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Il processo di direzione aziendale
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L’identificazione delle attività La prima domanda alla quale occorre dare risposta attiene all’identificazione puntuale delle singole attività da realizzare e della sequenza secondo la quale le stesse devono essere realizzate. ►
Individuare la sequenza vuol dire ordinare le attività secondo una logica gerarchica, sulla base della quale vengono stabilite le priorità, le criticità e le relazioni esistenti tra ciascuna di esse. ►
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La scomposizione “a cascata” degli obiettivi Queste riflessioni vanno svolte tenendo in debita considerazione anche l’estensione temporale delle decisioni da assumere. Sotto questo profilo, va infatti osservato che l’obiettivo generale che l’impresa si è attribuito deve essere scomposto – attraverso un procedimento “a cascata” – in una pluralità di obiettivi parziali, misurabili, a cui associare le diverse attività da compiere, necessarie alla loro realizzazione. ► La misurabilità degli obiettivi di breve termine è di importanza fondamentale perché, attraverso la loro identificazione, si realizza la transizione tra la dimensione qualitativa – associata alla mission ed alle decisioni di natura strategica e competitiva – a quella quantitativa, che consente di ridurre le aree di ambiguità e di porre in essere le opportune attività di controllo dei risultati. ►
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La scomposizione “a cascata” degli obiettivi di lungo periodo
Obiettivo di breve Obiettivo di breve Mission
Obiettivi di lungo periodo
Strategie
Obiettivo di breve Obiettivo di breve Obiettivo di breve
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I fabbisogni di risorse I fabbisogni di risorse possono risultare fortemente differenziati in ordine alla loro tipologia (risorse umane, tecniche e finanziarie) ed alla loro entità. ►
Tale circostanza produce i suoi effetti sulle altre variabili considerate in quanto, nel caso in cui sussista una condizione di vincolo nella disponibilità (interna e/o esterna) di risorse, può rendersi necessario mettere in discussione le decisioni assunte sia in termini di obiettivi che di attività. ►
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La ricerca dell’equilibrio Appare dunque chiaro come le valutazioni da compiere per la gestione di un’impresa siano decisamente complesse e come i diversi piani di ragionamento si intersechino reciprocamente, dando luogo ad un processo di scelta graduale ed iterativo, in cui si ricerca per approssimazioni successive una condizione di equilibrio tra obiettivi, attività e risorse. ►
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Il ciclo di direzione
PROGRAMMAZIONE (atti di decisione)
ORGANIZZAZIONE (atti di disposizione)
CONTROLLO (atti di valutazione)
CONDUZIONE (atti di guida)
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Le decisioni organizzative
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I principi organizzativi Un’impresa è composta – prima di qualsiasi altra cosa – da persone, le quali detengono le competenze e le professionalità (le risorse di conoscenza) necessarie al suo funzionamento. ►
Gli apporti dei diversi individui risultano, naturalmente, differenziati in ragione delle specificità di ciascuno di essi, ma ogni persona è in ogni caso portatrice di un patrimonio personale di abilità ed esperienze, che deve essere messo a frutto nel migliore dei modi.
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L’evoluzione delle decisioni organizzative (1) Sino alla metà del secolo scorso, le organizzazioni non avevano ancora acquisito una piena consapevolezza dell’importanza del fattore umano, in quanto risultava prevalente una visione di tipo meccanicistico, secondo la quale il contributo degli individui poteva – e doveva – essere assimilato a quello degli altri fattori produttivi, la terra ed il capitale. ► Il fattore umano veniva, in quanto tale, considerato alla stregua di un’energia da utilizzare nel modo più razionale possibile, riducendo gli sprechi ed ottimizzando il contributo offerto da ciascuno. ►
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L’evoluzione delle decisioni organizzative (2) Nel corso degli ultimi decenni si è invece fatta strada la consapevolezza che la dimensione da cogliere e da valorizzare sia quella della conoscenza posseduta dagli individui, che può essere liberata se il sistema di regole e procedure che disciplina il funzionamento di un’organizzazione mette in condizione ciascuna persona di fornire – nello svolgimento dei compiti che gli sono stati attribuiti – un apporto personale, creativo ed originale, attingendo al proprio ed esclusivo bagaglio di conoscenze. ►
Questo importante cambiamento di prospettiva è stato registrato in letteratura anche sotto il profilo semantico, con il passaggio alla espressione “risorse umane” in luogo di “forza lavoro”.
