I Problemi Dei Contratti Inter Nazi On Ali

  • June 2020
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INTRODUZIONE La conclusione di contratti per operazioni commerciali con l'estero pone un ampio ventaglio di problemi: molti di essi sono difficilmente ‘individuabili’ a prima vista, soprattutto da parte degli imprenditori. Questi ultimi, presi come sono dalla valutazione economica delle operazioni, e spesso già soddisfatti per il solo fatto di aver ‘venduto’ o ‘fatto l’affare’, tendono a tralasciare o sottovalutare i problemi giuridici, quelli ‘che non si vedono’. Infatti all’operatore economico può sembrare che se nel contratto che conclude l’affare, c’è scritto tutto’, non ci potranno essere problemi.

E invece non è così. Anzi, quel che è più grave, in un grande numero di casi, il giurista o l’esperto legale dell’impresa, il consulente/avvocato che la segue abitualmente, non conosce la complessa problematica del ‘Diritto Internazionale Privato’ o di quello processuale internazionale, che comprende i diversi aspetti delle controversie, tra cui l’arbitrato, né possiede esperienza di legislazioni straniere. Non che un esperto possa conoscere il diritto di tutti i paesi del mondo, ma un esperto in questo campo sa quali sono i ‘punti critici’ di tali legislazioni, che possono tradursi in rischi per il singolo contratto. Non sempre però ‘l’avvocato di famiglia’ riconosce le sue carenze e suggerisce di consultare uno specialista, e finisce per ‘improvvisare’, con possibili gravi conseguenze per l’operatore. In tutti i casi si trovano alcuni criteri, che ci permettono di valutare l’adeguatezza degli esperti e professionisti di questo settore. Egli conosce i problemi che sono trattati qui di seguito e, se gli viene richiesto, sa esporre i rischi delle legislazioni straniere, non delegandone totalmente la risoluzione a giuristi dei paesi con cui si tratta.

Ma torniamo al nostro contratto che, in quanto dettagliato, ci può sembrare sicuro. Per una serie di motivi invece il contratto, che pure fornisce la regolamentazione di base dei rapporti fra le parti, non è tutto.

Infatti: per prima cosa, possiamo sempre aver dimenticato qualcosa, nel senso che qualcosa non è stato previsto: occorre quindi sapere come regolarsi quando il contratto ‘non dice’. Le parti prima di tutto, ma anche un giudice o un arbitro, devono trovare un contenuto per i pezzi mancanti. Lo faranno riferendosi, ovviamente, a quell’ordinamento giuridico, cui lo riterranno ‘collegato’. (Il collegamento tra un contratto ed un ordinamento che lo regola è stabilito in base alle norme del ‘Diritto Internazionale Privato’, o regole di conflitto di leggi, che variano a seconda della nazionalità del giudice o dei criteri adottati dall’arbitro

investiti dell’eventuale controversia. Si tratta di una scienza piuttosto complessa, che certamente non può essere illustrata in questa sede). Occorre in ogni caso sapere, e tenere sempre presente, che alla fine potrà comunque rimanere una certa incertezza sia sull’ordinamento che verrà utilizzato per interpretare il contratto, e che quindi la soluzione che verrà adottata, potrebbe comportare eventuali oneri e costi imprevisti. Qualche disposizione del contratto potrebbe poi non essere chiara, e prestarsi ad equivoci. Anche qui le parti, ma anche un giudice o arbitro, dovranno ‘interpretare’ la disposizione in questione secondo un ordinamento giuridico, con la stessa conseguenza di cui sopra: incertezza sulla soluzione finale.

Infine ci sono ‘trabocchetti’ anche più insidiosi, perché, qualora si andasse a finire in una controversia, il giudice o l’arbitro applicherebbero comunque quelle norme (dell’ordinamento che riterranno governare il contratto) che sono ‘imperative’, e cioè si applicano anche se le parti si sono regolate diversamente.

Ad esempio: Un agente commerciale italiano, persona fisica, avrà diritto ad una serie di indennità (di risoluzione del contratto, di preavviso etc) anche se esse non sono previste nel contratto con la società straniera che l’ha ingaggiato, o fossero state addirittura escluse. In questo tipo di contratti infatti, a seconda dei diversi Stati ove operino gli agenti, vengono loro accordati diversi tipi di diritti ed indennità. Al preponente è quindi necessario sapere e poter prevedere se e in che misura, ad esempio alla fine del rapporto l'agente avrà diritto ad un'indennità. Non prevederla al momento della conclusione del contratto significa non poter valutare i costi reali dell'operazione. Tanto che, in alcuni casi, le indennità contrattuali non previste hanno addirittura vanificato i guadagni che il preponente aveva previsto. Così, in un contratto di appalto si può anche prevedere un meccanismo per la revisione dei prezzi. Essa tuttavia non potrà essere pretesa presso i giudici di alcuni Stati, anche se il contratto è retto da un diritto che la ammette, se in quei Paesi la revisione prezzi è considerata contraria ai principi dei loro ordinamenti. Così, anche ottenuta l'applicazione del diritto ad es. italiano, al contratto, il giudice di un altro Paese applicherà il suo diritto, eventualmente diverso, per i principi che ritiene inderogabili, e il risultato finale sarà che la clausola di revisione dei prezzi potrebbe essere considerata nulla e quindi come se non fosse stata mai posta nel contratto.

Il contratto quindi, pur costituendo la base fondamentale dei rapporti fra le parti, non è tutto: alla fine si potrebbe scoprire che il suo contenuto è in parte diverso da

come un operatore economico lo aveva pensato. Pur rimanendo sempre il rischio di incertezza, è però certamente possibile evitare gli errori e le ‘disattenzioni’ più ‘macroscopiche’, grazie alla conoscenza delle tecniche di base e dei rischi più frequenti. In questa "Breve guida al mercato globale" saranno fornite alcune basi fondamentali di approccio.

