICAAP si fonda su idonei sistemi aziendali che riguardano la gestione dei rischi, la governance, l’assetto organizzativo, le linee di responsabilità nell’assetto organizzativo e l’efficacia dei controlli interni. La responsabilità del processo è rimessa agli organi societari che in piena autonomia definiscono il disegno e l’organizzazione all’interno della banca con le conseguenti competenze e prerogative (dicono chi è responsabile di cosa). Gli organi curano l’attuazione del processo, promuovono l’aggiornamento dell’ICAAP e assicurano con continuità la corrispondenza delle risultanze ICAAP alle caratteristiche operative e di contesto strategico della banca [Non ci dovrebbero essre due ICAAP uguali: ognuno dovrebbe avere una propria sensibilità nel definire rischi e strategie]. Il processo ICAAP deve essere: - Documentato, che se arriva l’ispettore della Banca d’Italia e non è documentato arriva la sanzione; - Deve verificare se l’ICAAP è conosciuto dai vari organi aziendali; - deve essere CONDIVISO dalle strutture (va fatto con un progresso di aggregazione e frutto di un lavoro congiunto) - SOTTOPOSTO a revisione interna (con senso critico valutare se è sempre migliorabile) Le banche illustravano alla banca d’Italia con cadenza annuale: - Caratteristiche fondamentali del processo; - Esposizione ai rischi; - La determinazione del capitale ritenuto adeguato a fronteggiarli, attraverso un resoconto strutturato. Deve contenere anche l’autovalutazione in cui sottolineare le aree di miglioramento, le eventuali carenza del processo e le azioni operative che si ritiene di dover implementare.

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Il processo è nel continuo e la relazione è annuale. L’ICAAP va fatto in continuo, nonostante la presentazione annuale. Lo SREP è il processo in cui l’autorità riesamina e valuta l’ICAAP analizza il profilo di rischio della singola banca, valuta il sistema di governo aziendale, la funzionalità degli organi, la struttura organizzativa, il sistema dei controlli interni, verifica l’osservanza del complesso delle regole prudenziali. Qui siamo su requisiti di funzionamento, di governance degli organi, di adeguatezza di controlli e organi interni. Controllo prudenziale di competenze e assetti organizzativi che con Basilea 2 valgono tanto quanto i controlli prudenziali, non sono più disgiunti. Siamo su requisiti di funzionamento, di adeguatezza struttura e controlli interni. La dimensione prudenziale di competenze e assetti organizzativi che con Basilea 2 valgono quanto i controlli prudenziali. Non sono disgiunti. Le regole prevedono che nell’approccio di valutazione che l’autorità ha nei confronti delle singole banche vi siano criteri uniformi. La discrezionalità valutativa viene compressa per evitare che ci siano preferenze. L’approccio deve essere sistematico sulla base di un modello che la banca si dà. Nel caso in cui emergano profili di anomalia l’autorità richiede l’adozione di misure correttive in materia organizzativa e patrimoniale commisurati alla misura delle carenze riscontrate. Nel caso in cui dall’analisi complessiva emergano profili di anomalia, l’autorità richiede l’adozione di idonee misure correttive di natura organizzativa e patrimoniale. Gli interventi si commisurano alla rilevanza delle carenze riscontrate. L’imposizione di requisiti patrimoniali aggiuntivi viene disposta se l’applicazione di misure organizzative non appare in grado di assicurare la rimozione delle anomalie entro un periodo di tempo adeguato. Se dall’analisi delle anomalie si riscontra che la rimozione di queste anomalie non si possa attuare sotto il profilo organizzativo entro tempi ragionevolmente brevi, l’Autorità può imporre l’innalzamento delle soglie patrimoniali del primo pilastro. Può imporre alla singola banca di alzare, perché organizzato male, per la governance non capace. Questo è un provvedimento ad personam frutto dello SREP. È rilevante perché dà la possibilità di imporre innalzamenti patrimoniali a chi non adeguato sotto profili non patrimoniali. Per il secondo pilastro vale il Principio della Proporzionalità alla misura della banca. “Per tutto...i requisiti di adeguatezza devono essere commisurati caratteristiche, dimensioni e complessità dell’attività svolta dalla banca”. Può avere quindi caratteristiche diverse dalle altre banche (magari fa solo leasing) oppure può avere una dimensione ridotta o può avere una complessità diversa (se ha una bassa complessità devo ridurre la pressione). Una seconda regola, che valeva molto prima dell’Unione bancaria che implicitamente ha incorporato, è che la frequenza e intensità dei controlli dello SREP deve essere maggiore tenuto conto di: - importanza sistemica (es banche sistemiche, ora controllate dalla BCE); - dalle caratteristiche; - dimensioni; - complessità. La proporzionalità vale sia verso il basso (meno controlli per le piccole/meno complesse/meno frequenti) ma anche verso l’alto (sistemiche/più complesse/più spesso). L’ipotesi verso l’alto oggi è avocata alla BCE. Un aspetto importante: nell’Unione Bancaria vanno, di default, le banche sistemiche + banche grandi + 3 più grandi banche di ogni paese EU (sono sistemiche in modo relativo ai singoli stati, criticità sul paese di origine come principio). [Come già detto l’Unione bancaria è nata per separare i destini delle banche e del rischio sovrano; si porta dietro però il fatto di non essere un unico paese.] L’ICCAP di default si applica su base consolidata, non esiste una differenza: è chiaro che se non ha un gruppo si applica solo sul singolo.

Terzo Pilastro (Basilea 2 uscito prima della crisi e dell’unione bancaria) Il terzo pilastro – Informazioni al Pubblico – rende obbligatorio alle banche di fornire al pubblico [in senso mercato = in primo luogo azionisti e poi chi vuole ottenere informazioni]. È un set di informazioni obbligatorie che hanno ad oggetto cose tenute molto segrete prima. Sono relative alla solvibilità, solidità patrimoniale, rischi. Erano i segreti gestionali della banca. Il fatto di fornirli al pubblico ha avuto e avrà delle conseguenze fondamentali. Una “Rivoluzione Copernicana” perché fino a Basilea2 c’era stato un unico provvedimento di “Alert”, obbligatorio nell’Unione EU già da diversi anni, prima facoltativo: l’Assicurazione dei Depositi. Quando hanno fatto il fondo di Tutela è hanno detto che era obbligatorio, hanno detto che era obbligatorio fino a una certa cifra. Oltre quella cifra non si è garantiti, non c’era nessuna legge che diceva che Stato e Autorità fossero obbligati ad intervenire, c’era però solo la prassi (in Italia molto forte nel non vedere qualcuno perdere soldi nei confronti di una banca). Nel momento in cui c’è il Terzo Pilastro arriva il secondo Alert, perchè dice: diffondere al pubblico sullo stato di salute della banca. L’assurdo di base era che: siccome le persone non vanno a leggere le informazioni, valutare una banca è difficile ci si basava sul fatto che se la banca era aperta, la banca stava bene e no l’Autorità di Vigilanza l’avrebbe chiusa o commissariata. Con questi due strumenti è come se dicessimo: l’Autorità non garantisce in modo assoluto che una banca aperta è per forza sana. Si inizia ad allarmare il singolo cliente e farlo muovere autonomamente. Non bisogna pensare che la banca sia solida per default: la banca è un’azienda e quindi può avere problemi come tutte le altre. Come vengono gestite queste informazioni: di default devono essere messe su internet entro 30 gg dalla pubblicazione del bilancio. Queste informazioni vanno a costituire l’allegato della Nota integrativa al Bilancio. Per cui quando viene pubblicato il bilancio vengono pubblicate le informazioni. Es

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1 – Requisito informativo generale: sono informazioni di tipo qualitativo. Quali sono le strategie e processi per la gestione dei rischi, struttura e l’assetto organizzativo pertinente alla funzione di gestione del rischio, ambito di applicazione e quali sono le caratteristiche dei sistemi di misurazione e reporting dei rischi. Quali sono le politiche copertura e attenuazione del rischio. Qui abbiamo solo l’assetto generale. 2 – Ambito di applicazione: perimetro di gruppo, di prodotti, perimetrazione del rischio. Informazione qualitativa con qualche elemento quantitativo. (Elenco società che fanno riferimento al gruppo) 3 - Composizione del patrimonio di vigilanza, chiunque può vederlo. Abbiamo informazioni sintetiche qualitative sulle componenti e poi il calcolo del patrimonio di vigilanza. Una cosa è che con Basilea 2 è stato individuato anche il terzo livello di PdV – Base supplementare di Terzo livello (non è utilizzato ma va segnalato, può servire per farlo diventare di 2 livello nel momento del bisogno) 4 – Adeguatezza patrimoniale. Prima parte descrittiva, metodi adottati nella valutazione. Seconda parte, quantitativa ed evidenzia tutti gli assorbimenti per i diversi rischi. Sono indicati tutti i fabbisogni, rischi e coefficienti patrimoniali. Con una novità rispetto al Cooke: qui ho il coefficiente patrimoniale totale e il coefficiente patrimoniale di Base calcolato l’indice solo sul capitale di base (TIER1). Si introduce una differenziazione. 5 – Dettagli ai rischi di credito; 6 – 7 – dettagli con altri due metodi di calcolo 8 - Tecniche di attenuazione del rischio. Molto importante: tutte le cose che riducono l’assorbimento di patrimonio. 9 – Rischio di controparte; 10 – (molto importante) Operazioni di cartolarizzazione. Dire che una banca ha partite anomale per il 10 o 30 % non ci dice se è brava a fare il credito o no: è opportuno vedere se una parte di partite anomale sono state vendute per sembrare più brava. L’informazione sulla qualità del credito più le informazioni sulle cartolarizzazioni ci permette di leggere meglio la situazione aziendale. 11- Rischi di mercato; 12- Rischio operativo; 13-14 Dettaglio dei rischi.

Rischi operativi Dei rischi vediamo l’essenziale (cercare da solo metodi computazionali) Perché vengono introdotti i requisiti sul rischio operativo. L’esigenza di una specifica materia è da ricondurre all’accresciuta esposizione delle banche a tale categoria di rischio dovuta a: 1) incremento dimensioni aziendali 2) complessità strutture organizzative e distributive 3) innovazione finanziaria che crea prodotti complicati 4) al ricorso a schemi giuridici complessi (derivati e contratti complessi) Definizione: Rischi di subire perdite da inadeguatezza o disfunzione di: 1) procedure; 2) risorse umane; 3) sistemi interni; 4) eventi esterni alla banca. Le istruzioni fanno un elenco, non tassativo ma esplicativo. Rientrano in tale tipologia, tra l’altro: 1) perdite derivanti da frodi (che pone in essere la banca, che la banca subisce da controparti; frodi prodotte dai dipendenti della banca e per cui deve rispondere sulla base della responsabilità oggettiva); 2) derivanti da errori umani, non hanno l’elemento di dolo (c’è un problema di rivalersi o meno su chi ha commesso l’errore); 3) interruzione dell’attività; 4) indisponibilità dei sistemi (es. se lo metto in outsourcing); 5) inadempienze contrattuali; 6) catastrofi naturali. I rischi operativi hanno la caratteristica che possono essere ridotti o eliminati essenzialmente in due modi: 1) Intervento fisico; 2) Assicuro il rischio – Polizza BBB: l’elemento più importante è l’infedeltà del dipendente (solitamente capita con i dipendenti che non vanno mai in ferie) è compreso il rischio legale, ma non sono inclusi il rischio strategico e reputazionale.

14_03_2017 Basilea 2 nasce come progetto nel 2001 e ha una sua dinamica di implementazione per le cose più importanti che vede come andata a regime nel 2007. Nel 2007 però scoppia la crisi negli USA sul fronte SubPrime: cartolarizzazione di mutui residenziali (settore edilizia) concessi a clientela con basso/bassissimo livello di solvibilità e un alto profilo di rischio di controparte, per importi molto alti (anche più del 100% dell’immobile), in un contesto di momento di mercato immobiliare americano con prezzi sostenuti al rialza. Risultato: a un certo punto questi titoli crollano, per il venir meno di: creditori poco affidabili cominciano a non pagare; l’eccesso di finanziamento evidenzia che il valore della garanzia < prezzo debito residuo; il venir meno del rialzo dei prezzi degli immobili che va a ridurre la garanzia. Il processo ha colpito in modo differente i settori del sistema finanziario: le banche che facevano più finanza perché avevano in pancia i subprime

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e banche che facevano meno finanza perché avevano i mutui. In USA era prassi fare cartolarizzazioni per fare nuovi mutui (non per dismettere le perdite). L’epicentro è il fallimento di Lehman Brother, che era una banca d’investimenti molto specializzata nell’ingegneria finanziaria, che: aveva strutturato molte operazioni di cartolarizzazione, aveva dato garanzia sul collocamento dei titoli (anche in Italia ci sono delle banche che hanno venduto portafogli di attività finanziarie con garanzia della Lehman Brother). Cosa ha prodotto la crisi degli USA 2007? Ha prodotto essenzialmente due cose: effetto contagio fuori dagli USA e quindi una qualche difficoltà a banche non USA (EU e Asia, anche se l’impatto è stato molto basso per l’Asia); il secondo aspetto [in un contesto difficilmente comparabile con quello dell’UE] è che l’intensità del problema è stata tale da spingere le Autorità (dalla politica monetaria/vigilanza/tout court) con una quasi perfetta sintonia (confrontata a quella UE) ha portato a un intervento massiccio prevalentemente pubblico (Stato e altri meccanismi collegati/governati dal settore pubblico) che dopo l’incidente di percorso ha evitato il fallimento di soggetti più grandi. Guardando oggi a quel periodo, che è stato breve negli USA, ma ha mosso cifre enormi, possiamo trarre un’indicazione interessante e disallineata con quello successo poi in UE: lo Stato ha messo in gioco un sacco di soldi e, ex post, questi acquisti hanno reso molto di più a quanto investito. Hanno salvato un sistema che stava crollando e un 2/3 ci hanno guadagnato restituendo al mercato quanto comprato. Mentre in EU gli Stati hanno messo un sacco di soldi senza guadagnare nulla. Non è comparabile: la situazione perché gli USA sono un’entità unica (Governo/Moneta/Esercito/Ministro del Tesoro/Banca Centrale) a differenza dell’EU che non trova una coesione per prendere le decisioni. Problema EU nella gestione delle crisi per mancanza di coesione. Qual è l’impatto della contaminazione? L’impatto della contaminazione è stato essenzialmente sul sistema bancario, molto asimmetrico: alcune banche e soprattutto i sistemi bancari di alcuni paesi hanno avuto più difficoltà, mentre altri minime.

Nel 2007 È crollata la fiducia tra le banche, per cui il mercato interbancario è venuto meno (si è sgonfiato) e le banche preferivano parcheggiare la liquidità nell’interbancario. Chi aveva un eccesso di liquidità lo parcheggiava in banca centrale, mentre chi aveva un deficit si trovava corto di liquidità, perché per trovare moneta sull’interbancario occorreva sottostare a tassi abnormi dovuti alla mancata fiducia. Si è partiti con una politica monetaria espansiva, ma con un’ottica di canalizzazione principalmente nel sistema bancario (per evitare che le banche in deficit saltassero per aria per illiquidità). Chi ha potuto farlo è stato il prestatore di ultima istanza. In questo contesto il sistema bancario italiano sembrava a molti che fosse abbastanza immune dal contagio, perché con approccio tradizionale prevalentemente legato all’intermediazione dei soldi anziché della gestione finanziaria (guardando ai conti economici delle banche quasi tutto il risultato di gestione viene dall’intermediazione, solo una piccola parte deriva da servizi di intermediazione a differenza delle più grandi banche europee che dipendevano per un 50% dalla gestione finanziaria sul margine operativo). L’unico intervento italiano è stato il sostegno a MPS attraverso un sostegno di stato che ha sottoscritto dei bond emessi ad hoc dalla banca. Negli altri stati EU ci sono stati problemi apparentemente molto più gravi: delle banche sono entrate in crisi; sono scomparsi improvvisamente sia di fatto che di diritto i limiti sugli aiuti di stato (FR, GER, UK, IRLANDA, ISLANDA – disinteressandosi della normativa sugli aiuti di stato. In deroga ai principi europei). Primo risultato: di fronte alla crisi ci sono stati diversi interventi di Stato in deroga ai principi sugli aiuti di Stato. Primo punto: Nasce un problema, molto complesso: la banca va male  lo stato interviene per metterci capitale  lo stato, se già molto indebitato, deve indebitarsi ancora di più per inserire capitale. Il livello di debito pubblico degli stati che sono già indebitati in modo eccessivo inizia a creare turbolenze, che cominciano poi a ribollire (le banche che vengono salvate con soldi pubblici molto spesso hanno in pancia titoli dello stesso stato. Ci si interroga sul fatto che il titolo di stato vale di meno, e come lo valuto? Come lo vendo? Ma se il titolo vale meno la banca perde soldi e lo stato deve indebitarsi ancora di più per immettere denaro. Non se ne viene più fuori). Gli stati con debito pubblico più flessibile avevano più margini di intervento. Torna di moda uno slogan: PIGS – Stati che non sono molto bravi: Portogallo / Italia / Grecia / Spagna. (Nel 2008 per un piccolo intervallo di tempo l’Italia non c’era e c’era l’Irlanda) Cosa caratterizzava i PIGS? Un modo di governare, quanto meno l’economia, molto disinvolto piuttosto irrispettoso delle regole e ogni qualvolta che Bruxelles ricorda c’è una regola non rispettata, che si è accettato di rispettare, si ribella. La caratteristica comune è che hanno finanza “allegra” sia sotto il punto di vista del Debito che dal punto di vista della Spesa. L’Italia ha però il Saldo primario (Bilancio del settore pubblico allargato “Entrate – Uscite” ante Interessi sul debito) in positivo.

Saltano le banche europee – Interventi pubblici con un po’ di ritardo. Nel frattempo, il mercato cominciano a rosicchiare il debito pubblico dei paesi deboli: lo spread con il paese forte (GER) si allarga (ci sono stati periodi con spread con qualche punto percentuale). Il messaggio del mercato è: i singoli investitori annusano il rischio e cambiano investimenti, come logicamente ha senso. [Intervento a salvataggio della Grecia per salvare le Banche Francesi] Secondo Punto: La crisi delle banche all’interno dell’Europa, non essendoci un singolo Stato, è stata gestita dai singoli Stati, dalle singole Autorità monetarie (in questo caso unica, BCE) e dalle singole autorità di vigilanza. L’intervento della politica monetaria è stata di creare la situazione di massima liquidità di modo che nessuno fosse corte, allentando le regole: allentando il rigore delle carte da presentare in BCE. Però poi i salvataggi e la vigilanza non dipendeva dalla BCE, ma dai singoli Stati. E qui si è verificato che nei casi di salvataggi di gruppi bancari i singoli stati salvavano solo i pezzi di gruppo nel loro stato. Grande caso quello del Benelux dove i gruppi erano molto intrecciati tra loro: si è vista che lo stato della capogruppo si disinteressava di quello che succedeva alle banche del gruppo fuori dallo stato. In altri casi lo stato ha salvato banche di gruppi esteri situate nel loro stato perché importanti per lo Stato. È il importante perché il modello dell’Unione Europea è fondato sul mercato unico e dell’Home Country Control: l’Autorità di Vigilanza dello Stato della Capogruppo è la principale responsabile per tutto il Gruppo, coadiuvata dalle singole Autorità degli altri stati dove il Gruppo opera. Quello che si è visto che in un contesto di stress e di una molteplicità non unitaria di stati il modello non regge, mentre funziona negli Stati Uniti. Quindi due conseguenze: - Globale, che riguarda tutto l’impianto di Basilea valido in tutto il mondo. L’impianto di Basilea era da aggiornare/modificare perché non si ripeta la situazione.

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Una conseguenza che si sovrappone per il mercato Europeo: l’idea dell’Home country control si è sciolta da sola, ogni stato ha pensato a sé. L’idea di mercato unico bancario esiste solo quando le cose vanno bene. Quindi altro problema da risolvere a livello europeo, che si va a sovrapporre con la situazione di alcuni stati europei che “zoppicano” (la Grecia). Due profili problematici quindi a livello Europa: criticità dell’assetto degli equilibri bancari, criticità dell’assetto sulla stabilità del sistema Europa dove non si capisce se c’è un vincolo di solidarietà tra stati o meno, se uno stato può fallire o meno. I due piani del discorso (globale ed europeo) sono sovrapposti sul punto di vista temporale e innescati dallo stesso fattore della crisi 2007. 2007: scoppia la crisi + quasi completata l’attuazione di Basilea 2 = ci si rende conto che qualcosa non funziona. Salta tutto e Basilea2 doveva garantire che non saltasse anche se non aveva mai approcciato uno schema sistemico, bensì individuale. L’idea era che se le erano sane, non c’era problema (quindi togliamo quelle non sane dal mercato, impedendo di andare all’estero quelle non sane e affidarle all’Autorità del paese). [Questa crisi bancaria, che in Italia abbiamo risentito dopo (la causa della crisi è stata l’economia reale in bolla a causa del sostentamento delle banche). Le connessioni tra finanza e poteri (il rapporto tra Cina e USA è che gli americani hanno un deficit comprato dai cinesi, con l’asimmetria che la Cina non ha gli strumenti per escutere il debito).]

Cosa è successo dopo la presa d’atto che l’impalcatura di Basilea 2 non stava in piedi: si è iniziato a lavorare su più fronti, a un intervento tampone sull’esistente Basilea 2 (revisione che ha preso il nome di Basilea 2.5) e contemporaneamente a lavorare a una revisione profonda verso Basilea 3. Basilea 2.5 interviene con piccole messe a punto su tutto quello che era Basilea 2, su tutti e 3 i pilastri. Primo Pilastro: irrigidisce il patrimonio di vigilanza, irrigidisce il sistema di pesatura dei rischi, introduce (solo a fini conoscitivi) una serie di indicatori (non assorbono patrimonio) riguardo un profilo mai considerato: il profilo di liquidità (visto il problema di liquidità dall’interbancario). In generale, introduce un’idea di rendere il tutto dinamico e prospettico adottando come filosofia il principio dello stress (andare a prefigurare degli scenari e valutare gli impatti sulla banca per vedere se può sopravvivere a scenari avversi). Secondo Pilastro: anche qui si sono implementati meglio dei passaggi, in particolare i profili di responsabilità/governance/controlli, rafforzate pesantemente le procedure ICAAP, una migliore specificazione dei rischi con anche un tentativo di inquadrare il rischio reputazionale (che restava nell’autovalutazione) rischi operativi + tutto il monitoraggio in generale che comincia ad esserci sul settore della liquidità (su Basilea 3 avremo il monitoraggio sulla liquidità che può richiedere oltre certi parametri richiedere assorbimenti di patrimonio) Terzo Pilastro: introduce qualche ulteriore elemento. Vengono specificate meglio le responsabilità, l’esposizione della banca nei confronti della Securitization sulle cartolarizzazioni; vengono specificate meglio le responsabilità nei confronti della operazioni fuori bilancio e più in generale tutte le esposizioni meno visibili a rischi connessi dall’attività bancaria (aggiungo tabelle o informazioni ad alcune tabelle). Quindi chi lavora con la banca ha ulteriori informazioni. Basilea 3 (ha riscritto quasi tutto, ha tenuto solo la filosofia) La prima novità di Basilea 3 è che adesso abbiamo diversi livelli di patrimonio: 1) Common Capital che è costituito da quelle definite come “componenti di base”, solo quello derivate da capitale sociale e da ritenzione di utili (Tutte le altre tipologie non vanno nel Common Capital). 2) Tier Capital 1 che è, con qualche modifiche, il vecchio Capitale di Base. (Livello intermedio) 3) Tier Capital 2 che è, con piccole differenze, il Capitale Supplementare. Con Basilea 3 viene abolito il capitale supplementare in eccesso. Non si considera più. Per le voci di Capital Tier 1/2 che rispetto a Basilea 2 non ci sono più si prevede che cessino di essere computate entro 10 anni dalla partenza formale 01/01/2013 (c’è un passaggio quasi morbido per quanto riguarda la struttura del capitale). Noi avevamo con Basilea l’8% (PdV/Attivo ponderato per il Rischio). Con Basilea 2.5 si viene a creare una duplicazione: un primo requisito sul TIER1 del 4% e su tutto il resto dell’8%. Con Basilea 3 abbiamo 3 soglie Minimo Common Equity Capital Ratio: Common capital/attivo ponderato per il rischio dal 3,5% - 4% - 4,5% (2013/14/15). 4,5% a regime. (Più alto del Tier 1 di Basilea 2.5) Basilea 3 introduce un Buffer obbligatorio (Capital Conservation Buffer): a regime nel 2019 deve essere del 2,5% - Con la disciplina transitoria si attiva nel 2016 con il 0.625, 2017 1.25, 2018 1,875 e 2019 2,50. Per cui il vero Common Equity + Conservation è la somma del 4,5 e 2,5 è il 7%. [C’è una disciplina transitoria per le deduzioni dal PdV che andrà a regime nel 2018 (si parte da 20% al 100%)] Minimum Tier1 Capital: Tier 1 / Attivo ponderato per il rischio. [A regime è il 2016 al 6% (4,50 2013; 5,50 2014; 2015 6,00).. (Livello Intermedio)] - Minimum Total Capital: Tier1+Tier2 / Attivo ponderato per il rischio. Minimo 8% Ma sia per la soglia intermedia che per quella finale c’è il Conservation Buffer del 2,5%. [Quindi si passa a Common 7%, Soglia intermedia a 8,5% e 10,5% nella soglia finale.]