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La geometria complessiva del sistema Le coordinate del disegno complessivo sono rappresentate, da un lato, dai poteri e responsabilità attribuiti a ciascun componente dell’organizzazione e, dall’altro, dalle relazioni – di tipo formale ed informale – che si vengono a creare tra di essi. ►
L’importanza e la criticità delle decisioni organizzative tende a crescere con l’aumentare delle dimensioni aziendali, poiché tanto maggiore è il numero delle persone coinvolte ai diversi livelli dell’organizzazione, tanto più pressante si rivela l’esigenza di comprendere con chiarezza “chi fa che cosa”. ►
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Il concetto di struttura organizzativa Il disegno della geometria complessiva del sistema di poteri, responsabilità e relazioni degli individui che lavorano all’interno di un’impresa prende il nome di “struttura organizzativa”. ►
Essa è stata oggetto di numerose riflessioni all’interno del dibattito teorico: attraverso l’attenta analisi delle realtà aziendali, infatti, si è cercato di pervenire all’individuazione di alcuni modelli di struttura, cioè di modalità di costruzione dei ruoli e delle relazioni organizzative secondo delle soluzioni standardizzate, ancorché suscettibili di adattamenti. ►
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Il principio della specializzazione Con il principio della specializzazione si considera la “dimensione orizzontale” della struttura organizzativa e si fa riferimento all’idea che sia possibile migliorare l’apporto individuale se vengono preventivamente individuate, attraverso un processo di divisione del lavoro, delle specifiche aree di competenza (denominate “funzioni aziendali”) destinate a presidiare un preciso ambito problematico. ► Non è infatti possibile immaginare che tutti debbano – o possano – saper fare tutto: ha senso, piuttosto, prevedere delle soluzioni organizzative che consentano a gruppi di individui di specializzare la proprie capacità, sfruttando le competenze già possedute e quelle che si acquisiscono nel tempo grazie ai processi di apprendimento. ►
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L’importanza della specializzazione L’importanza della specializzazione dei compiti è legata ai vantaggi di costo che, attraverso l’applicazione di tale principio, è possibile conseguire. Si parla, in proposito, di economie di specializzazione, cioè di risparmi connessi all’incremento delle abilità che le persone sviluppano nell’affrontare quelle situazioni che presentano problematiche simili, gestibili sulla base delle esperienze pregresse. ► A queste si affiancano le economie di scopo, con le quali si fa invece riferimento alla possibilità di ottenere rendimenti crescenti delle risorse umane attraverso l’utilizzo originale e creativo delle conoscenze possedute dai singoli individui in contesti diversi (nuove attività, nuovi prodotti o servizi) rispetto a quelli in cui, sino ad allora, erano state utilizzate. ►
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Il principio del coordinamento Il secondo principio organizzativo da considerare – il coordinamento delle attività – rimanda, invece, alla necessità che il contributo di ogni persona sia coerente con l’apporto fornito dalle altre risorse umane, al fine di realizzare un sistema sinergico, in cui il risultato complessivo ottenuto sia superiore a quello della mera sommatoria delle parti. ►
Se, infatti, le azioni realizzate non vengono attentamente coordinate tra loro, si incorre nel rischio di non sfruttare in maniera adeguata le risorse disponibili e, conseguentemente, di ottenere delle performance complessive inferiori a quelle che sarebbe stato concretamente possibile raggiungere.
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La dimensione verticale Per applicare i principi di specializzazione e coordinamento è necessario precisare, in primo luogo, che una struttura organizzativa si articola su differenti livelli, nel senso che è possibile distinguere, lungo la sua “dimensione verticale”: ► un vertice aziendale (centro di comando), deputato ad assumere le decisioni di maggiore importanza per la vita dell’impresa; ► degli organi direzionali (centri di decisione), che hanno il compito di individuare il complesso di azioni da realizzare per portare a compimento gli obiettivi stabiliti a livello superiore; ► degli organi operativi (centri di esecuzione), responsabili di attuare le direttive che ricevono dal livello direzionale; ► degli organi di controllo (centri di valutazione), a cui è attribuita la responsabilità di verificare lo stato di attuazione delle attività. ►
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La catena di comando Tra tali livelli sussiste una precisa relazione gerarchica di tipo formale, nel senso che quanto stabilito a livello di vertice deve essere osservato dagli organi direzionali e, a livello inferiore, dagli organi operativi. ►
La “catena di comando” trova quindi la sua origine ai livelli più alti della struttura organizzativa e si sviluppa, per stadi successivi, fino a raggiungere i livelli inferiori della stessa.