IL DIRITTO CHE REGOLERÀ IL CONTRATTO Quale che sia la nazionalità delle parti, la lingua da esse utilizzata, il luogo dove le prestazioni e gli obblighi contrattuali nascono o dovranno essere adempiuti, i contraenti hanno quasi sempre facoltà di precisare nel contratto a quale diritto intendono sottoporre il loro rapporto. Ecco perché nei contratti internazionali si trova spesso una clausola di questo tipo:

“Il presente Contratto è interamente sottoposto al diritto italiano, che ne regola la conclusione, esecuzione e cessazione, ed in base al quale esso sarà interpretato, anche al fine della risoluzione delle controversie da esso nascenti.”

Se tale scelta è possibile, e le parti stabiliscono che un ordinamento (quello italiano, o quello della controparte straniera) ‘governerà’ il loro contratto, si eviterà almeno il rischio di cui si è detto sopra, perché si saprà sin dalla firma quale ordinamento sarà utilizzato per interpretare il contratto. Si intuisce facilmente che è conveniente ottenere, quando ci si riesce, che al contratto sia applicato il diritto italiano. Perché esso è noto sia agli imprenditori che ai loro usuali consulenti legali. Quando ciò non sia possibile, (perché la controparte non lo accetta, ma ciononostante non si vuole rinunziare all’affare), e si sia quindi costretti a sottoporre il contratto al diritto di un altro Stato, è consigliabile ottenere un parere di un giurista del Paese in questione, o, quanto meno, il consiglio di un legale italiano realmente specializzato in rapporti con quel paese. (Il parere del giurista locale è indispensabile quando il contratto è di un significativo rilievo economico). Il detto parere avrà, fra l’altro, il vantaggio di informare l’operatore italiano circa le eventuali norme imperative di cui si è parlato sopra, e che potrebbero parzialmente cambiare il senso di disposizioni o parti del contratto.

GUARDIAMO ‘DENTRO’ UN CONTRATTO INTERNAZIONALE

Distinguiamo le fasi principali della vita di un contratto, per valutare come comportarsi, quali sono le clausole da utilizzare e che senso hanno:

A. Formazione del contratto: riguarda il momento della sua stesura B. Esecuzione: si occupa delle cose da fare per eseguire il contratto C. Patologia: è la parte dedicata alla soluzione delle controversie

FORMAZIONE DEL CONTRATTO Individuazione delle parti

1. Persone fisiche

Si indicano con nome e domicilio. Ovviamente sono soggette agli eventi umani, come la sopravvenuta incapacità giuridica, o la morte. Se non si desidera che i diritti ed obblighi derivanti da contratto si trasferiscano ai successori della controparte in caso di decesso, è possibile prevedere che in tal caso si possa chiedere la risoluzione del contratto stesso. In taluni ordinamenti ciò potrebbe però non essere possibile od essere soggetto a limitazioni. Una persona può farsi rappresentare da un’altra, nel qual caso occorre un atto di delega (procura) che dev’essere allegato agli atti.

Un problema diverso è quello del cambiamento di una controparte successivamente alla stipula del contratto, che avviene a seguito della ‘cessione’ dello stesso contratto ad un terzo da parte di una delle parti originarie. Dato che nella gran parte dei casi è importante sapere con chi si tratta, ciò che fa si che si sia disponibili a concludere un contratto con un determinato soggetto, ma non con un altro, si aggiunge tra le disposizioni finali una clausola di divieto di cessione del contratto, di questo tipo:

“Una Parte può cedere la sua posizione nel contratto od in singoli rapporti obbligatori da questo derivanti solo a seguito dell’accettazione scritta dell’altra Parte e comunque, anche in tal caso, essa rimane comunque solidalmente responsabile col cessionario per le obbligazioni cedute.”

2. Persone giuridiche e loro rappresentanti

Una persona giuridica agisce attraverso il suo legale rappresentante (che deve essere indicato e deve dichiarare di essere tale). Altrimenti vale quanto detto sopra circa le procure.

3. Persone competenti a ricevere comunicazioni durante l’esecuzione del contratto

È sempre bene, nel caso si tratti con persone giuridiche od organizzazioni ove lavorino molte persone, indicare nel contratto le persone alle quali debbono essere indirizzate le comunicazioni scritte. Ciò evita che si possa poi sostenere che nessuno le ha ricevute, o che la persona che le ha ricevute non era competente per la gestione di quel contratto.

LINGUA DEL CONTRATTO, modifiche e clausole invalide

1. Lingua del contratto

Sarebbe bene che il testo del contratto, quello ‘ufficiale’ e cioè ’facente fede’, sul cui testo va stabilito il contenuto del contratto, per le parti e per gli eventuali giudici, dovrebbe essere redatto in una sola lingua. Essa potrebbe essere quella di ciascuna delle parti, ma anche quella di un paese terzo come per es. l’inglese o il francese. Una volta stabilita la lingua del testo ufficiale, le parti potranno farne fare traduzioni nella propria lingua ma esse non avranno valore giuridico. Qualora invece si volesse che facessero fede 2 testi in 2 lingue diverse occorrerebbe che un giurista specializzato (e non un semplice traduttore) fornisse la garanzia della reale uguaglianza di significato dei due detti testi. In ogni caso è bene tenere presente che, anche per evitare equivoci, nella gran parte dei casi sarà utile ed opportuno predisporre una bozza di contratto in inglese, dal momento che quest’ultima lingua è quella più corrente e utilizzata nel commercio internazionale, tanto che anche la pratica dei contratti internazionali si sta orientando su quella anglosassone di ‘commonlaw’. Ricordiamo quindi che il

vero consulente legale internazionale predispone un contratto direttamente almeno in lingua inglese o francese, e si serve di traduttori giuristi specializzati solo in quei particolari casi in cui la nostra controparte richieda un testo in una diversa lingua. Una clausola per la definizione della lingua ufficiale del contratto può essere la seguente:

“Il presente Contratto, redatto in due originali, uno per parte, in lingua ...................... è l’unico facente fede”.

