Distretto Ale Civita C.

  • December 2019
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  • Words: 48,333
  • Pages: 122
NINFEO ROSA 3 Collana di studi e ricerche della biblioteca comunale

Paolo Calza Bini Carmela Bosco

Cristina Oteri Daniela Pieri

IL DISTRETTO INDUSTRIALE DI CIVITA CASTELLANA Analisi socio-territoriale di un caso particolare di concentrazione locale di imprese e sistemi

Rapporto di ricerca CNR

Cura dell’opera, grafica, impaginazione: Alfredo Romano Collaborazione Sede editoriale: Biblioteca Comunale «Enrico Minio» Via Ulderico Midossi Civita Castellana (VT) Telefax 0761/514180 Tipografia

RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è il risultato dell'attività di ricerca svoltasi nel comprensorio di Civita Castellana, a partire dal dicembre 1993, dal gruppo di ricerca CNR diretto da Paolo Calza Bini e costituito da Carmela Bosco, Cristina Oteri e Daniela Pieri. Ringraziamo tutte le aziende e gli imprenditori che hanno consentito i sopralluoghi nei posti di lavoro e le interviste; così pure tutti i lavoratori che hanno direttamente o indirettamente contribuito alla realizzazione della ricerca. I nostri più vivi ringraziamenti vanno inoltre al comune di Civita Castellana nella persona di Ermanno Santini, ai Comuni di Fabrica di Roma e di Castel Sant' Elia, all'Ufficio di collocamento. A Luigi Cimarra, Arnaldo Picchetto, Ermanno Picchetto e Stenio Ceccani, va pure il nostro sentito grazie per l’aiuto prodigatoci nell’avvicinare e capire la complessità della realtà locale. In particolare desideriamo ringraziare per la disponibilità, l'attenzione prestataci e la collaborazione, Fabio Romiti del Centro ceramico, Fabrizio Mangiucca della Filcea Cgil, Antonio Sini del Consorzio Alto Lazio, Leonardo Bazzoffia dell'Unipol. AVVERTENZE Le parti riportate in corsivo costituiscono i contributi delle persone intervistate per la stesura del presente volume. Trattandosi di testimonianze, si è ritenuto di doverle riportare fedelmente, non apportandovi nessuna correzione grammaticale, sintattica o di stile. Ricerca effettuata grazie al contributo finanziario del Cnr.

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Prefazione

All'inizio degli anni '70, quando nella cultura industriale dominava ancora l'ideologia Fordista, la realtà socio-strutturale delle imprese sul territorio italiano si presentava assai diversa e decisamente meno fordista di quanto gli attori del mondo delle relazioni industriali ed i loro esperti pensassero. La dissonanza tra realtà operativa del sociale (il lavoro, l'impresa, la vita quotidiana su base locale nel loro agire e caratterizzarsi giorno per giorno in funzione delle occasioni ed esperienze) e l'immaginario collettivo (la sovrastruttura culturale, la filosofia industriale, l'ideologia imprenditoriale e sindacale) infatti, verso la metà degli anni '70, ha iniziato ad essere smascherata e contestata da studi e ricerche sui sistemi produttivi locali e settoriali. Ricerche condotte non a caso in regioni dove il modello della grande impresa (oggi spesso definito come modello fordista) non aveva mai molto attecchito, mentre la produzione di piccola impresa aveva trovato in un modo o in un altro lo spazio di un mercato. Più fattori (quali l'alienazione capitalistica del lavoro, l'intensificarsi della conflittualità, la crescita del costo del lavoro, la stasi tecnologica, l'intensificarsi della rigidità) stavano introducendo elementi di crisi nella grande industria di tipo fordista. Al contempo le condizioni di organizzazione elastica della piccola impresa, che erano solite esercitare il ruolo di polmone delle fasi cicliche del sistema economico, si erano andate rafforzando avvalendosi di fasi congiunturali sfavorevoli alla grande impresa, come di maggiori aperture del sistema creditizio, dell’espansione dei mercati e di una maggiore ampiezza e costanza del sistema di fornitura e subfornitura. La filosofia industriale dominante sviluppatasi nei decenni precedenti, iniziava sì ad essere sottoposta ad un fuoco incrociato ma tendeva a permanere ancora tale per forza di inerzia. Ricerche analoghe a quella che qui presentiamo hanno dato allora un contributo notevole alla riflessione sul mondo della produzione e sull'organizzazione di impresa dimostrando la diversità operativa dei modelli settoriali e territoriali nello sviluppo del sistema economico italiano concorrendo a rinnovare i modelli culturali dominanti. L'aver cercato di ricostruire con metodo socio-descrittivo (pur con tutti i limiti ed i vincoli che l'inchiesta in un campo così delicato e riservato può incontrare) la storia di vita di varie imprese in un sistema locale (e quindi in un certo senso la storia di vita di una comunità sociale e produttiva); l'aver evidenziato come certe realtà territoriali extra-metropolitane siano caratterizzate da una particolare atmosfera sociale intrisa di vita produttiva, di socializzazione a particolari attività lavorative ed imprenditoriali, che sostanziano storicamente le relazioni sociali di una sorta di comunità locale, è stata non solo un esperienza culturale che ha segnato l'identità dei ricercatori per il futuro percorso scientifico-culturale ma ha anche offerto un patrimonio di spunti di approfondimento e riflessione culturale in molti rami scientifico-disciplinari, aprendo la via ad un ripensamento ed una evoluzione delle stesse teorie dell'impresa e delle tecniche del suo pratico operare. La ricchezza culturale che il monitoraggio ravvicinato dei ricercatori della piccola impresa e dei sistemi locali distrettuali ha permesso, è stata tale da imporre un mutamento ed una certa innovazione culturale in molte discipline anche specifiche quali l'economia d'impresa, la tecnica industriale, la geografia economica e la sociologia del territorio con notevoli ripercussioni internazionali. Il rintensificarsi in questi ultimi anni di nuovi studi di casi in tal senso, sta offrendo interessanti spunti per ulteriori riflessioni.