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La delega Al rapporto gerarchico fa da corollario il processo di delega, attraverso il quale si precisa l’estensione dei rapporti di autorità: si tratta, in altri termini, di attribuire poteri e responsabilità ai diversi livelli organizzativi, definendo in tal modo i margini di autonomia e discrezionalità di cui ciascuna persona gode nello svolgimento dei propri compiti. ►
Appare evidente che, quanto più spinta è la delega, tanto maggiore è il fabbisogno di coordinamento delle risorse umane impegnate nella gestione aziendale. ►
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La dimensione trasversale La profondità viene considerata la terza dimensione della struttura organizzativa, che si aggiunge a quella verticale ed orizzontale, di cui si è appena detto, che si va a sovrapporre alle scelte compiute lungo le altre due dimensioni della struttura. ►
A queste dimensioni può essere aggiunta anche quella temporale, distinguendo i casi in cui le unità organizzative sono stabili (organi permanenti, che forniscono un apporto costante nel tempo) o, invece, transitorie (organi temporanei, che intervengono in maniera discontinua). ►
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dimensione verticale
Le dimensioni organizzative
AUTORITÀ
COMPITI dimensione orizzontale
RELAZIONI dimensione trasversale
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Le relazioni organizzative formali e informali Le relazioni formali sono di tipo gerarchico e si basano sul principio organizzativo dell’unità di comando (le direttive devono essere impartite da un unico soggetto, altrimenti si creano aree di ambiguità che possono inibire il corretto funzionamento dell’organizzazione). ►
Quelle informali si attivano, in maniera spontanea, a livello interpersonale e prescindono, quindi, dal sistema codificato di rapporti stabilito a livello alto-direzionale. Le relazioni informali possono spesso risultare di estrema importanza, sia perché attraverso di esse si attivano circuiti supplementari di trasmissione delle informazioni, sia perché il confronto e la logica del lavoro di gruppo esaltano il bagaglio di creatività dei singoli individui. ►
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Le relazioni verticali, orizzontali e trasversali Le relazioni verticali si instaurano tra i differenti livelli della struttura organizzativa; ► quelle orizzontali si attivano invece tra unità collocate sui medesimi livelli gerarchici; ►le relazioni trasversali tagliano in senso longitudinale i diversi livelli. ► Le relazioni trasversali sono dei potenti meccanismi di integrazione che, svolgendo una funzione di mediazione tra i differenti approcci che possono essere sviluppati ai diversi livelli della struttura organizzativa per la soluzione di un problema, contribuiscono ad assicurare il necessario grado di coordinamento tra le attività. ►
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Meccanismi di integrazione in ordine crescente di costo e complessità Meccanismi di integrazione Gerarchia Contatto diretto Ruoli di collegamento Task force Organi di integrazione
Descrizione Le parti sono integrate per mezzo dell'autorità attribuita ad un superiore Le persone si incontrano faccia a faccia per coordinare le attività Un componente dell'unità organizzativa è responsabile del coordinamento con le altre unità Gruppo di lavoro temporaneo composto da membri delle diverse unità da coordinare Unità organizzative in posizione intermedia rispetto alle unità da coordinare
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Il modello di struttura organizzativa semplice In tutti i casi in cui si propende verso un contenimento degli aspetti formali si adotta – anche se in maniera inconsapevole – un modello di struttura organizzativa di tipo semplice, che si caratterizza proprio per la forza preponderante delle relazioni interpersonali rispetto a quelle codificate. ► Questa soluzione viene frequentemente adottata dalle imprese di minore dimensione, nelle quali il ridotto numero delle persone coinvolte nei processi aziendali rende possibile un coordinamento spontaneo delle interdipendenze ed un costante aggiustamento dei processi decisionali, dei ruoli e delle responsabilità in funzione delle situazioni che di volta in volta è necessario affrontare. ►
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Il modello funzionale Il modello funzionale deriva dall’applicazione del principio di specializzazione dei compiti per funzioni omogenee: le diverse mansioni vengono cioè aggregate sulla base delle specificità dei problemi da risolvere. Generalmente, quindi, si individuano delle “funzioni” (la produzione, il marketing, la finanza, il personale) che rappresentano i principali ambiti decisionali che è necessario presidiare, prevedendo che ciascuno di essi si articoli al suo interno in base alla complessità delle situazioni da affrontare. ►
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Esempio di modello di struttura funzionale Direzione Generale
Direzione Marketing
Ufficio Vendite Italia Estero
Direzione Produzione
Direzione Personale
Ufficio Procedure
Ufficio Commerciale Ufficio Acquisti
Direttore Stabilimento Capi-reparto Resp. magazzino
Direzione Finanza
Ufficio Qualità Ufficio Amministrazione
Ufficio Contabilità
Banche e finanza Controllo di gestione
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I livelli di struttura La struttura funzionale si articola generalmente su tre livelli fondamentali: al vertice si colloca la Direzione Generale, che assume le decisioni di tipo strategico e svolge compiti di supervisione e coordinamento; al livello successivo si trovano le Direzioni Funzionali, specializzate per aree di competenza – produzione, marketing, amministrazione, etc. – e responsabili delle attività svolte dalle unità organizzative inferiori (terzo livello), che svolgono compiti di tipo operativo. ►