È prevista la possibilità per le Autorità nazionali di attivare un secondo Buffer, il “Buffer anticiclico” del 2,5%. Una delle accuse fatte a Basilea da sempre è stata che era pro ciclica, ovvero di attivarsi quando l’economia andava male, le banche perdevano soldi ed erano obbligate a immettere denaro. Si era pensato di muoversi quindi anticiclici: mettere capitale quando il ciclo è positivo. È nei confronti di tutte le banche nello stesso momento. È un buffer discrezionale sia come attivazione, sia come entità pur restando nel massimo del 2,5% che l’autorità può attivare per tutto il sistema quando l’economia va bene. Terzo Buffer, che contiene notevoli elementi di discrezionalità, dedicato alle banche sistemiche (ormai tutte in carico alla BCE). Non è automatico, non è uniforme e quindi la BCE può applicarlo banca per banca, sempre con una logica di proporzionalità ed è sufficiente la comunicazione alla singola banca. Però deve tenere conto soprattutto della situazione soggettiva della singola banca. Per cui alle semi fallite banche venete si è richiesto di aumentare il capitale tenendo conto del profilo di rischio.

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Tutto questo è il vecchio requisito patrimoniale aggiustato per il rischio di credito. Poi sono stati rivisti i rischi di mercato e i rischi operativi. Ma c’è una novità: è stato introdotto un nuovo coefficiente, che paradossalmente esisteva in IT fino alla fine degli anni 90, non previsto da Basilea, ma dalle norme italiane. Leverage Ratio. Per le banche non c’è praticamente limite alla leva, molto spesso vengono classificate per quella. L’idea di mettere un tetto massimo era stata scartata all’inizio perché non ritenuto problema a differenza della solvibilità: all’aumento della massa critica aumentava una sorta di auto assicurazione, più grande è più solida è (Da cui è nato il:”Too big too fail” nel senso che è troppo grande da far fallire, per i rischi che potrebbe comportare ala sistema). È un requisito di capitale, si affianca agli altri 3 (Cooke, mercato e operativo) ma è un requisito che sostanzialmente viene attivato a termine, per cui dal 2013 fino al 2017 compreso è una sorta di requisito di capitale parallelo perché non assorbe patrimonio (è una sperimentazione che nella logica di 3 pilastri sarebbe un parallelo del secondo). Dal 2018 passa dal 2° al 1° pilastro, quindi comincia ad assorbire. Ma in realtà il meccanismo del Lev Ration non ha la stessa logica: la formula non dà l’assorbimento, mi dà un vincolo da non superare. Indica il limite superato il quale ottengo la sanzione dell’assorbimento di capitale (vengono dati dei limiti temporali entro i quali rientrare) Calcolato: Tier 1 + Tier2 / Totale Attivo non ponderato per il rischio. Soglia ancora in via di definizione.

15_03_2017 Nuovo requisito di liquidità. Perché vengono introdotti i requisiti di liquidità. Perché lo shock posto crisi ha sostanzialmente distrutto il mercato interbancario. Il che vuol dire che le banche in surplus lo reindirizzavano in BC; le banche in deficit non trovavano liquidità e si rivolgevano alla BC per ottenere finanziamenti. La crisi della liquidità del sistema bancario è stata una crisi asimmetrica: ha colpito in modo diverso i diversi paesi e i diversi settori bancari. L’italia è storicamente un paese dal grande risparmio, con la situazione netta delle famiglie migliore al mondo (hanno uno stock di ricchezza molto alto e uno stock netto di indebitamento molto basso), anche più alto della Germania. Lo stereotipo è: famiglie ricche, debito pubblico elevato. Per cui la Germania tante volte si lamenta perché l’Italia ha le famiglie più ricche. In questo contesto in un paese dove ci sono enormi disponibilità di ricchezza delle famiglie (che sono prevalentemente le unità in surplus del circuito finanziario). Il nostro paese aveva generalmente un sistema bancario strutturato sotto diversi profili (area territoriale, dimensioni delle banche, ecc) dimensionato in modo tale che c’erano delle banche strutturalmente prenditrici di fondi sull’interbancario e altre banche strutturalmente datrici di fondi. (Di solito le banche più grandi erano prenditrici e quelle piccole o del Sud erano datrici di fondi. Questa situazione era strutturale.) Con il subentro dell’€ siamo passati da un mercato interbancario Lira a uno Euro, dove hanno cominciato a partecipare tutte le banche dell’Euro. Quello italiano era quello più sofisticato, perché avevano investito (molto prima degli altri paesi) sulle piattaforme di negoziazione tra le banche. Questo ha comportato che all’inizio dell’€ di fatto alcune piattaforme tecnologiche italiane sono diventate quelle dell’€. Una buona fetta dell’Interbancario nella zona EU hanno iniziato a girare sulle piattaforme pensate per la Lira. Quindi due aspetti: - Continuità con le procedure italiane preesistenti; - Dimensione del mercato che si espande a tutto il territorio dell’€. I più grandi gruppi bancari ogni tanto venivano in Italia a creare dei rami non tanto per fare banca, ma per svolgere una serie di funzioni riconducibili alla gestione del risparmio. Perché sul mercato europeo l’Italia è sempre sembrata un “pozzo senza fondo” del risparmio. Con l’ingresso nell’€ dell’Italia c’è stata una rivoluzione sui tassi, fondamentale per il debito pubblico che ha consentito di diminuirne il costo, ma anche nell’interbancario si è passati a tassi bassi; si è cominciato a lavorare con forbici denaro-lettera meno allettanti e ci si è confrontati con le condizioni degli altri paesi. Si è riscontrato anche in Europa si hanno diverse condizioni economiche per raccolta e impieghi. In certe zone le banche trovano condizioni economiche diverse: la creazione dell’€ non ha livellato le condizioni economiche. Con l’inizio della crisi, ma anche forse qualcosa prima, le condizioni dell’interbancario erano tali che per Basis Points (per centesimi di punto di interesse) c’erano delle differenze nel mercato interno all’€ e a un certo punto probabilmente a causa del fardello del debito pubblico italiano il mercato della provvista in Italia appare più competitivo (dovuto alla presenza dello Stato che concorre nel richiedere denaro) e quindi i tassi sulla provvista sono più alti. Questo, a lungo andare, ha comportato una metamorfosi strisciante non percepita, per cui molte banche italiane hanno cominciato a fare provvista nell’interbancario fuori dall’Italia, dove costava di meno. Questo ha portato a una situazione in cui il saldo complessivo sull’interbancario del sistema bancario italiano è diventata negativa. Il sistema bancario italiano si è indebitato verso l’estero perché costava di meno sull’interno e sull’interno probabilmente invece che fare raccolta attraverso depositi spingevano per vendere attività mobiliari e prendere commissioni. Nel completo caos che si è venuto a creare con la crisi, molte banche italiane anche non grandi si trovavano a debito con l’interbancario. Sgonfiandosi l’interbancario è venuto il problema di dover rientrare: - trovando liquidità fuori; - trasformando attività in liquidità Surrettiziamente alcune banche hanno attuato delle politiche di ricomposizione della raccolta tra diretta e indiretta, portando chi aveva investito orientarsi sui depositi. Comportamento scorretto nel senso della best execution. Le più importanti banche centrali hanno allentato tutti i criteri quantitativi di controllo della quantità moneta, inondando il mercato di moneta sia con politiche classiche sia con un finanziamento quasi incondizionato alle banche. In un primo momento è stato solo una partita di giro: i

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soldi prestati alle banche venivano riparcheggiati in BCE per avere una riserva di liquidità. Nulla veniva trasmesso all’economia per creare un presupposto per la crescita dei prezzi. Nell’andare a studiare Basilea 3 ci si è posti il problema di capire se ed eventualmente in che modo introdurre qualche vincolo non per quanto attiene alla solvibilità, ma la capacità di fare fronte agli impegni di liquidità. * Profilo di liquidità che da metà anni ’80 non era più nemmeno oggetto di studio (era scomparso dalla letteratura). Fino a metà anni ’80 era un argomento importante perché le banche trasformando le scadenze avevano il rischio di essere corte. Poi lo sviluppo molto molto forte dell’interbancario sembrava avere risolto il problema, anche nella concezione dei banchieri, degli studiosi e delle Autorità sembrava che il problema della liquidità non fosse un problema, ma ci potessero essere dei problemi di singole banche che non riuscivano a raccogliere liquidità in quanto con problemi di solvibilità. Ma in generale l’interbancario garantiva una gestione abbastanza efficiente e senza vincoli di quantità. E quindi sembrava che non ci fosse il problema della liquidità per quelli sani, ma solo per i singoli istituti privi di solvibilità. Quindi il problema era togliere dal mercato i non solvibili e sostenere i non liquidi tramite l’interbancario se solvibile. Problema però e capire se dietro un problema di liquidità è dovuto o meno dalla solvibilità o dalla programmazione errata dei flussi di cassa. È un problema molto delicato per il prestatore di ultima istanza.

Chi dovrebbe garantire che la solvibilità c’è? L’Autorità di Vigilanza. Con l’Unione bancaria, è evidente che la BCE ha formalmente i due compiti decisioni di vigilanza e politica monetaria. A livello di struttura decisionale poi ci sono due organi distinti. Cosa si può fare per cercare di garantire in una logica prudenziale per garantire un equilibrio di liquidità delle banche? Hanno introdotto due coefficienti prudenziali di liquidità, comparabili a quelli di solvibilità: - Liquidity Coverage Ratio, LCR: la % di copertura viene fissata al 60% - 2015; 70% - 2016; 80% - 2017; 90% - 2018; 100% 2019. (già completamente operativo dal 2015, andrà a completo regime dal 2019, in fase di studio una qualche ipotesi di revision) - Net Stable Funding Ratio: elaborato, ma non ancora vincolante. L’idea è che dal 2018 sarà un requisito minimo standard. Entro fine 2017 dovrebbe essere dichiarato il peso. Sono due strumenti completamente diversi. Il NSFR ha lo scopo di evidenziare la resilienza a più lungo termine fornendo alle banche maggiori incentivi a finanziare la loro attività attingendo su base strutturale a fondi di provvista più stabili. Scopo: rendere più vantaggioso il finanziarsi con provvista con bassa volatilità [Obbligazioni a Duration media alta; Depositi: vincoli un po’ più rigidi per attuare il prelievo prima della scadenza o con inammissibilità di superamento del vincolo di scadenza). È evidente che i depositi a vista possano essere oggetto di questa politica, ma quello che può esserlo è la dinamica dei depositi a vista. Perché sappiamo che i depositi a vista sono più stabili di quelli a tempo: i depositi a tempo sono molto sensibili ai tassi di interesse, mentre una parte dei depositi a tempo è insensibile ai tassi di interesse. Posso agire sulla flessibilità della raccolta]

Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria – Basilea 3 Liquidity Coverage Ratio e gli strumenti di monitoraggio del rischio di liquidità 2. Durante la prima fase della crisi finanziaria iniziata nel 2007 molte banche, nonostante gli adeguati livelli patrimoniali, sono andate incontro a problemi per non aver gestito in maniera prudente la liquidità. La crisi ha messo in risalto l’importanza di questo aspetto per il corretto funzionamento dei mercati finanziari e del settore bancario. Alla vigilia della crisi i mercati delle attività si caratterizzavano per un elevato dinamismo e per la pronta disponibilità di finanziamenti a basso costo. Il repentino mutamento delle condizioni di mercato ha mostrato la rapidità con cui la liquidità può evaporare ed evidenziato che le situazioni di illiquidità possono protrarsi a lungo [Elemento importante: ci può essere una situazione breve, mentre con la crisi il mercato della liquidità non è ripartito a lungo]. Nel sistema bancario sono emerse gravi tensioni, che hanno richiesto l’intervento delle banche centrali a sostegno sia del funzionamento dei mercati monetari sia, in taluni casi, di singole istituzioni. [Questo documento parla della situazione mondo, non dei singoli stati] 3. Le difficoltà incontrate da alcune banche sono imputabili al mancato rispetto dei principi basilari di gestione del rischio di liquidità [Questi principi non si rifacevano alla regolamentazione, si rifacevano solamente alla dottrina. Perché la regolamentazione e la Vigilanza se ne erano disinteressati. Quindi erano principi di una corretta gestione aziendale. Non esiste un codice che ce li dice, sono la sintesi della prassi internazionale] Alla luce di ciò, nel 2008 il Comitato ha pubblicato, a

fondamento dello schema di regolamentazione per la gestione della liquidità, il documento Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision (“Sound Principles”)2. Esso definisce linee guida dettagliate per la gestione e la supervisione del rischio di provvista della liquidità (rischio di funding) e dovrebbe contribuire a promuovere una migliore gestione del rischio in questo importante ambito, ma solo a condizione di una piena attuazione da parte delle banche e delle autorità di vigilanza. Per questo motivo il Comitato continuerà a seguire con attenzione il processo di attuazione da parte delle autorità di vigilanza, al fine di garantire che le banche ottemperino ai principi fondamentali. 4. A integrazione di questi principi il Comitato ha ulteriormente rafforzato la regolamentazione della liquidità elaborando due requisiti quantitativi minimi per il rischio di liquidità. Le nuove regole sono state sviluppate per conseguire due obiettivi distinti ma complementari. Il primo è rafforzare la resilienza a breve termine del profilo di rischio di liquidità delle banche assicurando che esse dispongano di sufficienti HQLA per superare una situazione di stress acuto della durata di un mese. A tal fine il Comitato ha elaborato l’indicatore di breve termine o Liquidity Coverage Ratio (LCR). Il secondo obiettivo è favorire la resilienza a più lungo termine fornendo alle banche maggiori incentivi a finanziare la loro attività attingendo su base strutturale a fonti di provvista più stabili. A questo scopo l’LCR è integrato dall’indicatore strutturale o Net Stable Funding Ratio (NSFR), non trattato in questo documento, che ha un orizzonte temporale di un anno. L’NSFR è stato elaborato per garantire che attività e passività presentino una struttura per scadenze sostenibile. 5. I due requisiti si basano principalmente su specifici parametri di rischio prudenziali, “armonizzati” a livello internazionale in maniera prescrittiva. Alcuni parametri, tuttavia, contemplano elementi soggetti alla discrezionalità delle autorità nazionali per riflettere la situazione specifica delle singole giurisdizioni. In tali casi i parametri dovrebbero essere trasparenti e chiaramente delineati nella regolamentazione di ciascuna giurisdizione onde assicurare chiarezza sia all’interno della giurisdizione stessa sia a livello internazionale. 6. Va sottolineato che l’LCR stabilisce un livello minimo di liquidità per le banche che operano a livello internazionale. Ci si attende che le banche soddisfino tale requisito, e si attengano altresì ai Sound Principles. Analogamente a quanto disposto dal Comitato in materia di adeguatezza patrimoniale, le autorità nazionali hanno la facoltà di imporre livelli minimi di liquidità più elevati. In particolare, esse dovrebbero tenere presente che le ipotesi su cui si basa l’LCR potrebbero riflettere solo parzialmente le condizioni di mercato o i periodi di tensione effettivi. Le autorità di vigilanza sono pertanto libere di prescrivere livelli addizionali di liquidità qualora ritengano che l’LCR non rispecchi adeguatamente i rischi di liquidità in cui incorrono le banche di loro competenza. [Concetto di Buffer. Questi buffer devono essere uguali per tutti o diversi per singola banca? Non viene ben definito]

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7. Considerato che l’LCR non è da solo sufficiente a misurare tutte le dimensioni del profilo di liquidità di una banca, il Comitato ha predisposto anche una serie di strumenti di monitoraggio al fine di rafforzare e promuovere ulteriormente la coerenza a livello mondiale nella vigilanza sul rischio di liquidità. Tali strumenti servono da complemento all’LCR e vanno utilizzati per il regolare monitoraggio delle esposizioni delle banche al rischio di liquidità e per la comunicazione di tali esposizioni tra autorità di vigilanza del paese di origine e del paese ospitante. 8. Il Comitato introduce disposizioni transitorie volte a far sì che il settore bancario possa recepire gradualmente l’LCR mediante provvedimenti ragionevoli, sostenendo al contempo l’erogazione di credito all’economia. [Attuazione graduale. Rispetto alla prima bozza del 2010, quella approvata nel 2013 ha subito aggiustamenti non banali] 12. Il Comitato sta attualmente vagliando l’NSFR, che rimane sottoposto a un periodo di osservazione, nonché a un riesame volto a evitare

conseguenze indesiderate. Resta intenzione del Comitato introdurre l’NSFR, comprese le eventuali modifiche, come requisito minimo entro il 1° gennaio 2018

L’LCR si basa sull’idea che le banche posseggano uno stock di disponibilità (diverso dal concetto di attività, nella disponibilità abbiamo cose che non sono nell’attivo. Ad esempio linee di credito disponibili, finché non la uso non è un’attività). Si basa sull’idea di andare a vedere quanto High Quality Liquidity Asset è disponibile, con la caratteristica di essere liquide o trasformabili in liquidità (cassa, in ultima analisi) su un orizzonte temporale massimo di 30gg. [30gg sono un profilo di liquidità rilevante, oltre il quale il problema comincia a diventare strutturale. Termine usato per convenzione] Va confrontato con lo stock di deflussi di cassa. Devo avere uno stock di attività liquidabili a 30gg che vada a coprirmi 30gg di deflussi di cassa. Flussi di cassa sotto stress di liquidità = se dovesse accadere che l’interbancario salta di nuovo, bisogna essere in grado di sopravvivere per almeno 30gg. Bisogna vedere tutti i flussi di cassa stressati per vedere quelli che sono realistici come entrate e necessari come uscite (Quelli che vanno a scadenza), mentre quelli che vado a ricevere possono essere quelli non rispettati dalla controparte se non ha certe caratteristiche di qualità. La capacità di resistere va dimostrata in via preventiva. Qui stiamo parlando di esame microeconomico a livello di gruppo singolo. Questi non sono provvedimenti di livello sistemico, anche se poi per le banche sistemiche possono prevedere ulteriori appesentimenti. La Vigilanza Bancaria e sostanzialmente la regolamentazione bancaria sono sempre di stampo micro prudenziale e coinvolgono l’Autorità di vigilanza. Mentre a un livello superiore, che comprende anche i comparti assicurativo e mobiliare, abbiamo gli strumenti macro prudenziali dove abbiamo come prima autorità il prestatore di ultima istanza. Perché è l’unico attore in grado di sbloccare una situazione di crisi sistemica stampando moneta.

I. Obiettivo dell’LCR e uso delle HQLA 16.

Il presente requisito mira ad assicurare che una banca mantenga uno stock adeguato di HQLA non vincolate [es. quelle mandate in BCE per avere un finanziamento], composto da contanti o da attività che possano essere convertite in contanti nei mercati privati con una perdita di valore modesta o nulla, per soddisfare il suo fabbisogno di liquidità nell’arco di 30 giorni di calendario in uno scenario di stress di liquidità. Lo stock di HQLA non vincolate dovrebbe come minimo consentire alla banca di sopravvivere fino al 30° giorno dello scenario, entro il quale si presuppone che possano essere intraprese appropriate azioni correttive da parte degli organi aziendali e delle autorità di vigilanza, oppure che la banca possa essere sottoposta a un’ordinata liquidazione. Esso fornisce inoltre alla banca centrale, qualora lo ritenga opportuno, tempo sufficiente per adottare i provvedimenti del caso. Come rilevato nei Sound Principles, data la tempistica incerta di afflussi e deflussi, ci si attende parimenti che le banche tengano conto di potenziali disallineamenti nell’arco del periodo di 30 giorni e assicurino che siano disponibili HLQA in quantità sufficiente a soddisfare eventuali scompensi di cassa per l’intero periodo. 17. L’LCR si rifà alle metodologie tradizionali di “indice di copertura” della liquidità utilizzate internamente dalle banche per valutare l’esposizione a eventi di liquidità aleatori. Il totale dei deflussi di cassa netti nel caso dell’LCR va calcolato per un orizzonte futuro di 30 giorni di calendario. Il requisito prevede che, in assenza di tensioni finanziarie, il valore del rapporto non sia inferiore al 100%4 (vale a dire che lo stock di HQLA sia quantomeno pari al totale dei deflussi di cassa netti), e ciò nel continuo poiché lo stock di HQLA non vincolate intende costituire una difesa contro l’eventualità di tensioni per la liquidità. Durante i periodi di tensione finanziaria, tuttavia, le banche avranno la facoltà di attingere allo stock di HQLA, portando così il rapporto al disotto del 100%, dal momento che in siffatte circostanze il mantenimento dell’LCR al 100% potrebbe avere indebite ripercussioni negative sulla banca e sugli altri operatori di mercato. Le autorità di vigilanza valuteranno successivamente la situazione e adegueranno in maniera flessibile la propria risposta a seconda delle circostanze. 18. In particolare, le decisioni delle autorità di vigilanza riguardo all’uso delle HQLA da parte di una banca dovrebbero essere improntate all’obiettivo principale e alla definizione dell’LCR. In sede di valutazione, le autorità di vigilanza dovranno esercitare la propria capacità di giudizio basandosi non soltanto sulle condizioni macrofinanziarie prevalenti, ma anche su valutazioni prospettiche delle condizioni macroeconomiche e finanziarie. Nel determinare una risposta, esse dovrebbero essere consapevoli del fatto che alcune azioni potrebbero risultare procicliche se applicate in circostanze di diffusa tensione nei mercati. Le autorità di vigilanza dovrebbero cercare di tenere conto di queste considerazioni in maniera coerente, a prescindere dalle giurisdizioni. a) Le autorità di vigilanza dovrebbero valutare tempestivamente le condizioni, e all’occorrenza prendere provvedimenti per far fronte al potenziale rischio di liquidità. b) Le autorità di vigilanza dovrebbero contemplare la possibilità di rispondere in maniera differenziata ai singoli casi in cui l’LCR scende al disotto del 100%. Le risposte prudenziali dovrebbero essere proporzionate alle cause, all’entità, alla durata e alla frequenza della carenza segnalata. c) Nel determinare la risposta adeguata, le autorità di vigilanza dovrebbero prendere in considerazione vari fattori specifici alla singola azienda e al mercato, nonché altri fattori collegati all’assetto e alle condizioni nazionali e internazionali. Tra i fattori da considerare figurano, fra gli altri: Nel momento in cui scatta il problema di liquidità e va sotto il 100% interviene l’autorità di Vigilanza. Per andare sotto occorre uno scambio con l’Autorità che certifichi che ci sia un problema di liquidità. 19. Lo scenario per questo requisito simula la combinazione di uno shock idiosincratico e di mercato che comporti: a) il prelievo di una quota di depositi al dettaglio; b) una parziale perdita della capacità di raccolta all’ingrosso non garantita; c) una parziale perdita della provvista garantita a breve termine relativamente a determinate garanzie e controparti; d) deflussi contrattuali aggiuntivi che discenderebbero da un declassamento fino a tre gradi (notch) del rating creditizio pubblico della banca, tra cui la costituzione obbligatoria di garanzie; e) un aumento delle volatilità di mercato che influisca sulla qualità delle garanzie o sulla potenziale esposizione futura collegata alle posizioni in derivati, e richieda quindi scarti di garanzia (haircut) più ampi o garanzie aggiuntive, oppure induca un fabbisogno di liquidità di altra natura; f) utilizzi imprevisti di linee di liquidità e di credito irrevocabili non ancora

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utilizzate che la banca ha messo a disposizione dei clienti; g) la potenziale necessità per la banca di riacquistare titoli di debito o di onorare obblighi extracontrattuali allo scopo di attenuare il rischio di reputazione. 20. In sintesi, molti degli shock verificatisi durante la crisi iniziata nel 2007 sono incorporati in un unico scenario di stress significativo nel quale una banca dovrebbe avere a disposizione liquidità sufficiente per resistere fino a 30 giorni di calendario. 21. Questa prova di stress andrebbe considerata come un requisito prudenziale minimo per le banche. Ci si attende che le banche conducano dal canto loro prove di stress volte a valutare il livello di liquidità da detenere oltre il livello minimo, e costruiscano opportuni scenari in grado di simulare difficoltà per la specifica attività svolta. Tali prove di stress interne dovrebbero prevedere orizzonti temporali più lunghi di quello contemplato dal presente standard. Ci si attende inoltre che le banche comunichino alle autorità di vigilanza i risultati delle prove di stress aggiuntive. 22. L’LCR consta di due elementi: a) il valore dello stock di HQLA in condizioni di stress; b) il totale dei deflussi di cassa netti, calcolato secondo i parametri di scenario delineati di seguito.

