IL DOLORE TORACICO: UNA SFIDA CULTURALE E ORGANIZZATIVA
SIMPOSIO
IL DOLORE TORACICO: UNA SFIDA CULTURALE E ORGANIZZATIVA Il cardiologo e il Pronto Soccorso: situazione italiana Donata Lucci, Gianna Fabbri, Aldo P. Maggioni. Centro Studi ANMCO, Firenze
Gli obiettivi della rete dei servizi per l’emergenza sanitaria sono essenzialmente i seguenti: il ripristino delle funzioni vitali, il mantenimento di queste durante il trasporto presso l’ospedale più vicino e possibilmente più idoneo al trattamento eziologico della patologia ed il ricovero con inizio del trattamento definitivo nei tempi più rapidi possibili. Il raggiungimento di questi tre obiettivi prevede un insieme di procedure e l’impiego di personale e mezzi adatti a tale scopo, cioè l’attivazione della cosiddetta “catena del soccorso”, che si compone di una parte territoriale o preospedaliera, con il numero telefonico di allarme sanitario e la rete di ambulanze medicalizzate e di una parte ospedaliera in cui le modalità di gestione dell’emergenza sono legate all’organizzazione del Pronto Soccorso, dei DEU ed alle UTIC nel caso dell’emergenza cardiologica. Esiste poi anche la necessità di collegamenti interospedalieri ad esempio per tutti quegli interventi (emodinamica, angioplastica, cardiochirurgia ecc.) che non sono disponibili nell’ospedale stesso a cui afferisce il paziente. In realtà, poiché nella gestione dell’emergenza-urgenza tutti gli interventi sono finalizzati all’abbattimento del ritardo nei soccorsi, sarebbe auspicabile che una valutazione iniziale rapida, ma accurata permettesse di selezionare le scelte più appropriate in termini di operatività per i pazienti e quindi ad esempio di trasportare pazienti con infarto miocardico in shock verso ospedali dotati di emodinamica e cardiochirurgia piuttosto che effettuare un trasferimento successivo con interruzione della terapia intensiva in pazienti critici. Si tratta, in altre parole, di applicare il concetto di triage e di riuscire a valutare rapidamente ed in modo preciso il paziente. In ambito cardiologico, la quota quantitativamente più rilevante delle emergenze è costituita dalle sindromi coronariche acute per le quali negli ultimi anni abbiamo assistito ad una riduzione notevole della mortalità intraospedaliera senza un corrispondente abbattimento della mortalità preospedaliera 1 (Fig. 1). Una delle cause più rilevanti di mortalità preospedaliera è il ritardo decisionale ed organizzativo tra l’inizio dei sintomi di infarto ed un trattamento attivo. Esiste infatti una parte rilevante di pazienti (circa il 25%) che non viene ricoverata in tempo utile 2. Le componenti del ritardo dall’inizio dei sintomi all’inizio del trattamento possono, schematicamente, essere suddivise in 3 parti: 1) ritar-
Fig. 1: Infarto miocardico acuto: mortalità per 1000 pazienti.
do decisionale, legato al paziente, che è il tempo che va dall’inizio dei sintomi alla chiamata di soccorso; 2) ritardo organizzativo che comprende la valutazione preospedaliera ed il tempo di trasporto; e 3) ritardo intraospedaliero che va dall’arrivo in ospedale all’inizio della terapia (door to needle/ballon time) (Fig. 2). Nella maggior parte dei casi il ritardo decisionale è quello che influisce di più sul ritardo globale ed è anche la quota più difficilmente modificabile pur con interventi educazionali mirati. Appaiono invece migliorabili sia la parte organizzativa che intraospedaliera. In Italia le modalità di gestione intraospedaliera dell’emergenza-urgenza cardiologica riguardano, oltre alle UTIC che costituiscono il punto cardine del soccorso ospedaliero al cardiopatico acuto, l’organizzazione dei DEU e dei PS, il ruolo che il cardiologo svolge in queste aree e tutte le strategie messe in atto alla domanda di soccorso comprese quelle finalizzate all’abbattimento del ritardo. Dai dati ottenuti attraverso il censimento delle cardiologie nazionali 3, 500 ospedali sono risultati deputati alla gestione dell’emergenza-urgenza cardiologica. Nel 17% di ta-
Fig. 2: Componenti del ritardo dall’inizio dei sintomi all’inizio della terapia.