La struttura funzionale è dunque un modello organizzativo relativamente semplice, che risulta quindi adatto per imprese di dimensioni contenute, che si muovono all’interno di un contesto caratterizzato da una tendenziale stabilità ambientale. ►
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Esempio di modello di struttura funzionale per una biblioteca
Direzione generale
Direzione produzione
Direzione finanza
Direzione personale
Direzione marketing
Ufficio nuove acquisizioni (selezione e acquisto nuove pubblicazioni)
Ufficio contabilità
Ufficio dipendenti
Ufficio prestiti (regolamentazione e gestione prestiti)
Ufficio fondi antichi (conservazione e regolamentazione prestiti volumi antichi)
Ufficio amministrazione
Ufficio volontari/obiettori di coscienza/lavoratori socialmente utili
Ufficio inventariazione (inventario elettronico dei volumi posseduti dalla biblioteca)
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Vantaggi e svantaggi del modello funzionale Il modello funzionale, per le sue caratteristiche, presenta una serie di vantaggi, in quanto esso non solo favorisce lo sviluppo di professionalità di tipo specialistico ma, grazie alla relativa semplicità delle comunicazioni interne, consente anche di affrontare in maniera tempestiva i problemi che di volta in volta si presentano. ► Uno degli aspetti più delicati di questa soluzione attiene al coordinamento tra le varie funzioni aziendali, che deve essere assicurato attraverso l’implementazione di opportuni meccanismi di integrazione. Non sono infatti infrequenti i conflitti interfunzionali, cioè tra i responsabili delle diverse funzioni aziendali. ►
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Il modello divisionale Il modello divisionale viene preferito in tutti i casi in cui l’organizzazione si trovi ad affrontare situazioni caratterizzate da una elevata complessità gestionale, riconducibili ad una significativa articolazione su scala geografica o produttiva, che risulta pertanto difficile gestire attraverso la struttura funzionale e che richiedono, quindi, una forte propensione al decentramento decisionale. ► La divisione del lavoro, in questo caso, non avviene su base tecnica – come nel caso del modello funzionale, dove si aggregano competenze omogenee – ma in base a diversi possibili criteri di specializzazione (prodotto, area geografica, mercato). ►
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Esempio di modello di struttura divisionale articolato su base geografica
Direzione Generale
Direzione Personale
Direzione Finanza
Divisione Europa
Direzione Marketing
Direzione Produzione
Divisione Nord-America
Direzione Amministr.
Direzione Marketing
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Direzione Produzione
Direzione Amminstr.
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Esempio di modello di struttura divisionale di un museo
Direzione generale
Direzione finanza
Direzione personale
Direzione marketing
Divisione archeologia
Divisione arti figurative
Divisione scultura
Divisione arti applicate
Ufficio produzione
Ufficio produzione
Ufficio produzione
Ufficio produzione
Unità operativa allestimenti
Unità operativa allestimenti
Unità operativa allestimenti
Unità operativa allestimenti
Unità operativa didattica e comunicazione
Unità operativa didattica e comunicazione
Unità operativa didattica e comunicazione
Unità operativa didattica e comunicazione
Unità operativa conservazione e restauri
Unità operativa conservazione e restauri
Unità operativa conservazione e restauri
Unità operativa conservazione e restauri
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La logica del modello divisionale La logica di tale modello, dunque, è molto diversa da quella che ispira il funzionamento della struttura funzionale, che è basata sull’integrazione di aree differenti dell’impresa: nel caso del modello divisionale, infatti, si tende piuttosto a “disintegrare” l’impresa in unità organizzative (le Divisioni) dotate di autonomia gestionale, il cui coordinamento viene assicurato, a livello complessivo, dalla Direzione Generale. ►
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I centri di profitto Sono “porzioni” della struttura organizzativa che, per la loro autonomia, vengono considerate in maniera distinta anche sotto il profilo amministrativo. ►
Un esempio, in questo senso, è dato proprio dalle divisioni che, per il grado di autonomia loro conferito, vengono generalmente considerate alla stregua di centri di profitto; ciò vuol dire che esse esprimono dei ricavi e dei costi che sono direttamente ed univocamente riferibili alle attività poste in essere, per cui sarà possibile individuare un risultato (lordo) afferente a ciascuna divisione. ►
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I centri di costo Sono unità organizzative che mettono la propria attività a servizio delle altre divisioni dell’impresa e per questo motivo non generano ricavi ma unicamente dei costi, i quali – sulla base di criteri specifici – vengono “ribaltati” sulle unità che beneficiano del loro contributo. ► È inoltre possibile distinguere i centri di spesa (ad esempio, la direzione amministrativa) che, non producendo un output misurabile, sono suscettibili unicamente di valutazioni di efficacia, data dal rapporto tra risultati previsti e risultati ottenuti; i centri di ricavo, il cui obiettivo è il raggiungimento dei previsti livelli di fatturato; i centri di investimento, il cui apporto è misurato attraverso la valutazione del rendimento (rapporto tra risultato conseguito e sforzo sostenuto) degli investimenti sostenuti. ►