1. Caratteristiche delle HQLA 24. Le attività sono considerate liquide e di elevata qualità se possono essere convertite in contanti in modo facile e immediato con una perdita di valore modesta o nulla. La liquidità di un’attività dipende dallo scenario di stress sottostante, dal volume da smobilizzare e dall’arco temporale considerato. Nondimeno, vi sono talune attività che anche in periodi di stress hanno maggiori probabilità di generare fondi nei mercati per la vendita o per le operazioni pronti contro termine (PcT) senza subire sconti ingenti dovuti a vendite forzate. La presente sezione illustra i fattori utili a stabilire se si possa fare affidamento sul mercato di un’attività per ottenere liquidità nel contesto di possibili tensioni. Tali fattori dovrebbero aiutare le autorità di vigilanza a stabilire quali attività non abbiano liquidità sufficiente nei mercati privati e non possano quindi far parte dello stock di HQLA, pur soddisfacendo tutti i criteri enunciati nei paragrafi 49-54. (i) Caratteristiche fondamentali • Basso rischio – Le attività meno rischiose tendono a essere più liquide. Un’elevata affidabilità creditizia dell’emittente e un basso grado di subordinazione accrescono la liquidità di un’attività. Una duration breve, un livello contenuto di rischio legale e di rischio di inflazione, e la denominazione in una valuta convertibile a basso rischio di cambio sono tutti fattori che migliorano la liquidità di un’attività. • Facilità e certezza della valutazione – La liquidità di un’attività aumenta se vi sono maggiori probabilità che gli operatori di mercato siano concordi nel valutarla. Le attività che presentano una struttura più standardizzata, omogenea e semplice risultano generalmente più fungibili, a beneficio della liquidità. La formula per la determinazione del prezzo di un’attività liquida di elevata qualità deve essere semplice da calcolare e non dipendere da ipotesi restrittive. Inoltre, gli input del calcolo devono essere pubblicamente disponibili. Questa condizione dovrebbe in pratica escludere la maggior parte dei prodotti strutturati o esotici. • Scarsa correlazione con attività rischiose – Lo stock di HQLA non deve essere soggetto al rischio di (elevata) correlazione avversa (wrong-way risk). Ad esempio, le attività emesse da istituzioni finanziarie hanno maggiori probabilità di essere illiquide nei periodi di stress di liquidità per il settore bancario. • Quotazione in mercati sviluppati e ufficiali: la quotazione di un’attività ne aumenta la trasparenza. (ii) Caratteristiche connesse al mercato Mercato attivo e di grandi dimensioni – L’attività deve disporre in qualunque momento di mercati attivi per la vendita o per le operazioni pronti contro termine (PcT). A tal fine, occorre che vi siano: − evidenze storiche dell’ampiezza del mercato e del suo spessore, come ad esempio un differenziale denaro-lettera contenuto, alti volumi di contrattazione e un numero elevato di operatori di mercato diversificati. La diversificazione degli operatori riduce la concentrazione del mercato e rende maggiormente affidabile la sua liquidità; − una solida infrastruttura di mercato. La presenza di molteplici market maker accresce la liquidità garantendo con tutta probabilità la disponibilità di quotazioni in acquisto e in vendita per le HQLA. Bassa volatilità – Le attività che presentano un prezzo relativamente stabile e una minore tendenza a registrare brusche flessioni di prezzo nel tempo avranno minore probabilità di innescare vendite forzate per il soddisfacimento dei requisiti di liquidità. La volatilità dei prezzi e dei differenziali negoziati rappresenta una semplice misura approssimativa della volatilità di mercato. Dovrebbero esservi evidenze storiche della relativa stabilità del mercato (ricavate ad esempio dai prezzi o dagli scarti di garanzia) e dei volumi trattati nei periodi di tensione. Fuga verso la qualità – Storicamente, negli episodi di crisi sistemica il mercato ha in genere dimostrato di preferire questi tipi di attività. A tale riguardo, una semplice misura utilizzabile è la correlazione fra le proxy della liquidità del mercato e delle tensioni nel sistema bancario. [Per andare sotto il 100% occorre avere l’autorizzazione dell’Autorità. L’uso di HQLA per motivi di crisi devono essere autorizzate dall’Autorità, che definisce quantità e modalità. I limiti all’utilizzo non sono codificati, sono discrezionali, ma seguono un principio: In sede di valutazione le autorità di Vigilanza devono esercitare la propria capacità di giudizio basandosi non soltanto sulla situazione macrofinanziare del contesto, ma anche tener conto delle valutazioni prospettica, economiche. Le autorità di vigilanza nel rispondere d]

20_03_2017 Unione Bancaria. Unione bancaria si basa su tre “gambe”: 1) SSM – Single Supervisory Mechanism  meccanismo unico di vigilanza  poteri di vigilanza. 2) Meccanismo di risoluzione. 3) Tutela dei depositanti  si doveva procedere alla creazione dell’unico fondo a livello europeo per la tutela dei depositanti ma non è stato ancora creato. Sono presenti solo quelli nazionali. Differenza fondi di risoluzione e fondo tutela depositi  fondo di risoluzione (seconda gamba)  fondo per attuare interventi sulle crisi bancarie. Fondo di tutela dei depositi  fondo che viene utilizzato quando la banca viene chiusa. Lettura: Guida alla vigilanza bancaria.

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La vigilanza bancaria a livello europeo si articola su due livelli  EBA che è l’Authority, ma che non ha funzioni operative  funzione di garantire il coordinamento delle diverse authority nazionali per problemi di vigilanza. Dal novembre 2014 con il trasferimento dei poteri di vigilanza dei paesi che adottano l’euro, siamo in una situazione a schema variabile  EBA ha rapporti con le authority nazionali dei paesi non moneta euro, e BCE ha rapporti con l’unione monetaria. Authority nazionali che adottano l’euro sono integrate nel meccanismo di vigilanza dell’UE e quindi vi è un problema di cooperazione tra singole authority nazionali e BCE. EBA coordina, ma operativamente operano le singole autorità nazionali per i paesi che non adottano l’euro, mentre BCE opera per i paesi con l’euro. Competenze BCE in tema di vigilanza  BCE preesistente all’unione bancaria già svolgeva la politica monetaria per i paesi dell’euro  una volta istituita il potere di vigilanza, è stato deciso che questa va alla BCE ma in gestione separata rispetto alle altre attività. Compiti principali della vigilanza della BCE  vigilanza attuata non su tutte le banche. Core della vigilanza  vigilanza prudenziale  sul capitale (Basilea 2 + leva finanziaria) e sulla liquidità (Basilea 3). Secondo compito della vigilanza della BCE è quella di individuare carenze in fase precoce  prima dell’accadimento delle problematiche  utilizzate gli indicatori di vigilanza prudenziale per valutare carenza (vengono utilizzati anche altri strumenti). Terzo compito della vigilanza è quello di assicurare che si intervenga per le situazioni in carenza in modo tale che non si intacchi la situazione finanziaria globale  individuata la carenza devono essere attuate delle situazioni per superarla. Se la carenza non viene superata, l’impostazione logica dell’UE attua il meccanismo di risoluzione  la gestione della crisi quindi non è di competenza della BCE. In astratto, è presente una zona “grigia” tra la terza fase della BCE e l’attività del meccanismo di risoluzione  è possibile una sovrapposizione dei due soggetti  percorso logico: se autorità di vigilanza arriva alla conclusione che le carenze non sono copribili con i suoi interventi, questa “passa la palla” al meccanismo di risoluzione. Nel caso in cui vi sia una certa indecisione se valutare l’irreversibilità o meno, se i due organismi non cooperano in maniera positiva, è possibile la nascita di un conflitto di interessi  BCE cerca di salvare la banca e nello stesso momento il meccanismo di risoluzione viene iniziato. Ulteriore problema  rapporto tra BCE e l’autorità nazionale  possono essere presenti delle criticità che in concreto sono state risolte con la regolamentazione. Quadro generale della vigilanza a livello europeo è formato da SSM che è il meccanismo complessivo di funzionamento che assorbe le regole, e poi è formato da BCE e le singole autorità nazionali che devono rispettare le regole attuate dagli organi europei e implementate e coordinate dall’EBA. Riferimenti giuridici nascita Unione Bancaria  è stata istituita da: - Regolamento del consiglio dell’UE che ha attribuito i compiti di vigilanza alla BCE. - Regolamento UE 2010 che ha istituito l’EBA  prima era presente la comitology  erano presenti 3 organizzazioni (una per le banche, per le assicurazioni e per i mercati) che avevano un ruolo di coordinare l’attività delle authority di vigilanza nazionali. Queste associazioni sono state chiuse e sono state fondate delle nuove authority  EBA è una di queste authority  salto formale molo importante perché si passa da un’associazione di authority, ad una singola authority, ma questa ha solo un ruolo di coordinamento e non ha un ruolo operativo. Problematiche derivanti dall’inizio dell’unione bancaria  BCE ha competenze di vigilanza dal novembre 2014 sugli stati che hanno adottato l’euro, mentre l’EBA ha potere su tutta l’unione europea. BCE ha il potere di poter emettere qualsiasi decisione all’interno dell’EBA perché maggioranza assoluta dell’assemblea è coperta dai membri della BCE  decisione assunta dall’EBA, che si chiama regolamento del diritto di voto dell’EBA, in base al quale la BCE non po' decidere da sola  maggioranze più alte del 51% in cui non porta il predominio della BCE. L’unione bancaria è stata costituita in modo tale che i paesi dell’euro possono entrarci di default  questo approccio si chiama cooperazione rafforzata  regole che valgono solo ad un nucleo di paesi. Cooperazione rafforzata dell’unione bancaria si fonde su una cooperazione rafforzata derivante dalla moneta euro  unione bancaria si fonde sull’euro. È presente un’asimmetria  per i paesi che hanno adottato l’euro è implicito far parte dell’unione bancaria, ma è previsto che per i paesi che non hanno l’euro hanno la possibilità di poter entrare nell’unione bancaria anche se non adottano l’euro. Se un paese non fa parte dell’euro, ma fa parte dell’unione bancaria, partecipa con diritto di voto alle attività di vigilanza  non partecipa all’assemblea di politica monetaria. Uscita dalla moneta euro  è reversibile  possibile solo se si esce dall’Europa. Uscita dell’unione bancaria  non è ben definita ma può essere attuata come per l’uscita dall’euro. Mentre per alcuni soggetti l’uscita dall’unione bancaria è libera. UE è un meccanismo di governance complessa che si basa su:

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Consiglio che è l’organo decisionale. Presente un Consiglio dei Capi e un Consiglio dei Ministri. Commissione Europea che presenta poteri esecutivi e di proposta ma senza poteri decisionali. Parlamento europeo che non ha ancora poteri, se non un potere di veto per alcune decisioni  parlamento non può modificarla. Nel caso di politica monetaria e di vigilanza, la commissione europea non ha alcuna competenza e quindi nessun potere  quindi sono presenti solo Consiglio, Parlamento europeo e BCE. Per regolare i rapporti sono stati definiti due accordi  con il consiglio è stato fatto l’accordo memorandum di intesa (tra consiglio e BCE) e con il Parlamento Europeo è stato fatto l’accordo inter-istituzionale (tra Parlamento e BCE)  tutte e due gli accordi hanno la finalità di regolare i rapporti con la BCE. Quindi per diversi aspetti sono presenti l’interazione di più soggetti. Vi sono delle connessioni nascoste con la Commissione e la BCE  in via diretta tramite proposte fatte dalla Commissione alla BCE, e in via indiretta tramite l’istruttoria degli aiuti di stato  aiuti di stato per il salvataggio delle banche richiede la votazione favorevole anche della Commissione. Quali sono i criteri per distinguere la competenza della BCE rispetto a quella dell’autorità nazionale  doppio criterio: 1) Peso relativo che individua una sorta di rischio sistemico nazionale. 2) Peso assoluto che discrimina in base alla grandezza. Peso relativo  nel caso in cui l’attivo di un gruppo bancario superi per dimensione il 20% del PIL nazionale, questa diventa sistematica e quindi diventa oggetto di vigilanza della BCE. Peso assoluto  nel caso in cui un gruppo bancario abbia un totale attivo che superi i 30mld di euro, questa è vigilata dalla BCE. Criteri, al momento dell’ingresso nell’Unione Bancaria, ha individuato 120 banche. Queste avevano l’85% degli attivi bancari dell’eurozona. Alle autorità nazionali sono rimaste le banche che non rientravano nei criteri  15% degli attivi e circa 3000 banche. Attuato un sistema coercitivo per aumentare la conglomerazione tra le piccole banche per diminuire quelle vigilate dall’autorità nazionale  esempio BCC  problema BCC  legge emanata da Stato Italiano in cui è richiesta l’aggregazione di un gruppo bancario che deve avere almeno 1mld di patrimonio  aggregazione deve essere attuata entro giungo  ora sono presenti i seguenti gruppi: gruppo ICREA, gruppo Cassa Centrale di Trento, gruppo Raifasen (casse rurali di Bolzano). ICREA è già vigilato da BCE, mentre Cassa Centrale di Trento sarà vigilata da BCE. Mentre Raifasen deve essere valutata. Secondo livello di competenze della vigilanza della BCE  quello che non rientra in questo elenco è di competenza delle authority nazionali  la vigilanza implica la conduzione di controlli periodici volte ad assicurare che le banche siano in grado di operare  questo include: 1) L’esame delle modalità delle concessioni di prestiti  BCE può sindacare i principi per concedere credito  BI non aveva questo potere  banche non ricevevano indicazioni su come operare il credito, ma ottenevano solamente dei divieti sull’operato  banche concedevano il credito come volevano. BCE ha delineato un criterio per concedere il credito, basato sull’analisi prospettica che tenga conto dei flussi di cassa dei 5 anni futuri. 2) Le modalità di acquisizione dei prestiti. 3) Le modalità di investimento. Sostanzialmente BCE definisce tutte le politiche dell’attivo. BCE ha attuato una serie di verifiche (stress test e altri controlli), con l’obiettivo di certificare lo stato delle banche al momento dell’entrata in vigore dell’unione bancaria  definire se alcuni problemi siano stati creati pre o post entrata in vigore dell’unione bancaria. Nella prima fase, la BCE partiva destrutturata rispetto alla vigilanza, e quindi presentava poche risorse per la vigilanza  forte cooperazione tra BCE e autorità di vigilanza nazionale. BCE ha la facoltà di concedere o ritirare le licenze bancarie  nell’unione bancaria la licenza bancaria la dà la BCE. Sanzioni alle banche sono di competenza della BCE. Le materie che non sono attribuite alla BCE, sono attuate dalle autorità nazionali  anche per le banche soggette a vigilanza dalla BCE. -

La Governance. È presente una divisione della governance, ma la BCE può portare a sé qualsiasi cosa  margini manovra delle autorità nazionali sono molto limitati. Le materie che non sono direttamente attribuite alla BCE, sono sottoposte alle autorità nazionali. Dato che organi della politica monetaria erano già presenti prima della nascita della vigilanza, la BCE quindi ha creato dei nuovi

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organi  creato il consiglio di vigilanza all’interno degli organi della BCE  tutti i compiti della vigilanza della BCE sono attribuiti al consiglio di vigilanza. Processo decisionale per il consiglio di vigilanza  processo va al consiglio direttivo della BCE  se il consiglio direttivo non modifica niente, la delibera assunta dal consiglio di vigilanza diventa esecutiva. Il consiglio direttivo può bloccare la delibera del consiglio di vigilanza e quest’ultima la deve modificare. Una volta modificata, questa torna al consiglio direttivo. Consiglio di vigilanza composto da: 1) Presidente. 2) Vice presidente. 3) 4 membri designati dalla BCE. 4) Un rappresentante per ciascuna autority nazionale di vigilanza. Per le autorità nazionali rimangono tutte le attività di vigilanza per le banche piccole, per i soggetti diversi dalle banche (intermediari finanziari non bancari), funzioni di vigilanza anche sulle banche che hanno una finalità non prudenzialead esempio: antiriciclaggio dovuta da denaro sporco derivante da attività illegali e da evasione fiscale; servizi di pagamento; vigilanza sulle banche extra-comunitarie che vogliono aprire in territorio nazionale. Tutte le regole in tema bancario è stata ricompresa in una direttiva europea  CRD-IV direttiva è la base di tutto l’ordinamento attuale, ed è stata recepita dal parlamento italiano agli inizi di luglio del 2015, con legge delega chiamata di recepimento della BRRB. Autorità di risoluzione nazionale è data dalla BI. 22_03_2017

IL PROCESSO ICAAP ICAAP E ILAAP. In linea con la disciplina prudenziale europea applicavile ai gruppi bancari, il contratto di coesione delle BCC attribuisce alla capogruppo il compito di dettare disposizione volte ad assicurare il rispetto degli istituti prudenziali a livello consolidato (requisiti di primo e secondo pilastro, buffers di capitale, grandi esposizioni, liquidità, leva finanziaria, finanziamento stabile, informativa al pubblico) nochè l’uniformità dei sistemi e delle metodologie di misurazione dei rischi ai fini regolamentari nell’intero gruppo. Allo scopo di assicurare la coerenze e l’attendibilità del processo di determinazione del campitale ocmplessivo adeguato (ICAAP) del gruppo, la capogrupppo svolge un ruolo di omogeniizzazione dei criteri e delle metodologie per la predisposizione dei documentoi ICAAP da parte delle singole BCC, tenendo conto del principio di proporzionalità e restando ferma la responabilità di ciascuna banca per il processo condotto a livello individale. Le stesse indicazioni valgono per il processo di gesitone del rischio di liquidità (ILAAP). BI ha obbligato le banche significanti di redarre il piano di risaanmento attraverso la direttiba BRRD  strategie di salvataggio dell banca, oppure strategie di risoluzione. Procedimento per la formulazione delle linee di indirizzo strategico rischio – rendimento  vengono valutati i rischi che sono stati assunti dalla banca, e poi vengono rapportati al documento ICAAP. RAF indica le fasi del processo e le diverse funzioni; RAS indica i quantitativi delle singole funzioni (rischiare fino a…). strategie valutate sulla base del rendimento dell’azienda e sulla base della liquidità. ICAAP, ILAAF, RAF e RAS rientrano nel primo pilastro dell’unione bancaria. In particolare: 1) Primo pilastro  Meccanismo Unico di Vigilanza (SSM), Autorità: BCE, Norme: CRR/CRD-IV. 2) Secondo pilastro  Meccanismo Unico di Gestione Crisi (SRM), Autorità: SRB, Norme: BRRD+SRM. 3) Terzo pilastro  Sistema armonizzato a tutela dei depositanti (DGSD), Autorità: Nazionale, Norme: DSGD. A regime, il terzo pilastro sarà così composto: Sistema armonizzato a tutela dei depositanti (EDIS), Autorità: SRB, Norme: EDIS+DSGD. ICAAP. La circolare 285/2013  La circolare 285/2013 raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale applicabili alle banche e ai gruppi bancari italiani, riviste e aggiornate per adeguare la normativa interna alle novità intervenute nel quadro regolamentare internazionale con particolare riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria dell’Unione europea. L’istituzione di questa circolare è funzionale all'avvio dell'applicazione, dal 1° gennaio 2014, degli atti normativi comunitari con cui sono stati trasposti nell’ordinamento dell’Unione europea le riforme degli accordi del Comitato di Basilea (“Basilea 3”) volte a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, indipendentemente dalla loro origine, a migliorare la gestione del rischio e la governance, a rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche, tenendo conto degli insegnamenti della crisi finanziaria. Il Comitato ha mantenuto l’approccio basato su tre Pilastri che era alla base del precedente accordo sul capitale di Basilea, integrandolo e rafforzandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione di capitale degli intermediari, introdurre strumenti di vigilanza anticiclici, norme sulla gestione

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del rischio di liquidità e sul contenimento della leva finanziaria. In ambito comunitario i contenuti di “Basilea 3” sono stati trasposti in due atti normativi: - Il Regolamento (UE) n. 575/2013 del 26 giugno 2013 (CRR), che disciplina gli istituti di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico (Terzo Pilastro); - La direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013 (CRD IV), che riguarda, fra l'altro, le condizioni per l'accesso all'attività bancaria, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, il processo di controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali. La circolare raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale aggiornate per adeguare la normativa interna alle novità nell’ordinamento dell’Unione europea le riforme degli accordi del Comitato di Basilea (“Basilea 3”) volte a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche. Dal 2014, le banche dovranno rispettare un livello di capitale di migliore qualità (common equity tier 1) pari al 7 per cento delle attività ponderate per il rischio, di cui 4,5 a titolo di requisito minimo e 2,5 come riserva di conservazione del capitale. Alle banche che non dovessero rispettare il requisito di riserva di capitale non potranno distribuire dividendi, remunerazioni variabili e altri elementi utili a formare il patrimonio regolamentare oltre limiti prestabiliti e dovranno definire le misure necessarie a ripristinare il livello di capitale richiesto. Primo pilastro  definizione maggiormente armonizzata del capitale e sono stati previsti più elevati requisiti di patrimonio: - Un livello di capitale di migliore qualità (common equity tier 1) al 7 per cento delle attività ponderate per il rischio (di cui 4,5 a titolo di requisito minimo e 2,5 come riserva di conservazione del capitale). Senza requisito di riserva di capitale, non potranno essere distribuiti dividendi, remunerazioni variabili oltre limiti prestabiliti e dovranno poi essere definite le misure necessarie a ripristinare il livello di capitale richiesto; - Introdotto un limite alla leva finanziaria; - Nuovi requisiti del rischio di liquidità basati su una richiesta di liquidità a breve termine (Liquidity Coverage Ratio - LCR) e su una regola di equilibrio strutturale a più lungo termine. Secondo pilastro  le banche devono dotarsi di una strategia e di un processo di controllo dell’adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, assumendo una significativa importanza gli assetti di governo societario e il sistema dei controlli interni. A tal proposito, sono stati integrati i requisiti attinenti al ruolo e alla composizione degli organi di vertice, dandosi particolare rilievo ai sistemi di remunerazione e di incentivazione. Terzo pilastro  riguarda gli obblighi di informativa al pubblico sull’adeguatezza patrimoniale, sull’esposizione ai rischi e sulle caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione e controllo. Sono stati introdotti, tra l’altro, requisiti di informazione circa la composizione del capitale regolamentare e le modalità con cui la banca calcola i ratios patrimoniali. Il processo di controllo prudenziale  attuato attraverso la definizione dei seguenti aspetti: 1) Linee strategiche e orizzonte previsto considerato. 2) Governo societario, assetti organizzativi e sistemi di controllo connessi con l’ICAAP. 3) Esposizione ai rischi, metodologie di misurazione e di aggregazione, stress testing. 4) Componenti, stima e allocazione del capitale interno. 5) Raccordo tra capitale interno, requisiti regolamentari e patrimonio di vigilanza. 6) Auto-valutazione dell’ICAPP. Per facilitare la concreta attuazione del principio di proporzionalità, l’Autorità di Vigilanza suddivide le banche in tre classi, che identificano le diverse dimensioni e la complessità operativa: - Banche di Classe 1  Banche e gruppi bancari autorizzati all’utilizzo di sistemi IRB per il calcolo dei requisiti a fronte del rischio di credito, o del metodo AMA per il calcolo dei requisiti a fronte del rischio operativo, oppure di modelli interni per la quantificazione dei requisiti sui rischi di mercato. - Banche di Classe 2  Gruppi bancari e banche che utilizzano metodologie standardizzate, con attivo, rispettivamente, consolidato o individuale superiore a 3,5 miliardi di euro. - Banche di Classe 3  Gruppi bancari e banche che utilizzano metodologie standardizzate, con attivo, rispettivamente, consolidato o individuale pari o inferiore a 3,5 miliardi di euro. Rischi da gestire.