Lo studio di caso del distretto di Civita Castellana e del sistema locale che vi fa perno si inserisce in un più ampio progetto di ricerca finanziato dal Cnr che è stato messo a punto a partire proprio dall'idea che se il dibattito e la riflessione accademica si erano in questi ultimi decenni perfezionati avvalendosi delle ripercussioni internazionali si stesse però sviluppando una sorta di stasi culturale. Da un lato alcuni nel tentativo di modellizzare ad ogni costo, andavano perdendo il significato della varietà degli stimoli che le ricerche empiriche sin dagli inizi erano riuscite a dare; dall'altro i più si andavano fossilizzando su una cultura dominante senza nuovi apporti di attenta osservazione empirica che riproduceva una ulteriore dissonanza tra realtà empirica e nuova dominanza culturale. I tentativi di modellizzare il distretto e le relazioni tra imprese, pur evidenziando l'apporto "situazionale" e relazionale della localizzazione territoriale e dell'interazione settoriale, internavano lo studio di caso del distretto nei fattori organizzativo-gestionali dell'impresa, nella figura dell'imprenditore e nelle logiche dei grandi sistemi economici. Una prima e principale distorsione risiedeva nella dimenticanza o nella forte sottovalutazione dell'apporto delle risorse umane per l'efficacia competitiva delle imprese, del distretto o delle reti. La predominanza dei punti di vista dell'economia dell'impresa e del management non permettevano di porre la necessaria attenzione al contributo di competitività che proveniva da quelle risorse di lavoro che costituivano il bacino locale di offerta di lavoro specificamente valorizzata sul piano professionale. In altre parole si sottovalutava costantemente il consistente apporto competitivo dato all'impresa distrettuale da una consistente disponibilità di un fattore lavoro capace e competente, fattore formatosi con l'accumulo dell'informazione e dell'esperienza che è spesso l'artefice del successo delle imprese ma anche la vittima delle crisi e delle turbolenze del mercato. Questa sottovalutazione non solo ha ritardato per più di un decennio la presa di coscienza dell'importanza della valorizzazione delle risorse umane ma anche impedito che si sviluppassero sufficientemente gli studi sulle modalità con cui avviene e si può riprodurre la costruzione delle competenze professionali (il learning- by doing, using and interacting in aree settoriali e territoriali). Un seconda insoddisfazione che la dominanza del dibattito andava inducendo era connessa proprio a questi ultimi aspetti, vale a dire alla non sufficiente comprensione dei processi e dei percorsi cognitivi e socializzativi che si sviluppano in un territorio delimitato. Nei sistemi locali, al pari dei comparti settoriali, la vita quotidiana del fare, consumare e relazionarsi produce un accumulo individuale e sociale di conoscenza, informazione, esperienza (che già Marx poneva alla base dell'appropriazione ed espropriazione connessa alla divisione del lavoro). Quanto più il lavoro è qualificante e "socializza" tanto più nel sistema locale e/o nel comparto produttivo si sviluppano impulsi di conoscenza e apprendimento cognitivo che valorizzano le risorse umane ed inducono una maggiore appetibilità delle produzioni di provenienza di quella data area e o di un dato sistema relazionale presente nel settore produttivo. Questa "nebulosa" che già Marshall, come ha evidenziato Becattini, chiamava atmosfera industriale deve però essersi pur prodotta in qualche modo ed avere delle modalità riproduttive nel tempo. Il richiamo ai rapporti faccia a faccia della vita quotidiana comunitaria non sono di per sé sufficientemente esplicativi, in quanto possono in realtà anche rimanere anonimi, pieni di indifferenza e privi di ogni trasmissione culturale (è quanto avviene ad esempio nei quartieri metropolitani dove i rapporti di vicinato od anche di lavoro avvengono spesso senza alcuna comunicazione "umana" e di interscambio comunicativo e culturale. Cosa rende dunque socializzante il territorio di un distretto industriale? Il lavoro materiale, la manifattura, la particolarità di una data produzione settoriale, o le relazioni di comunità? Il termine socializzazione-manifatturiera voleva proprio sottolineare questo duplice aspetto del socializzare nel senso comune del termine, vale a dire mettere in comune rendere noto agli altri, stare e fare con gli altri e nello stesso tempo del socializzare in senso tecnico sociologico, 21