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Centri di profitto e di costo in ambito culturale È possibile esemplificare il concetto di centro di profitto e di centro di costo nell’ambito dell’organizzazione di una mostra. ► La Divisione attività commerciali (produzione e vendita di prodotti editoriali e di merchandising associati al tema della mostra) potrà essere considerata un centro di profitto, in quanto avrà propri costi e propri ricavi. ► La Divisione allestimento potrà considerarsi un centro di costo, in quanto l’attività sviluppata non genera direttamente dei ricavi, ma esclusivamente dei costi; la sua attività, tuttavia, è a servizio delle altre divisioni in quanto contribuisce a rendere funzionale e piacevole l’intero prodotto “mostra”. ►
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I vantaggi della struttura divisionale I vantaggi della struttura divisionale risultano particolarmente evidenti nelle imprese di maggiori dimensioni, le quali, attraverso tale modello organizzativo, acquisiscono significativi gradi di flessibilità che spesso proprio lo sviluppo dell’impresa inibisce. ►
L’aumento della taglia dimensionale può infatti tradursi in una maggiore rigidità della struttura aziendale e quindi dei comportamenti gestionali, i quali risentono di fenomeni di “vischiosità” e di inerzia del processo decisionale. ►
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Gli svantaggi della struttura divisionale Gli svantaggi di tale modello, invece, sono in primo luogo riconducibili all’incremento dei costi di personale, connesso al moltiplicarsi di unità organizzative che, all’interno delle diverse divisioni, svolgono la medesima attività (direttori di vendita, direttori di produzione, etc.). ► In secondo luogo, occorre sottolineare le difficoltà connesse al coordinamento delle attività poste in essere dalle varie divisioni, tra le quali si sviluppano spesso anche dei conflitti per l’attribuzione delle risorse (finanziarie, umane e tecniche) che ciascuna di esse ritiene indispensabili al perseguimento dei propri obiettivi. Il rischio è che si verifichino delle spinte centrifughe tali da rendere vano ogni tentativo di coordinamento. ►
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La gestione per progetti La peculiarità di tale modello risiede nel fatto che esso rinuncia al principio dell’unità di comando, privilegiando una chiave di lettura “progettuale” del funzionamento dell’impresa.
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Se l’impresa risulta impegnata nello svolgimento contestuale di più progetti, ciascuno dei quali richiede professionalità specifiche, si creano infatti delle unità organizzative composte da individui afferenti alle diverse aree funzionali, in grado di apportare tutte le competenze richieste per lo sviluppo del progetto. ►
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L’organizzazione a rete La costruzione di un network mira ad esaltare i vantaggi sinergici connessi alla creazione sistematica di una rete di rapporti con gli altri operatori esistenti sul mercato, ai diversi livelli della filiera produttiva. ► La trama relazionale che viene attivata, infatti, non riguarda solo i clienti ed i fornitori (posti a monte ed a valle dello stadio del processo produttivo in cui si colloca l’impresa) ma anche quei soggetti che insistono sul medesimo spazio competitivo, cioè sullo stesso stadio della filiera, privilegiando pertanto l’idea che – all’interno di uno stesso ambito concorrenziale – possano esistere non solo rapporti di competizione ma anche di collaborazione. ►
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Le reti museali Negli ultimi anni l’Italia ha visto considerevolmente crescere il numero di network museali.
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Gli elementi comuni sono l’affidamento a fornitori esterni, da parte di un gruppo di musei connessi fra di loro dalla specializzazione tipologica (ad es. musei diocesani) o dalla localizzazione geografica (musei del Piemonte), di una serie di funzioni i cui costi non sarebbero facilmente sostenibili da parte di ciascun museo singolarmente: comunemente, le funzioni che vengono affidate all’esterno possono essere quelle di promozione e comunicazione, fund-raising, organizzazione mostre, etc. ►
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La programmazione ed il controllo delle attività
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Il concetto di programmazione e controllo Le decisioni relative all’organizzazione aziendale si legano in maniera profonda con quelle concernenti la programmazione ed il controllo delle attività di gestione. ►
Mentre con le prime, come si è visto, si definisce il sistema di poteri e responsabilità che deve orientare lo svolgimento della vita dell’impresa, con la programmazione ed il controllo si perviene alla determinazione analitica, ed in via anticipata, degli obiettivi e delle azioni da intraprendere nonché delle modalità attraverso cui monitorare lo stato di avanzamento delle attività. ►
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La definizione dell’estensione temporale Va comunque considerato che lo scenario attuale deprime la possibilità di programmare le attività aziendali oltre il breve-medio periodo (da uno a tre anni), in quanto esso si caratterizza per una sempre maggiore variabilità. ►