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Metodologie di misurazione dei rischi quantificabili di primo pilastro (rischio di credito, rischio di mercato, rischio operativo). Il rischio di credito. Il rischio di credito è definito come il rischio di subire perdite derivanti dall’insolvenza o dal deterioramento del merito creditizio delle controparti affidate. L’area di generazione del rischio è stata individuata nel processo del credito. La Banca utilizza la metodologia standardizzata perché appartenente alla categoria 3. Ai fini della misurazione del requisito patrimoniale per il rischio di credito, viene preliminarmente rilevata la tipologia di clientela cui ascrivere le esposizioni riconducibili al soggetto. L’attività di classificazione della clientela è realizzata non solo per le attività che generano un requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, ma anche per quelle rientranti nell’ambito del rischio di controparte e del rischio di regolamento sulle operazioni con regolamento non contestuale. Esposizioni in stato di default  sono ricomprese le esposizioni in sofferenza, inadempienze probabili, scadute da oltre 90 giorni. All’interno delle citate tre classi ricadono le esposizioni oggetto di concessione (forbearance) deteriorate. ITS EBA  Regolamento 227/2015 Circolare 272/2008 – 7°aggiornamento: - Sofferenze; - Inadempienze probabili; - Esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate. Ai fini della determinazione delle esposizioni in default si fa riferimento alla complessiva esposizione verso un debitore (approccio per singolo debitore), con possibilità per le sole esposizioni al dettaglio (retail) di fare riferimento alle singole linee di credito (approccio per singola transazione). Il fattore di ponderazione applicabile è pari al: - 150% se le rettifiche di valore specifiche sono inferiori al 20% della parte non garantita dell’esposizione al lordo di tali rettifiche. - 100% se le rettifiche di valore specifiche sono pari ad almeno il 20% della parte non garantita dell’esposizione al lordo di tali rettifiche. Le esposizioni garantite da immobili in stato di default sono ponderate al 100%. Sono classificabili ne portafoglio delle esposizioni al dettaglio, beneficiando di un fattore di ponderazione pari al 75%, le esposizioni verso persone fisiche e PMI che non superano un’esposizione complessiva per cassa di 1mln. Viene valutata la granularità  vengono valutate le singole esposizione del cliente invece che il totale delle esposizioni. Il computo del requisito patrimoniale sul rischio di credito si basa sull’assegnazione alle esposizioni di fattori di ponderazione, determinati anche in funzione delle valutazioni di merito creditizio (“rating”) formulate da agenzie riconosciute (“External Credit Assessment Institution” - ECAI) e/o, limitatamente alle controparti rappresentate da “amministrazioni centrali e banche centrali” da un’agenzia per il credito all’esportazione riconosciuta (“Export Credit Agency” - ECA). La Banca ha deliberato di utilizzare le valutazioni del merito creditizio dell’ECAI denominata … per la determinazione dei fattori di ponderazione delle esposizioni ricomprese nei seguenti portafogli: - “Amministrazioni centrali e banche centrali”; - “Intermediari vigilati”; - “Organismi del settore pubblico”; - “Amministrazioni regionali o autorità locali” Ora titolo di Stato italiani hanno un fattore di ponderazione pari al 0% e quindi non richiedono l’accantonamento del patrimonio per queste attività. I titoli italiani rientrano nella categoria 3 e se dovesse entrare in vigore la proposta di far pesare anche i titoli di stato in base al rating, il fattore di ponderazione dei titoli di Stato italiani sarà del 50%. Tecniche di mitigazione del rischio di credito  il riconoscimento delle tecniche di mitigazione del rischio di

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credito determina un beneficio in termini di riduzione del requisito patrimoniale. Gli effetti del riconoscimento delle tecniche di mitigazione del rischio di credito dipendono principalmente dal metodo adottato e consistono nella rimodulazione della classe nella quale ricondurre la posizione garantita (con l’applicazione di fattori di ponderazione inferiori a quelli che la posizione riceverebbe in assenza di garanzie) o del valore della posizione. Tecniche: 1) Immobili residenziali e non: il riconoscimento di TMR determina la creazione di una specifica classe regolamentare, denominata “esposizioni garantite da immobili”, in cui è ricondotta la parte garantita dell’esposizione, mentre la parte non garantita rimane nella classe di origine senza subire alcuna rimodulazione. Tale procedimento si applica esclusivamente alle esposizioni che non sono state ricondotte nella classe delle “esposizioni in stato di default”, relativamente alle quali l’intera esposizione rimane in tale classe con una rimodulazione del fattore di ponderazione da applicare. 2) Garanzie reali finanziarie: che richiedono l’applicazione del metodo semplificato (si sostanzia nella riduzione del valore dell’esposizione adeguandola al valore della parte non garantita. Il valore garantito viene riclassificato nella classe relativa alla garanzia) o del metodo integrale con rettifiche standard di vigilanza (permette di ridurre il valore dell’esposizione protetta. In altri termini, la rimodulazione si sostanzia nella rettifica del valore dell’esposizione uguagliandolo al cosiddetto “valore corretto”). 3) Garanzie personali: che richiedono l’applicazione del “principio di sostituzione”, determina il trasferimento del valore garantito dell’esposizione alla classe di pertinenza del garante/contro garante/venditore di protezione, con conseguente applicazione del relativo fattore di ponderazione. 4) Esposizione garantita da un’obbligazione della stessa banca  ponderazione 0% perché assimilato al contante. Questo rientra nel portafoglio altre esposizioni. Calcolo del requisito patrimoniale  per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, di controparte e di regolamento (per le operazioni con regolamento non contestuale), sono selezionati i valori ponderati per il rischio relativi alle diverse categorie di attività di rischio. Il requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito si calcola come prodotto tra la somma dei predetti valori ponderati per il rischio e il coefficiente dell’8%. Rischio di mercato (posizione e cambio), di regolamento e di concentrazione. Portafoglio di negoziazione ai fini di vigilanza: è costituito dagli strumenti finanziari che vengono intenzionalmente destinati a successive dismissioni a breve termine, oppure assunti allo scopo di beneficiare, nel breve termine, di differenze tra prezzi di acquisto e prezzi di vendita o di altre variazioni di prezzo o di tasso di interesse, oppure detenuti con finalità di copertura dei rischi inerenti ad altri strumenti finanziari di negoziazione. Il “portafoglio” è costituito dagli strumenti finanziari dell’attivo (diversi dai finanziamenti ad eccezione dei pronti contro termine attivi) e del passivo, allocati rispettivamente nei portafogli contabili delle “attività finanziarie detenute per la negoziazione” e delle “passività finanziarie di negoziazione”. Vi rientrano anche le operazioni “fuori bilancio” gestite con finalità di negoziazione. L’individuazione delle posizioni lunghe e corte del portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza richiede che vengano considerate entrambe le categorie di strumenti finanziari: - Strumenti di tipo “plain vanilla”, sui quali insiste un unico profilo di rischio; - Strumenti di tipo “strutturato”, sui quali insistono due o più differenti profili di rischio. Metodologia standard:

Rischio operativo. Si tratta del rischio di subire perdite derivanti dall’inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. Rientrano in tale tipologia, tra l’altro, le perdite derivanti da frodi, errori umani, interruzioni dell’operatività, indisponibilità dei sistemi, inadempienze contrattuali, catastrofi naturali. Nel rischio operativo è compreso il rischio legale, mentre non sono inclusi quelli strategici e di reputazione. La Banca ha adottato il metodo BIA (Basic Indicator Approach) che prevede che il requisito patrimoniale sia calcolato applicando un coefficiente regolamentare (15%) a un “indicatore rilevante” del volume di operatività aziendale definito all’art. 316 CRR. Ai sensi del citato articolo, l’indicatore rilevante è costruito come somma delle componenti di seguito indicate: interessi e proventi assimilati, interessi e oneri assimilati, proventi su azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile/fisso, proventi per commissioni/provvigioni, oneri per commissioni/provvigioni, profitto (perdita) da operazioni finanziarie, altri proventi di gestione. Devono essere esclusi dal calcolo

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dell’indicatore rilevante i profitti e le perdite realizzate tramite la vendita di elementi non inclusi nel portafoglio di negoziazione, i proventi derivanti da partite straordinarie o irregolari, i proventi derivanti da assicurazioni. Business Indicator (BI), indicatore individuato sulla base delle medesime variabili del conto economico che partecipano alla composizione del margine di intermediazione (gross income). Il BI include variabili economiche relative ad attività che non sono incluse nel margine di intermediazione, attualmente usato quale base di riferimento (quali ad esempio i profitti e le perdite realizzati sui titoli del portafoglio bancario) o gli altri costi operativi. La modalità di determinazione del BI cerca, infine, di calmierare l’eccessivo requisito che verrebbe richiesto alle banche che esprimono un’elevata incidenza del margine di interesse (superiore al 3,5% degli attivi a reddito). Sulla base del valore del BI, le banche sono suddivise in 5 fasce dimensionali (bucket). Il primo bucket ricomprende le banche che esprimono un valore di BI sino a un miliardo di euro. Tali banche calcolano il requisito a fronte del rischio operativo in misura pari all’11% del BI stesso (determinando, così, il “BI component” del bucket uno). Nei bucket successivi il BI component viene determinato sulla base di un’aliquota progressiva, sommando al valore massimo di BI del bucket precedente il valore determinato applicando il coefficiente fissato per il bucket di riferimento al valore del BI della banca al netto del tetto di BI del bucket precedente. I valori dei coefficienti attribuiti ai bucket da 2 a 5 incrementano dal 15% della fascia due al 29% dell’ultima fascia (oltre i 30 miliardi di euro). I dati derivanti dalla raccolta degli eventi di perdita (purché rispondenti a requisiti corrispondenti a quelli definiti nel precedente approccio per il riconoscimento ai fini prudenziali nel metodo AMA) sono introdotti come correttivo del BI component delle banche ricomprese nei bucket da 2 a 5. Il nuovo approccio sembrerebbe evidenziare: - Su base individuale, un probabile miglioramento per le BCC degli assorbimenti a fronte del rischio operativo, determinato dalla circostanza che il più basso coefficiente applicabile - 11% contro il 15% precedente – dovrebbe impattare più del possibile incremento della base di calcolo; - Su base consolidata (riferendosi al nuovo gruppo) in assenza di correttivi, un aggravio del requisito (tenuto conto della significativa penalizzazione del requisito al crescere del profilo dimensionale, in assenza di rettifica sulla base dell’ILM. Vanno a riguardo, tuttavia, attentamente valutati, anche in ordine a una loro opportuna calibrazione, i correttivi applicabili). Metodologie di misurazione dei rischi quantificabili di secondo pilastro (rischio di concentrazione e rischio di tasso di interesse). Rischio di concentrazione single-name e geosettoriale. Rappresenta il rischio derivante da esposizioni verso controparti, incluse le controparti centrali, gruppi di controparti connesse e controparti operanti nel medesimo settore economico, nella medesima regione geografica o che esercitano la stessa attività o trattano la stessa merce, nonché dall’applicazione di tecniche di attenuazione del rischio di credito, compresi, in particolare, i rischi derivanti da esposizioni indirette, come, ad esempio, nei confronti di singoli fornitori di garanzie. Metodologia: viene utilizzato l’algoritmo regolamentare del Granularity Adjustment. Per l’applicazione di tale algoritmo, la Circolare 285/13 della Banca d’Italia fa riferimento al concetto di portafoglio creditizio e, in particolare, alle esposizioni verso imprese che non rientrano nella classe “al dettaglio”. Al riguardo, occorre far riferimento alla classe di attività “imprese e altri soggetti”, alle “esposizioni a breve termine verso imprese”, alle esposizioni verso imprese rientranti nelle classi di attività “scadute” e “garantite da immobili”, “esposizioni in strumenti di capitale”, nonché alle “altre esposizioni” (le esposizioni verso imprese garantite da contante o da obbligazioni emesse dalla stessa Banca sono escluse dal calcolo). In applicazione di tale algoritmo, la quantificazione del capitale interno a fronte del rischio di concentrazione richiede preliminarmente: - La determinazione dell’ammontare delle esposizioni per singole controparti o gruppi di controparti connesse; - Il calcolo dell’indice di Herfindahl, parametro che esprime il grado di concentrazione del portafoglio; - Il calcolo della costante di proporzionalità C che è funzione della “probabilità di default” (PD) associata agli impieghi per cassa. La costante di proporzionalità è determinata sulla base di un’apposita calibrazione – fissata dalle vigenti disposizioni di vigilanza – della costante stessa al variare della PD attribuita agli impieghi per cassa; - In conformità a quanto disposto nel citato Allegato B, come valore di PD viene utilizzato “il massimo tra 0,5% e la media degli ultimi 3 anni del tasso di ingresso in sofferenza rettificata caratteristico del portafoglio della banca”. Metodologia rischio di concentrazione geo settoriale: i passaggi previsti dal modello in questione possono essere sintetizzati come segue: 1) Somma delle esposizioni della banca per ciascun settore/macroaggregato secondo i criteri di accorpamento specificati nel modello; 2) Calcolo dell’indice Hs della banca come somma dei quadrati della contribuzione percentuale di ciascun settore/macroaggregato al totale. 3) Utilizzo dell’Hs Banca nelle formule presenti nel modello (relative alla/e propria/e area/ geografica/che) che permettono la determinazione della perdita inattesa specifica per il proprio Hs; 4) Rapporto dell’Hs Banca con la perdita inattesa ottenuta sostituendo nella formula il valore dell’Hs benchmark fornito dal modello. Il risultato così ottenuto è il cd. “coefficiente di ricarico”; 5) Determinazione dell’assorbimento applicando il coefficiente di ricarico solo al capitale a fronte del rischio di credito in bonis definito in ottica ICAAP (escludendo il portafoglio “esposizioni in default”). Rischio di tasso di interesse sul portafoglio bancario.

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Il rischio di tasso rappresenta il rischio derivante da variazioni potenziali dei tassi di interesse. Metodologia: ai fini della determinazione del capitale interno a fronte del rischio di interesse sul portaolio bancario la banca utilizza l’algoritmo semplificato. La metodologia richiamata prevede che tutte le attività e le passività siano classificate in fasce temporali in base alla loro vita residua. All’interno di ciascuna fascia viene calcolata la posizione netta, ottenuta dalla compensazione tra posizioni attive e posizioni passive. La posizione netta di ogni fascia è poi moltiplicata per i fattori di ponderazione ottenuti come prodotto tra una variazione ipotetica dei tassi e una approssimazione della duration modificata relativa alle singole fasce. Procedimento: 1) Selezione delle attività e passività sensibili del portafoglio bancario. In particolare, si procede alla selezione del complesso delle attività non rientranti nel portafoglio di negoziazione di vigilanza: - Attività finanziarie per cassa, sensibili alle variazioni dei tassi di interesse; - Passività finanziarie per cassa, sensibili alle variazioni dei tassi di interesse; - Posizioni, lunghe e corte, assunte nei confronti della clientela e delle banche, relative ai depositi e ai finanziamenti da ricevere nonché agli impegni irrevocabili a erogare fondi; - Posizioni, lunghe e corte, connesse con i contratti derivati. 2) Determinazione delle “valute rilevanti”, le valute cioè il cui peso misurato come quota sul totale attivo oppure sul passivo del portafoglio bancario risulta superiore al 5%. Ciascuna valuta rilevante definisce un aggregato di posizioni. Le valute il cui peso è inferiore al 5% sono aggregate fra loro. 3) Classificazione delle attività e passività in fasce temporali. Sono definite 14 fasce temporali. Le attività e le passività a tasso fisso sono classificate in base alla loro vita residua. Le attività e le passività a tasso variabile sono ricondotte nelle diverse fasce temporali sulla base della data di rinegoziazione del tasso di interesse. 4) Ponderazione delle esposizioni nette all’interno di ciascuna fascia All’interno di ogni fascia le posizioni attive sono compensate con quelle passive, ottenendo in tale modo una posizione netta. La posizione netta di ogni fascia è moltiplicata per i fattori di ponderazione, ottenuti come prodotto tra una variazione ipotetica dei tassi e una approssimazione della duration modificata relativa alle singole fasce. 5) Somma delle esposizioni ponderate delle diverse fasce. Le esposizioni ponderate delle diverse fasce sono sommate tra loro. L’esposizione ponderata netta ottenuta in questo modo approssima la variazione del valore attuale delle poste denominate in una certa valuta nell’eventualità dello shock di tasso ipotizzato. 6) Aggregazione delle esposizioni nelle diverse valute. Le esposizioni positive relative alle singole “valute rilevanti” e all’aggregato delle “valute non rilevanti” sono sommate tra loro. In questo modo si ottiene un valore che rappresenta la variazione di valore economico aziendale a fronte dell’ipotizzato scenario sui tassi di interesse. Metodo del supervisory test  ai fini della quantificazione del capitale interno in condizioni ordinarie la banca ha deciso di riferirsi a uno shift parallelo della curva dei tassi pari a +/- 200 bp, in analogia allo scenario contemplato dall’Organo di Vigilanza per la conduzione del supervisory test. Metodo dei percentili  nella determinazione del capitale interno in condizioni ordinarie la banca si riferisce alle variazioni annuali dei tassi di interesse registrati in un periodo di osservazione di 6 anni, considerando alternativamente il 1° percentile (ribasso) o il 99° (rialzo). In caso di scenari al ribasso la banca garantisce il vincolo di non negatività dei tassi. Indicatore di rischiosità  determinazione dell’indicatore di rischiosità La Banca determina l’indicatore di rischiosità, rappresentato dal rapporto tra il capitale interno, quantificato sulla base di uno shift parallelo della curva dei tassi pari a +/- 200 bp, e il valore dei fondi propri. La Banca d’Italia pone come soglia di attenzione un valore pari al 20%. Metodologia di misurazione dei rischi non quantificabili. Rischio paese: rischio di perdite causate da eventi che si verificano in un paese diverso dall’Italia. Il concetto di rischio paese è più ampio di quello di rischio sovrano in quanto è riferito a tutte le esposizioni indipendentemente dalla natura delle controparti, siano esse persone fisiche, imprese, banche o amministrazioni pubbliche. Rischio di trasferimento: rischio, in quanto esposti nei confronti di un soggetto che si finanzia in una valuta diversa da quella in cui percepisce le sue principali fonti di reddito, di realizzare perdite dovute alle difficoltà del debitore di convertire la propria valuta nella valuta in cui è denominata l’esposizione. Rischio base: nell’ambito del rischio di mercato, rappresenta il rischio di perdite causate da variazioni, non allineate, dei valori di posizioni di segno opposto, simili ma non identiche. Rischio residuo: il rischio che le tecniche riconosciute per l’attenuazione del rischio di credito utilizzate risultino meno efficaci del previsto. Rischio da cartolarizzazione: rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio. La valutazione del rischio in esame è finalizzata alla verifica che il requisito patrimoniale sulle posizioni verso la cartolarizzazione detenute rifletta in misura adeguata e sufficiente tutti i rischi a esse associati (di credito, reputazionale, legale, ecc.). Rischio strategico: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo.

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Rischio di reputazione: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti della banca, investitori o autorità di vigilanza. Rischio di leva finanziaria eccessiva: il rischio che un livello di indebitamento particolarmente elevato rispetto alla dotazione di mezzi propri renda la Banca vulnerabile, rendendo necessaria l’adozione di misure correttive al proprio piano industriale, compresa la vendita di attività con contabilizzazione di perdite che potrebbero comportare rettifiche di valore anche sulle restanti attività. Rischio strategico: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da cambiamenti del contesto operativo o da decisioni aziendali errate, attuazione inadeguata di decisioni, scarsa reattività a variazioni del contesto competitivo. Ai fini dell’attribuzione del grado di rilevanza si tiene conto: - Della conformità normativa ed operativa del processo strategico; - Degli esiti della valutazione dell’efficacia delle previsioni, sulla base del confronto dei risultati attesi nel budget di esercizio con quelli effettivamente conseguiti; - Degli esiti della valutazione di efficienza, sulla base del confronto dei risultati conseguiti dalla Banca rispetto a quelli ottenuti da altri intermediari comparabili. Rischio di reputazione: il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti della banca, investitori o autorità di vigilanza. Ai fini dell’attribuzione del grado di rilevanza si tiene conto: - Dell’analisi delle principali fonti del rischio di reputazione e dell’andamento degli indicatori che permettano di evidenziare tempestivamente l’incremento dell’esposizione al rischio di reputazione; - Degli esiti delle verifiche di conformità sui singoli processi effettuati dalla funzione di Conformità, nonché quelle di adeguatezza realizzate dalla Revisione Interna; - Dei presidi volti ad attenuare l’esposizione al rischio di reputazione (rafforzamento del presidio della comunicazione e cura dell’immagine allo scopo di gestire tutte le attività di comunicazione istituzionale, interna ed esterna, con riferimento anche ai nuovi canali di comunicazione; definizione del codice etico e di aggiornamento; rafforzamento delle procedure per il collocamento di propri prodotti o di terzi, per l’introduzione di nuovi prodotti, di sponsoring). Rischio di conflitto di interessi (nei confronti di soggetti collegati – 263/06 - Titolo V - Capitolo 5 Sezione I): il rischio che la vicinanza di taluni soggetti ai centri decisionali della Banca possa compromettere l’oggettività e l’imparzialità delle decisioni relative alla concessione di finanziamenti e ad altre transazioni nei confronti dei medesimi soggetti, con possibili distorsioni nel processo di allocazione delle risorse, esposizioni a rischi non adeguatamente misurati o presidiati, potenziali danni per i depositanti e per i soci. Le proiezioni numeriche ICAAP  la regolamentazione prudenziale attualmente vigente richiede agli intermediari finanziari di dotarsi di una strategia e di un processo interno di controllo dell’adeguatezza patrimoniale e dei profili di liquidità attuali e prospettici (ICAAP e ILAAP). A tal fine, il livello prospettico degli assorbimenti patrimoniali e della dotazione patrimoniale complessiva vengono stimati tenendo conto della prevedibile evoluzione dei rischi e dell’operatività. Il capitale interno complessivo è stimato prospetticamente a 1 anno come la somma algebrica degli assorbimenti prospettici dei rischi singolarmente considerati (Building Block Approach). Allo stesso modo, sono valutati i profili di liquidità della banca sia sotto un punto di vista di rispetto dei limiti imposti dalla vigilanza (LCR e NSFR come previsti da Basilea 3), sia in un’ottica prettamente gestionale. In sede di rendicontazione ICAAP e ILAAP, dunque, gli istituti di credito sono tenuti a valutare e successivamente a comunicare a Banca d’Italia la situazione prospettica dei propri assorbimenti patrimoniali e la situazione di liquidità alla data del 31 dicembre dell’anno in corso di valutazione. La comunicazione va effettuata annualmente entro il 30 aprile. Le proiezioni numeriche ICAAP comprendono anche gli stress test.