comunicare, interagire, conoscere, apprendere, accumulare esperienza nell'interazione con gli altri, con gli attori e gli oggetti del fare e dell'agire. Nelle comunità distrettuali ciò significa comunicazione tra produttori (lavoratori e imprenditori), diffusione della conoscenza tecnicoproduttiva ma anche informativo-commerciale nelle varie interazioni di vita quotidiana lavorativo-comunitaria. Sta qui, in questo socializzare come scambio naturale quotidiano (la sinergia culturale), un primo "valore sociale" (non necessariamente esplicito e consapevole) che assume valore economico in quanto diviene radicamento locale e fattore fondamentale di più elevata competitività. Sta in questa educazione o formazione sotterranea e permanente, tipica dell'apprendimento interattivo e del cumulo dell'esperienza della vita quotidiana che accomuna l'apprendimento professionale all'apprendimento cognitivo della socializzazione attiva primaria (learning-by- doing, by-using e by- interacting), la produzione di quel valore in più della forza lavoro con particolari capacità e competenze (skills) che caratterizzano i distretti. (Brusco 1995) La socializzazione che si sviluppa nella vita comune (collettivo- relazionale) di una comunità che mantiene e sprigiona una certa socialità relazionale quotidiana (anche quando questa apparentemente si nasconde dietro un certo individualismo-competitivo come quello dei piccoli imprenditori) offre un'opportunità in più alle risorse umane di valorizzarsi nelle capacità o competenze professionali (intendendo per queste conoscere, saper fare, saper risolvere più e meglio di altri, dare affidabilità professionale etc.). La terza idea del progetto muoveva da un semplice interrogativo. Quanta acqua è passata sotto i ponti e come ha corroso o modificato i percorsi originari? Fuori della metafora, a distanza di circa vent'anni dalle ricerche che avevano fondato un nuovo percorso culturale che è andato via via sostituendosi all'ideologia fordista, non si sta rischiando di produrre una nuova ideologia dominante che come il fordismo negli anni '70 è in dissonanza con la realtà sociale? Se una dominanza culturale (come il fordismo), ad un tempo dato (primi anni '70), non si avvedeva del fatto che la realtà sociale di cui parlava e teorizzava era solo una parte della realtà complessiva (nel senso che il complesso del territorio non corrispondeva a quell'immaginario collettivo e i processi allora in atto non erano quasi affatto colti), ora che la cultura della flessibilità ha preso il sopravvento, divenendo ideologia dominante che si "stereotipizza", non corriamo nuovamente il rischio di guardare alla realtà con degli occhiali particolarmente deformanti ed offuscanti l'oggetto di osservazione? Nell'avviare la nostra ricerca ci si sono puntualmente riproposti alcuni dei problemi così generalmente enunciati. Sin dalla scelta del campo di indagine, che avevamo in prima istanza individuato in un sistema locale ad alta concentrazione settoriale con caratteri distrettuali e che per economia delle nostre risorse cercavamo nell'ambito della regione Lazio, ci siamo imbattuti nello schematismo istituzionale col quale erano state ingabbiate le articolate analisi e le deduzioni teoriche sulle varie modalità e differenze dello strutturarsi e riprodursi dei sistemi produttivi locali. Come è noto il decreto legge 21.4.1993 definisce gli indirizzi ed i parametri di riferimento per l'individuazione dei distretti industriali in base alla contiguità territoriale ed alla contestualità di alcune condizioni quali: l'indice di industrializzazione manifatturiera; l'indice di densità imprenditoriale; l'indice di specializzazione produttiva ed il relativo livello di occupazione specifica; il tasso di presenza di piccole imprese. Il voler ricercare una contestualità di tutti i vari elementi di un modello ideal-tipico, costruito assiemando un insieme di case study in cui l'insieme degli elementi non si riscontra quasi mai in contemporanea, equivale di per sé al voler escludere a priori molti sistemi locali che pur avendo caratteri e potenzialità da aree distrettuali non potrebbero mai combaciare con il modello teorico. Inoltre, l'inefficienza dell’Ente locale, come nel caso della Regione Lazio, ha comportato una scarsa attenzione verso la politica industriale e come diretta conseguenza la non istituzionalizzazione, sempre nella stessa regione, di una o più vere e proprie aree distrettuali.