Il contesto attuale è da considerarsi “complesso”, nel senso che la compresenza di spinte talvolta divergenti (connesse alla presenza di fenomeni in rapido cambiamento, quali lo sviluppo scientifico e tecnologico, la crescita demografica, l’incremento del reddito procapite e del livello medio di istruzione, lo sviluppo della mobilità della popolazione e degli strumenti di comunicazione, etc.) determina la presenza di un elevato livello di turbolenza. ►
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Approccio spontaneo e formalizzato Lo svolgimento del processo di programmazione e controllo può avvenire sia in modo spontaneo che attraverso il ricorso ad una procedura formalizzata. ► Il primo approccio è tipico delle organizzazioni di minore dimensione dove la dimensione intuitiva domina lo svolgimento delle attività di gestione. ► Nelle aziende più grandi, invece, la presenza di una maggiore quantità di risorse da amministrare e, quindi, di scelte da assumere e di valutazioni da svolgere, impone l’adozione di procedure codificate, attraverso cui sviluppare in maniera analitica il programma delle attività da compiere e dei controlli da effettuare. ►
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La necessità della programmazione Al di là della dimensione dell’organizzazione, un approccio corretto alla gestione aziendale impone in ogni caso una formulazione attenta e consapevole delle scelte direzionali. ► È indispensabile, in altri termini, dotarsi di un sistema organico di procedure di programmazione e controllo che sostenga ed indirizzi tutte le attività poste in essere, al fine di realizzare la strategia prescelta e conseguire le finalità stabilite nella mission. ► La programmazione, infatti, rappresenta la declinazione, in termini quantitativi, delle scelte di tipo qualitativo effettuate a livello strategico: l’obiettivo generale di lungo periodo, come già visto, viene scomposto in una pluralità di obiettivi misurabili di breve e medio periodo, i quali vanno distribuiti temporalmente ed assegnati alle varie aree funzionali dell’organizzazione. ►
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Il sistema di piani Lo svolgimento della programmazione e del controllo transita, quindi, per la formulazione di un “sistema di piani”, cioè di un insieme omogeneo di obiettivi ed attività strutturati sulla base di schemi predefiniti (i budget), i cui contenuti si influenzano reciprocamente. ►
Con riferimento al breve periodo, deve essere costruito un budget di esercizio (anche denominato “piano operativo”), sviluppato per ciascuno degli anni oggetto di programmazione ed aggiornato costantemente, con la tecnica dello “scorrimento”. ►
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Il sistema di piani (1) ►
Nel budget operativo confluiscono: ► i risultati del budget di marketing (a sua volta, derivante dalla previsione dei risultati di vendita e dei costi commerciali e distributivi), ► del budget di produzione (in cui confluiscono le previsioni di acquisto di beni e servizi e dei costi produttivi, unitamente alle eventuali ipotesi di investimento) ► e del budget relativo ai costi generali (amministrativi, finanziari, etc.); ► per ogni obiettivo che si intende raggiungere e per ciascuna attività che si prevede di realizzare è infatti necessario individuare i riflessi in termini di costi e ricavi (che confluiscono nel budget economico) ed in termini di entrate ed uscite (che originano il budget finanziario) che ne derivano. 265
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Il sistema di piani (2) Budget di marketing Budget dei costi Budget dei costi di distribuzione commerciali
Budget di produzione Budget degli investimenti
Budget degli acquisti
Budget dei costi di produzione
Budget dei costi generali
Budget operativo
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Budget finanziario
Budget economico
Budget di vendita
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Equilibri economici e finanziari La distinzione tra l’aspetto economico e quello finanziario è particolarmente rilevante, in quanto ogni atto di transazione che l’impresa pone in essere – con soggetti interni ed esterni ad essa – trova una sua manifestazione finanziaria che, sotto il profilo temporale, che può rivelarsi non coincidente con la manifestazione economica, cioè con il momento in cui tale transazione effettivamente si conclude. ►
La non coincidenza tra gli aspetti economici e finanziari si rende evidente nel momento in cui il soggetto fornitore (di un bene o di un servizio) accorda una dilazione al soggetto acquirente, rendendosi quindi disponibile a ricevere il pagamento di quanto dovuto in un momento successivo rispetto alla realizzazione della prestazione. ►
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La manifestazione economica e finanziaria di una transazione d’acquisto
manifestazione economica
manifestazione finanziaria
costo
uscita
debito
t0
t1
dilazione
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tempo
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L’equilibrio monetario La presenza di questi sfasamenti temporali è dunque di rilevante importanza, in quanto essa contribuisce a definire la dimensione degli eventuali fabbisogni finanziari nei diversi periodi di tempo e consente di verificare la presenza di un equilibrio monetario, cioè la sostenibilità finanziaria di breve termine delle scelte assunte. ► Se le uscite prodotte dall’attività di gestione risultano superiori alle entrate, si renderà infatti necessario verificare che la dotazione finanziaria dell’impresa sia in grado di assorbire tale fabbisogno: in caso contrario, si dovrà provvedere a ridimensionare il programma di attività ovvero a recuperare le ulteriori risorse necessarie. ►