28/03/2017 28/03/17 Inquadramento normativo della compliance – circolare Banca d’Italia n. 285/2013. Compliance è una componente fondamentale del Sistema dei controlli Interni. Il sistema dei Controlli Interni (SCI) è l’insieme di Regole, Funzioni, Strutture, Risorse, Processi, Procedure, che mirano ad assicurare, nel rispetto della sana e prudente gestione, il conseguimento delle seguenti finalità: - Verifica dell’attuazione delle strategie e delle politiche aziendali; - Contenimento del rischio entro i limiti indicati nel quadro di riferimento per la determinazione della propensione al rischio della banca (Risk Appetite Framework); - Salvaguardia del valore delle attività e protezione dalle perdite; - Efficacia ed efficienza dei processi aziendali; - Affidabilità e sicurezza delle informazioni aziendali e delle procedure informatiche;

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Prevenzione del rischio che la banca sia coinvolta, anche involontariamente, in attività illecite (con particolare riferimento a quelle connesse con il riciclaggio, l’usura ed il finanziamento al terrorismo); - Conformità delle operazioni con la legge e la normativa di vigilanza, nonché con le politiche, i regolamenti e le procedure interne. Ruolo centrale nel Sistema di governo aziendale: a) Il sistema dei controlli interni ha rilievo strategico; b) La cultura del controllo deve avere una posizione di rilievo nella scala dei valori aziendali; c) Non riguarda solo le funzioni aziendali di controllo, ma coinvolge tutta l’organizzazione aziendale (organi aziendali, strutture, livelli gerarchici, personale), nello sviluppo e nell’applicazione di metodi, logici e sistematici, per identificare, misurare, comunicare, gestire i rischi. Il sistema di controlli interni deve in generale: - Assicurare la completezza, l’adeguatezza, la funzionalità (in termini di efficienza ed efficacia), l’affidabilità del processo di gestione dei rischi e la sua coerenza con il Risk Appetite Framework; - Prevedere attività di controllo diffuse a ogni segmento operativo e livello gerarchico; - Garantire che le anomalie riscontrate siano tempestivamente portate a conoscenza di livelli appropriati dell'impresa (agli organi aziendali, se significative) in grado di attivare tempestivamente gli opportuni interventi correttivi; - Incorporare specifiche procedure per far fronte all’eventuale violazione di limiti operativi. Struttura del Sistema dei Controlli Interni: 1) Controlli di primo livello  controlli di linea: controlli diretti ad assicurare il corretto svolgimento delle operazioni. Essi sono effettuati dalle stesse strutture operative anche attraverso unità dedicate esclusivamente a compiti di controllo che riportano ai responsabili delle strutture operative, ovvero eseguiti nell’ambito del back office; per quanto possibile, essi sono incorporati nelle procedure informatiche. Le strutture operative sono le prime responsabili del processo di gestione dei rischi: nel corso dell’operatività giornaliera tali strutture devono identificare, misurare o valutare, monitorare, attenuare e riportare i rischi derivanti dall’ordinaria attività aziendale in conformità con il processo di gestione dei rischi; esse devono rispettare i limiti operativi loro assegnati coerentemente con gli obiettivi di rischio e con le procedure in cui si articola il processo di gestione dei rischi. 2) Controlli di secondo livello  controlli sui rischi e sulla conformità  controlli che hanno l’obiettivo di assicurare, tra l’altro: a) La corretta attuazione del processo di gestione dei rischi; b) Il rispetto dei limiti operativi assegnati alle varie funzioni; c) La conformità dell’operatività aziendale alle norme, incluse quelle di autoregolamentazione d) Le funzioni preposte a tali controlli sono distinte da quelle produttive; e) Esse concorrono alla definizione delle politiche di governo dei rischi e del processo di gestione dei rischi. 3) Controlli di terzo livello  revisione interna  controlli volti a individuare violazioni delle procedure e della regolamentazione nonché a valutare periodicamente la completezza, l’adeguatezza, la funzionalità (in termini di efficienza ed efficacia) e l’affidabilità del sistema dei controlli interni e del sistema informativo (ICT audit), con cadenza prefissata in relazione alla natura e all’intensità dei rischi. Requisiti minimi di organizzazione del SCI  presupposto di un sistema dei controlli interni completo e funzionale è l’esistenza di una organizzazione aziendale adeguata per assicurare la sana e prudente gestione delle banche e l’osservanza delle disposizioni loro applicabili. A tal fine, rileva, in primo luogo, il corretto funzionamento del governo societario, le cui caratteristiche devono essere in linea con quanto previsto nelle disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche. Inoltre, le banche rispettano i seguenti principi generali di organizzazione: - I processi decisionali e l’affidamento di funzioni al personale sono formalizzati e consentono l'univoca individuazione di compiti e responsabilità e sono idonei a prevenire i conflitti di interessi. In tale ambito, deve essere assicurata la necessaria separatezza tra le funzioni operative e quelle di controllo; - Le politiche e le procedure di gestione delle risorse umane assicurano che il personale sia provvisto delle competenze e della professionalità necessarie per l’esercizio delle responsabilità a esso attribuite; - Il processo di gestione dei rischi è efficacemente integrato. Sono considerati parametri di integrazione, riportati a titolo esemplificativo e non esaustivo: la diffusione di un linguaggio comune nella gestione dei rischi a tutti i livelli della banca; l’adozione di metodi e strumenti di rilevazione e valutazione tra di loro coerenti (ad es., un’unica tassonomia dei processi e un’unica mappa dei rischi); la definizione di modelli di reportistica dei rischi, al fine di favorirne la comprensione e la corretta valutazione, anche in una logica integrata; l’individuazione di momenti formalizzati di coordinamento ai fini della pianificazione delle rispettive attività; la previsione di flussi informativi su base continuativa tra le diverse funzioni in relazione ai risultati delle attività di controllo di propria pertinenza; la condivisione nella individuazione delle azioni di rimedio; - I processi e le metodologie di valutazione, anche a fini contabili, delle attività aziendali sono affidabili e integrati con il processo di gestione del rischio. A tal fine: la definizione e la convalida delle metodologie di valutazione sono affidate a unità differenti; le metodologie di valutazione sono robuste, testate sotto scenari di stress e non fanno affidamento eccessivo su un’unica fonte informativa; la valutazione di uno strumento finanziario è affidata a un’unità indipendente rispetto a quella che negozia detto strumento;

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Le procedure operative e di controllo devono: minimizzare i rischi legati a frodi o infedeltà dei dipendenti; prevenire o, laddove non sia possibile, attenuare i potenziali conflitti d’interesse; prevenire il coinvolgimento, anche inconsapevole, in fatti di riciclaggio, usura o di finanziamento al terrorismo; - Il sistema informativo deve assicurare il necessario supporto per il conseguimento degli obiettivi aziendali; - I livelli di continuità operativa garantiti devono essere adeguati e conformi a quanto stabilito dalla disciplina di vigilanza. Le banche verificano regolarmente, con frequenza almeno annuale, il grado di aderenza ai requisiti del sistema dei controlli interni e dell’organizzazione e adottano le misure adeguate per rimediare a eventuali carenze. Il rischio di compliance  il rischio di non conformità alle norme è il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di reputazione in conseguenza di violazioni di norme imperative (leggi, regolamenti) ovvero di autoregolamentazione (ad es., statuti, codici di condotta, codici di autodisciplina). La funzione di compliance  La funzione di conformità alle norme presiede, secondo un approccio risk based, alla gestione del rischio di non conformità con riguardo a tutta l’attività aziendale, verificando che le procedure interne siano adeguate a prevenire tale rischio. A tal fine, è necessario che la funzione di conformità alle norme abbia accesso a tutte le attività della banca, centrali e periferiche, e a qualsiasi informazione a tal fine rilevante, anche attraverso il colloquio diretto con il personale. Per le norme più rilevanti ai fini del rischio di non conformità, quali quelle che riguardano l’esercizio dell’attività bancaria e di intermediazione, la gestione dei conflitti di interesse, la trasparenza nei confronti della clientela e, più in generale, la disciplina posta a tutela del consumatore, e per quelle norme per le quali non siano già previste forme di presidio specializzato all’interno della banca, la funzione è direttamente responsabile della gestione del rischio di non conformità. Con riferimento ad altre normative per le quali siano già previste forme specifiche di presidio specializzato (ad es.: normativa sulla sicurezza sul lavoro, in materia di trattamento dei dati personali), la banca, in base a una valutazione dell’adeguatezza dei controlli specialistici a gestire i profili di rischio di non conformità, può graduare i compiti della compliance, che comunque è responsabile, in collaborazione con le funzioni specialistiche incaricate, almeno della definizione delle metodologie di valutazione del rischio di non conformità e della individuazione delle relative procedure, e procede alla verifica dell’adeguatezza delle procedure medesime a prevenire il rischio di non conformità. La banca può adottare tale approccio anche con riferimento al presidio del rischio di non conformità alle normative di natura fiscale. Ferme restando le responsabilità della funzione di compliance per l’espletamento dei compiti previsti da normative specifiche, altre aree di intervento sono: - Il coinvolgimento nella valutazione ex ante della conformità alla regolamentazione applicabile di tutti i progetti innovativi (inclusa l’operatività in nuovi prodotti o servizi) che la banca intenda intraprendere nonché nella prevenzione e nella gestione dei conflitti di interesse sia tra le diverse attività svolte dalla banca, sia con riferimento ai dipendenti e agli esponenti aziendali; - La consulenza e assistenza nei confronti degli organi aziendali della banca in tutte le materie in cui assume rilievo il rischio di non conformità nonché la collaborazione nell’attività di formazione del personale sulle disposizioni applicabili alle attività svolte, al fine di diffondere una cultura aziendale improntata ai principi di onestà, correttezza e rispetto dello spirito e della lettera delle norme. Regolamento Banca d’Italia – Consob 2007  articolo 16  controllo di conformità  gli intermediari adottano procedure adeguate al fine di prevenire e individuare le ipotesi di mancata osservanza degli obblighi posti dalle disposizioni di recepimento della direttiva 2004/39/CE e delle relative misure di esecuzione, minimizzare e gestire in modo adeguato le conseguenze che ne derivano, nonché consentire alle autorità di vigilanza di esercitare efficacemente i poteri loro conferiti dalla relativa normativa. A tal fine, gli intermediari attribuiscono alla funzione di controllo di conformità (compliance), le seguenti responsabilità, garantendo un adeguato accesso alle informazioni pertinenti: a) Controllare e valutare regolarmente l’adeguatezza e l’efficacia delle procedure adottate ai sensi dell’articolo 15 e delle misure adottate per rimediare a eventuali carenze nell’adempimento degli obblighi da parte dell’intermediario, nonché delle procedure di cui al comma 1; b) Fornire consulenza e assistenza ai soggetti rilevanti incaricati dei servizi ai fini dell’adempimento degli obblighi posti dalle disposizioni di recepimento della direttiva 2004/39/CE e delle relative misure di esecuzione. Il processo di Compliance:

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Stress Test 29_03_2017 Gli esercizi del AQR e dello Stress Test rientrano nel piano del SSM: la BCE prima di far rientrare le banche sotto la sua Vigilanza ha deciso di fare questi due esercizi prudenziali. Il primo esercizio era volta a valutare come si presentavano le banche dal punto di vista contabile, come avevano valutato le garanzie, come avevano iscritto le partite deteriorate in bilancio, se la contabilizzazione degli attivi era adeguata oppure no. Stress Test: esercizio volto a valutare la resilienza delle banche in un’ipotesi di scenario avverso. Attraverso un modello statistico sono andati a vedere che impatto aveva un andamento negativo dell’economica sulle banche. Come fanno a valutare se sono in grado di sostenere l’impatto? Vedono se le dotazioni patrimoniali sono adeguate. CET1 ratio = CET1 / RWA. Primo passaggio: valuto la qualità del RWA, che adeguata che non ci siano delle attività che non sono classificate in non performing rispetto che performing; secondo passaggio: vedere che impatto ha uno scenario avverso sul numeratore. Valutando l’impatto al numeratore si va a vedere come si modifica il rapporto in scenario avverso, se la dotazione patrimoniale delle banche era consistente oppure no. Questi provvedimenti sono di natura prudenziale, non hanno impatto sul bilancio. Hanno l’impatto sulle misure da adottare per dotarsi di un patrimonio adeguato (la BCE avrebbe chiesto di intervenire). Inizio nell’ottobre del 2013 fino a fine 2014. Prima l’AQR come base per gli stress test. Asset quality review + Stress Test (nel 2016) Asset Quality Review: Obiettivo. Obiettivo principale: evidenziare situazioni non chiare e trasparenti nel sistema di contabilizzazione bancario europeo. Valutazione retrospettiva della qualità della base dati, valutazione mark to market delle attività, classificazione NPL, valutazione dei collateral e degli accantonamenti basate su metodologie armonizzate per le Banche EU. Qui la CE ha condotto un’analisi all’interno delle banche per valutare come avevano valutato le attività iscritte in bilancio, se erano state contabilizzate Mark To Market. Dopo di che sono andati a controllare la classificazione dei prestiti non performing, in un’ottica di recepimento della nuova classificazione dei non performing loans la BCE è andata a controllare che tutte le banche si adeguassero alle nuove direttive. Esercizio più difficile è quello della valutazione delle garanzie, come sono state iscritte in bilancio e se gli accantonamenti a fronte di perdite su crediti erano adeguate. Esercizio di stress test di tipo previsionale. Parte dalla situazione post AQR all’1-1-2014 e si sviluppa su un orizzonte temporale di medio periodo: 2014-2016. Consta di due scenari: Baseline e Adverse. Obiettivo: verificare che il CET1 sia pari all’8% in tutti gli anni del baseline scenario ed al 5,5% in tutti gli anni dell’adverse scenario. Eventuali shortfall patrimoniali devono essere coperti entro 6 mesi dalla pubblicazione dei risultati da incrementi di common equity. È un esercizio retrospettivo, mentre l’esercizio dello Stress Test è di tipo previsionale: si parte dalla situazione dei bilanci post valutazione della qualità e sono andati a proiettare i bilanci previsionali per vedere come si comportano le banche in due tipi di scenari: Scenario Base (Scenario macro positivo) Scenario avverso (Variabili macro in flessione). L’obiettivo era valutare se la consistenza patrimoniale era adeguata nei due scenari, questo rapporto doveva essere superiore all’8% nel base e 5,5% nel peggiore. Questo deve avvenire nel continuo dei tre anni. Questo 8% e 5,5% è ben al di sopra di quello che richiede la normativa, perché l’8% era richiesto per il TIER1, il quale comprende più componenti. Quindi partendo con questo 8% si aveva già dato un segnale alle banche per ricapitalizzare. Dare questo messaggio era una richiesta implicita di ricapitalizzazione. Nel caso di deficit patrimoniali essi devono essere coperti entro 6 mesi nel caso in cui ci siano deficit di scenario base; 9 mesi per lo scenario avverso. La banca centrale può richiedere degli aumenti di capitale. CET1 (Common Equity Tier 1) è rappresentato dagli strumenti di capitale con caratteristiche di piena disponibilità, flessibilità nel pagamento di dividendi, massima subordinazione in caso di liquidazione (Azioni ordinarie e utili portati a nuovo). RWA (Attività ponderate per il rischio) è il prodotto del valore di bilancio degli attivi ponderato per un coefficiente che ne esprime il grado di rischio.

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Requisito patrimoniale è il limite minimo che può assumere il rapporto tra CET1 e RWA ed esprime quanto capitale primario una banca deve detenere a fronte di una unità di rischio (4.5%, Soglie diverse AQR e stress test) Shortfall di capitale scarto tra il requisito minimo di CET1 e l’effettivo livello di CET1 detenuto.

La finalità è andare a vedere la classificazione delle diverse posizioni iscritte a portafoglio, valutare i collateral e vedere l’adeguatezza degli accantonamenti di modo da determinare gli eventuali aggiustamenti del CET1. Per valutare le rettifiche sul portafoglio la BCE ha quantificato delle perdite potenziali su tutto il portafoglio, anche su crediti che risultavano in bonis in bilancio. Quindi hanno calcolato un possibile tasso di perdita del portafoglio, sulla cui base si determina la quantità di risorse da accantonare. Questo passaggio implica di accantonare più risorse di quante accantonate. Perché si valuta anche le perdite potenziali. Impatto del rischio di credito: calcolo delle Rettifiche Sulle posizioni corporate performing e su tutte quelle retail la quantificazione delle perdite sui crediti è avvenuta collettivamente attraverso un modello statistico. Per ciascun portafoglio analizzato sono state calcolate le Expected Loss collettive secondo la formula: EL = PD*EAD*LGD AQR i numeri Condotto dalla BCE in collaborazione con le NCA 130 banche Europee coinvolte (principali banche EU); 19 paesi partecipanti; Analisi dettagliata di più di 119.000 debitori; Rivalutazione di oltre 170.000 garanzie; Personale coinvolto: 6.000 Esperti; Sulle posizioni corporate performing e su tutte quelle retail la quantificazione delle perdite sui crediti è avvenuta collettivamente attraverso un modello statistico. Per ciascun portafoglio analizzato sono stato calcolate le expected loss collettive. Stress Test Metodologia Obiettivo  Proiettare il CET1 nel prossimo triennio sotto due scenari: baseline e adverse. Esercizio Bottom-up (vs. Top-Down, AQR) Esercizio Point in Time Ipotesi di Static Balance Sheet Due requisiti di CET1% diversi nei due scenari (8% e5,5%) Qui l’EBA ha sviluppato una sorta di modello econometrico che ha lo scopo di simulare i bilanci delle banche, per proiettarli con una sorta di creazione di bilanci previsionali. L’ipotesi più restrittiva è quella di ipotesi di bilancio statico: sono partiti con i bilanci di fine 2013 e hanno ipotizzato che rimanessero statici dal punto di vista della strategia. Se ho un evento avverso, il risk manager potrebbe intraprendere delle azioni per fronteggiare la crisi. Nell’esercizio dello stress test sono partiti con un’assunzione che la banca non effettua dei cambi di strategie

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per affrontarlo. E questo comporta che lo scenario avverso ha un impatto maggiore, perché non si permette alle banche di intervenire. I requisiti sono l’8% nel base e 5,5% nello scenario avverso.

Metodologia: Hanno ipotizzato l’andamento del: PIL, DISOCCUPAZIONE, INFLAZIONE, SPREAD. Ipotesi di peggioramento Es. Pil cala = Imprese in Difficoltà = Quanti deteriorati avranno le banche? Spread: aumento titoli di stato = tasso di raccolta = margine di interesse che si assottiglia / Rating della banca che sale = maggiori costi. Partendo dall’evoluzione delle variabili macro si è visto che impatto hanno sulla Probabilità di Default (PD medi del settore). Un aumento della PD = Aumento rischio di Credito = Impatto sul CE (aumento accantonamenti) = Aumento crediti deteriorati a SP = Effetti a capitali (le perdite vanno ad intaccare sul numeratore e il rischio aumenta in denominatore). Scenari Macroeconomici Scenario ipotizzato: calo del PIL. I tassi di interesse dei titoli sovrani nello scenario base aumentano di poco, mentre nello scenario avverso i tassi “esplodono”. Il tasso di interesse medio dei decennali aumentano dell’1,2 mentre l’IT dell’1,7. Nel caso dello scenario avverso una diminuzione del valore comporta una diminuzione delle garanzie e/o un default sui prestiti che hanno ad oggetto immobili. Lo scenario per l’Italia era meno severo rispetto l’Area Euro. In base all’andamento delle variabili macro sono andati a vedere come hanno impattato sulla PD e LGD. In questo caso si passa a modelli interni. La migrazione dei parametri associati al portafoglio aumenta il rischio del portafoglio, aumenta i crediti deteriorati e l’impatto sul CE (svalutazione dei crediti da fare).

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Per quanto riguarda il rischio di mercato hanno visto come si era evoluto il mercato i base alle variabili macro e in base a quello hanno calcolato dei modelli Var o modelli avanzati per vedere come potrebbe essere il risultato delle attività di negoziazione e quindi delle diverse banche.

Rischio Sovrano: (c’era un’ipotesi aumento di tassi = diminuzione valore bond). L’impatto a bilancio di questa perdita di valore dipende da come è stata contabilizzata. Con le AFS il riflesso va direttamente a riserva da rivalutazione; HFT: perdita a conto economico. In questo caso sono andati a vedere l’impatto sul CE e sulle Riserve da Rivalutazione? E poi il riflesso sul costo della raccolta. Se aumenta il rischio sovrano aumenta anche il costo delle obbligazioni emesse dalle banche. Infine le cartolarizzazioni: che riflesso aveva lo shock macro sulle posizioni delle cartolarizzazioni, quanto dovevano essere svalutate o la loro diminuzione di Fair Value. Tutte le esposizioni deteriorate nella simulazione EBA non davano nessun interesse, nessun utile e nessuna ripresa di valore.

Stress test: i numeri Coordinato da EBA in collaborazione con la BCE e le NCA. 123 gruppi bancari coinvolti rappresentativi del 70% del sistema bancario UE. 28.000 bln assets

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Risultati complessivi Impatto AQR: 40bps (CET1) – impatto abbastanza limitato Impatto Stress test: 260bps (CET1) Impatto complessivo: 300bps (CET1) Main driver stress test: -440bps Rischio di credito; -118bps requisiti; +320bps Profitto operativo (mitigante) Maximum Shortfall: EUR 24,6BN Shortfall con lo scenario avverso 2016: 24,2BN; Baseline scenario; 16 banche hanno registrato uno shortfall patrimoniale; Adverse scenario: 24 banche hanno registrato uno shortfall patrimoniale (9 italiane; 3 greche; 3 cipriote) Shortfall dopo l’aumento di capitale: considerando gli aumenti di capitale del 2014 e prima della fine dell’esercizio, il numero di banche che non passano il test si riduce a 14.

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Nello scenario avverso c’è una riduzione media del 2,6%. Nello scenario avverso effettivamente non lo passano in 24. Il rischio di credito: le esposizioni, le rettifiche nello scenario avverso ammontano a 492 Miliardi. Nello scenario base gli accantonamenti per il rischio di credito sono 260 Miliardi. Impatto Rischio di Credito:

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Esposizione verso i titoli sovrani: La gran parte delle esposizioni verso titoli sovrani erano classificati come AFS, di modo da poterli dare alla BCE. Nello scenario avverso le perdite sostanziali (piu del 40% è classificato come AFS). {I titoli AFS se hanno una rivalutazione vanno ad aumentare la riserva da rivalutazione, altrimenti si diminuisce. La riserva presente a inizio periodo stress test è poi diminuita progressivamente). Una buona fetta di titoli era classificata come HFT.