2. Modifiche e clausole invalide

Nei contratti internazionali si rinviene sovente una clausola del tipo: ‘Ogni modifica od integrazione fatta dalle parti al contratto dovrà essere fatta per iscritto, a pena di nullità. Eventuali variazioni delle condizioni contrattuali concordate tra le parti non costituiscono novazione del contratto, salvo espressa volontà contraria risultante per iscritto. In caso di disposizioni invalidi o inefficaci, il contratto nella sua globalità va integrato ed interpretato come se contenesse tutte le clausole che consentono di raggiungere, in modo conforme alla legge, lo scopo essenziale perseguito dall’accordo contenente le clausole in questione.’ Essa ha il senso di impedire che la dichiarazione da parte di un giudice o di un arbitro della nullità di una o più clausole contrattuali possa comportare la nullità dell’intero contratto. Ricordiamo infine che soprattutto nei contratti internazionali, ove le comunicazioni avvengono a distanza, è bene sempre specificare che ogni modifica od integrazione di un contratto avrà valore soltanto se effettuata per iscritto.

INDIVIDUAZIONE dei beni o delle prestazioni

1. Descrizione completa o riferimento a parametri e standard e/o qualitativi definiti da altri soggetti.

In un contratto internazionale è sempre bene provvedere ad una descrizione dettagliata dei beni e/o prestazioni oggetto del contratto, completi degli standard

tecnici e qualitativi. Se si fa riferimento a campioni, essi devono essere controfirmati dalle parti (o punzonati). Ogni carenza di descrizione, che crei incertezza sulle prestazioni o prodotti si presterà a future contestazioni, magari mosse al solo fine di ottenere riduzioni del prezzo. Se le descrizioni sono molto ‘tecniche’, esse possono essere allegate al contratto. Ci si può infine riferire, per descrivere un prodotto, a fonti esterne, come Camere di Commercio, Istituti specializzati ecc., purché però sia inequivocabile l’individuazione dei beni che ne risulta, e sia previsto cosa succeda in caso di mutamenti di tali descrizioni da parte dei detti organismi.

2. Uso dei termini commerciali INCOTERMS

Gli operatori import-export e tutti coloro che si occupano di import-export hanno l'abitudine di utilizzare sigle come FOB (Free On Bord), CIF (Cost, Insurance and Freight) e molte altre. Questi termini, citati con le loro abbreviazioni, hanno il pregio di riassumere in una sola parola gli obblighi gravanti sulle due parti contraenti in una vendita internazionale. Adottando uno di questi termini si ottiene per esempio, che il venditore paghi il trasporto delle merci e le spese di sdoganamento, sopportando i rischi fino al loro carico sul mezzo di trasporto. I due contraenti sanno quindi quali saranno i loro obblighi e diritti, qualora la vendita sia effettuata secondo una di queste sigle, perché li trovano indicati dettagliatamente nella pubblicazione della Camera di Commercio Internazionale ICC "INCOTERMS 2000”.

La ICC non ha ‘inventato’ tali termini, dal momento che siamo qui nel campo della prassi del commercio internazionale, e si verificava che nelle diverse aree marittime e commerciali mondiali (i Paesi Nordici, gli Stati Uniti, il Bacino del Mediterraneo) agli stessi termini o definizioni fossero attribuiti significati diversi. Indicando solo un termine, (CIF, FOB) non seguito dalla dicitura INCOTERMS 2000, in tutta buona fede, ambedue le parti potrebbero per esempio pensare che le spese di scarico delle merci nel luogo d'arrivo siano a carico della controparte, perché così è d’uso nelle rispettive tradizioni mercantili. Sorgerebbe in questi casi una controversia, perché lo stesso termine è interpretato diversamente. Per evitare questo problema la ICC ha raccolto questi termini denominandoli "INCOTERMS" (Oggi versione 2000). Per ogni termine elencato sono precisati i diritti ed obblighi delle parti. I detti termini sono raggruppati secondo il trasporto utilizzato.

Possono essere utilizzati per ogni tipo di trasporto e quindi anche per quello combinato o multimodale i seguenti termini: franco fabbrica (EXW = Ex Works), franco vettore (FCA = Free Carrier), trasporto pagato fino a (CPT = Carriage Paid to), trasporto e assicurazione pagati fino a (CIP = Carriage and Insurance Paid to); reso frontiera (DAF = Delivered at Frontier) reso non sdoganato (DDU = Delivered Duty Unpaid), reso sdoganato (DDP = Delivered Duty Paid) banchina (DEQ = Delivered ex Quay) Possono essere utilizzati per il trasporto marittimo: franco lungo bordo (FAS = franco a bordo, (FOB = Free on Board), costo e nolo (CFR), costo assicurazione e nolo (CIF), reso ex ship (DES), reso banchina (DEQ). Per il trasporto ferroviario e aereo è utilizzato il franco vettore (FCA). Per avere la sicurezza di riferirsi alla raccolta degli INCOTERMS, occorre aggiungere alla sigla del termine la parole INCOTERMS 2000. Bisogna, infine, notare che è bene studiare attentamente il termine adatto alla propria vendita apportandovi modifiche nella misura minima necessaria (ad esempio nel FOB, se si vuole che il venditore si accolli le spese di scarico si può aggiungere al termine l'espressione “messo a terra”).

3. Contratti predisposti da una delle parti

Predisporre la bozza del contratto da sottoporre alla controparte è certamente un onere, oltre che un costo, se ci si serve di un professionista. È però sempre consigliabile farsene carico, perché ciò significa impostare la trattativa, e valutare le contro - proposte della controparte, apprezzandone il comportamento. La posizione ‘passiva’, di chiedere alla controparte l’invio di una proposta di contratto farà pur risparmiare denaro, ma ci pone in una posizione subordinata. Nel caso di un esportatore, come si vedrà in seguito, la cosa migliore è utilizzare sempre delle Condizioni Generali di Vendita predisposte per tutte le operazioni, apportandovi le necessarie modifiche, caso per caso, ma disponendo comunque sempre di una base costante ed uniforme.