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Fig. 3: DEU attivi e loro distribuzione per area geografica.
li ospedali esiste ed è attivo un DEU (Fig. 3), solo nell’11% di tali DEU è presente un Pronto Soccorso Cardiologico ed in pochi casi (17%) il cardiologo riveste un ruolo decisionale nel dipartimento, mentre nella grande maggioranza dei casi il cardiologo svolge funzioni di consulente così come avviene nel caso di ospedali dotati di Pronto Soccorso. In realtà, la gestione del cardiopatico acuto non differisce fra DEU e PS, in entrambi i casi il paziente viene infatti trasferito nei reparti cardiologici immediatamente dopo la consulenza cardiologica nel 76 e nel 67% dei casi rispettivamente. Una procedura di facilitazione (fast track) per il paziente che si presenta con dolore toracico esiste nel 41% degli enti dotati di Pronto Soccorso o DEU. Questo tipo di procedura accelera la formulazione della diagnosi e permette di avviare i pazienti alla terapia riperfusiva in tempi rapidi in modo da ottenere i maggiori benefici possibili 4, 5. In effetti, i trial clinici condotti sulla terapia trombolitica hanno dimostrato che il beneficio di tale trattamento è tanto maggiore quanto più precoce è l’inizio della terapia 6, 7 e sulla base di tali risultati sono stati condotti studi sull’efficacia dell’avvio ancora più precoce, cioè in fase preospedaliera di tale trattamento 8. Nessuno dei trial condotti ha dimostrato una riduzione della mortalità nei pazienti che hanno iniziato la terapia riperfusiva prima dell’ospedalizzazione, anche se una metanalisi di questi studi ha evidenziato una riduzione del 17% dell’outcome considerato 8. In ogni caso, l’avvio della trombolisi in fase preospedaliera pur permettendo di anticipare i tempi di riperfusione comporta problemi di complessità organizzativa, economici e talvolta legali da far sì che tale prassi non sia di fatto da incoraggiare se non in siG Ital Cardiol, Vol 29, Suppl 4, 1999
tuazioni particolari quali, ad esempio, tempi di trasporto superiori ai 90 minuti. In realtà, il miglioramento del triage ospedaliero e lo sviluppo di metodi rapidi ed efficaci di diagnosi corretta sembrano sufficienti a ridurre il tempo che intercorre dall’arrivo in ospedale all’inizio della terapia riperfusiva, sia farmacologica che meccanica, cioè a portare il “door to needle time“ entro i 30 minuti che costituiscono l’obiettivo delle linee guida ACC/AHA 9. Negli ospedali che hanno fornito dati relativi alla gestione dell’emergenza cardiologica la terapia trombolitica viene sempre iniziata in Pronto Soccorso o nel DEU nel 10.3% dei casi mentre nel 61.3% degli ospedali il paziente non viene mai avviato a tale terapia in queste aree. La quota restante avvia la trombolisi in PS solo saltuariamente e nella maggior parte dei casi ciò avviene per motivi organizzativi e solo nel 17% dei casi per motivi clinici, quali ad esempio un infarto in fase molto precoce. I tempi di inizio della terapia trombolitica indicano che in più della metà degli ospedali l’avvio avviene entro la 6ª ora, nel 97.5% entro la 12ª ora e che c’è quindi una seppur piccola parte (2.5%) di ospedali italiani che ritiene utile effettuare tale terapia anche dopo 12 ore dall’inizio della sintomatologia (Fig. 4). Un altro aspetto delle modalità di gestione dell’emergenza-urgenza cardiologica intraospedaliera riguarda l’esistenza di programmi di addestramento alla rianimazione cardiopolmonare (RCP) e di protocolli per l’intervento in caso di arresto cardiaco al di fuori delle aree intensive. Solo il 28.8% degli ospedali censiti prevede un qualche programma di questo tipo per il personale che opera nei reparti di degenza ordinaria. La situazione non è migliore neppure negli istituti dotati di UTIC nei quali manca un programma di addestramento alla RCP nel 67.5% dei casi. Protocolli di intervento terapeutico, nel caso di arresto al di fuori delle aree intensive, esistono nel 23% degli ospedali e nell’84% dei casi sono il cardiologo ed il rianimatore le figure professionali chiamate a coordinare l’intervento stesso, nei rimanenti casi è, invece, il medico del PS responsabile dell’applicazione del protocollo. In-
Fig. 4: Intervallo massimo considerato per eseguire terapia trombolitica.
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TABELLA I Problemi
• diagnosi appropriata di SCA, ed al suo interno di IMA, IMA non Q, angina instabile • stratificazione del rischio
I possibili obiettivi
• ≥ 70% dei casi di dolore toracico in non oltre 2 ore • avere uno strumento/ protocollo affidabile e così semplice da poter essere impiegato diffusamente • > 90% degli eleggibili
• quota di pazienti eleggibili effettivamente trattati con terapia riperfusiva • “door to needle (balloon) time” • < 30 minuti (ACC/AHA)
fine, l’ultimo livello operativo previsto per la gestione dell’emergenza-urgenza cardiologica riguarda le modalità di collegamento interospedaliere: solo il 43% degli ospedali sprovvisti di UTIC è collegato operativamente ad una UTIC di riferimento. Il paziente con infarto miocardico acuto che viene ricoverato in un ospedale senza UTIC viene trasferito, dopo la consulenza cardiologica, nel 68% dei casi in un ospedale con UTIC. In questi pazienti il trattamento trombolitico viene iniziato prima del trasferimento nel 71% dei casi. Quasi un paziente ogni tre rimane quindi al di fuori di aree intensive istituzionalizzate. Il trasferimento del paziente con IMA da un ospedale ad un altro è nel 97% dei casi un trasporto protetto effettuato con ambulanze medicalizzate o comunque con a bordo personale esperto in manovre rianimatorie. L’ospedale mantiene dunque un ruolo centrale di riferimento nella gestione dell’emergenza-urgenza cardiologica, nonostante il fatto che negli ultimi anni sia andata sempre più sviluppandosi e strutturandosi la rete di soccorso territoriale. I problemi aperti sono molteplici sia per ciò che riguarda il territorio sia per l’ospedale. La tabella I riporta un elenco di tali problemi e dei possibili obiettivi da raggiungere per garantire al cardiopatico acuto un soccorso quanto più possibile adeguato ed in tempi utili ad evitare o limitare danni biologici irreversibili. Bibliografia 1. CHAMBLESS L, KEIL U, DOBSON A, ET AL: Population versus clinical view of case fatality from acute coronary heart disease: results from the WHO MONICA Project 1985-1990. Circulation 1997; 96: 3849-3859. 2. Epidemiology of avoidable delay in the care of patients with acute myocardial infarction in Italy. A GISSI-generated study. A GISSI – Avoidable Delay Study Group. Arch Intern Med 1995; 155: 1481-1488.