16 Banche non hanno passato il test; nello scenario avverso non hanno passato il test in 24 (9 italiane, 3 greche, 3 cipriote). Se consideriamo che nel frattempo le banche avevano iniziato delle misure correttive (di patrimonializzazione)

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L’impatto medio sull’Italia è stato del 4,6%. È stato un test molto severo, perché non erano molto patrimonializzate. Impatto AQR e Stress Test

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Alcuni Paradossi Nel prospetto di CE simulato di Deutsche Bank ci sono circa 3,5 miliardi ogni anno (10,5 miliardi) di other income and expenses. Considerando la rilevanza degli importi (20% CET1) sarebbe stato opportuno dare evidenza nei prospetti riepilogativi. Anche Crédit Agricole nei tre anni cumula proventi straordinari per 3 miliardi. Nelle altre banche, questa voce risulta assente o con un impatto positivo limitato. Dai risultati dell’AQR non sono emersi aggiustamenti significativi per quelle banche in cui i cosiddetti attivi di terzo livello hanno un peso rilevante. 4 banche sistemiche: BNP, Crédit Agricole, Groupe BPCE, Deutsche Bank  attivi di 3 livello pari a 74 miliardi di € con rettifiche pari a 1,2 miliardi (1,6%) Deutsche Bank  attivi di 3 livello per il 70% del proprio CET1 ratio. Rettifiche di fair value di 94 milioni (0,32%). Reale Severity dello Stress test Salvo le eccezioni riguardanti le banche medio/piccole, il grado di severity degli stress test è piuttosto basso. In particolari, il tasso di perdita netto complessivo delle grandi banche sistemiche è di circa lo 0,3%. Valore piuttosto basso che esclude a priori qualsiasi problema di patrimonializzazione delle banche e allo stesso poco credibile se si considera che il tasso di perdita lordo di partenza è superiore al 2%. Non è chiaro da dove derivi la presunta elevata capacità di assorbimento delle perdite delle grandi banche in cui è elevata l’attività di investment banking. Stress test 2016 Stress test di tipo “pass/fail”  non stabilisce una soglia minima di capitale da rispettare. I risultati rappresentano uno degli elementi per la quantificazione del capitale di secondo pilastro, in esito al Processo di revisione e controllo prudenziale (SREP). Obiettivo  Fornire alla Vigilanza indicazioni utili all’ordinaria attività di valutazione. Metodologia Stress test 2016 Bilancio Statico, non cambia molto rispetto a prima Introduzione di uno shock idiosincratico: consiste nell’immediato declassamento del rating della banca di due livelli con effetti irreversibili su tutto il triennio considerato. Per le banche con rating deboli la combinazione è particolarmente penalizzante (Assume l’erogazione di nuovi prestiti in perdita) Sui risultati delle banche con una consistenza elevata di NPL presenti nei loro bilanci 2015 ha inciso negativamente la non contabilizzazione di tutti gli interessi a essi relativi. Scenario di base 2016

2017

Scenario avverso 2018

2016

2017

2018

Deviazione

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Tasso di crescita del PIL

1,5%

1,4%

1,7%

-0,4%

-1,1%

0,0

-5,9%

Tassi a Lungo termine

1,8%

2,0%

2,1%

2,9%

3,0%

3,0%

1,0%

BNP Paribas

Inizio 2015

Baseline 2018

Adverse 2018

11.05%

12.13%

8.59%

Limiti: stress test Il ricorso ad uno scenario avverso di tipo deterministico, limita la determinazione degli impatti ad uno specifico set di HSBC 11.87% 12.41% 8.76% ipotesi di stress. Questo tipo di stress test non consente di Barclays 11.42% 12.48% 7.30% stimare il grado di fragilità finanziaria generale di una banca, in quanto non dice nulla sulla resilienza qualora si Groupe BPCE 13.02% 14.52% 9.73% verifichino scenari avversi diversi nella severity e/o nel mix Credit Agricole 13.52% 14.81% 10.49% di fenomeni. Ai driver di stress di tipo macroeconomico dovrebbero ING 12.94% 12.52% 9.00% essere collegati opportunamente tramite modelli di tipo econometrico le variabili micro della banca connesse ai vari RBS 15.54% 15.89% 8.08% fattori di rischio, che a loro volta incidono sulle Santander 12.71% 13.24% 8.69% determinanti dei ratio patrimoniali. La determinazione dell’impatto complessivo dello stress test Societe 11.42% 11.94% 8.03% avviene sommando con un approccio building block gli Generale impatti dei singoli rischi, in cui gli impatti sono determinati Unicredit 10.59% 11.57% 7.12% in modo indipendente e separato per ogni singolo rischio, senza quella necessaria unitarietà di sviluppo delle simulazioni che dovrebbe costituire l’essenza dell’analisi di capital adequacy. (non corretta integrazione dei rischi) Deutsche Bank

13.19%

12.08%

7.80%

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Gli impatti delle analisi di stress sono determinati direttamente dalle singole banche tramite l’applicazione dei propri modelli interni, mentre le autorità di vigilanza dettano le regole dell’esercizio e le ipotesi dello scenario di stress macroeconomico. I risultati sono quindi fortemente condizionati da come le banche applicano le ipotesi di stress nei loro modelli e dalle semplificazioni che esse effettuano.

3/04/2017 Gestione delle Crisi bancarie e meccanismo di risoluzione Meccanismo di risoluzione delle crisi. In Italia vi sono state molte crisi bancaria dall’Unità d’Italia e molto spesso sono state collegate a scandali  più famose crisi banca romana, banca di sconto, … La prima riforma bancaria italiana dl ’26 non ha trattato il tema delle crisi bancarie, ma ha trattato il tema delle Banche Centrali. Seconda riforma del ’36 è una riforma molto ampia che ha normato gli strumenti per gestire le crisi (strumenti normali)  gli strumenti sostanziali divergono da quelli normali. Crisi ’36 erano saltate la banca commerciale, il credito italiano e la banco di Roma  prime due sono rimaste inguaiate nel processo di conversione post bellica  fenomeno incestuoso in cui le banche finanziavano le industrie e nel contempo i proprietari delle industrie erano azionisti delle banche  sono andanti a definire le caratteristiche degli azionisti (che non potevano essere azionisti di altre imprese) e sono andati a definire anche il credito (divisione banche che concedevano crediti a breve e a lungo). La crisi è stata risolta in 2 tempi con la creazione dell’IMU e poi dell’IRI. La creazione dell’IRI ha visto 2 operazioni  IRI ha assunto le partecipazioni industriali delle banche e ha assunto inoltre il controllo delle banche che dovevano esser salvate. Salvataggi sono stati fatti anche nel dopoguerra fino a che le regole europee hanno obbligato l’Italia nel smantellare l’IRI. Vi sono state molte situazioni di crisi bancarie anche dopo la guerra  queste crisi sono state gestite sotto traccia  la prima importante crisi del dopoguerra in Italia è la crisi Sindona  crisi della banca privata italiana e parallelamente un paio di banche estere di cui la più importante era la Franklin Bank di cui faceva parte la Sindona. Problema principale del dissesto della banca privata italiana era la sostanziale inesistenza del patrimonio perché il gruppo che aveva ottenuto una dimensione importante era stato costruito con partite di giro  banca finanziava la società e la società finanziava altre società, e quest’ultime compravano le azioni della banca  banca controllava sé stessa. Una seconda connessione che è emersa con il tempo erano i legami con parte della malavita e con il Vaticano. Il dissesto formale di questa banca si ha avuto perché il Ministro del Tesoro ha vietato l’aumento di capitale e quindi la banca è andata in liquidazione. La cosa importante della crisi di questa banca è la soluzione tecnica adottata. Si ha utilizzato una norma che ha incaricato la BI di fare anticipazione a tasso fisso dell’1%, quando i tassi reali del mercato erano di molto maggiori, alle banche che si sono incaricate nell’assunzione delle attività e delle passività della banca in liquidazione  norma è nota come Decreto Sindona. Tutte le crisi precedenti di piccole dimensione e quelle immediatamente successive venivano regolate attraverso la moral assuasion in cui la BI individuava una banca a cui veniva chiesto di intervenire e poi questa banca traeva un qualche beneficio (sportelli, autorizzazioni, …  quindi in termini di non trasparenza). La seconda importante crisi è quella del Banco Ambrosiano che era una banca milanese che controllava un’importante banca veneta  criticità: infiltrazioni criminali. Anziché smembrare la banca dando un pezzo ad una banca ed un altro ad una banca con il finanziamento del decreto Sindona, si è creata una nuova banca, chiamata Nuovo Banco Ambrosiano, in cui 6 banche sono diventate azionisti ma senza assumerne il controllo. La banca ha continuato l’attività. Banche entrate hanno avuto modo di recuperare i soldi utilizzati per l’acquisto delle azioni attraverso il finanziamento del decreto Sindona. Ora questa banca si chiama Intesa Sanpaolo. Dal punto di vista economico la risoluzione si ha avuto attraverso l’emissione di un prestito da parte di BI a condizioni non di mercato. Successivamente si pone il problema della tutela dei depositanti  Italia era uno dei pochi paesi che non aveva un fondo di tutela dei depositanti  viene istituito nel 82 in Italia un fondo di tutela dei depositi che poi è stato modificato in fondo di tutela dei depositanti  fondo di tutela di depositi tutela il deposito, mentre quello dei depositanti tutela il soggetto. Fondo di tutela di depositi nasce a causa di una forte pressione da parte di BI, come fondo volontario, ma a causa della moral assuasion aderiscono tutte le banche. Fondo dopo un po’ di anni è diventato obbligatorio a causa di una direttiva europea che obbligava di avere un fondo di tutela. Esisteva in realtà un fondo nel passato di tutela degli obbligazionisti che va a tutela degli obbligazionisti delle BCC. Fondo è stato modificato nel tempo, ma ha una funzione chiara. In caso di dissesto di una banca, il fondo interviene per salvare i depositanti  nel modello pre-unione bancaria, il fondo di tutela dei depositi poteva intervenire in 3 modi: 1) In modo standard, andando a rimborsare i depositanti fino ad una cifra predeterminata (ora 100.000 euro) in caso di liquidazione della banca. La banca è quindi posta in liquidazione, e se rimangono degli attivi dopo la liquidazione, questi saranno dati al fondo di tutela. Questa è l’unica modalità ancora consentita all’interno dell’UE. 2) Se ritenuto più conveniente, previo assenso BI, il fondo può intervenire in via preventiva alla messa in liquidazione mettendo a disposizione una somma che consenta alla banca di ritornare solvibile. Operazione viene fatta in abbinata con l’ingresso di un nuovo proprietario della banca. 3) Se ritenuto più conveniente, fondo in via preventiva da ad un terzo una somma di denaro che rileva le attività e le passività della banca in crisi e continua l’attività con il suo marchio. Il fondo di tutela dei depositanti, prevedeva che gli associati dovessero versare una quota e dovessero assumere un impegno a versare un ulteriore quota a richiesta dal fondo senza condizioni.

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Impegno del fondo italiano era pari a 4.000 miliardi di lire. Ora con le regole europee il valore dipende dalle quantità di depositi del particolare paese. Tutte le perdite che un fondo supporta vengono trasferite pro-quota alle banche partecipanti che devono reintegrare il fondo fino al limite definito. Esempio di intervento del fondo: - Banca di Tricesimo  piccola banca che al momento della risoluzione è stata chiusa senza cessione dell’attività  fondo ha rimborsato i depositanti. - Prato  Cassa di deposito e pegni di Prato divenuta una banca importante  gestito male  banca ha chiuso  primo caso piuttosto importante in cui il fondo è stato usato. È stato risolto con un intervento preventivo che è pervenuto tramite ingresso di un’altra banca dando i soldi per dare solvibilità alla banca. - Trieste  Creditna  attività e passività sono state ceduto ad un’altra banca con un intervento del fondo di tutela che ha gestito la liquidazione dei depositi. - Operazione onerosa vi è stata in Puglia  dissesto della cassa del risparmio della Puglia dove la banca non è stata liquidata, in cui è intervenuta banca Intesa e il fondo è intervenuto in via preventiva. - Primo caso critico  Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele di Sicilia  in Sicilia erano presenti due banche grandi: Banco di Sicilia e Cassa. Quando salta la Cassa di Risparmio, si pilota l’operazione e si va a far intervenire il Banco di Sicilia  si va a creare una sorta di monopolio. Per prendersi il dissesto della cassa di risparmio, banco di Sicilia ha pattuito con il fondo un bonus di 1.000 miliardi di lire che è un quarto del totale del fondo  fondo ha dovuto richiedere le somme per ricoprire il fondo. - Secondo caso critico  Banco di Napoli  banco di Napoli gestiva le pensioni dei suoi dipendenti e non accantonava la riserva  a conto economico pagava i salari e le pensioni dei dipendenti  i 4.000 miliardi non bastavano per coprire il crollo del Banco di Napoli  parlamento fatto una legge in cui il vecchio Banco di Napoli è stato messo in liquidazione, mettendo le attività sane in un’altra banca, con l’impegno di smettere il primo possibile la partecipazione dello Stato nella nuova banca. Banco di Napoli S.p.A (quello nuovo) è stato ripulito, ed è stata fatta una gara da parte dello Stato per vendere le azioni, e la gara l’ha vinta l’Istituto SanPaolo di Torino. In generale, l’intervento del fondo in Italia ha sempre avuto natura preventiva, salvo il controllo che la capienza del fondo riesca a coprire l’ammontare di denaro richiesto  banche molto grandi erano ritenute troppo grandi per fallire  incapacità da parte del fondo di coprire  poteva intervenire solo lo Stato  non era presente una regola per cui lo Stato è tenuto a salvare la banca. Inoltre dipende anche dalle norme sugli aiuti di stato che vietano qualsiasi aiuto di Stato  valutazione con l’Unione Europea per la valutazione se il possibile aiuto comporti un vantaggio al soggetto rispetto ai competitori per l’ottenimento di denaro pubblico. Crisi dei giorni nostri che si manifesta sul debito pubblico e sulle banche  nascita idea unione bancaria con la finalità di separare il destino delle banche con il destino del paese  banca non è più nazionale ma è un euro banca. L’unione bancaria si fonda su 3 pilastri  vigilanza comune, il meccanismo di risoluzione comune e la tutela dei depositi comune. La vigilanza unica è partita il 1 novembre 2014 e ha quasi sostituito la vigilanza nazionale. Il meccanismo di risoluzione è entrato in vigore l’anno scorso ed è articolato su due elementi fondamentali: il consiglio di risoluzione e il fondo di risoluzione. Il consiglio di risoluzione ha i poteri di decidere la risoluzione e il potere di decidere se utilizzare il fondo di risoluzione. Il fondo di risoluzione verrà alimentato un po’ alla volta e fra un paio di anni avrà una somma pari all’1% dei depositi delle banche operanti nell’unione bancaria. Il fondo di risoluzione è pensato per agire prima della messa in liquidazione della banca, mentre la tutela dei depositanti potrà essere usato solo dopo la messa in liquidazione. Quindi per il caso italiano, il modello standard della tutela dei depositanti rimane, mentre le altre due tipologie di utilizzo del fondo sono rientrate nel fondo di risoluzione. Problema più delicato è lo spartiacque tra le competenze del primo pilastro di vigilanza unica e di secondo pilastro di risoluzione unica. Modello logico è il seguente: quando la BCE individua una situazione di difficoltà della banca, nel momento in cui ritiene in cui non vi siano più soluzioni, passa la palla all’autorità di risoluzione e questa decide cosa fare  quindi tra i poteri della BCE vi è il potere di dare all’autorità di risoluzione una certa banca in difficoltà. Da sottolineare che anche il meccanismo di risoluzione ha il potere di portare a sé le situazioni critiche, quindi può capitare un meccanismo di conflitto tra i due soggetti. L’autorità di risoluzione può fare interventi atti al risanamento preventivo, oppure la messa in liquidazione. La scelta dipende dall’autorità di risoluzione. Il principio ispiratore è quello di togliere i cadaveri dal mercato, ma le opportunità operative possono consigliare di salvare la banca non ancora “cadavere” perché ritenuto più opportuno  opportunità di costo (impatto di salvarla è meno oneroso piuttosto che di liquidarlo) opportunità relativa che sfocia su decisioni politiche. Meccanismo di risoluzione è composto da un consiglio generale e un comitato. Consiglio generale è costruito sul modello della BCE  ha un presidente, 4 membri permanenti e un rappresentante per ognuno dei paesi appartenenti all’unione bancaria. Il comitato generale non ha compiti operativi. In linea di massima i rappresentanti dei paesi sono i responsabili dell’autorità di risoluzione nazionale, e quindi ogni paese si adotterà di un’autorità di risoluzione (in Italia è la Banca d’Italia  quindi è sia soggetto di vigilanza che di risoluzione). Consiglio generale ha i seguenti poteri: regolamentazione del funzionamento del meccanismo di risoluzione, approva il rendiconto del fondo di risoluzione, approva le attività svolte dal comitato di risoluzione che è la vera componente operativa.

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Il Comitato di Risoluzione è composto dai 5 membri nominati dal Consiglio, più un rappresentante della Bce, più un rappresentante della Commissione Europea, più l’autorità di vigilanza e di risoluzione e un membro del governo dei paesi dove opera la banca in cui si discute. Il comitato di risoluzione deve approvare o il piano di risanamento o la messa in liquidazione. Se approva il piano di risanamento, approva inoltre anche lo stanziamento del fondo di risoluzione. L’approvazione del piano di risanamento diventa efficace dopo 48 ore. Entro le prime 24 ore, la commissione europea può bloccare il piano di risanamento (per la questione degli aiuti di Stato) ed eventualmente richiedere delle modifiche. Piano di risanamento quindi verrà sempre approvato di sabato per avere gli effetti prima dell’apertura dei mercati di lunedì. Fondo quindi serve solo per il risanamento, perché in caso di liquidazione, la palla passa al terzo pilastro rappresentato dalla tutela dei depositanti. Tutela dei depositanti non è stato ancora armonizzato  ogni paese ha la propria tutela dei depositanti  si sta discutendo su come fare quella unica. Proposte per la tutela dei depositanti unica: - Unico fondo; - Fondo di secondo grado in cui fondi nazionali apportano una parte; - Mantenere fondi nazionali; - Specie di cartolarizzazione  creazione società veicolo che compra 60% del PIL italiano in titoli italiani, 60% del PIL francese in titoli francese, …  60% perché regole europee impongono di non superare il 60% del debito pubblico  titoli vengono acquistati tramite l’emissione di un suo titolo (titolo sintetico), che non è debito pubblico dell’UE. Banche dell’unione bancaria possono comprare solo titoli sintetici e non titoli di stato  questo comporta ad avere un’omogenea classe di titoli con rischio zero all’interno del bilancio delle banche dell’unione monetaria. Con questo metodo l’unione europea ha richiesto l’istituzione della tutela dei depositanti  è un compromesso tra banche e unione europea. Meccanismo di risoluzione è già stato utilizzato solo in Italia Etruria, Marche, Ferrara e altra. È stato usato nella fase di avvio, andando ad istituire in Italia il fondo di risoluzione nazionale, che è stato costituito dalla BI, nelle more della costituzione del fondo unico, e parlamento ha obbligato alle banche di contribuire a questo fondo che poi sarà ad aumentare il fondo di risoluzione.

04/04/2017 Gli altri intermediari finanziari Il modello italiano originario vede la vigilanza riguardante solo le banche e non gli altri soggetti. Altri soggetti che inizialmente di fatto non esistono, ma che poi cominciano a esistere in primo luogo per importazione di modelli di prodotto/forma tecnica dall’estero. Quindi le prime cose rilevanti che si sviluppano in IT sono il leasing e il factoring, che sono delle attività creditizie ma che non vengono considerate, all’epoca, attività bancarie perché la legge bancaria non le prevede e perché vengono poste in essere da soggetti genericamente chiamati “Società finanziarie” epoca fine anni 70 inizi anni 80, che fanno solo quell’attività in modo disgiunto dalla raccolta del risparmio. Quindi la mancata connessione li fa considerare non bancari. Si finanziano con debito bancario o obbligazioni (poco con le obbligazioni perché per le società diverse dalle banche, almeno una volta, non si poteva emettere obbligazioni per un importo maggiore del capitale sociale. La leva era 1 al massimo). C’erano due ordini di problemi: - Liceità: la liceità dei contratti deriva dal fatto che il nostro ordinamento è civilistico. È un ordinamento chiuso, in cui il codice dovrebbe prevedere tutto e per quanto riguarda le forme tecniche dei contratti noi abbiamo due possibilità: contratti nominati (previsti dalla legge) e innominati (ipotetici contratti non previsti). Per i contratti nominati non c’è problema perché si possono fare sulla base della normativa. Per i contratti innominati può essere che si possano fare o può essere che non si possano fare. Qual è la discriminante? È un’analisi della tipologia che permetta di stabilire: 1 Il contratto non è riconducibile a una forma nominata, perché altrimenti si usa quella; 2 Se si riesce a stabilire che non è riconducibile a nessuna forma nominata, va verificato che il contratto non sia contrario ai principi generali dell’ordinamento. Ammesso che si passi questo stadio si va al 3. 3 Il contratto vada reputato, da un punto di vista giuridico, lecito. Di solito il terzo passaggio è collegato al secondo, perché di solito se non è contrario a nessun principio generale è lecito (a patto che abbia dei profili anomali [trasparenza, troppo sbilanciato] che pur rispettando i principi generali non è lecito). Appena arrivati si è discusso se si potessero fare o meno/ se fossero nominati o meno, se il leasing fosse una vendita con riservato dominio (il venditore si riserva la proprietà del bene finché non ha incassato tutti i pagamenti) o una locazione con diritto di prelazione. Verso il 1980, dopo un po’ di interventi della Cassazione si comprende che è innominato lecito. - Chi lo può fare? Agli inizi lo facevano delle società finanziarie, che in assenza di una norma si autoproclamavano “Società di Leasing”. Storicamente queste due attività venivano chiamate “Attività para bancarie” perché le attività erano simile alle forme tecniche bancarie, ma la demarcazione era che il settore bancario era vigilato e il parabancario no. In una condizione simile c’erano altre attività finanziarie abbastanza marginali: credito al consumo, prestiti personali, prestiti su pegno... Ma quello che mancava sempre era la raccolta del risparmio e concessione del credito. Tutti nel Parabancario. La prima regolamentazione netta si è avuta col TUB che, oltre a disciplinare l’attività bancaria, ha dettato un primo schema di regolamentazione anche dell’attività finanziaria in senso generale.

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Il TUB originale ha trattato la materia dall’art 106 in poi. L’originario 106 TUB prevedeva che chiunque svolgesse attività finanziaria a qualsiasi titolo (Holding industriale/mista, che fanno attività diversa dalla finanziaria non sono finanziarie perché sono non finanziarie che detengono partecipazioni finanziarie [la holding pura che non svolge nessuna attività economica prevalente, che ha come scopo solo il coordinamento di partecipazioni è per definizione una società finanziaria]) era tenuta a iscriversi all’elenco generale previsto dall’ex 106 TUB. L’iscrizione non comportava nessuna conseguenza in termini di vigilanza: gli iscritti non erano vigilati, non comportava adempimenti particolari. Per cui nel momento in cui si veniva a costituire una società o modificare lo statuto inserendo come attività prevalente un’attività finanziaria il notaio segnalava l’obbligo di iscrizione. Qualche conseguenza indiretta c’era: per esempio, salvo le holding industriali, per quelle di solo attività finanziaria (singola o di gruppo) dovevano fare il bilancio con il modello delle società finanziarie e non del codice civile. Non erano però vigilati, quindi la stesura secondo il CC non era punibile. Poi c’era l’art 107 del TUB. Diceva che i soggetti che svolgono attività finanziaria con il pubblico (non con il settore pubblico) in linea di principio sono tenuti a una serie di vincoli (in sede di costituzione, contenuti dell’attività che possono svolgere, di patrimonio minimo per costituirsi [non per lavorare dopo] e soprattutto qualora superino certe soglie operative a iscriversi al registro degli intermediari finanziari, elenco speciale. La conseguenza all’iscrizione era piuttosto blanda, richiedeva dei requisiti in più ma piuttosto blandi. Con l’andare con gli anni quelli dell’elenco speciale hanno iniziato ad avere sempre più regole, mutuate in parte dalle regole per le banche. Fino ad arrivare ai tempi attuali, dove la distanza tra le regole per i 107 e per le banche diventa molto sottile. Per cui l’incisività per gli intermediari 107 è molto alta. Tanto è vero che in molti casi, intermediari ex 107 molte società di questo ambito hanno deciso di loro iniziativa di fare istanza per avere la licenza bancaria. Per cui oggi si trovano sul mercato delle società di leasing intermediario finanziario non bancarie e delle società di leasing che formalmente sono banche ma che per loro scelta fanno solo leasing. Perché? Perché da un lato il costo della vigilanza maggiore si è ridotto, dall’altro essere banca ha un grande vantaggio: entrare nel circuito interbancario (posso avere rapporti con le altre banche migliori e accedere al prestatore di ultima istanza. La raccolta sull’interbancario per una società che fa solo leasing può avere un costo decisamente inferiore rispetto a quanto pagherebbe per ottenerli se fosse solo società di leasing.) Un vantaggio di accesso alle risorse. Prima di passare alle modifiche del TUB. Primo concetto, importante in un’ottica di Vigilanza: queste società finanziarie, in particolare le parabancarie (perché nel frattempo erano nate SIM e SGR), hanno storicamente e strutturalmente un problema. Una società (Es leasing) può avere, semplificando molto, tre situazioni: - È una società di leasing indipendente da altri soggetti economici, per cui lo scopo di questa società è quella di realizzare un coordinamento di attività di impresa al fine di generare profitto/valore. Fin qui si tratta di creare un contesto operativo sano dove operino in modo corretto. Vigilanza più o meno pervasiva sulla trasparenza dei rapporti coi clienti, coi finanziatori, regole sulle governance. Ma nulla di insolito. - Una società di leasing controllata da un intermediario finanziario/assicurativo. Non indipendente, ma dipendente dal settore finanziario. In linea di principio, la logica di questa società è comunque quella di creare valore e profitto. Immaginiamo inoltre che essendo inserita in un gruppo di per sé vigilato, abbia degli standard di gruppo elevati poiché il gruppo è vigilato, ancorché non vi sia vigilanza sulla singola società. Quello che può esser diverso è che le logiche operative di una società inserita in un gruppo possono essere diverse da una indipendente poiché riceve ordini dal gruppo. Situazione che potrebbe fare paura se il gruppo vigilato mettesse nella società non vigilata le operazioni poco trasparenti. Potrebbe essere un cassetto nascosto. La logica è sempre quella di intermediazione finanziaria - La società di leasing è controllata da un’impresa non finanziaria. Qui in astratto possiamo immaginare che sia tutto uguale, ma in concreto potrebbe non esserlo. L’inserimento in un gruppo non finanziario potrebbe, nei limiti della liceità, avere una mission aziendale leggermente distorta. Es: Fiat controllava la Sava Leasing, che faceva Leasing sui prodotti venduti dalla FIAT. Il problema: l’obiettivo di Sava Leasing è fare leasing o favore la massima vendita dei prodotti del gruppo? È un problema: se il gruppo FIAT ha una società di leasing, sicuramente lo fa per favorire le vendite. Non è il suo core business, è un business collaterale a supporto del core. Il fatto che il soggetto che sta dietro faccia un business non omogeneo e possa avere delle logiche di gestione della controllata orientate a finalità diverse di quella della controllata ed esso non sia vigilato, può portare ad una gestione della società di leasing anomala (Es assunzione di rischio eccessiva). La disciplina che, quindi, comincia ad emergere e si rafforza deve gestire tutte e tre le tipologie, ma con un’unità di regolamentazione. È evidente che le imprese di emanazione finanziaria sono poco felici di avere la regolamentazione di settore. Nell’ottica del produttore FIAT sono un’ottima valvola di sfogo, perché consentono di ridurre il capitale circolante dell’impresa: invece di vendere a credito vende attraverso la società di leasing che incasserà nel tempo. Per cui l’impresa non ha quel capitale circolante. Il problema che si poneva era poi nei bilanci consolidati e quindi o la FIAT consolidava solo le attività industriale e non il leasing e le finanziarie le consolidava a PN, oppure le doveva fare il consolidamento integrale. La differenza era che la FIAT risultava poco indebitata. Con il consolidamento integrale invece doveva mettere a patrimonio tutti i debiti di provvista e i crediti di finanziamento della società. Nel bilancio consolidato completo veniva fuori che certe imprese industriali avevano attività finanziarie di negoziazione importanti. Con problemi per le imprese quando non andavano bene, perché il mercato guarda allo stock di debito e il credito era visto con senso critico, in quanto veniva considerato come potenzialmente deteriorato. Appena la FIAT ha avuto problemi, hanno pensato di vendere la società di leasing a gruppi bancari ma con convenzione di operare sempre e solo per la FIAT. Oltre al parabancario abbiamo anche SIM, SGR e ECAI, società di Monetica, di Servizi di Pagamento.