È questo il caso di Civita Castellana che rappresenta un' area industriale con un'economia locale sufficientemente viva il cui potenziale di sviluppo (ha continuato a mostrarsi anche negli anni '90) è stato così penalizzato da inefficienze legislativo-burocratiche che la hanno esclusa da pari opportunità con altri distretti (basta infatti togliere o sostituire qualcuno dei comuni dell'area per far mutare gli indici e rientrare a pieno nelle normative a favore e sostegno dei distretti industriali). Un secondo aspetto dei temi precedentemente enunciati, tipici dei territori a caratterizzazione industriale diffusa, che ci si è manifestato sin dalle prime interviste su campo è la cosiddetta atmosfera industriale. Ogni intervistato era al corrente del tipo di produzione e si soffermava sulla capacità particolare del civitonico di fare ceramica (come fosse quasi un particolare ormone nel sangue dei civitonici!). Se nella ricerca sin qui condotta per interviste qualitative a testimoni privilegiati è stato possibile ricostuire attraverso racconti e storie di vita come molti operai hanno imparato "il mestiere", non altrettanto facile è risultato ricostruire analiticamente fino in fondo quando, dove e come capacità, competenze, saper fare professionale si siano acquisiti/e, sviluppati/e, accumulati/e, costruendo quelle particolari competenze professionali che, a detta stessa di molti imprenditori, fanno di molti "esperti operai" dei soggetti (o delle figure professionali) quasi insostituibili che offrono all'impresa fattori di competitività (qualitativa e/o quantitativa) più o quanto ne offrano a volte le più moderne innovazioni tecnologiche. Per effetto di questo accumulo di competenze nelle risorse umane locali (siano esse operaie o manageriali) le imprese, anche in condizioni di non esemplarità dello stato di modernizzazione dell’hardware tecnologico o dei modelli organizzativi, delle tecniche pubblicitarie e di marketing, sono in grado di offrire prodotti di buona qualità, di conquistare e mantenere nuovi mercati, di competere o coesistere con le più grandi multinazionali del settore. Sul piano del mutamento e della modernità o arretratezza del sistema locale e delle sue attività, la nostra osservazione ravvicinata ha offerto elementi che richiedono un'attenta riflessione in quanto a prima vista possono dar adito a facili ma forse inesatte interpretazioni di fallace senso comune. Una produzione tradizionale che opera in una area di mercato medio basso non di elevata qualità, ancora in buona parte di tipo manual-artigianale con sistemi retributivi a cottimo, i cui contenuti tecnologici non sembrano d'avanguardia, ed i sistemi organizzativi non sono razionalmente progettati e sistematicamente valutati, potrebbe fornire un'idea di distretto ad uno stadio arretrato e forse anche in via di marginalizzazione per effetto della globalizzazione. A ben monitorare però si può osservare che tradizione ed esperienza artigianale sono indispensabili in alcuni dei punti critici del ciclo produttivo in cui le più moderne tecnologie falliscono o incontrano consistenti difficoltà; che il mercato medio basso costituisce la nicchia di mercato più ampia ed estensibile proprio su i nuovi mercati dei paesi meno avanzati (che tendono ad essere inclusi nella globalizzazione), che anche in detta nicchia si danno problemi di qualità e di standard alti, medi e bassi in cui la competenza non si improvvisa; infine i sistemi locali tradizionalmente produttori sono avvantaggiati nella competitività in quanto in grado di produrre a parità di costi di produzione uno standard sempre più elevato dei nuovi possibili concorrenti del mercato globale. Ciò proprio in forza della maggiore disponibilità di risorse umane professionalizzate, di imprenditori esperti, navigati, sensibili e reattivi senza problemi di pastoie organizzative burocratico-intersistemiche. Le tecnologie utilizzate, pur appartenendo generalmente ad un medesimo standard, sono spesso modificate in una continua ricerca di funzionalità, ottimizzazione ed adattabilità a nuove esigenze. Il particolare sistema retributivo socialmente emerso sembra dare risultati positivi in termini di produttività delle imprese e di soddisfazione salariale. L'introduzione di nuova tecnologia non è assente in quanto si riscontrano casi di particolare avanguardia sul fronte dello studio e sperimentazione di nuovi macchinari o di adattamenti particolari 23

di questi alla produzione, di trasferimento di nuove tecnologie di risparmio energetico nei nuovi impianti, di introduzione di tecnologie per la salvaguardia dell'ambiente interno ed esterno etc. Anche in riferimento al taylor-fordismo molti sono i punti di discussione che il caso propone. Il prodotto igienico-sanitario potrebbe sotto un certo profilo essere un tipico prodotto da industria taylor-fordista in quanto sufficientemente standardizzabile nella produzione e standardizzato nelle caratteristiche e nelle possibilità espansive del mercato quindi ben adatto ad una grande impresa. Dove sono dunque le ragioni del successo della piccola impresa (generalmente le imprese del distretto si collocano tra i 40-60 addetti)? Come mai in quasi tutte le imprese a fianco di linee alquanto meccanizzate sussistono linee di produzione spesso composte di banchi di lavoro sostanzialmente manuali? I maggiori stabilimenti delle grandi multinazionali del settore non differiscono poi tanto nel modo tecnico ed organizzativo del produrre. Se poi si va a vedere in che consiste l'alta qualità del prodotto si scoprono ancora degli altri elementi problematici di un certo interesse. L'alta qualità oggi non si differenzia tanto per i materiali e le relative tecnologie adottate che sono generalmente dello stesso tipo (salvo la possibilità, in alcuni casi, di verifiche computerizzate dei requisiti qualitativi delle forniture - es. materie prime - che attualmente solo imprese dotate di un proprio laboratorio sono in grado di effettuare), ma assai di più sulla originalità del design. Il design però più è originale e più richiede particolari forme la cui fattibilità e la cui realizzazione sono meno standardizzabili e l'esecuzione meccanizzata su grande serie meno conveniente. Il mercato e le condizioni al contorno (il mercato del lavoro esterno, formazione e processi di socializzazione professionale, relazioni industriali e determinazione dei salari) non hanno indotto convenienze di scorporazione e/o separazione in reparti di produzione (salvo forse in uno dei casi da noi esaminati) o aziende specializzate nella produzione più meccanizzata-standardizzata e produzione più manual-qualitativa. Ciò sebbene alcune nuove tecnologie o l'espansione aziendale in aree di mercato molto classico-standard sembrano dar luogo a stabilimenti più meccanizzati di stile taylorista. Al contrario nel settore stoviglieria, dove la meccanizzazione taylorista è stata introdotta in varie fasi del ciclo produttivo da molti decenni (anche se il lavoro manuale fa da supplemento alle macchine là dove gli impianti non sono riusciti a risolvere inconvenienti di impianto od a trovare soluzioni tecniche adeguate alle modalità di produzione), sono sorte aziende innovanti che si dedicano alla produzione di pezzi speciali con forme organizzative e mezzi meccanici più artigianali. Paolo Calza Bini