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L’analisi degli scostamenti Il confronto tra obiettivi e risultati, realizzato mediante l’analisi sistematica degli scostamenti, può evidenziare l’esistenza di una differenza, la cui significatività orienta i successivi comportamenti gestionali dell’impresa. ►
Obiettivi di lungo periodo
Obiettivi di breve periodo
feedback valutativo
Attività
feedback correttivo
Analisi degli scostamenti
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Risultati
Sistema di rilevazione dei risultati
Confronto tra risultati effettivi ed obiettivi
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La conduzione delle risorse umane
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La conduzione delle risorse umane L’obiettivo delle scelte organizzative è quello di ottenere il miglior rendimento delle risorse umane impegnate nello svolgimento delle attività di gestione. ►
Questo approccio è, in larga misura, connesso alla notevole incidenza percentuale che il costo del personale generalmente esprime sul conto economico di un’impresa culturale, al crescere del quale aumentano i rischi connessi alla maggiore rigidità della struttura dei costi aziendali. ►
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Il contributo potenziale delle risorse umane La crescente attenzione verso le risorse umane è legata alla convinzione che esse rappresentino la “materia prima” per poter conseguire un vantaggio competitivo conservabile nel tempo e difendibile rispetto alla concorrenza. ►
Ciascun individuo, infatti, è portatore di proprie professionalità e competenze, che possono – o dovrebbero – essere integralmente messe a servizio dell’organizzazione in cui egli opera.
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Il problema risiede proprio nel considerare che non è detto che ciò avvenga, in quanto, per una pluralità di motivi, può accadere che il contributo individuale si ponga molto al di sotto dell’apporto potenziale che ciascun soggetto sarebbe in grado di esprimere. ►
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Il concetto di conduzione Il compito della funzione di conduzione delle risorse umane risiede, dunque, nell’analisi delle relazioni che si vengono a creare tra individuo ed organizzazione e nell’individuazione delle soluzioni atte a massimizzare i risultati che ne potrebbero derivare. ►
Il rapporto tra individuo ed organizzazione ha una sua componente formale, disciplinata dalla soluzione contrattuale che regola la relazione tra le due parti, nella quale vengono stabili i contenuti della prestazione di lavoro (in termini di compiti e mansioni) e il corrispettivo che verrà attribuito al soggetto che la svolge. ►
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I bisogni individuali Va però considerato che l’aspetto economico non esaurisce, generalmente, le attese individuali, le quali si strutturano generalmente secondo un complesso più o meno articolato di funzioni di utilità personale (bisogni). ► I bisogni concorrono quindi a definire il sistema di obiettivi in base al quale ciascuna persona orienta la propria vita e le modalità di comportamento all’interno dei diversi contesti con i quali entra in contatto. ► Gli obiettivi personali, dunque, possono non coincidere con quelli espressi dal contesto professionale nel quale lavora l’individuo: quanto maggiore è la distanza tra di essi, tanto più ampio si rivela il gap tra il contributo potenziale e quello effettivo e la possibilità che insorgano dei conflitti tra le due parti. ►
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Il sistema delle ricompense Le leve a cui fare ricorso per ridurre il più possibile l’insorgere di occasioni di conflitto sono riconducibili a ricompense di tipo intrinseco ed estrinseco: ► le prime sono legate al grado di soddisfazione che l’individuo trae dallo svolgimento del proprio lavoro; contestualizzando tale considerazione all’interno di un’organizzazione teatrale, ad esempio, per gli operatori di questa tipologia di impresa culturale parte della ricompensa intrinseca è costituita dal piacere di lavorare in un ambiente considerato “creativo” ed “artistico” e di venire in contatto con personaggi celebri del mondo dello spettacolo; ► le seconde – quelle estrinseche – invece, comprendono tutti quei riconoscimenti di carattere tangibile attribuiti agli individui che interpretano i compiti loro assegnati in modo conforme a quanto è stato loro indicato. ►
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Le ricompense di tipo intrinseco Assume particolare importanza la motivazione individuale a partecipare alla vita dell’organizzazione ed a fornire un contributo attivo; ►
nel momento in cui si prende a riferimento il sistema di bisogni che l’individuo tende a soddisfare attraverso la sua prestazione di lavoro all’interno di un sistema organizzativo, si parla di motivazione a partecipare,
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mentre considerando il ruolo dei fattori che influenzano l’entità del contributo fornito dall’individuo si parla di motivazione a produrre. ►
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Il ruolo della motivazione nella prestazione di lavoro
Prestazione
=
Motivazione Intensità / direzione del comportamento
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X
Capacità Intelligenza Abilità Conoscenze Tecniche
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Le ricompense di tipo estrinseco Tra le ricompense di tipo estrinseco, è possibile distinguere quelle basate sulla remunerazione da quelle non monetarie.