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La regola fondamentale per l’obbligo di iscrizione al 107: - Esercitare attività nei confronti del pubblico - Rilevanza delle attività nei confronti del pubblico. La FIAT operava solo con le controllate, quindi non con il pubblico. Una società di leasing era inquadrabile come operante con il pubblico, ma era carente sotto il profilo del volume. Il Volume, per stabilire se iscriversi, veniva stabilito dal Ministro del Tesoro che stabiliva soglie e algoritmo di calcolo. Fino alla modifica del 2010, il requisito quantitativo era 75Milioni di €, calcolato con un algoritmo diverso dalla quantità di bilancio. L’iscrizione al 107 comportava automaticamente l’assoggettamento alla Vigilanza sugli intermediari creditizi non bancari. Quando uno chiedeva l’iscrizione e autorizzazione ad operare come intermediario 107 c’era un iter istruttorio, che poteva condurre formalmente solo a due risposte: Autorizzazione / Non Autorizzazione. In teoria se non autorizza, si deve chiudere l’attività (superi i 75M ma non puoi operare). Per cui era previsto un meccanismo con il quale veniva concesso un anno entro il quale si doveva tornare sotto i 75M. Il diniego veniva dato se non venivano rispettati una serie di requisiti: governance, controlli interni…ecc.ecc. L’Autorizzazione veniva data se venivano rispettati dei requisiti sotto il profilo gestionale, di governance. {Tutte le innovazioni finanziarie molto spesso sono scomparse rapidamente, perché: essendo nuove non erano disciplinate dal Fisco, il quale rincorrendole e tassandole le faceva sparire; non essendo vigilate, consentivano qualsiasi tipo di comportamento scorretto. Leasing e Factoring sono sopravvissuti perché veramente interessanti.} Con l’andare del tempo la vigilanza sul 107 si è avvicinata sempre più a quella bancaria. Per anni si è discusso su come procedere, su alcune ipotesi: - Manteniamo la differenza tra intermediari che lavorano e non lavorano col pubblico, eliminando la soglia quantitativa. Tutti quelli che “fanno quel lavoro lì” con il pubblico, indipendentemente dalla soglia quantitativa viene vigilato. Quelli che non lavorano con il pubblico non vengono vigilati. Questa logica andava pesantemente contro la logica della Banca d’Italia, che ha sempre ragionato su un’economia di scala di vigilanza (pochi sono più facili da vigilare; avere tanti piccoli è una rottura). L’idea era di avere sul mercato soggetti robusti come dimensione e solvibilità. Questa ipotesi di vigilare tutti quelli che lavoravano col pubblico era condizionata a mettere una barriera alta per operare col pubblico. - Mantenere una soglia quantitativa, e rendendosi sempre più complessa la vigilanza sugli intermediari non bancari (=costo della vigilanza consistente per i vigilati) si problema dell’incongruenza tra la soglia piccola dei 75M€ e i costi per gli adempimenti di vigilanza alti che mettevano in crisi l’equilibrio economico dell’ente. Questa seconda scuola di pensiero, che poi ha vinto, sosteneva: manteniamo la distinzione e alziamo la soglia. La soglia poi è stata alzata a 150 milioni. Nella pratica fino a 300M c’è qualche attenuazione, dai 300M in poi vengono considerati enti a regime. A quel punto il problema posto era: abbiamo vigilati e non. A seconda del tipo di attività posta in essere si è ritenuto opportuno che l’attività potesse essere anche svolta da non vigilati oppure no. Per alcune attività si è detto che il requisito di accesso viene a coincidere sia pure calcolato sul patrimonio o su altri dati o non sui volumi di attività, viene a coincidere con la soglia. Si è escluso a priori che qualcuno di non vigilato potesse operare. Es. SIM e SGR sono vigilate a prescindere dal volume. La seconda questione è se il vigilato e il non vigilato possano essere considerati come uno status simile, o il non vigilato abbia qualche penalizzazione. Le penalizzazioni in qualche caso riguardano la sfera di attività. Qualche tipo di attività può essere fatto solo dai vigilati. In linea generale i non vigilati possono fare solo una cosa, mentre i vigilati una pluralità di cose. Un contributo molto forte alla diversificazione tra vigilati e non è venuto dalle regole di Basilea 2 e successive modifiche. (Ci sono anche le regole sulla mitigazione del Rischio, con Basilea 2 quando guardiamo alle garanzie ci sono tutta una serie di sfumature. Un elemento rilevante nella mitigazione del rischio riguarda le garanzie sull’assorbimento. Ai fini della mitigazione del rischio costituisce mitigazione del rischio solo la garanzia rilasciata da un intermediario vigilato. Dal punto di vista dell’assorbimento di patrimonio la garanzia dell’intermediario non vigilato non vale, vale solo dal punto di vista giuridico. Il mercato fino alla crisi non ha discriminato vigilato e non. A seguito della crisi il mercato ha iniziato a fare distinzioni Nel 2010 viene approvata la riforma del TUB, che ribalta la struttura finanziaria degli intermediari finanziari non bancari. Vengono sostituiti gli art dal 106 in poi. Viene modificata la logica che prima era: 106 elenco generale / 107 elenco speciale / successivi al 107 le regole generali, le macro regole sui vigilati al 107. La nuova disciplina pone: 106 intermediari non bancari vigilati, successivi: regole sulla vigilanza su essi e poi qualche articolo specifico su altri intermediari (es. Confidi). La caratteristica forse più importante della modifica, a livello interpretativo, è che leggendola in modo evolutivo si va a cogliere una sorta di novazione del modello degli intermediari finanziari non bancari vigilati della de-specializzazione. L’idea è che il vigilato in via teoria può fare tutte le attività, non solo una in prevalenza. Mentre per gli altri intermediari finanziari non vigilati si conserva una forte specializzazione e tendenzialmente dei vincoli non di vigilanza, ma di operatività. Vengono considerati marginali. Per la Banca d’Italia sarebbero stati anche tolti, ma le pressioni delle associazioni di categoria delle imprese hanno fatto in modo che qualche ente restasse in piedi, magari aggregandoli tra di loro (Es. Confidi. Per la Banca d’Italia sono solo un Buffer da prosciugare per coprire i buchi delle banche.) Quali sono le regole per questi soggetti nuovi nel senso “TUB 106”? Le disposizioni in attuazione del rinnovato 106, emanato nel 2010, sono entrate in vigore nell’aprile del 2015 con la circolare n° 288 (03/04/2015 che mette come entrata in vigore 11/07/2015) Indice della Circolare – Titolo IV – Vigilanza prudenziale

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Capitolo I disposizioni Comuni – Sezione II paragrafo 5 – Autorizzazione all’utilizzo di sistemi interni di misurazione del rischio La Banca d’Italia autorizza l’utilizzo dei sistemi interni predisposti dagli intermediari per il calcolo dei requisiti patrimoniali sui rischi di credito, di controparte, di mercato, operativi, subordinatamente al rispetto dei requisiti organizzativi e quantitativi previsti per ciascuno dei suddetti sistemi, in base alle disposizioni di cui ai rispettivi Capitoli del presente Titolo. Il provvedimento di autorizzazione ha valenza esclusivamente prudenziale, non implicando, nell’oggetto o nella finalità, una più generale valutazione sul merito delle scelte imprenditoriali, delle quali restano responsabili gli organi aziendali.

Capitolo II – Sezione III – DISCIPLINA PRUDENZIALE SU BASE CONSOLIDATA (per gli altri intermediari ai tempi la vigilanza era ancora individuale) 1. Capogruppo di gruppi finanziari Le capogruppo di gruppi finanziari e il “singolo intermediario” rispettano, su base consolidata, le disposizioni riguardanti i seguenti profili prudenziali: a. fondi propri (cfr. Capitolo 3); b. requisiti patrimoniali (cfr. Capitolo 4); c. rischio di credito – Metodo standardizzato (cfr. Capitolo 5) e – se rilevante – rischio di credito – Metodo IRB (cfr. Capitolo 6); d. tecniche di attenuazione del rischio di credito (CRM) (cfr. Capitolo 7); e. operazioni di cartolarizzazione (cfr. Capitolo 8); f. rischio di controparte e rischio di aggiustamento della valutazione del credito (cfr. Capitolo 9); g. rischio operativo (cfr. Capitolo 10); h. rischio di mercato e rischio di regolamento (cfr. Capitolo 11); i. grandi esposizioni (cfr. Capitolo 12); j. informativa al pubblico (cfr. Capitolo 13); k. processo di controllo prudenziale (cfr. Capitolo 14). 2. Casi di esonero ed esclusione Dal consolidamento possono essere escluse le imprese il cui totale di bilancio risulti inferiore al più basso dei due importi di seguito indicati: o 0,5% per cento del totale di bilancio (comprese le garanzie rilasciate, gli impegni a erogare fondi e i titoli di terzi in deposito) della capogruppo o del singolo intermediario finanziario partecipante; o 5 milioni di euro. L'esclusione non è ammessa quando il totale delle partecipazioni nelle società individuate ai due alinea precedenti supera di 5 volte una delle suddette soglie di esonero. Qualora l’esercizio dell’anzidetta facoltà di esclusione comporti l’esonero dall’obbligo di applicare la disciplina prudenziale a livello consolidato, l’intermediario finanziario informa tempestivamente la Banca d’Italia (2) che non trasmetterà le segnalazioni relative alla data in cui le condizioni sopra indicate risultano soddisfatte.

Capitolo VI – Rischio di Credito (Modelli IRB) 2. Organizzazione e sistema dei controlli Gli intermediari definiscono le caratteristiche organizzative del sistema di rating che intendono adottare prevedendo appropriate forme di verifica e riscontro a tutti i livelli in cui si articolano le attività di controllo. Un primo livello di controllo si colloca presso le stesse strutture operative coinvolte nel processo di attribuzione del rating; tali controlli possono essere di tipo automatico ovvero disciplinati da appositi protocolli operativi (ad esempio, controlli di tipo gerarchico). Essi sono finalizzati alla verifica del corretto svolgimento delle attività propedeutiche all’assegnazione del rating, quali ad esempio la scelta del modello appropriato per la valutazione del cliente o dell’operazione e l’individuazione delle connessioni di natura economica o giuridica tra i clienti. Analogamente assume rilievo il rispetto delle procedure interne volte all’acquisizione delle informazioni necessarie per l’attribuzione e l’aggiornamento del rating. Nell’ambito di tali controlli rientrano altresì le verifiche sui singoli rating finali prodotti dai modelli. Nei sistemi incentrati sulla componente automatica, tali verifiche riguardano la completezza degli elementi valutativi presi in considerazione e si estendono alle modalità di trattamento delle informazioni qualitative oggettivizzate. Nell’ambito dei sistemi di rating che prevedono l’integrazione dei giudizi automatici con una componente discrezionale, sono necessarie verifiche sulla coerenza delle motivazioni alla base delle proposte di override con i criteri definiti dalla normativa interna. 3. Il processo del rating nell’ambito del gruppo finanziario Nei gruppi finanziari spetta alla capogruppo la decisione strategica di adottare un sistema IRB. Essa ha inoltre la responsabilità ultima della realizzazione del progetto, nonché della supervisione sul corretto funzionamento del sistema e sul suo costante adeguamento sotto il profilo metodologico, organizzativo e procedurale. A tale scopo la capogruppo deve esercitare le proprie prerogative di direzione e coordinamento fra le varie società e strutture del gruppo per assicurare unitarietà alla complessiva gestione del sistema IRB e per garantire il rispetto dei requisiti previsti dalla normativa. La capogruppo predispone una normativa interna volta a definire con chiarezza la ripartizione di compiti e responsabilità nell’ambito delle differenti fasi del processo del rating (quali, ad esempio, lo sviluppo dei modelli, l’assegnazione del rating e le funzioni di controllo) all’interno del gruppo, tenendo conto della peculiare struttura organizzativa di quest’ultimo. Particolare attenzione deve essere prestata ai criteri di rilevazione dei clienti nel gruppo e in particolare dei clienti comuni tra più aziende. Il gruppo finanziario deve disporre di un’anagrafe unica ovvero di più anagrafi, presso le diverse realtà aziendali del gruppo, purché tra loro agevolmente raccordabili, affinché sia consentita una univoca identificazione del cliente da parte di tutte le società del gruppo che hanno relazioni d'affari con il medesimo nonché l'individuazione dell'esposizione complessiva del cliente stesso nei confronti del gruppo finanziario. Inoltre, la capogruppo ha la responsabilità di definire l’assetto dei controlli interni sul sistema IRB in presenza di una pluralità di strutture allocate nelle diverse società del gruppo e di individuare le responsabilità e le attività da svolgere ai differenti livelli di controllo. In ogni caso la capogruppo deve assicurare che l’articolazione delle funzioni di convalida e revisione all’interno del gruppo risponda alle esigenze di unitarietà nella gestione e nel controllo del sistema IRB. In presenza di gruppi finanziari con ampia rilevanza dell’attività transfrontaliera, sono possibili soluzioni organizzative diverse purché rispondenti a specifiche e ben motivate esigenze aziendali connesse con aspetti peculiari e vincoli dei contesti locali.

Capitolo VIII – Operazione di cartolarizzazione (si mutuano le modalità di mitigazione del rischio come per le banche. Da notare che tra i soggetti vigilati ci sono anche le società Veicolo) Capitolo IX – Rischio di Controparte e Rischio di aggiustamento della valutazione dei crediti. Capitolo – Rischio di mercato e di regolamento Capitolo XIII - Informativa al pubblico (In pratica è come se avessimo preso i 3 pilastri di Basilea e incollati sugli altri intermediari, che non sono direttamente assoggettati)

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Capitolo XIV – ICAAP (valutazione aziendale di adeguatezza patrimoniale) Vigilanza informativa: segnalazioni di Vigilanza a Banca d’Italia, quasi uguali dovuto al fatto che non possono fare certe attività (non ho Bilancio delle imprese e bilancio consolidato. Segnalazione di “Operazioni rilevanti”: che impattano sul patrimonio di vigilanza infrasemestrale in modo rilevante. Infine è importante che si sono allineati i profili sanzionatori, si è esteso il potere sanzionatorio all’Autorità di vigilanza rendendolo quasi simili come sulle banche. Gli stessi poteri che la Banca d’Italia non ha più sulle banche li ha sugli intermediari finanziari, sono gli stessi poteri che aveva la Banca d’Italia prima dell’Unione Bancaria, non quelli che ha la BCE ora. L’Unione Bancaria non ha competenza sugli intermediari finanziari non bancari. {In più ci sono: norme sulla costituzione / Programma di Attività che va inserito nella “Relazione sulla struttura organizzativa” che va allegata alla domanda di iscrizione al 106 / Assetto Proprietario – vincoli sulle caratteristiche degli azionisti / Regole amministrative sul processo di autorizzazione di concessione del credito /Decadenza e Revoca dell’Autorizzazione: riguarda quelli che erano vigilati prima ma non hanno più il requisito del 150Milioni, quelli che non arrivano a 150 Milioni possono richiedere sotto particolari condizioni di essere vigilati, mentre quelli che non lo richiedono decadono dalla vigilanza, con l’implicazione che possono fare meno cose / Regole connesse alle attività strumentali}. Titolo Secondo: Esponenti aziendali (requisiti simili a quelli delle banche) / Assetti organizzativi / Possibilità di dare in outsourcing alcune attività (ci sono dei limiti di vigilanza su cosa si può dare) Titolo 4 Capitolo II – Disciplina prudenziale su base individuale Per quanto riguarda i fondi propri, grosso modo il meccanismo è simile a quello delle banche. Il concetto di patrimonio di Vigilanza è praticamente lo stesso. Anche qui si applica un meccanismo di rischio rapportato all’attivo ponderato per il rischio. Il requisito patrimoniale è collegato al meccanismo di ponderazione dell’attivo. Rispetto al modello delle banche ci sono delle opzioni di fortettizzazione con una percentuale predeterminata. Tra questo anche le rettifiche di valore dei crediti. C’è un raccordo spinto con i criteri contabili. I principi IFRS sono la base delle segnalazioni Vigilanza. Nell’applicare il rischio di credito, ci sono delle declinazioni che valgono per particolari tipologie di intermediari finanziari non bancari (i requisiti sono personalizzati per i tipi di attività).

05/04/2017 Confidi Rivedere cosa sono, cosa fanno. Concentrazione: modalità operative. 3 modalità consequenziali. Nascono e poi si evolvono. Nascono settorialmente, o con duplicazione settoriale (per colore politico dentro uno stesso settore). In certe situazioni come il FVG ne hanno fatta uno solo per categoria, più una per le cooperative, più un Confidi unico per l’agricoltura e uno particolare per i prosciutti. 1- Funzionalità con un capitale e un patrimonio blando. Erano consorzi o cooperative, non c’era una normativa e quindi chiedevano un “chip” simbolico per associarsi. L’elemento fondamentale era una sorta di mutualità di garanzia costruita attraverso l’impegno di ogni associato nel garantire gli altri. L’impegno consisteva nel rilascio a favore dei Confidi di una garanzia da parte dell’associato. Si comprava una quota (simbolica) e si sottoscriveva una garanzia (non simbolica, a importo determinato). La somma delle garanzie veniva chiamato Fondo Fideiussorio. Dopo di che il Confidi faceva convenzioni con le Banche, nelle quali veniva predefinito un plafond di credito agli associati del Confidi. Determinato allocando alla banca una quota indivisa del fondo fideiussorio moltiplicata per un coefficiente (moltiplicatore). Es: diamo 10M di Fondo, moltiplicati per 10 fanno 100M di Plafond di Credito. La banca erogava ai soci del Confidi fino alla somma risultante, con livello di garanzia pattuito e in caso di perdita la banca si poteva rivalere sul Confidi andando ad escutere il Fondo per la quota assegnata. Modello mutualistico perfetto: tutti i soci rispondono per tutti i debiti degli altri soci. Il funzionamento del modello risulta impraticabile. Se la banca ha il 10% del fondo, e il Confidi ha 1000 associati la banca per escutere deve fare 1000 escussioni (perché sono pro quota le risposte). I costi dell’escussione sono talmente alti che per crediti di piccolo importo portare avanti la procedura non ha senso (per costi, complessità, tempo) perché tutti rispondo in modo mutualistico pro quota. La capacità operativa dei Confidi però poteva avere una sua logica riconducibile al concetto del “Gruppo di Acquisto”. Per la banca il Confidi porta 1000 soci = 1000 clienti e questo è conveniente sotto il profilo economico (può concedere condizioni economiche migliori) ma sotto il profilo del rischio non ha senso. Per cui in questa prima fase il fenomeno delle escussioni è stato un fenomeno abbastanza frammentario, perché non valeva la pena. Però perché il gioco funzionasse il Confidi non poteva perdere la faccia che quando uno non pagava il Confidi non pagava, e quindi invece di escutere il fondo si cercava di risolvere per cassa. Ma il Confidi non aveva cassa, aveva un patrimonio esiguo, quindi nel tempo si è creato un volano per cui il Confidi cercava Cash per pagare le perdite. Come cercava questi soldi? Aumenti di capitale: No. I soci non avevano soldi da mettere nel Confidi; il processo è stato indirizzato verso fondi esterni (cerco chi me li dà) e il primo che si va a interpellare è lo Stato, Regione, Provincia, Comune, Camera di Commercio …In questo modo alcuni Confidi sono riusciti a fronteggiare i pagamenti richiesti, altri Confidi si sono estinti e altri confidi ancora si sono scoperti talmente bravi a reperire fondi che si sono