4. Modelli di contratti

Si propongono agli operatori import-export contratti standard, ma il loro uso, se può essere utile, deve essere sempre fatto con prudenza, dal momento che i contratti particolari sono spesso diversi, diversi sono i paesi con cui si tratta, e diversi

possono essere prodotti, prestazioni e condizioni di pagamento. L’adattamento di un modello al singolo caso dovrebbe sempre essere operato da esperti in materia, a meno che le modifiche non siano di minima entità. Molto conta poi l’esperienza del singolo settore industriale in cui si opera (tessile, legno, materie prime ecc.), perché i relativi contratti hanno le loro peculiarità.

La Camera di Commercio Internazionale di Parigi (CCI) offre a coloro che operano nel commercio internazionale il supporto di una serie di specifiche pubblicazioni contenenti Modelli di norme contrattuali uniformi (Agenzia commerciale, Concessione di vendita, Vendita internazionale, ecc.), che si richiamano alla prassi prevalente nel commercio internazionale.

I Modelli sono il risultato dei dibattiti e del lavoro svolto da Gruppi di esperti internazionali, specie nell’ambito della Commissione Pratiche Commerciali Internazionali della CCI, che si sono anche avvalsi del confronto con gli ambienti professionali dei vari paesi in cui sono presenti i Comitati nazionali della stessa CCI, ivi incluso quello italiano. Si tratta di Modelli flessibili, con la presentazione di più alternative sulle quali le parti possono accordarsi e con la piena libertà per i contraenti di scegliere, per singoli problemi, anche soluzioni diverse da quelle prospettate con i Modelli stessi.

5. Indicazione del prezzo o del metodo per calcolarlo Inutile dire che il prezzo dev’essere fissato in maniera inequivocabile, quindi sempre, ove possibile indicando una somma ed i momenti o date dei pagamenti. Le clausole che disciplinano revisioni od adeguamenti di prezzo, per quanto ben studiate sono sempre relativamente pericolose, ed espongono al rischio di controversie. E’ quindi consigliabile che ogni modifica di prezzi sia fatta con successivo accordo delle parti, e che, se si fornisce un prodotto in tranche successive, si ponga chiaramente la data di ‘scadenza’ del prezzo, oltre la quale cioè, lo stesso dovrà essere rinegoziato, altrimenti il venditore si riserverà il diritto di cessare le forniture. Non si deve aver paura di contratti che hanno durate definite ed anche brevi, perché, con una buona gestione, si possono rinnovare, ma le parti sono obbligate a fissare volontariamente le nuove condizioni, senza trovarsi ‘automaticamente’ legate da impegni divenuti ‘scomodi’. Ciò avviene nel caso dei rinnovi automatici di contratti salvo ‘disdetta’, che spesso creano non pochi problemi a chi si ‘dimentica’ di comunicare in tempo l’intenzione di non rinnovarli con lo stesso contenuto.

6. Ricorso a soggetti terzi per controllo degli standard e della qualità

Al momento del ricevimento delle merci o della verifica delle prestazioni, il destinatario (o il compratore) può sollevare contestazioni, assumendo la non conformità o i difetti dei detti prodotti o prestazioni. In taluni casi tali contestazioni saranno fondate, in quanto esisteranno davvero difformità e vizi, ma in altri casi esse potrebbero essere mosse artificiosamente, per ottenere sconti ed altri miglioramenti delle condizioni di vendita. Allora, soprattutto quando tali contestazioni possono essere temute, si può prevedere nel contratto che un soggetto terzo ed indipendente effettui la verifica dei prodotti o servizi al momento del loro ricevimento da parte del destinatario. Tali istituzioni emettono un certificato di ispezione, che è il risultato del verbale della verifica che sarà stata da essi effettuata, e che viene anche spesso inserito fra i documenti da presentare alla banca, nei procedimenti di pagamento ‘contro documenti’. Fra gli istituti specializzati, possiedono reti di presenza nei porti ed aeroporti le società ‘Bureau Veritas’ e ‘Société Génerale de Surveillance, SGS’.

INTERPRETAZIONE ed integrazione della volontà delle parti

Si è già accennato al problema dell’interpretazione delle clausole contrattuali e della integrazione di eventuali lacune, introducendo il concetto e la funzione del diritto nazionale che regolerà il contratto, e che le parti possono scegliere. È bene ricordare in ogni caso ancora una volta che è consigliabile che il contratto internazionale sia il più possibile dettagliato ed esplicito, in modo da evitare incertezze e lacune. E’ bene anche ripetere, che negli ordinamenti giuridici dei paesi coinvolti in una singola operazione economica vi possono essere norme ‘imperative’ che sarebbero applicate da un giudice o da un arbitro anche se le parti non le conoscevano o hanno regolato in modo diverso quel particolare aspetto. Queste norme imperative, che bisogna conoscere prima di firmare il contratto, attraverso il parere di esperti qualificati, sono più frequenti nei seguenti settori: 1. Rapporti di lavoro 2. Contratti di agenzia 3. Vendita di prodotti di consumo (difesa del consumatore) 4. Diritto societario (rappresentanze obbligatorie delle minoranze, quorum speciali per l’adozione delle decisioni più importanti ecc.).