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In entrambi i casi, va preliminarmente osservato, è necessario che venga previsto un sistema premiante, in base al quale vengono stabiliti, in via preventiva, i riconoscimenti che verranno attribuiti (premi, avanzamenti di carriera, etc.) in funzione dei risultati effettivamente raggiunti. ►
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Le ricompense di tipo estrinseco Tra le ricompense di tipo estrinseco, è possibile distinguere quelle basate sulla remunerazione da quelle non monetarie.
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In entrambi i casi, va preliminarmente osservato, è necessario che venga previsto un sistema premiante, in base al quale vengono stabiliti, in via preventiva, i riconoscimenti che verranno attribuiti (premi, avanzamenti di carriera, etc.) in funzione dei risultati effettivamente raggiunti. ►
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La componente economica Con specifico riferimento al rapporto esistente tra motivazioni individuali ed attese di natura economica, va rilevato come queste vengono soddisfatte, in primo luogo, attraverso la regolare somministrazione del compenso attribuito per lo svolgimento della prestazione professionale. ►
In realtà, è possibile incidere sulle motivazioni individuali proprio legando la definizione dell’entità complessiva della remunerazione all’impegno profuso ed ai risultati ottenuti, attraverso la variabilizzazione di una porzione più o meno significativa del compenso. ►
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Le componenti immateriali I sistemi premianti possono, però, far leva anche su altre componenti della motivazione individuale, di tipo immateriale: al di là della soddisfazione economica, infatti, possono essere individuate anche forme di incentivazione basate – ad esempio – sulla partecipazione dell’individuo al processo decisionale, il quale, se a vario titolo coinvolto nelle scelte aziendali, può essere più facilmente portato a condividerle e comunque a sentirsi gratificato per il fatto stesso di essere stato reso partecipe della vita dell’organizzazione. ►
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Gli interventi sulle mansioni per stimolare la motivazione (1)
Job enrichment: la strutturazione dei compiti individuali viene basata su livelli crescenti di autonomia e di responsabilizzazione; ►
Job enlargement: aumenta la numerosità dei compiti attribuiti al medesimo individuo; ►
Job rotation: si interviene sulla variabilità dei contenuti della mansione, prevedendo forme di rotazione dei compiti che consentono di evitare un’eccessiva ripetitività e monotonia delle attività svolte. ►
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Gli interventi sulle mansioni per stimolare la motivazione (2)
job emrichment
decisione 1
job enlargement
compito 1
compito 2
job rotation
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compito 3
compito 4
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Esempi in ambito culturale Job enrichment in biblioteca: agli addetti alla distribuzione dei volumi può essere attribuito uno specifico compito di valutazione del loro stato di conservazione, e la conseguente possibilità di decidere quali volumi possano essere concessi in prestito agli utenti. ► Job enlargement in un parco archeologico: ad un archeologo addetto agli scavi può essere assegnato anche il compito di curare gli apparati didattici dell’esposizione di reperti annessa allo scavo archeologico. ► Job rotation in una mostra: nel caso di compiti particolarmente routinari come quello dei custodi addetti alla guardiania delle sale, questi possono essere periodicamente destinati ad attività di gestione del servizio di guardaroba. ►
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Gli stili di direzione Partecipativo: basato sul consenso e sulla capacità dell’individuo di sviluppare forme di autocontrollo;
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Autocratico: basato sull’autorità e su una conduzione delle risorse umane di tipo gerarchico, nel quale prevale il principio del comando e del controllo esterno sui risultati raggiunti. ►
Rispetto a questi due estremi, che risentono di chiavi di lettura diverse della realtà d’impresa (una visione cooperativa rispetto ad una visione conflittuale), nella vita delle organizzazioni possono presentarsi situazioni molto diverse tra loro, che richiedono un mix tra i due approcci descritti. ►
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I rapporti tra le attività direzionali (1) È evidente il legame che sussiste tra conduzione ed organizzazione, in quanto – in entrambi i casi – le decisioni assunte intervengono a disciplinare il ruolo ed il contributo fornito dagli individui. ►
Il legame con le altre due attività direzionali (programmazione e controllo) appare altrettanto chiaro in tutti i casi in cui si prevedono meccanismi di incentivazione legati al raggiungimento degli obiettivi, che vengono stabiliti in sede di programmazione delle attività e monitorati attraverso la funzione di controllo. ►
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I rapporti tra le attività direzionali (2) In questi rimandi reciproci risiede il concetto di ciclicità dei compiti direzionali, nel senso che ciascuno di essi, nella sua formulazione e nella sua implementazione, deve rivelarsi pienamente congruente con gli altri, in quanto il risultato complessivo – un’attività di gestione organica ed efficace – deriva non tanto dalla mera sommatoria delle decisioni assunte con riferimento a ciascun elemento del ciclo quanto, piuttosto, alla reciproca integrazione tra di essi. ►
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