3. LUCCI D, FABBRI G: Le strutture cardiologiche ospedaliere in Italia. 3° censimento ANMCO, 1995. 4. PRASAD N, WRIGHT A, HOGG KJ, DUNN FG: Direct admission to the coronary care unit by the ambulance service for patients with suspected myocardial infarction. Heart 1997; 78: 462-464. 5. BANERJEE S, RHODEN WE: Fast-tracking of myocardial infarction by paramedics. J R Coll Physicians Lond 1998; 32: 36-38. 6. GRUPPO ITALIANO PER LO STUDIO DELLA STREPTOCHINASI NELL’INFARTO MIOCARDICO (GISSI): Long-term effects of intravenous thrombolysis in acute myocardial infarction: final report of the GISSI study. Lancet 1987; ii: 871-874. 7. Indications for fibrinolytic therapy in suspected acute myocardial infarction: collaborative overview of early mortality and major morbidity results from all randomised trials of more than 1000 patients. Fibrinolytic Therapy Trialists’ (FTT) Collaborative Group. Lancet 1994; 343: 311-322. 8. LEIZOROVICZ A, HAUGH MC, MERCIER C, BOISSEL JP: Pre-hospital and hospital time delays in thrombolytic treament in patients with suspected acute myocardial infarction. Analysis of data from the EMIP study. European Myocardial Infarction Project. Eur Heart J 1997; 18: 248-253. 9. ACC/AHA guidelines for the management of patients with acute myocardial infarction. A report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines (Committee on Management of Acute Myocardial Infarction). J Am Coll Cardiol 1999; 34: 890-911.
The experience of Chest Pain Units Thomas H. Lee. Harvard Medical School, Chief Medical Officer, Partners Community Health Care, Inc., Boston, USA
In the United States, rising health care costs are putting tremendous pressure on the health care system to identify strategies for improving efficiency of care while also seeking methods to improve or at least protect its quality. In the pursuit of these goals, chest pain units have become increasingly common at major U.S. hospitals. These units are intended to provide a hospital site at which patients with chest pain who have a low clinical risk for complications can undergo rapid risk stratification, often within a few hours or even immediately after presentation to the hospital 1. Should patients develop acute myocardial infarction or other evidence of instability, chest pain units should permit rapid detection and treatment 2. For the much larger population of low risk patients, early discharge to home is an appropriate goal. However, physi-
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cians are very aware of the dangers of inappropriate discharge of a patient with active ischemic syndromes 3. Data from Brigham and Women’s Hospital (unpublished) show that the percentage of patients with chest pain who are discharged home has decreased from about 50% in 1980 to about 35% today. My colleagues and I have performed psychological profiles on physicians who evaluated patients with chest pain in the emergency department, and found that most physicians are risk averse, and those who are most risk averse had the highest probability of admitting low risk patients 4. We believe it is unrealistic to ask physicians to discharge home patients when the physician is uncomfortable with the patient’s risk for complications. Therefore, it is important to develop new, low cost locations in which these patients can get rapid evaluations. Although chest pain units were virtually unknown in the early 1980s, a 1995 survey showed that 22.5% of hospitals had chest pain centers 5. These hospitals tended to have higher patient volumes than hospitals without chest pain centers, and were in settings with more competition from other hospitals. Thus, chest pain centers have been perceived to provide a competitive advantage in the U.S., since they imply that the hospital has greater capability for caring for patients with coronary artery disease. Beyond their value for marketing purposes, chest pain units do offer the potential to integrate recent advances in the care of patients with chest pain, including use of new markers for myocardial injury, early and immediate exercise testing, and critical pathways. The strategies that integrate these approaches reflect an important change in the focus of the evaluation of patients with chest pain. No longer is the goal to establish or exclude definitively the diagnosis of coronary artery disease. Instead, the goal is to determine whether it is safe to advance the patient’s evaluation through testing or discharge home for further care on an outpatient basis. In the United States, chest pain units are typically adjacent to or within the emergency department. Some hospitals have separate sites for observation of low risk chest pain patients, but the emergency department is the preferred location. The physicians are usually also emergency department staff, although there are frequently cardiologists who are involved in the leadership of the units. In the U.S., emergency department physicians are usually empowered to administer thrombolytic therapy without cardiology consultation. Chest pain units frequently use a form of guideline called critical pathways 6. These pathways describe time and process goals before patients move on to the next step in their care. Deviations from the pathway are often identified, and discussed by care-givers as part of the quality improvement process. Research has shown that simply providing recommendations to physicians about triage of patients in a non-intrusive manner does not produce improvements in efficiency. At Brigham and Women’s Hospital in Boston, our protocol for low risk chest pain patients excludes those who have G Ital Cardiol, Vol 29, Suppl 4, 1999
TABLE I – Median resource utilization for patients with acute chest pain triaged to different levels of care Category
Observation
Length of stay 1 Initial nursing intensity (as measured with Medicus) 57 Inpatient costs/patient $1318
Wards
Step-down
CCU
4
3
5
34.5 $3589
53 $2749
75.5 $5598
From Gaspoz 11. Patient population: 592 patients with a probability of acute myocardial infarction less than 10%; anticipated length of stay < 48 hours; absence of complications at time of initial evaluation.