Introduzione

La realizzazione della ricerca si è basata su dati quantitativi e qualitativi tratti da interviste ad imprenditori, ad operai, a rappresentanti sindacali e imprenditoriali, alle figure istituzionali locali. Si è inoltre privilegiata l'osservazione diretta attraverso visite alle imprese e la partecipazione a momenti di vita locale. Lo sforzo dei ricercatori è stato non solo quello di definizione del quadro attuale del sistema economico locale, ma anche quello di ricostruzione delle fasi della sua trasformazione nel tempo, affinché il lavoro non si esaurisse nel fotografare l'esistente ma consentisse di poter leggere la dinamica dei processi in atto per costruire delle ipotesi di sviluppo di scenari futuri. Le peculiarità dei distretti industriali, determinate dall'interazione tra il sistema produttivo e il sistema storico, sociale, culturale delle popolazioni che su quel territorio avvengono, danno ragione dell'uso di una dimensione analitica che faccia riferimento più che ad un unico modello locale di sviluppo, ad una griglia interpretativa costruita attorno ad alcuni elementi di identificazione, che sono il territorio e la sua storia, la popolazione di imprese, la comunità e la spessa rete di relazioni formali ed informali che su quel territorio si intrecciano. Questo intreccio fa sì che il modello di sviluppo locale non solo sia tipico di un'area territorialmente circoscritta, ma non sia al contempo facilmente esportabile altrove. Da un lato molte delle caratteristiche individuate durante la ricerca sul campo quali: monosettorialità, concentrazione di piccole e medie imprese, atmosfera industriale, socializzazione manifatturiera, caratteristiche e origini delle imprese e degli imprenditori, forte propensione all'export, sono degli indicatori che inscrivono il comprensorio ceramico di Civita Castellana nell'alveo del fenomeno socio-economico dei distretti industriali. Dall'altro lato si vengono mano a mano raccogliendo elementi peculiari e che si discostano in parte dalla definizione tradizionale di distretto industriale: lo scarso sviluppo di reti di relazioni tra le imprese e di imprese a monte e a valle del processo produttivo, le discontinuità tecnologiche (che ad un primo approccio hanno stupito i ricercatori che si muovevano nell'ottica del distretto come fucina di innovazione tecnologica), un arresto del processo riproduttivo imprenditoriale, l'impermeabilità tra le culture locali, la contraddizione tra la forte sindacalizzazione e la scarsa tutela della salute in fabbrica e fuori. Per queste importanti e interessanti divergenze tra Civita Castellana e il modello distrettuale è stato difficile sistematizzare la realtà economico-produttiva locale. Questa conclusione ha portato ad una riflessione sull'uso e sui rischi dell'ipostatizzazione dei modelli. In conseguenza della peculiarità e delle sfaccettature che la realtà empirica osservata presentava, è sorta la necessità di una nuova griglia interpretativa: categorie come grande/piccola, artigianale/ tecnologicamente avanzata, sanitari/stoviglierie, non sono sufficienti per modellizzare questa realtà le cui diverse modalità produttive non seguono un percorso lineare che per stadi successivi e necessari di sviluppo porta da un modello artigianale ad un modello razionale di impresa e di sviluppo economico. Esse piuttosto si collocano lungo un continuum dove sono compresenti e parimenti "vincenti" sul mercato diverse tipologie di aziende, grandi, piccole, artigianali, razionali, semi-artigianali. E in questo evidentemente il distretto gioca ancora un ruolo che non è solo quello di luogo della riproduzione per gemmazione di imprese e imprenditori simili tra loro, ma anche quello della sedimentazione delle risorse quali il sapere diffuso e relazioni dirette distretto/mercato che i soggetti economici locali trasformano in vario modo in ricchezze produttive. 25

Capitolo I ORIGINI STORICHE DI CIVITA CASTELLANA E DELLA TRADIZIONE CERAMICA FINO A OGGI.