DISPOSIZIONI per l’inadempimento

1. Ritardo

Il fatto che le prestazioni di una delle parti possano essere fornite con ritardo rispetto ai momenti e date previsti dal contratto fa parte dei rischi più frequenti nel commercio internazionale. Ciò nonostante il ritardo può creare danni di varia gravità, e persino rendere inutile l’effettuazione di una prestazione o la consegna di un prodotto (si pensi alle stagioni della moda o a prodotti che si consumano in occasione di determinate festività). Un buon contratto quindi dovrebbe prevedere le conseguenze del ritardo, secondo il prodotto o servizio in questione e degli effetti che lo stesso provoca verso la parte che lo subisce. Si prevede allora in genere una penalità di mora in denaro (per giorno o settimana di ritardo), in funzione del valore della prestazione o prodotto dovuti. Si deve però anche prevedere un periodo di tempo oltre il quale il ritardo comporterà la facoltà per chi lo subisce di dichiarare la risoluzione (scioglimento) del contratto, con tutte le conseguenze che ne deriveranno, a seconda della natura del contratto stesso (vedi la disciplina del ritardo nei vari contratti standard proposti nella presente “breve guida al mercato globale”.

2. Risoluzione del contratto

Questo è il tipico provvedimento di ‘reazione’ ad un’inadempienza della controparte che crei un grave danno, o renda praticamente inutile per una parte la prestazione della parte inadempiente. Risolvere un contratto significa dichiararlo ‘sciolto’, acquisendo il diritto al risarcimento del danno subito, ma anche, e talvolta soprattutto, poter richiedere subito la stessa prestazione ad altri senza rimanere nell’incertezza di riceverla dalla nostra originaria controparte ed essere costretti poi, per esempio a pagarla, anche se essa è gravemente in ritardo, o difforme da quanto pattuito. Molti contratti, soprattutto nell’ambito della tradizione anglo-sassone, prevedono la possibilità per una parte di dichiarare la risoluzione (termination) del contratto, quando si è in presenza di ‘serious breach’ o ‘grave inadempienza’ della controparte. Per evitare però le inevitabili incertezze e divergenze sulla gravità dell’inadempienza, è consigliabile indicare espressamente nel contratto quali

inadempienze daranno il diritto alla controparte di dichiararne la risoluzione. Ne deriva un clausola dal seguente testo:

“Ciascuna Parte potrà dichiarare la risoluzione del presente Contratto, con diritto al risarcimento del danno, nel caso l’altra Parte si renda responsabile di una grave inadempienza. Sono considerate in ogni caso ‘gravi’ le inadempienze alle disposizioni conseguenti del presente contratto ........ (si indicano qui i numeri degli articoli e paragrafi contenenti le norme la cui violazione prometterà la dichiarazione di risoluzione)”.

In tal modo vi sarà una migliore chiarezza tra le parti, e si eviterà che solo la pronunzia di un giudice od arbitro decidano sulla natura ‘grave’ di ciascuna inadempienza, con inevitabili perdite di tempo nell’adottare misure di riparazione.

3. Risarcimento dei danni

L’inadempimento comporta risarcimento del danno in tutti gli ordinamenti giuridici, anche qualora ciò non sia espressamente previsto nel contratto. Il risarcimento deve essere però quantificato in denaro, e tale determinazione è compiuta dal giudice o dall’arbitro. La quantificazione del risarcimento resta quindi incerta ed aleatoria, perché non è sempre facile valutare il danno, e perché alcuni ordinamenti giuridici vi ricomprendono, oltre alla perdita subita, anche il mancato guadagno che sarebbe derivato alla parte lesa se la prestazione fosse stata regolarmente effettuata il cosiddetto ‘lucro cessante’. (In altri ordinamenti si esclude tale mancato guadagno). È allora utile, se le parti si accordano in tal senso, predeterminare in una somma forfettaria l’ammontare del danno che deriverebbe da un determinato inadempimento: ma questo non è sempre possibile, perché potrebbe aprirsi un negoziato lungo e difficile tra le parti, con il rischio di far "sfumare" l’affare. Occorre dunque agire caso per caso, secondo la congiuntura e della rispettiva “forza” contrattuale che si ha verso la controparte.

ESECUZIONE

Possibilità di una sola o varie esecuzioni

Vale in questo caso il principio dell’estrema precisione e dettagliata descrizione dei prodotti e/o prestazioni contrattuali. Qualora chi è obbligato ad una prestazione potesse adempiere in modi diversi, si dovrebbe, oltre ad indicare tali modi con molta precisione, anche prevedere a quali condizioni e in che termini sia possibile la scelta dell’uno od altro adempimento da parte del soggetto obbligato.

Mutamento di elementi durante l’esecuzione

Per quanto riguarda la revisione dei prezzi, si veda quanto detto sopra, mentre per quanto attiene il mutamento delle prestazioni vale quanto detto precedentemente.

1. Meccanismi per far fronte a situazioni ed elementi imprevisti (Clausole di forza maggiore e hardship)

Durante l’esecuzione di un contratto, soprattutto quando la stessa esecuzione si dispiega in un periodo di tempo medio lungo, si possono verificare situazioni e fatti, che ritardano o impediscono definitivamente ad una parte di adempiere ai propri obblighi, senza che quest’ultima posso prevederli od evitarli. Si tratta dei cosiddetti eventi di ‘forza maggiore’. E’ anche possibile però che, a causa dell’evolversi della congiuntura economica il prezzo di un prodotto o di una prestazione divenga assolutamente inadeguato, perché, per esempio, il costo dello stesso prodotto o prestazione è bruscamente lievitato (si pensi ai corsi delle materie prime, che sono quotate in apposite borse, oppure al costo del lavoro, che può subire bruschi aumenti a causa di rivendicazioni sindacali ecc.). Per difendersi da tali impreviste variazioni di costo, che renderebbero una prestazione o una vendita ‘fallimentare’, il venditore (l’obbligato ad una prestazione), potrebbe cercare di far inserire nel contratto una clausola di ‘hardship’, che permette appunto, alla presenza di lievitazioni dei costi di una predeterminata dimensione, di non adempiere e di chiedere la rinegoziazione del prezzo. Per essere più chiari però, consideriamo separatamente la forza maggiore e l’hardship.