ongoing pain, evidence of congestive heart failure, or other hemodynamic instability, or who have evidence of acute ischemia on their electrocardiograms 7. The protocol includes: • observation for at least six hours from the onset of chest pain; • one set of markers for myocardial injury at least four hours after the onset of pain; • if markers are normal, and the patient has not had further pain, he or she can undergo early or immediate exercise testing. The exercise test laboratory is open seven days a week, and is available in the evening for such patients. The chest pain unit itself provides electrocardiographic monitoring and intravenous access. Patients receive prophylactice aspirin therapy, but more advanced technologies are not standard. Three randomized trials of the impact of chest pain units have been performed 8-10. These studies have consistently shown decreases in admission rates and shorter lengths of stay without an increase in mortality or rehospitalization or rates of return to the emergency departments. Other studies have documented considerable savings through the use of chest pain units 11. Despite their obvious potential to improve efficiency, there are dangers associated with chest pain units, including a tendency to admit very low risk patients who otherwise might have been discharged from the hospital. There is also a danger to overuse technologies such as echocardiography, ischemia monitoring, and nuclear cardiology testing. In conclusion, current efforts to improve the care of patients with chest pain in the U.S. include: • using decision aids to improve risk stratification; • finding new ways to make information from these decision aids more easily accessible to clinicians, such as integrating the information into electrocardiographic reports; • implementation of critical pathways for short “rule out” protocols for low risk patients; • using new tests to improve risk stratification – including new markers for myocardial injury and treadmill exercise testing; • improved follow-up of patients discharged from the hospital or emergency department.
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The chest pain unit is viewed as a highly effective location for pursuing these efforts. References 1. AMERICAN COLLEGE OF EMERGENCY PHYSICIANS: Clinical policy for the initial approach to adults presenting with a chief complaint of chest pain, with no history of trauma. Ann Emerg Med 1995; 25: 274-299. 2. NATIONAL HEART ATTACK ALERT PROGRAM COORDINATING COMMITTEE 60 MINUTES TO TREATMENT WORKING GROUP: Emergency department: rapid identification and treatment of patients with acute myocardial infarction. NIH Publication No. 93-3278. National Heart, Lung and Blood Institute, Public Health Service, U.S. Department of Health and Human Services, Sept 1993. 3. LEE TH, ROUAN GW, WEISBERG MC, ET AL: Clinical characteristics and natural history of patients with acute myocardial infarction sent home from the emergency room. Am J Cardiol 1987; 60: 219-224. 4. PEARSON SD, GOLDMAN L, ORAV EJ, ET AL: Triage decisions for emergency department patients with chest pain: do physicians’ risk attitudes make the difference? J Gen Intern Med 1995; 10: 557-564. 5. ZALENSKI RJ, RYDMAN RJ, TING S, ET AL: A national survey of emergency department chest pain centers in the United States. Am J Cardiol 1998; 81: 1305-1309. 6. PEARSON SD, GOULART-FISHER D, LEE TH: Critical pathways as a strategy for improving care. Ann Intern Med 1995; 123: 941-948. 7. NICHOL G, WALLS R, GOLDMAN L, ET AL: A critical pathway for management of patients with acute chest pain at low risk for myocardial ischemia. Recommendations and potential impact. Ann Intern Med 1997; 127: 996-1005. 8. FARKOUH ME, SMARS PA, REEDER GS, ET AL: A clinical trial of a chest-pain observation unit for patients with unstable angina. N Engl J Med 1998; 339: 1882-1888. 9. ROBERTS RR, ZALENSKI RJ, MENSAH EK, ET AL: Costs of an emergency department-based accelerated diagnostic protocol vs hospitalization in patients with chest pain: a randomized controlled trial. JAMA 1997; 278: 1670-1676. 10. GOMEZ MA, ANDERSON JL, KARAGOUNIS LA, ET AL: An emergency department-based protocol for rapidly ruling out myocardial ischemia reduces hospital time and expense: results of a randomized study (ROMIO). J Am Coll Cardiol 1996; 28: 25-33. 11. GASPOZ JM, LEE TH, WEINSTEIN MC, ET AL: Cost-effectiveness of a new short-stay unit to rule out acute myocardial infarction in low risk patients. J Am Coll Cardiol 1994; 24: 1249-1259. 12. LEE TH, PEARSON SD, JOHNSON PA, ET AL: Failure of information as an intervention to modify clinical management. Ann Intern Med 1995; 122: 434-437.