Le origini storiche di Civita Castellana e della sua tradizione ceramica risalgono a tempi piuttosto remoti, pertanto la ricostruzione degli avvenimenti offerta in questa sezione della ricerca è stata realizzata a partire sia da documenti reperiti da studiosi delle tradizioni e della storia che da interviste agli stessi studiosi e rivolte a testimoni che ancora oggi rappresentano il tramandarsi della memoria storica locale. Alcuni aspetti della storia appartenente agli inizi di questo secolo sono stati tratti dalla bibliografia "Lucrezia Borgia" di M.G. Bellonci e da testi di storia. Vista la varietà e la numerosità delle fonti consultate (anche se non tutte ufficiali) si ritiene di poter fornire una ricostruzione pressoché fedele, anche se non esaustiva, dei fatti avvenuti e della loro cronologia dall'antichità agli anni '80. Civita Castellana è un centro industriale della provincia di Viterbo città da cui dista circa 31 chilometri. Il Comune, che si estende su un territorio ampio tra il monte Soratte, il Tevere ed i monti Cimini, sorge dove era situata Falerii Veteres l'antica capitale del popolo falisco. Era un'originale civiltà risalente all'epoca pre-romana, legata a quella etrusca da rapporti politici e culturali, ma con una propria autonoma fisionomia e con capacità artistiche incentrate nelle produzione di vasi ed altri manufatti in ceramica. Risale all'anno 241 a.C. la distruzione della città ad opera di Roma. Il periodo di espansione del dominio romano aveva allora spinto i falisci ad allearsi con gli etruschi in un tentativo di difesa che si concluse per loro con la sconfitta. La città fu, in seguito, ricostruita in un luogo pianeggiante poco distante dal primo e fu denominata Falerii Novi. Una seconda distruzione a danno del popolo falisco si verificò con le incursioni barbariche dell'VIII sec, i cui i superstiti successivamente ritornarono nella località dell'antica Falerii dove svilupparono un insediamento medioevale. È in questo arco di tempo che iniziarono a perdersi le tracce dell'arte ceramica che sparì del tutto proprio durante il Medioevo. Civita Castellana fu conquistata dal Papa Pasquale II agli inizi del XII secolo e, nel 1377, fu infeudata ai Savelli da Gregorio XI. Sisto IV ne nominò castellano il cardinale Rodrigo Borgia il quale, divenuto papa nel conclave del 1942 con il nome di Alessandro II, vi fece costruire la famosa "Rocca". Nel periodo del Rinascimento si assiste ad una sorta di ricomparsa dell'attività ceramica a Civilta Castellana; in particolare al 1566 risale la prima testimonianza ufficiale di questo fenomeno: la "corporazione dei vascellari", che riuniva coloro che lavoravano l'argilla per produrre vasi ed utensili, viene citata nello Statuto municipale di quella data, anche se l'attuale redazione è dell'ultimo quarto del '400. Il fatto che i vascellari vengano nominati in questo documento è un elemento importante per comprendere quale sia stato il peso economico-sociale di questa categoria nelle comunità, tenuto conto del fatto che non tutti i mestieri venivano menzionati. "Esiste un contratto di compravendita di una vigna risalente al 1625 nella stesura del quale appare come testimone un vasaio; questo probabilmente può confermare quanto finora detto".