La clausola di forza maggiore Per molto tempo i giuristi componenti il gruppo di lavoro ad hoc della ICC hanno discusso sul miglior testo di clausola di forza maggiore da proporre agli imprenditori per l’inserimento nei loro contratti. Alla fine il testo adottato è il seguente:

“Nel caso in cui ad una delle Parti sia stato reso impossibile l'adempimento ad obblighi derivanti dal presente Accordo, per l'effetto di un evento di forza maggiore come terremoto, ciclone, inondazione, incendio od altri eventi naturali, oppure epidemia, guerra, sommossa, stato di belligeranza, disordini o atti di terrorismo, divieti ed atti dello Stato, del Governo o di Enti pubblici, sciopero, interruzione del lavoro o altre controversie in materia, o comunque per l'effetto di eventi al di fuori del controllo di tale Parte, ed il cui verificarsi sia per essa inevitabile ed imprevedibile, la detta Parte ne darà comunicazione senza ritardo per iscritto all'altra Parte e adotterà i provvedimenti necessari ad attenuarne i danni, nella misura del possibile. Su richiesta dell’altra Parte, inoltre, essa fornirà una informazione dettagliata circa lo stesso, nonché un certificato delle autorità competenti, a prova del suo verificarsi, corredato di una dichiarazione che spieghi le ragioni della impossibilità di adempiere a tutta o Parte degli obblighi ad essa spettanti ai sensi del presente Accordo. A causa dell’avverarsi di uno di tali avvenimenti o situazioni, l’adempimento delle obbligazioni è differito per un periodo di tempo che avrà la stessa durata dell’avvenimento o situazione di forza maggiore, con l’aggiunta di un periodo addizionale non superiore a 15 giorni, che è necessario alla ripresa dell’attività di continuazione dell’adempimento interrotto. Se l’impedimento risultante dal caso fortuito o dalla forza maggiore impedisce alla Parte in causa di eseguire il proprio obbligo contrattuale per un periodo che oltrepassa i …… giorni, le Parti studieranno il modo per ovviare a tale problema. Se un accordo non fosse raggiunto entro 5 giorni a decorrere dalla fine del periodo di ritardo sopra descritto, ciascuna Parte potrà dichiarare la risoluzione del presente Accordo, conformemente alle disposizioni dello stesso. Nel caso del verificarsi di un evento di forza maggiore, nessuna delle Parti sarà responsabile per danni, perdite o aumento dei costi, prodottisi a carico dell’altra Parte a causa del mancato adempimento o del ritardo”.

Come si vede, la caratteristica del testo proposto è di definire in generale l’evento di forza maggiore come quello ‘al di fuori del controllo - della Parte interessata - ed il cui verificarsi sia per essa inevitabile ed imprevedibile’, ma di menzionare comunque le categorie di eventi (naturali, umani, legislativi) che saranno considerati di forza maggiore, escludendo quindi la responsabilità di chi li subisce verso l’altra parte. E’ bene quindi accertarsi sempre che gli eventi di forza maggiore, di cui maggiormente si possa temere il verificarsi, siano sempre indicati espressamente nel contratto.

Hardship - Eccessiva onerosità sopravvenuta

Come si è già accennato, l’inserimento di una clausola di hardship è più difficile, perché la controparte può sempre temere che la sua adozione permetta di eccepire la lievitazione del costo di una prestazione al solo fine di ottenere la revisione del prezzo, o di giustificare l’inadempimento. In ogni caso, sempre la ICC ne ha studiato un testo che si consiglia. Esso è il seguente:

“Nel caso in cui eventi imprevisti dalle Parti modifichino fondamentalmente l’equilibrio del presente Contratto, e così comportando un onero eccessivo per una delle Parti nell’esecuzione delle sue obbligazioni contrattuali, tale Parte potrà procedere nel modo seguente; la Parte domanderà la revisione in un termine ragionevole a partire dal momento in cui essa abbia avuto conoscenza dell’evento e della sua incidenza sull’economia del contratto. La domanda indicherà i motivi sui quali essa è fondata. Le Parti si consulteranno allora al fine di rifirmare il Contratto in base all’equità, al fine di evitare ogni eccessivo pregiudizio per l’una o l’altra. La domanda di revisione non sospende di per se l’esecuzione del Contratto”.

È da notare in ogni caso che la ICC prevede molte soluzioni alternative per quanto riguarda la ridefinizione del prezzo: essa potrà sia essere il risultato di un negoziato, e quindi di un nuovo accordo tra le parti, sia essere affidata ad un terzo, scelto di comune accordo dalle stesse parti. Riteniamo che la soluzione più praticabile nonché con meno rischi ed incertezze, sia quella di prevedere che, una volta verificatosi il caso di hardship, le parti rinegozieranno il prezzo della prestazione divenuta troppo ‘cara’.

PATOLOGIA DEL CONTRATTO

Anche il miglior contratto, quello dettagliato, attentamente negoziato, e predisposto con l’aiuto di ottimi giuristi può non essere sufficiente ad evitare controversie, e non solo quelle ‘strumentali’, e cioè promosse dalla parte che non vuol più adempiere, ma anche quelle più semplicemente dovute ad incomprensioni, equivoci, lacune della regolamentazione contrattuale, oppure difformità di interpretazione di singole disposizioni contrattuali. È sempre bene ripetere che un accordo fra le parti (transazione) è sempre il miglior modo di chiudere una controversia, anche quando si pensi di avere ottime, inequivocabili ragioni. Questo è sempre vero, ma lo diviene ancor di più nei rapporti internazionali, ove le parti si trovano in paesi diversi e lontani, è sempre difficile e costoso ottenere provvedimenti di emergenza (sequestri, altre forme di garanzia) e vi è sempre una maggiore incertezza

sull’andamento di processi ed arbitrati. Quando, e solo quando un accordo si sia rivelato impossibile, ci si preparerà alla controversia dinanzi al giudice (italiano, o del paese della nostra controparte) od all’arbitro, se si è scelto tale strumento di soluzione delle controversie.