È possibile riformulare la strategia di approccio al dolore toracico oggi in Italia? Giuseppe Di Pasquale, Stefano Biancoli, Simonetta Vinelli, Leonardo G. Pancaldi. Divisione di Cardiologia, Ospedale di Bentivoglio, Bologna
Nell’ambito della popolazione dei pazienti che si presentano al Dipartimento di Emergenza Urgenza (DEU) con dolore toracico, solo in una parte di questi la valutazione iniziale consente di diagnosticare con sicurezza una sindrome coronarica acuta oppure un’origine sicuramente non cardiaca della sintomatologia. Nella maggioranza dei pazienti invece la valutazione iniziale mediante ECG ed esame clinico non è sufficiente per classificare correttamente il paziente. Di conseguenza ne deriva che troppi pazienti con dolore toracico vengono impropriamente ricoverati e troppi impropriamente dimessi dal DEU 1. I dati provenienti da analisi effettuate prevalentemente negli USA evidenziano che: – il 55% dei pazienti ricoverati in ospedale per dolore toracico non ha malattie cardiache e che il 30-40% dei ricoveri in UTIC per dolore toracico da sospetta sindrome coronarica acuta è improprio; – il 2-8% dei pazienti con dolore toracico dimessi dal DEU sviluppa nei giorni successivi un infarto miocardico acuto. Dati ufficiali italiani su epidemiologia e gestione del dolore toracico non sono oggi disponibili. L’impressione è che forse finora prevaleva la seconda problematica (dimissione impropria), mentre oggi, aumentando anche nel nostro Paese la preoccupazione delle possibili azioni medicolegali per “malpractice”, comincia a diventare rilevante come per gli USA anche la prima problematica (ricoveri impropri). L’analisi dei DRG, introdotti in Italia solo da pochi anni, dimostra il numero crescente di dimissioni classificate nel DRG 143 (dolore toracico) nel quale rientra la maggioranza dei pazienti impropriamente ricoverati per un dolore toracico che si è rivelato essere di origine non coronarica. La gestione del dolore toracico in Pronto Soccorso è oggi in Italia tutt’altro che soddisfacente in assenza di protocolli standardizzati. L’esperienza maturata negli USA nell’ultimo decennio attraverso le Chest Pain Units (CPU) suggerisce che una gestione cost-effective del dolore toracico è possibile e non richiede mezzi tecnici sofisticati 2. Diversi studi hanno dimostrato che l’attuazione di un protocollo standardizzato riduce significativamente il rischio di misconoscere un infarto miocardico evolvente a fronte di una riduzione del numero di ricoveri per dolore toracico 3. Analisi di costo-efficacia hanno inoltre dimostrato significativi vantaggi economici per la CPU rispetto ad una gestione di rou-
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tine tradizionale del paziente con dolore toracico 4. Nonostante l’ampia documentazione dei vantaggi delle CPU, in Italia l’attuale contesto di limitatezza delle risorse ne rende oggi proponibile l’istituzione probabilmente solo in poche grandi realtà. Quello che invece è possibile attuare anche nel più piccolo Ospedale è l’istituzione di protocolli e percorsi per la gestione ottimale del paziente con dolore toracico. Esistono in letteratura numerosi percorsi diagnostici, alcuni validati attraverso le CPU su rilevanti casistiche di pazienti con dolore toracico 5-7. L’analisi di esperienze ormai collaudate rende possibile proporre linee guida generali di comportamento attuabili in Italia, con gli opportuni adattamenti alle singole realtà organizzative locali. Il protocollo che viene proposto prevede in sintesi le seguenti tappe: 1. All’arrivo nel DEU il paziente con dolore toracico riceve una valutazione clinica completa (storia clinica accurata ed esame fisico) e l’ECG standard seguiti da una stratificazione del rischio 8. Questa analisi può essere effettuata con l’aiuto di protocolli e algoritmi (es. algoritmo di Goldman 9 per il ruling-out dell’IMA, linee guida AHCPR 10 ed ANMCOSIC 11 per la diagnosi di angina instabile, etc.). I pazienti ad alto rischio vanno ricoverati (UTIC/Reparto) mentre quelli a rischio intermedio o basso devono essere sottoposti ad ulteriori test per definire la loro destinazione. Questo richiede un periodo di osservazione (6-12 ore) che può essere attuato in una CPU oppure in un’area di osservazione breve del DEU. In alcune realtà organizzative la sorveglianza ECG dei pazienti trattenuti in osservazione nel DEU potrebbe essere affidata al personale infermieristico dell’UTIC, attuando un collegamento telemetrico del monitoraggio elettrocardiografico. 