Inoltre è significativo il fatto che i vascellari ricoprissero il terzo posto nella scala dei mestieri e, nell'ordine in cui dovevano susseguirsi le corporazioni durante la processione che si svolgeva in occasione della festa patronale, indicativo anche di una loro consistenza numerica. I secoli XVII e XVIII, favoriti ancora dalla presenza delle materie prime in loco come il caolino, rappresentano per Civita Castellana un florido periodo per la produzione e lo sviluppo di nuove manifatture ceramiche. Un fattore non secondario in questa fase storica è dato dall'influenza ed i legami con lo Stato Pontificio che attiva una fitta rete di rapporti mercantili con la cittadina. Ancora oggi, a testimonianza del valore e del peso dell'insediamento pontificio a Civita Castellana sorgono, oltre che importanti storici edifici, anche la Diocesi. I traffici sono naturalmente favoriti dalla localizzazione territoriale del Comune presso due principali grandi arterie del periodo (Cassia e Flaminia) oltre che dalla vicinanza del Tevere. L'insieme delle citate favorevoli condizioni permise alla ceramica di raggiungere, fino ad allora, la sua massima e più pregiata espressione artistica ad opera di alcune personalità che si distinsero particolarmente nel campo quali Consalvo, Buonaccorsi, Mizielli, Valadier. Fu proprio l'azione di questi ceramisti (non tutti civitonici) ed in particolare di un artista Giovanni Trevisan detto "Volpato" (che conosceva la tradizione ceramica inglese) ad introdurre a Civita Castellana quello che può essere definito uno "stile" nelle produzione di ceramiche. È infatti pressoché certo che ai civitonici, fino ad allora, non appartenesse una tradizione propria, specifica, una tipologia di prodotto caratteristica. L'azione di Volpato fu ancora più importante e decisiva per il futuro del Comune: resosi conto del pregio del caolino presente in zona e consapevole del danno che l'introduzione di terraglie inglesi arrecava a quella italiana e, più in particolare a quella civitonica, decise di sfruttare le risorse disponibili per favorire la produzione locale e la propria (possedeva a Roma un'azienda ceramica) a svantaggio di quella d'importazione. Chiese ed ottenne dal Governo pontificio la concessione di estrarre il caolino a Civita Castellana, rilasciata in precedenza al Valadier ed al Mizielli. Indirizzò la produzione verso la porcellana e la terraglia ed in particolare acquistò larga fama per gli oggetti artistici di "biscuit" (oggi comunemente definito "biscotto"). Questa prima attività aprì la strada alla creazione di altre aziende simili da parte di locali tra cui si possono citare Brunelli, Conti, Marcantoni, Tomassoni). Contemporaneamente, nei primi anni dell'800 in Inghilterra Sir John Harington inventò il watercloset il cui prototipo fu realizzato da Giuseppe Bramah. Questa invenzione arrivò in Italia del nord verso i primi del '900 e fu importata a Civita Castellana da un artigiano locale, Antonio Coramusi. È proprio a partire dai primi anni del '900 che la produzione di ceramiche acquista un peso significativo a Civita Castellana e si innesca un processo di sviluppo separato dei due comparti della produzione ceramica, quello delle stoviglierie e quello dei sanitari che, come si vedrà, avranno nel tempo andamenti non sempre identici. Per comprendere l'interesse che ancora oggi suscita la crescita fiorente delle due produzioni va detto che i risultati di questo processo di sviluppo si sono innescate a partire da risorse umane non locali: nonostante la presenza del caolino e la sua conoscenza da parte dei civitonici, né Coramusi infatti, né Valadier, né Volpato erano civitonici, ma solo artisti provenienti dall'esterno, attirati dalle cave di argilla e dalla possibilità di avere appalti pontifici. L'intervento esterno è stato di fondamentale importanza perciò dal momento che diede il via a una tradizione su cui si sono inserite delle competenze delle quali, a livello produttivo, i civitonici hanno beneficiato. Il punto di partenza è da ricondursi quindi a valore aggiunto esogeno col quale si è impostata una sinergia positiva da parte di quello endogeno portatore di valore e propensione imprenditoriale. 27

Questo fenomeno è alla base di quel passaggio fondamentale per le attività economiche da una struttura di tipo artigianale ad una "industriale". Per la prima volta, unitamente ad una introduzione ed in alcuni casi di ammodernamento degli impianti, si assiste ai primi tentativi di impostare, in termini moderni, la gestione aziendale. In realtà le aziende civitoniche acquisiscono carattere propriamente industriale solo nel dopoguerra e, nell'arco di questo spazio temporale, in due ondate che si verificano la prima tra gli anni '50-'60 e la seconda tra gli anni '70-'80. Questo fondamentalmente per due motivi collegati e di cui, in seguito, verranno spiegate meglio cause e conseguenze concomitanti, intervenute nell'andamento ciclico di sviluppo e di crisi di Civita Castellana e del comprensorio di cui fa parte: - il primo motivo è da ricondurre alla prevalente concentrazione delle attività aziendali nella produzione di sanitari; - Il secondo, strettamente relazionato al primo, è che questo prodotto risente notevolmente, specialmente in termini di grandi volumi, dell'andamento del settore edilizio che, tra l'altro, rappresenta una "spia" nella valutazione dello stato di salute delle economie avanzate.

• ANNI '50. Nell'immediato secondo dopoguerra un numero ristretto di aziende di tipo padronale, in seguito a difficoltà finanziarie e produttive entrò in una crisi talmente acuta che i proprietari furono spinti a licenziare gli operai e a chiudere le aziende. Ciò che si è verificato come conseguenza di questa operazione ha poi segnato non solo l'evoluzione e le caratteristiche di tutte le aziende ceramiche di Civita Castellana, ma anche le condizioni politiche, economiche e sociali del comune. Gli operai rilevarono quello che restava delle aziende da cui erano fuoriusciti e ne divennero proprietari riuscendo nel duplice intento di riacquistare il posto di lavoro e, sfidando le difficoltà del momento ed i rischi del mercato, favorirono la crescita e la diffusione della ceramica. Da quel momento la gestione aziendale civitonica si spostò da figure imprenditoriali intese in senso "classico" ad una di tipo collettivo/collegiale, si creò quella che ancora oggi viene chiamata la figura del socio-operaio che svolgeva il duplice ruolo di lavoratore in azienda e di proprietario in quanto possessore di quote azionarie della stessa. "Il successo ottenuto da questi primi tentativi spinse molti altri a seguire la stessa strada tanto da determinare un continuo distacco di manodopera anche dalle nuove imprese che si è esaurito solo agli inizi degli anni '80". "Questo fenomeno comunque non è stato frutto di altri casi di espulsione di manodopera per motivi congiunturali, come vedremo accadrà negli anni '85-'87; infatti nel 72% dei casi è stata compiuta una scelta autonoma da parte dei lavoratori. Solo il 22% delle aziende è sorto sulle ceneri di precedenti attività. È altresì vero che la nascita di questo tipo di imprese è stata favorita dalle particolari condizioni strutturali del settore che non comportavano la necessità di disporre di grandi capitali iniziali, né ingenti investimenti in impianti produttivi ed anche dal maggior ricorso del lavoro a «cottimo». Ancora oggi, anche se in forma piuttosto ridotta, alcune aziende sono organizzate a livello di proprietà sulla base del criterio dei soci-operai; non va comunque dimenticato che proprio questo assetto ha segnato più di trent'anni di sviluppo per Civita". Va inquadrato agli inizi degli anni '50 il primo tentativo di spostare l'interesse collettivo dagli aspetti più propriamente produttivi ai problemi derivanti dal lavoro in fabbrica per la salute dei lavoratori apportati dalla polvere di silicio. La prima pubblicazione in tal senso risale ai tempi del sindaco Enrico Minio che portò a Civita Castellana due medici per svolgere un'indagine sulle malattie professionali collegate alla ceramica.