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trovati con un sacco di soldi/patrimonio (poi ognuno li contabilizzava come voleva: iscritti a patrimonio, iscritti a fondo alimentato da contributi di terzi per coprire i rischi delle garanzie erogate). Ovviamente per le banche questa era una soluzione percorribile, perché alla fine non serviva escutere. Il limite della garanzia concessa alla singola banca è formalmente nella quota del fondo assegnata alla banca: il Confidi risponde per 50% ma al massimo paga 10%. E qeu l10% viene pagato con altri fondi. 2- Funzionalità simile con una differenza: invece di calcolare il plafond di affidamento del Confidi facendo riferimento al Fondo Fideiussorio si fa riferimento al Fondo Rischi, che è a questo punto non una garanzia ma una posta anomala del passivo alimentata da contributi esterni, contributi dei soci, utili non distribuiti, che diventa la base su cui costruire il plafond. E lo si costruire sulla base del fondo rischi impegnato sulla base della singola convenzione con la banca. Non sul fondo rischi teorico, ma su quello impegnato = quanto destinato alla singola banca. Come lo destino? Avendo a fronte del fondo rischi qualcosa nell’attivo, inizialmente depositi bancari:“Depositi bancari divisi in: liberi vincolati”. Il fondo rischi che viene trasformato in plafond per i soci è quella parte di fondo rischi, rappresentato da depositi bancari nell’attivo, che io vincolo a favore della banca. È una sorta di pegno con garanzia eccezionale, perché la banca ha già in mano i soldi. Possiamo immaginare quindi leve moltiplicative più alte. La banca appena subisce una perdita la comunica e il Confidi ha due possibilità: a. Prende atto e la banca preleva dal deposito vincolato la quota garantita della perdita = moltiplicatore ridetermina un plafond più piccolo e quindi la banca potrebbe di reintegrare almeno all’importo di utilizzo. b. La banca ripaga la perdita il libero e il vincolato non viene toccato per mantenere il plafond. Per la banca è una garanzia molto interessante, pur avendo la leva: se ho 10M di Vincolato * 20 Moltip = 200M plafond con 50% di garanzia = 100M garantito vs 10M di fondo; statisticamente avendo prestiti di importo contenuto con un numero elevato di posizioni la probabilità che falliscano tutti è molto bassa. Se poi letto in chiave dinamica nel senso che il Confidi copre le perdite mano a mano che arrivano, si può pensare che il Confidi copra sempre, all’infinito. Per la banca è come se fosse un pegno in denaro. La cosa funziona a due condizioni: 1) il clima economico non sia devastante; 2) il Confidi sia sempre capace di reperire nuovi fondi. Problema: è possibile immaginare che un Confidi possa vivere senza i contributi esterni? Una volta i Confidi operavano in modo gratuito = il CE ha solo Ricavi:” interessi”; Costi:” costi operativi e perdite”. I costi operativi nel tempo hanno iniziato a crescere, assieme alla crescita della struttura operativa. Nel nostro paese c’era una situazione molto anomala: per molti anni (70/80) tassi molto alti. Quindi i Confidi sui loro attivi avevano interessi molto alti che riuscivano a coprire tutti i costi operativi e perdite = si andava in pareggio nel momento in cui erano capaci anche a reperire un po’ di fondi. Per cui il beneficiario della garanzia non aveva nessun costo se non la quota di ingresso (molto piccola, simbolica). I problemi cominciano a nascere o quando certi Confidi sono maldestri e danno garanzie senza una corretta valutazione, con un aumento esponenziale delle perdite, o per ideologia (diamo garanzie a tutti) anche per colpa dei partiti fondanti. E in questo senso i Confidi se usano i soldi per dare un sostegno anomalo a chi non ha un merito creditizio, di fatto prendendo fondi da soggetti terzi e dandoli a soggetti privi di fondi diventano un canale di trasferimento di fondi pubblici alle imprese con un criterio quasi di salvataggio (comincia a nascere il problema degli aiuti di stato) e quindi per qualcuno la funzione economica non è l’accesso al credito, ma l’aiuto delle imprese morte o (nell’ultima crisi) il sostenimento delle banche. Mentre la funzione economica vera è quella di favorire l’accesso al credito. Accesso al credito per fattori dimensionali e informativi. Informativi perché a livello teorico si può giustificare l’esistenza dei Confidi solo se si immagina che esso possa colmare l’asimmetria informativa tra piccola impresa e la banca. Perché per imprese piccole e destrutturate la banca non trova convenienza economica a portare avanti un’istruttoria per colmare i gap informativi. Il Confidi ha un vantaggio informativo rispetto alla banca per la sua connotazione principale di essere fatta e gestita da imprese. Quindi potrebbe avere dei flussi informativi definibili come “informazioni diffuse” che la banca che lavora sulle informazioni strutturate fa difficoltà ad intercettare (le imprese si conoscono tra di loro, sanno come lavorano, se sono affidabili o meno, ecc. ecc.). Questo a condizione di un contesto territoriale radicato. Un Confidi nazionale poco può sapere delle imprese piccole provinciali. Qui si scontrano due idee: Confidi come canale di trasmissione di politica economica = sono sufficienti anche pochi confidi. E allora la funzione economica non è quella originale. Se invece la funzione economica è risolvere un problema di dialogo tra banca e PMI allora ci può essere una funzione diverse e possiamo chiederci anche:”Può stare in piedi questa funzione economica?” Sì, se ha un valore allora il mercato potrà pagarlo sotto forma di 1) commissione di garanzia; 2) forma di beneficio concesso dalla banca a chi viene con la garanzia rispetto a chi non ce l’ha. Potrebbe diventare più importante se l’autorità di vigilanza accettasse il ragionamento che i crediti concessi con Confidi fossero valutati non a livello individuale, ma livello di portafoglio sostituendo il rating del Confidi a quello del singolo clienti = fino a certe soglie la banca può non fare l’istruttoria perché già la fa i Confidi. Questo abbatterebbe di molto i costi. Quando si passa dal fondo fideiussorio a questa modalità, su Confidi non normati e non Vigilati il meccanismo è sempre garantito la banca risponde fino all’importo che ha vincolato. La banca ha comunque un importo in mano. Il Confidi salta se non sa dare le garanzie e se non sa raccogliere i fondi. Quando le condizioni del mercato italiano vedono una discesa dei tassi di interesse (3/4%) cominciano a nascere problemi: dal punto di vista monetario le entrate da interessi diventano molto più piccoli, i costi operativi invece salgono = non si riesce a coprire. Quindi il problema è un equilibrio economico che non sussiste a livello strutturare. Nasce il problema un po’ di regolamentare i Confidi che non sono regolamentati sia a livello di normativa che regolamentazione di secondo livello, ci si interroga sulla vigilanza, si discute per anni di fare una disciplina, un Testo Unico dei Confidi (che non si riesce a far passare per molti motivi, operazione di lobby delle associazioni di categoria contro un testo Unico limitante. Dall’altra parte la Banca d’Italia non ha mai amato i Confidi, li ha sempre considerati una riserva da saccheggiare per sostenere le banche). Fino a che a un certo punto, con una legge che nulla ha a che vedere con i Confidi, con un emendamento in Parlamento, una bozza di disegno di legge di testo unico sui confidi viene inserita all’interno di una legge, inscatolandola all’interno dell’ART 13. Per cui ogni comma dell’articolo è un articolo del Testo Unico.

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Definisce che: chi vuole fare garanzia nei confronti degli associati è un Confidi, deve chiamarsi Confidi è ha l’esclusiva. Quindi se uno non si chiama Confidi, esercita in abuso e può essere perseguito penalmente per abuso di attività. Si costringe a far emergere il fenomeno: chiunque non si iscrive come Confidi è un abusivo; definisce dei criteri minimali. Dopo di che ci sono delle cose molto importanti: 1) Vengono individuate tre figure di Confidi: Confidi normali: non è sottoposto a vigilanza patrimoniale (sì a antiriciclaggio ecc., ecc.) Confidi “Vigilato”: è, salvo specificità, inserito nell’ex 107 elenco speciale, con tutto quello che consegue (criteri di individuazione di chi sottoposto obbligo di domanda di iscrizione; criterio dimensionale vecchi 75M). Banca di garanzia: Confidi con licenza bancaria, fa garanzie prevalentemente ma potrebbe fare altro, in più per es. ha accesso all’interbancario. Il modello di governance e di vigilanza non è disciplinato dall’Art 13, ma si fa rinvio per quanto rinviabile al modello della BCC, che aveva delle semplificazioni nella governance e vigilanza. L’unica è nata a Padova, ma poi è morta. Con l’emanazione di questa norma si ha un molto forte si ha un impatto sui confidi, perché tutti sono costretti a decidere cosa vogliono essere e quindi ci sono alcuni confidi che vogliono essere banche di garanzia, quelli che per dimensione devono essere “vigilati” (con i relativi costi); altri che sono più piccoli gli va bene a fare i confidi; altri ancora non vorrebbero nemmeno essere confidi se fosse possibile, perché [Es. Puglia ] si trovano Confidi con la soglia patrimoniale più piccola di quanto previsto. Ci sono regole nella normativa su diversi aspetti: costituzione, governance, responsabilità, Confidi di secondo grado (controgaranzia) Quelli che entrano nella sfera 107 si è iniziato a inserire nell’ottica della vigilanza, vigilanza che nel tempo si era inasprita negli anni. {Basilea 2: introduce nel primo pilastro un forte affidamento nella valutazione del rischio di credito, passando a un rischio di credito molto più raffinato che discrimina la qualità del credito delle imprese, se dimostrabile dalla banca. Il calcolo della rischiosità di un credito viene fatto tenuto conto di rating interni (Interni avanzati) e/o esterni (Standard e Interno Base). Ci sono poi degli strumenti di mitigazione del rischio [ipoteca sull’immobile e altri strumenti di mitigazione: garanzie reali/personali, cartolarizzazioni]. Una di questa è la garanzia personale (fideiussioni ad es.). La garanzia dei Confidi si configura come una forma strana di garanzia personale [le assomiglia molto, anche se non ne ha i “crismi”]. L’Art 13 ha di fatto reso ufficiale questa forma di garanzia personale. Cosa c’entra Basilea 2 con mitigazione del rischio di credito con i Confidi? Molto, dove si parla di garanzie personali si dice che “valgono se sono rilasciate da intermediari vigilati”. Viene fuori che la garanzia dell’intermediario vigilato vale come mitigazione, mentre quella del Confidi base no. In linea di principio si mette su due piani diversi le due garanzie. Con una specificazione, che questo discorso vale per chi usa il metodo standard di valutazione e chi usa il metodo interno base; non necessariamente vale per il metodo interno avanzato, perché se l’Autorità di Vigilanza approva l’algoritmo di valutazione poco importerà se la garanzia derivi da un intermediario vigilato o meno. COSA VUOL DIRE MITIGAZIONE DEL RISCHIO? Cosa comporta avere il vantaggio della mitigazione? VUOL DIRE CHE: per la mitigazione del rischio serve essere vigilati, mentre per affrontare il rischio servono tutte. Vantaggio della mitigazione del rischio per il vigilato? La banca ha un assorbimento patrimoniale minore, quindi converrebbe avere solo garanzie da vigilati. Ai tempi il requisito patrimoniale minimo era solo l’8% (non c’erano ancora i Buffer) e nel mercato erano quasi tutti sopra; conveniva solo a chi era al limite considerare i vigilati = il mercato non ha premiato da subito il rapporto con solo i vigilati. Serve una garanzia Confidi al di là della mitigazione del rischio? Sì. La mitigazione serve per valutare il rischio ex ante, secondo un modello logico che calcola la probabilità di perdita a un anno come: PDefault * Quanto perdo se Default. La garanzia dei Confidi semplice non mi aiuta, perché la mitigazione incide su questo meccanismo. Ma la garanzia mi serve nel momento in cui devo andare a recuperare il credito e sul recupero non mi interessa se è vigilato o no, l’importante è che mi deve pagare lo stesso. In termini non di mitigazione ex ante, ma di solidità in generale sicuramente tiene conto che se c’è una perdita poi me la paga il Confidi. E sulla valutazione del Dubbio Esito tengo conto della Garanzia e della Bontà del Garante. Al di là dell’essere vigilato o meno. Poi in astratto si può pensare che i vigilati sono per definizione solidi. Ma ci sono anche non vigilati molto solidi, perché fanno poca operatività. Mano a mano che la crisi ha iniziato a mordere, alcune banche hanno iniziato ad avvicinarsi alle soglie patrimoniali e quindi cercare di utilizzare tutte le tecniche di mitigazione possibili. Per cui qualche banca ha iniziato a preferire i vigilati, ha iniziato sul mercato a discriminarsi la situazione.}

I Confidi vigilati hanno qualcuno che gli sta un po’ sotto per cercare di garantire che abbiano condizioni di equilibrio economico/patrimoniale/finanziario, mentre gli altri non li controlla nessuno. Allora il fenomeno già in atto è che, con la discesa dei tassi di interesse, l’equilibrio economico diventa un po’ critico; poi con la divisione in categorie con diversi criteri e modalità di rilevare l’equilibro economico diverso (Criteri IAS e CEE diversi). L’elemento sostanziale è che per mantenere l’equilibrio economico, con ricavi finanziari in forte calo e con costi operativi in crescita per tutti + perdite già pre crisi non coperte, i Confidi qualche volta, controvoglia, sono stati costretti a farsi pagare le garanzie. Sono stati costretti ad associare al rilascio della Garanzia delle commissioni. Nei ricavi entra la Commissione, che inizialmente è simbolica e che poi evolve fino ad essere significative. In presenza di commissioni il concetto di equilibrio economico cambia, perché potremmo attenderci che se la funzione economica svolta è riconosciuta dal mercato le commissioni saranno sufficienti a coprire costi e rischi. Possiamo immaginare in teoria che il Confidi possa operare senza contributi pubblici, facendo bene la selezione del rischio e facendosi pagare la garanzia a un prezzo equo che copre costi e rischi. Un altro tema è che già l’ART 13 aveva previsto che per i Confidi vigilati di regola la Garanzia dei Confidi vigilati non funziona più col fondo rischi. Di regola dovrebbe funzionare senza fondo rischi, senza moltiplicatore, secondo un principio che giuridicamente è noto come garanzia a prima richiesta: il garante risponde incondizionatamente con tutto il suo patrimonio (Se do garanzia per 10 non viene data una parte del fondo, posso anche non avere dei rapporti di C/C ma può escutere tutto il patrimonio). È una forma di garanzia più di mercato. La logica è che il confidi generato è sciolto da tutta una serie di vincoli, risponde in Toto però può investire i soldi come vuole (non li deve più vincolare). Nella fase di passaggio molte banche hanno digerito poco questo passaggio. Ci sono dei Confidi vigilati che rilasciano la garanzia a prima richiesta perché è obbligatorio, ma hanno ancora una qualche forma di plafond, depositi vincolati, collaterali, delle cose incoerenti con la prima richiesta. Hanno tenuto una forma un po’ ibrida. Mentre i Confidi semplici lavorano ancora con la logica del plafond. È molto

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importante dal punto di vista della vigilanza perché i Confidi che rispondono con tutto il loro patrimonio possono farlo in quanto vigilati dal punto di vista patrimoniale. Con la Riforma del TUB: Confidi vigilati passano dal 107 al 106: i Confidi normali cambiano nome: Confidi Minori (Soglia 150M). La grande novità del TUB è che per mentre tutti i soggetti finanziari, gli ex elenco generale, più di tanto c’è solo qualche regoletta, per i Confidi si è creata un’Autorità di Vigilanza sui Confidi minori che è stata (Fine gennaio) costituita, ma priva di autoregolamentazione, che dovrà andare ad operare a livello di normativa secondaria sui Confidi minori nei limiti della norma. La vigilanza è diversa da quella del 160. La Banca d’Italia vigila sull’Autorità, per cui alla fine è essa a inibire/imporre l’operatività.

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PARTE 2 – ASSICURAZIONI. Prima questione: uno degli esempi di impresa che ha il ciclo monetario invertito. Prima incassano e poi pagano Incasso anticipato dei premi di assicurazione. Pagamento del sinistro: indennizzo a fronte dell’evento sfavorevole all’assicurato. Per cui diremo che le compagnie di assicurazione hanno due anime: 1) riuscire a prezzare bene i rischi che coprono con il contratto (individuare un premio adeguato, di modo che ex post non ci sono scostamenti negativi): GESTIONE TECNICA; 2) incassando dei soldi prima, hanno soldi per un certo periodo = li investono per farli rendere: GESTIONE FINANZIARIA. Una qualsiasi compagnia di assicurazione ha queste due anime. La posizione di una assicurazione vede: Investimenti Riserve tecniche Patrimonio

Primo problema: quando noi emettiamo i premi (mandiamo la polizza con il premio da pagare, e il cliente ha un termine entro cui pagare per la valenza della polizza. Quella polizza è emessa ma non è ancora pagata. Quindi andrà distint tra premio emesso, premio incassato e premio di competenza. Ora, prescindendo da come si costruiscono le riserve, cerchiamo qual è la logica della riserva. Nel contratto ho scritto: a fronte di un premio ho una copertura di rischio fino ad un certo ammontare massimo. L’ammontare massimo definito nei contratti e il capitale garantito. Sull’intero portafoglio avremo un ammontare pari alla somma delle singole polizze. Il capitale garantito è il massimo teorico che la compagnia può essere chiamata a pagare, dato il portafoglio di polizze in essere. Se noi prendiamo in un istante facciamo il totale dei capitali assicurati. Ma i contratti prevedono che la copertura si protragga nel tempo, quindi quando calcoliamo il capitale garantito devo avere anche una visione dinamica. Quindi se noi dovessimo chiederci: qual è il debito massimo possibile nei confronti degli assicurati? È questo. Ma è un’ipotesi remota, perché pagherà solo per gli eventi che si verificano (ovvero che tutti si verifichino). Invece in termini statistici, noi osservando il passato ci accorgiamo che di solito i sinistri che paghiamo sono un numero molto più piccolo. È molto difficile che paghiamo tutto. In termini probabilistici noi scontiamo l’ipotesi di andare a pagare solo quegli eventi che in termini probabilistici riteniamo avvengano. Esempio del Quartiere All’aumentare della numerosità di rischio omogenei, la distribuzione di probabilità converge su un numero: Perdita*Probabilità di perdita = Valore Atteso Medio Ex Ante. Questo è il concetto Mutualistico: all’aumentare della numerosità, il valore atteso ex ante è grossomodo uguale a quello ex post. Quindi facendo un patto di mutualità tutti i partecipanti versando l’ex ante pagano quello che sarà il loro costo. Se c’è qualche scostamento poi si aggiusta. Tutte le assicurazioni, tranne i rischi speciali, seguono in qualche misura questo ragionamento. In realtà dal ragionamento mutualistico nascono due tipi di assicurazione: mutualistica (con regolazione del premio ex post), assicurazione in senso stretto (funziona con una grande differenza: il premio ex ante lo consegno a un terzo e quella fronte del premio rinuncia al conguaglio. La compagnia assume il rischio di volatilità ex ante rispetto quello ex post.) In generale sembra che il modello mutualistico sia migliore, ma non è così: se introduciamo i costi di gestione possiamo pensare che il modello mutualistico non sta in piedi: deve darsi una struttura. Il modello assicurativo ha già una struttura e per far fronte al rischio di volatilità deve dotarsi di un Buffer patrimoniale. Posso esistere tutti e due, di solito nel mercato maturo esiste solo l’assicurativo in senso stretto. Le Mutue Assicuratrici non fanno mutualità, sono società cooperative che fanno assicurazione in senso stretto. (La Reale mutua se realizza utili li distribuisce come riduzione del premio; se a fina anno va in rosso non richiede nulla perché è un’assicurazione in senso stretto). Se noi dovessimo rappresentare il debito della compagnia dei confronti degli assicurati potremmo pensare di scrivere l’importo del capitale assicurato. Però la compagnia immagina di pagare solo la parte che probabilisticamente andrà a constatare. Come si passa dal massimo teorico a quello di pagare? Dobbiamo applicare dei meccanismi di trasformazione in valore probabile. La matematica attuariale ci dà gli algoritmi per passare al valore probabile. Però queesto valore non è uguale per tutte le assicurazioni. La convergenza al valore dipende dal numero di contratti. Se abbiamo pochi contratti omogenei ed indipendenti, la volatilità del risultato ex ante rimane elevato. Il valore atteso avrà un livello di incertezza molto elevato. Gli algoritmi della matematica attuariale tengono conto di questi fattori. Quanto noi pensiamo di pagare da tutit i iprofili di rischio si chiamano Riserve Tecniche. Noi iscriviamo a bilancio non il rischio assunto, ma quello che noi prevediamo di pagare a fronte del rischio assunto. Quindi diremo che la riserva tecnica rispecchia il debito nei confronti deli assicurati in senso stocastico. Il debito tenendo conto delle probabilità. Contrariamente a tutte le altre realtà, in cui i rischi si concentrano nell’attivo (Banche: rischio di credito e di investimento = 0 rischio nel passivo) nelle assicurazioni abbiamo sempre dei rischi nell’attivo (che perda valore), ma abbiamo ache il rischio che il passivo aumenti di valore perché pur facendo calcoli corretti stiamo guardando al domani sulla base del passato. Nell’attivo si ragiona: diminuzione di valore; Passivo: aumento di valore dovuto a valutazione ex ante anche corrette. In generale nell’attività assicurativa ci sono due anime e due rischi, di aver chiesto un premio troppo basso rispetto agli eventi + rischi che gli investimenti che facciamo producano delle perdite. Quindi questo è un debito non certo, stimato attraverso una buona prassi attuariale. Una seconda differenza rispetto alle banche è nella struttura dell’attivo: le banche comunque si consideri. Nelle assicurazioni la componente crediti è sempre molto contenuta, possono fare crediti (possono essere anche privi di rischio). La componente prevalente delle compagnie

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sono i titoli e qualche immobili (soprattutto nel passato). Ma se andiamo a vedere nel temp [] la logica di investimento rispetto a quello della banca è diverso. La banca ha un orizzonte di breve. Mnetre l’assicurazione ha un orizzonte molto più breve. Avendo un ciclo monetario invertito, si pone il problema di continuare ad investire. In linea di pricnipio guarda ad investimenti di durata più lunga di quelli della banca. Terza questione introduttiva: nell’ambito delle compagnie possiamo fare delle distinzioni. - Fanno lavoro diretto: assicurazioni - Fanno lavoro indiretto (compagnie di riassicurazione): non assicurano i clienti ma assicurano altre compagnie di assicurazione. L’assicurazione che vuole riassicurarsi trasferisce il contratto ad una società di riassicurazione. Delle riserve tecniche una parte viene venduta al riassicuratore = Riserve tecniche cedute. Non può esistere nessun contatto tra riassicuratore e assicurato. L’assicurazione pagherà l’assicurato e il riassicuratore pagherà pro quota l’assicuratore. Se io cedo riserve tecniche per 10, nella pancia del riassicuratore per che numero sono iscritte nella pancia del riassicuratore? Può dare un numero qualsiasi, perché si combinano con altri rischi omogenei. Dipende da come si combina con gli altri. Riassicuratore Riserve tecniche cedute -

Compagnie miste: sia assicurazione che riassicurazione, anche se è piuttosto problematico perché chi fa riassicurazione vede le informazioni dell’assicurazione diretta di chi gli cede i contratti. [] Dopo di che bisogna distinguere sulla base delle normative, le compagnie che operano nei rami vita e nei rami danni. Nel nostro paese abbiamo 6 rami nel vita e 18 nel danni. IN linea di principio prevede che una compagnia o è vita è danni. Le regole parlano sempre di vita o non vita. Le direttive dell’unione sono un tentativo di armonizzazione tra regolamentazioni diverse da loro. Vita e non vita. Perché la distinzione tra vita e danni non c’è in altri paesi. In Germania c’è Vita/Danni/Malattie. Quindi Sul Vita sono d’accordo tutti, mentre sul resto si è agglomerato nel Non Vita. Una compagnia deve decidere se essere vita e on vita. Con alcune deroghe, particolari e generali. Le deroghe particolari: una compagnia vita può essere anche autorizzata a svolgere il ramo I e II del non vita (infortuni e malattia) perché sono facili da vendere a pacchetto. [] Danni alal persona in via complementare. L’altra possibilità è che se è una compagnia non vita di ramo I e II può essere autoritzzata a fare vita. In casi speciali può fare tutti i rami se vuole. - Pre esistenza alla norma comunitaria - Una compagnia incorpora una compagnia dell’altro tipo in caso di difficoltà di questa. (vale se ne risolve la crisi) ù Nelle assicurazioni non vita l’assicurazione è tutta individuale. Una compagnia in astratto può essere vita ma possedere un’impresa non vita. La cosa importante è che: - Nel bilancio CEE abbiamo lo schema di bilancio completo che vale per le compagnia che fanno vita e non vita e poi abbiamo 2 schemi di bilancio semplificati per quelle che fanno solo vita o non vita, mentre nel bilancio IAS c’è un unico schema. - Nella vigilanza sulle assicurazioni abbiamo, almeno fino a Solvency 1 le regole di vigilanza diverse per vita e non vita. Per cui quando fanno le stesse cose vige il principio di separatezza tra le due attività (Come se avesse due patrimoni) questo perché ci sono parecchie differenze nelle regole tra vita e altre. Differenze che si sono accentuate perché molti prodotti vita sono andati nella direzione del prodotto finanziario e si sono allontanati dal modello di gestione di rischio dell’impressa di assicurazio classica. L’ultima differenza è che: - Nel settore assicurativo non esiste il prestatore di ultima istanza stile banche - Storicamente diremo che la forza di persuasione dell’autorità di vigilanza sulle assicurazioni è molto meno incisiva rispetto alla BCE sulle banche (perché controlla e fa da prestatore di ultima istanza).

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