2. I test da effettuare nei pazienti a rischio intermediobasso con ECG normale o non diagnostico sono costituiti da: a) monitoraggio ECG; b) marker biochimici di danno miocardico; c) test provocativi di ischemia. L’ecocardiografia non è probabilmente da utilizzare routinariamente, ma a discrezione. Il monitoraggio ECG idealmente va effettuato utilizzando sistemi di analisi continua del segmento ST. In alternativa vanno eseguiti ECG seriati ad intervalli predeterminati ed in caso di ripresa dei sintomi 12. I marker biochimici sono costituiti da mioglobina, CK MB e troponine cardiache. La negatività dei marker biochimici in determinazioni seriate consente di identificare i pazienti avviabili alla dimissione 13. In particolare viene richiesta la negatività della troponina T o I all’ingresso e in un prelievo ripetuto a distanza di almeno 6 ore dall’inizio dei sintomi. Applicando questo protocollo in una serie di 773 pazienti consecutivi con dolore toracico acuto, Hamm et al hanno dimostrato che la ripetuta negatività dei test della troponina T e I si associa ad un basso rischio, consentendo una dimissione rapida e sicura del paziente dal DEU 14. 3. Nei pazienti con ECG e marker biochimici negativi G Ital Cardiol, Vol 29, Suppl 4, 1999
dopo un periodo d’osservazione di almeno 6 ore va eseguito un test provocativo di ischemia. La preferenza, soprattutto per motivi di accessibilità e di costi, viene data al test da sforzo. Un treadmill test eseguito immediatamente (entro poche ore) oppure nelle ore successive (entro 48-72 ore) è in grado di stratificare i pazienti con dolore toracico, individuando quelli che possono essere dimessi con sicurezza e quelli per i quali è invece opportuna l’ospedalizzazione 15, 16. In alternativa al test ergometrico può essere eseguito uno stress test nucleare (imaging con tallio o sestamibi) oppure uno stress test ecocardiografico (dipiridamolo o dobutamina). 4. I pazienti con monitoraggio ECG, marker biochimici e test ergometrico o di imaging negativi possono essere rinviati a domicilio; i rimanenti vanno ospedalizzati. Tutti i pazienti dimessi al termine di questo work-up diagnostico vanno rivalutati in via ambulatoriale entro 24 ore da uno staff cardiologico. In conclusione, la necessità di operare secondo criteri di economicità ed appropriatezza rende urgente anche in Italia la necessità di proporre una strategia di approccio al dolore toracico in DEU. L’Area Emergenza Urgenza dell’ANMCO si propone di colmare questa mancanza, fornendo un contributo culturale anche attraverso l’organizzazione di uno studio prospettico e randomizzato di confronto tra “routine care” vs protocollo accelerato “CPU-like” in pazienti con dolore toracico a rischio intermedio, con ECG di presentazione normale o non diagnostico. Lo studio che verrà realizzato in collaborazione tra Cardiologia e Medicina d’Urgenza, consentirà di verificare sul campo fattibilità, sicurezza e costo-efficacia del protocollo sopra proposto nelle linee generali.
Bibliografia 1. AMERICAN COLLEGE OF EMERGENCY PHYSICIANS: Clinical policy for the initial approach to adults presenting with a chief complaint of chest pain, with no history of trauma. Ann Emerg Med 1995; 25: 274-299. 2. ZALENSKI RJ, SHAMSA FH: Diagnostic testing of the emergency department patient with chest pain. Curr Opin Cardiol 1998; 13: 248-253. 3. GRAFF LG, DALLARA J, ROSS MA, ET AL: Impact on the care of the Emergency Department chest pain patient from the Chest Pain Evaluation Registry (CHEPER) Study. Am J Cardiol 1997; 80: 563-568. 4. GOMEZ MA, ANDERSON JL, KARAGOUNIS LA, MUHLESTEIN JB, MOOERS FB, FOR THE ROMIO STUDY GROUP: An Emergency Department-based protocol for rapidly ruling
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Strategie organizzative per l’emergenza cardiologica durante il grande Giubileo dell’anno 2000 Mario Rastrelli. Direttore Sanitario Giubileo 2000
Giubileo 2000: un formidabile cimento dell’efficienza anche per il Servizio Sanitario Pubblico Il Grande Giubileo 2000 a conclusione del secondo millennio condurrà in pellegrinaggio a Roma, tra il Natale 1999 e l’Epifania 2001, una mole di circa 36 milioni di visitatori, secondo le stime elaborate dall’Agenzia specializzata, per una parte (oltre i due terzi), distribuiti uniformemente lungo il corso del prolungato Anno Santo in un incessante avvicendarsi di visitatori che utilizzeranno le non illimitate capacità di accoglienza offerte dalla città, mentre circa 10 milioni di pellegrini presenzieranno in Roma in occasione di un novero di circa 20 cosiddetti Grandi Eventi con una punta massima di presenze previste (1 500 000 per almeno 36 ore continuative) in occasione della celebrazione finale delle Giornate Mondiali della Gioventù, nell’agosto 2000. La protezione sanitaria disposta a copertura del Giubileo avrà quindi un andamento “bimodale”, capace cioè di assorbire l’onere di prestazioni sanitarie aggiuntive: 1. da una parte durante le giornate “ordinarie” del Giubileo, ossia fuori dai Grandi Eventi, in presenza di un plafond di 60/70 000 presenze quotidiane, che