1. Il giudice o l’arbitro

Anche con tutta la miglior buona volontà, una controversia può sempre insorgere, soprattutto quando le parti di un contratto risiedono ed operano in Paesi diversi, a volte anche molto lontani, e non hanno niente in comune, essendo diversi non solo gli ordinamenti giuridici dei rispettivi Paesi, ma anche le pratiche commerciali, gli usi, la lingua, i metodi di utilizzazione dei prodotti, le modalità correnti di pagamento ecc. Per le controversie, come nei rapporti nell’ambito di uno stesso Paese, si può ricorrere ad un giudice (anzi ai giudici dei Paesi coinvolti), oppure ad un arbitro. Quest’ultimo è un giudice a tutti gli effetti, con la differenza però che le parti della controversia, per ricorrere ad esso debbono aver previsto nel contratto, con apposita clausola che si chiama ‘compromesso’, e che prevede di sottoporre le future eventuali controversie al suo giudizio (possono farlo anche dopo l’insorgere della lite, ma in genere è più difficile trovare un accordo quando, per l’appunto, si è già in una fase di conflitto. Non ci sono criteri definiti che ci permettano di stabilire quando sia consigliabile di ricorrere ad un giudice o ad un arbitro.

Molto empiricamente, in base all’esperienza, ci si può affidare al giudice italiano, quando non si temono i lunghi tempi necessari ad ottenere la sentenza, e si sia verificato che l’Italia ha stipulato con il paese con cui si tratta un Trattato per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze. (Per i paesi membri dell’Unione Europea esiste una convenzione multilaterale a tal fine). È però sempre possibile ricorrere ai giudici dei paesi con i quali si tratta, convenendo la controparte dinanzi al giudice del suo paese. È bene farlo però quando detti paesi sono fra quelli ‘sviluppati’, e cioè con sistemi giuridici e giudiziari affidabili, efficaci ed imparziali. In questi Paesi la giustizia però,(tribunali ed avvocati) hanno un costo relativamente alto, a volte non molto diverso da quello di un arbitro, il quale però, sempre mediamente, impiega meno tempo a pronunziare la sua decisione (che, tecnicamente, si chiama ‘lodo’). È invece sempre rischioso ed errato scegliere il giudice italiano con il fine di trarre vantaggio dalla durata dei procedimenti, che favorirebbe i debitori, rinviando i pagamenti. È sempre pericoloso ‘fare i furbi’, soprattutto nei rapporti con Paesi diversi, e quando merci e prodotti si trovano ‘fuori del controllo’ degli operatori, non conoscendo mai bene le ‘contromisure’ che potrebbero venire adottate, anche di tipo coercitivo e penale.

Nei rapporti internazionali, soprattutto con paesi geograficamente, culturalmente e giuridicamente lontani, la soluzione di controversie mediante arbitrato presenta innegabili vantaggi.

Innanzitutto (pur se alcuni arbitrati molto complessi possono avere lunghe durate) è mediamente vero che il procedimento arbitrale ha una durata inferiore rispetto a quelli giurisdizionali. Pur se non è possibile determinare il tempo medio di un arbitrato, si tratterà sempre di periodi molto inferiori a quelli impiegati dai giudici ordinari, anche dei paesi con una giustizia molto migliore di quella italiana.

Altra caratteristica di questo mezzo per la soluzione delle controversie è la riservatezza. Occorre tenere presente, ciò che spesso gli operatori non fanno, che una controversia sulla qualità di un prodotto diviene pubblica se proposta davanti ai giudici, e può comportare danno notevole al buon nome di un fabbricante anche quando questi risultasse vincitore nella lite. Altri benefici derivanti dalla scelta dall'arbitrato discendono dalla sua natura di sistema di soluzione dipendente dalla volontà delle parti. Infatti, soprattutto se si sceglie un collegio di tre arbitri; ogni parte ha il diritto di nominarne uno, sentendosi quindi garantita del rispetto della neutralità dell'organo. Inoltre sarà possibile ai contendenti scegliere come arbitri persone particolarmente qualificate nel settore nel quale è sorta la controversia. Si avrà così un giudizio maggiormente affidabile sul piano tecnico. Non è poi da trascurare la grande flessibilità del procedimento arbitrale. Essa comporta che. gli arbitri possano seguire la procedura che ritengono più adeguata alla particolare lite, con una molto maggiore facilità di acquisizione e valutazione delle prove.

Spesso infine prima dell'instaurazione dell'arbitrato o nel corso del procedimento si giunge alla conciliazione o alla transazione della controversia, perché il procedimento arbitrale favorisce il raggiungimento di un accordo.

Ma come si prevede un arbitrato e quale arbitrato scegliere? Si possono utilizzare arbitrati ‘ad hoc’, e cioè interamente istituiti e regolati nel contratto, occorrendo però allora disciplinare tutti gli aspetti dell’arbitrato, dalla composizione dell’organo (uno o più arbitri) al luogo e lingua, fino alla procedura che dovrà essere seguita. Questo sistema ha però lo svantaggio di consentire alla parte che teme di perdere la lite di bloccare, o almeno rallentare con una procedura ostruzionistica, il corso del

procedimento. Basterà che essa, se si tratta di arbitro unico, si opponga alle persone proposte dalla controparte, oppure se si tratta di collegio di tre arbitri, eviti di nominare quello di sua spettanza. È consigliabile quindi servirsi di arbitrati ‘gestiti’ (o ‘amministrati’) da organizzazioni di prestigio, che hanno il vantaggio di prevedere mezzi per superare tattiche ostruzionistiche, dando corso all'arbitrato anche contro i desideri di una delle parti. Tra questi arbitrati vanno citati quelli delle Camere Arbitrali presso alcune Camere di Commercio, quello della Camera di Commercio Internazionale e quello dell’Associazione Italiana per l’Arbitrato. Quello gestito dalla Camera di Commercio Internazionale, che può essere utilizzato inserendo nel contratto la seguente clausola: “Tutte le controversie eventualmente derivanti dal presente contratto saranno risolte in via definitiva secondo il Regolamento di conciliazione e di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale, da uno o più arbitri nominati in conformità di detto Regolamento".