corrispondono ad un surplus limitato al 2% rispetto alla popolazione romana residente; 2. durante i Grandi Eventi, che corrispondono in generale a celebrazioni “outdoor” sulle piazze prospicienti grandi basiliche – S. Pietro e Via della Conciliazione ovvero piazza S. Giovanni in Laterano – oppure nell’area cosiddetta Grandi Eventi corrispondente al campus appositamente attrezzato della 2ª Facoltà di Medicina di Tor Vergata. La popolazione assistita durante cisascun Grande Evento rappresenta in sé un incremento puntuale assai più sensibile, dal 5 al 50%, della popolazione residente assistita nelle date corrispondenti. Il profilo epidemiologico dei partecipanti al Giubileo nel suo complesso e ad alcuni particolari Grandi Eventi è atteso essere assai variabile, con concentrazioni di portatori di fattori di rischio specifici in corrispondenza di occasioni peculiari: nel calendario dell’Anno Santo sono previste una Giornata dei Malati, una per i disabili, le Giornate della Famiglia (con concentrazioni attese di gestanti e soggetti in età pediatrica…) e così via, mentre il complesso dei pellegrini delle giornate giubilari “ordinarie” è atteso essere di età in media superiore rispetto alla popolazione generale italiana, con il classico profilo epidemiologico dell’età preanziana e anziana del mondo occidentale, con corposo indice di prevalenza di patologia cronico-degenarativa.
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L’organizzazione generale della protezione e assistenza sanitaria finalizzata al Giubileo Il Servizio Sanitario della Regione Lazio si è per tempo strumentato sul piano organizzativo e delle acquisizioni di risorse materiali per fronteggiare la totalità dei compiti posti in essere dalla necessità di assistenza ai pellegrini del Giubileo, istituendo altresì un organismo specifico (la Direzione Sanitaria del Giubileo 2000, DSG 2000) con incarico di pianificazione, programmazione e disposizione delle risorse utili al governo dei problemi di sanità pubblica, assistenza di base e specialistica, nonché al servizio di emergenza per il disimpegno delle giornate “ordinarie” dell’Anno Santo, come e soprattutto dei Grandi Eventi con i loro flussi e concentrazioni di massa di portata eccezionale. In particolare è stato allestito: 1. un servizio dedicato di assistenza di base sulle 24 ore organizzato per nodi di afferenza del network delle dimore (alberghi, pensioni, conventi, seminari allestiti ad hoc) dei visitatori in arrivo da fuori città, con attribuzione territoriale, dedicato all’assistenza indoor dei pellegrini; 2. una predisposizione specifica per alcune questioni di assistenza specialistica di peculiare rilievo organizzativo (l’esempio più significativo e ovvio è il Servizio di Dialisi, ma in questo comparto d’attività speciali è annoverata anche la questione delle disponibilità di elettrofisiologia cardiaca per i portatori di pace-maker); 3. una rete di garanzia “ordinaria” e outdoor incentrata su punti di Primo Soccorso entro le aree (extraterritoriali) delle Basiliche Maggiori, tipiche mete dei pellegrinaggi, strutture gestite interamente dal Servizio Sanitario del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) e appoggiate al Servizio di Emergenza e Soccorso 118 di Roma per il trasporto e l’inoltro ai Dipartimenti di Emergenza dei pazienti bisognosi di ricovero, con il contributo ulteriore di una “riserva strategica” di letti di Rianimazione Generale e di Terapia Intensiva – Unità Coronarica messe a disposizione ad hoc dall’Ospedale Militare del Celio; 4. infine una complessa organizzazione incentrata sui Servizi di emergenza (118 e DEA) sanitaria on-the-field negli scenari dei Grandi Eventi, organizzazione sperimentata e collaudata operativamente in una serie di varie consimili occasioni di concentrazioni di ampie folle per manifestazioni civili e religiose, durante il 1998 e il 1999, con speciale successo in termini di efficienza ed efficacia delle risorse predisposte in particolare nella memorabile “due giorni”, del 1° e 2 maggio 1999 (concerto del 1° maggio, per circa 500 000 presenze stimate, a Piazza S. Giovanni e cerimonia per la beatificazione di Padre Pio, il 2 maggio, a S. Pietro – Via della Conciliazione e di nuovo S. Giovanni, per altrettante complessive presenze). In essenziale lo schema di protezione on-the-field si incardina su strutture (PMA: Punti Medici Avanzati), got ready sugli scenari delle manifestazioni in apposite strutture fisse o mobili, deputate al triage, al Primo Soccorso, alla staG Ital Cardiol, Vol 29, Suppl 4, 1999
bilizzazione dei pazienti ivi condotti da Squadre di Soccorso dotate di barelle collegate per via radio e a loro volta in contatto con la rete di “avvistatori” degli eventi di interesse sanitario, questi ultimi soggetti sovente appartenenti a gruppi organizzati di partecipanti o messi in campo da associazioni di volontariato. Nel PMA operano di norma infermieri esperti di triage e di pronto soccorso e medici specialisti, innanzi tutto anestesisti-rianimatori, medici di urgenza, cardiologi. Negli areali affollatissimi delle manifestazioni, in appoggio alle squadre di soccorso, per gli interventi in loco, sono disposte, in partenza dai PMA, anche le motomediche con rianimatore a bordo. Ciascun PMA ha a disposizione autoambulanze a standard ALS e BLS del SES 118 per il trasporto dei pazienti per cui è appropriata l’ospedalizzazione ai CRC (Centri di Riferimento Campale), ospedali “rivieraschi” degli areali della manifestazione, opportunamente preallertati nei giorni precedenti i Grandi Eventi e la cui riserva di letti in area critica è salvaguardata d’anticipo con opportuna modulazione dei giorni sempre a cura del SES 118. Il ruolo dell’emergenza cardiologica Gli importanti investimenti in risorse per l’allestimento della protezione sanitaria specie sul versante dell’emergenza e la sofisticazione tecnologica del Sistema Emergenza Sanitaria 118 del Giubileo hanno consentito l’acquisizione non solo di autoambulanze, automediche e motomediche, ma anche di dotare di defibrillatori manuali/semiautomatici con registrazione ECG – 12 derivazioni pressoché l’intero parcomezzi del Servizio di Emergenza, nonché di un sistema di telecomunicazione di dati clinici e tracciati ECG con possibilità di comunicazione plurima (per via GSM e telematica attraverso le connessioni informatiche tra Centrale Operativa 118 e i DEA della capitale). L’allerta pre-ospedaliera e la teletrasmissione dei tracciati alle Cardiologie romane sono i dispositivi-chiave dell’organizzazione allestita per il Giubileo 2000, ma destinati a prolungare i propri effetti nel prosieguo dell’esercizio dell’attività sanitaria della Capitale. Sulla base di una stretta interrelazione operativa promossa dalla DSG 2000 tra la Centrale Operativa del Servizio Emergenza Sanitaria 118 e i Dirigenti delle Cardiologie dei Dipartimenti di Emergenza di I e II livello degli ospedali cittadini, nonché attraverso accordi con la ricordata rete dei medici di medicina generale incaricati dell’assistenza di base e (possibilmente) con i Punti di Primo Soccorso Basilicali dello SMOM è stato dunque possibile impostare un panel di azioni programmatiche di Quality Improvement che prevede: 1. codifica del sintomo “dolore toracico” quale determinante “codice giallo” dell’emergenza 118 e conseguente automatico invio del sistema ALS ambulanza-automedica in condizioni rendez-vous ed esecuzione di protocollo di ECG a 12 derivazioni;
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2. addestramento routinario alla early-defibrillation del personale medico e infermieristico dei mezzi ALS; 3. Teletrasmissione di tracciati ECG per la diagnosi preospedaliera di patologia cardiaca, dalle ambulanze di soccorso (per i pellegrini, ma già nel 2000 anche per la popolazione generale assistita dal 118), e dagli altri terminali indicati, alla volta degli ospedali di afferenza; 4. presenza qualificata di cardiologi nei PMA dei Grandi Eventi per la presa in carico, l’osservazione dei pazienti, l’intervento terapeutico precoce e la decisione di ospedalizzazione; 5. sostegno, sulla base della processazione precoce del sintomo “dolore toracico”, alle iniziative delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere per l’allestimento standard di Chest Pain Units nei DEA cittadini; 6. infine, un ambizioso programma di assessment della rete della disponibilità delle Cardiologie romane all’emergenza, particolarmente alla disponibilità dell’offerta roundthe-clock di trombolisi o angioplastica primaria in pazienti con IMA, con orientamento a destinazione diretta del paziente soccorso con mezzo ALS 118 con medico a bordo. Conclusione Le premesse tecnologiche, professionali, culturali e organizzative e i relativi rispettivi investimenti evocati nella modulazione del Piano di protezione e assistenza per il Giubileo 2000 ben si prestano a prolungare i propri effetti quale patrimonio permanente della struttura sanitaria di una Città, come Roma, grande metropoli capitale di un Paese vivace e moderno, nonché centro della Chiesa Cattolica universale e della pratica di grandi incontri religiosi di massa, innovazione che con l’attuale pontificato è divenuta caratteristica con presumibile prolungata proiezione nel futuro. Questo scenario ha fondato motivo pertanto di affermarsi ben oltre le circostanze di un anno apparentemente “speciale”, e specificamente per le esigenze dell’emergenza sanitaria, ivi inclusa l’emergenza cardiologica, con il ruolo di spicco che epidemiologicamente le spetta.
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