Le parti, se lo ritengono opportuno, possono integrare tale clausola prestabilendo ad esempio, il numero degli arbitri (uno o tre) e il luogo dell'arbitrato.

Particolarmente interessante è il meccanismo per la nomina dell'arbitro unico e dell'arbitro presidente; se le parti non procedono alla nomina di comune accordo, vi provvede la Corte sulla base della designazione proposta da uno degli oltre cinquanta Comitati nazionali della CCI, scelto per la sua posizione di neutralità rispetto alle parti della lite. Tra gli altri vantaggi dell'arbitrato CCI, vi è poi il controllo da parte della Corte dei progetti di sentenza volto ad assicurare, tra l'altro, che l'arbitro abbia pronunciato su tutte le pretese delle parti.

Un'alternativa dell'arbitrato ‘amministrato’ è costituita dalla scelta di quello regolato dall’Associazione Italiana per l'Arbitrato (AIA.), che garantisce anche arbitrati internazionali. Anche il regolamento arbitrale dell'AIA. lascia ampio spazio alla libera determinazione delle parti; in particolare per quanto concerne il numero e la scelta degli arbitri, il luogo dell'arbitrato e le norme sulla pronuncia (diritto o equità). L'arbitrato AIA si raccomanda soprattutto nei rapporti con Paesi con i cui competenti Organismi l'AIA ha stipulato accordi di cooperazione in materia arbitrale, che vanno accertati presso la stessa AIA. (Il testo della clausola standard per prevedere l’arbitrato AIA è a disposizione degli interessati unicamente al Regolamento dell'AIA presso la sua sede Via XX Settembre, 5 Roma

Ricordiamo poi che se al contratto è applicabile il diritto italiano, la clausola o l'accordo compromissorio devono:

quanto alla forma –"il negozio compromissorio deve essere fatto per iscritto (art.806 e 808 cpc) e qualora esso sia contenuto in condizioni generali di contratto o in contratti stipulati mediante moduli o formulari (artt.1341 e 1342 C.C.) deve essere specificamente approvato per iscritto (doppia firma)";

quanto al contenuto -"Il negozio compromissorio deve contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero di essi sempre dispari" e il modo di nominarli (art.809 cpc).

Bisogna infine tenere conto del fatto che il lodo arbitrale dovrà poi eventualmente essere eseguito in un certo Paese; ed è a tal fine importante che ciò sia possibile in quello Stato. A questo proposito è necessario controllare che il paese cui appartiene o è basata la controparte straniera abbia ratificato un accordo internazionale in materia.

La più importante Convenzione multilaterale in vigore è quella di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere. L'Italia l'ha ratificata con legge n 162 del 19 gennaio 1968. Aderiscono alla Convenzione circa 50 Paesi, tra cui tutti quelli industrializzati. Gli Stati parti contraenti sono tenuti sia a riconoscere le clausole compromissorie, sia a riconoscere e dare esecuzione alle sentenze arbitrali quando ricorrano le condizioni stabilite nella Convenzione stessa. Qualora non abbia aderito alla Convenzione di New York, si potrà verificare se il Paese in questione abbia invece aderito a quella di Ginevra sull'arbitrato commerciale internazionale del 21 Aprile 1961. L'Italia l'ha ratificata con legge n° 418 del 10 Maggio 1970. Ad essa partecipano praticamente tutti i Paesi europei, compresi quelli prima appartenenti al mondo socialista.

Tale Convenzione ha per oggetto l'organizzazione dell'arbitrato in modo da integrare la volontà delle parti per tutto, quando è necessario allo svolgimento dello stesso.

Un ruolo di particolare importanza per quanto riguarda gli investimenti esteri spetta infine alla Convenzione di Washington del 18 Marzo 1965, concernente la

risoluzione di controversie tra Stati e privati appartenenti ad altri Stati. La Convenzione, che è stata promossa dalla Banca Mondiale ha dato vita ad un Centro per la Risoluzione di Controversie in materia di Investimenti tra Stati e privati, denominato con la sigla ICSID. Per poterla utilizzare però occorre che la controparte dell’operatore italiano si uno Stato straniero e non un privato, e ciò avviene in genere solo nel caso di grandi imprese o raggruppamenti di imprese. L'Italia l'ha ratificata con legge 1093 del 10 Maggio 1970 e ad essa partecipano circa settanta Paesi.

2. Controversie tecniche

Al fine di semplificare ed accelerare la soluzione di controversie di natura ‘tecnica’ (immaginiamo le caratteristiche di un macchinario, l’esecuzione di una struttura ingegneristica, la natura e rispondenza di un materiale ecc.), si è pensato, soprattutto a livello della ICC di prevedere la possibilità per le parti di un contratto di inserirvi una clausola volta alla creazione di un arbitrato tecnico, ‘expertise’. Bisogna tenere conto del fatto che in un normale contratto, ove sorga tra le parti una controversia di natura tecnica, non vi è altro modo di risolverla che iniziare un giudizio od arbitrato (se si è scelto quest’ultimo strumento). Sia il giudice sia l’arbitro però, dovranno a loro volta nominare un esperto, perché si pronunzi sugli aspetti tecnici. Qualora quindi nello stesso contratto fosse stata posta anche una clausola di arbitrato tecnico, le parti potrebbero ricorrere direttamente ad essa per risolvere quel tipo di problema, senza dover istituire precedentemente (e pagare) l’ordinaria procedura arbitrale.

La ICC offre anche in questo campo un arbitrato tecnico ‘gestito’, che prende il nome di ‘Expertise tecnica’. Per adottarlo, e sufficiente inserire nel contratto la clausola seguente:

“Le Parti del presente Contratto concordano di ricorrere, in caso di necessità, al Centro per l’Expertise Tecnica della Camera di Commercio Internazionale, in conformità al Regolamento di Expertise tecnica di quest’ultima.”

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