Considerato l'intensificarsi dei traffici commerciali ed il modificarsi, in termini di maggiore complessità, delle relazioni tra i vari operatori economici all'interno del Comprensorio e con riferimento ai mercati nazionali ed internazionali (importanti "bacini" di allocazione dei prodotti finali locali di cui una ricostruzione storica corretta non può fare a meno di tenere conto), si ritiene necessario proseguire con questa analisi storica tenendo conto, da ora in poi, di quattro chiavi di lettura degli eventi che si sono succeduti dagli anni '60 fino ad oggi. I fatti e la storia saranno rivisitati considerando le principali "evoluzioni del mercato", le "innovazioni tecnologiche", i "cambiamenti nella professionalità" ed i "mutamenti organizzativi" per ogni decennio, facendo riferimento alla ceramica sanitaria per i motivi prima enunciati ed in considerazione della sua incidenza sul fatturato complessivo del settore.

• ANNI '60 In questo periodo continua la fase di crescita della ceramica sanitaria di Civita Castellana, sempre come conseguenza del boom edilizio avutosi nel periodo di "ricostruzione" del Paese; questo è stato il momento in cui il mercato assorbiva tutta la produzione a prezzi remunerativi. È stato anche il periodo in cui la creazione di molte nuove aziende ha comportato la loro espansione territoriale iniziando quel processo di coinvolgimento dei paesi limitrofi (prevalentemente orientati su economie di carattere agricolo), alla produzione industriale che poi ha generato quello che viene definito "Il Comprensorio di Civita Castellana". A livello tecnologico si verificano tre importanti innovazioni: innanzi tutto le antiche fornaci "toscane" vengono sostituite con i forni a "tunnel" che migliorano la resa in termini di qualità e quantità del prodotto. La foggiatura, realizzata fino a quel momento manualmente, viene sostituita con il "colaggio". Ciò che avviene in sostanza è una duplice complementare trasformazione: i singoli pezzi non vengono più modellati sugli stampi in modo artigianale, ma, con l'introduzione della "barbottina liquida" negli stampi. Per quel che riguarda i cambiamenti delle professionalità coinvolte nel ciclo produttivo questi sono direttamente dipendenti dalle innovazioni in campo tecnologico. L'uso degli stampi dai quali si ricava direttamente il pezzo finito ad esempio (eccetto per alcune rifiniture), necessita la presenza nelle aziende di personale specializzato nella realizzazione degli stampi stessi che sono di gesso e complicati perché formati da molte componenti. Inoltre subentra la necessità di addetti al colaggio e cioè figure professionali in parte "nuove". Come noto l'introduzione di tecnologia nelle aziende tende a ridurre il saper realizzare manualmente l'oggetto da parte dell'operatore e sposta la conoscenza sulla macchina. Nel caso della ceramica, questo fenomeno, relativamente all'atto specifico di produzione semi automatizzata e automatizzata dei pezzi, richiede agli addetti preparazione e professionalità sempre meno spiccate di quanto non avvenisse in passato (si può constatare un'oggettiva semplificazione delle mansioni sia in termini operativi che cognitivi). Nell'ambito organizzativo il tradizionale lavoro a "cottimo" viene gradualmente ridotto a favore di quello regolato contrattualmente anche per effetto delle pressioni sindacali. L'organigramma delle aziende si amplia nelle fasce più basse in quanto c'è immissione di molta manodopera ma con bassa specializzazione, di ausilio alle figure più esperte. Al contempo però "... si è verificato un recupero di professionalità nell'attenzione all'essiccamento, al ritiro del pezzo, ecc. I dipendenti più esperti sono stati pronti a recepire la nuova tecnologia perché forti della loro precedente preparazione." (Flaminia).

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• ANNI '70 Gli anni '70, sulla scia del passato, continuano agli inizi a far registrare un incremento della produzione (II fase di sviluppo della ceramica sanitaria). L'incremento della domanda spinge gli imprenditori, forti della competitività dei loro prezzi di vendita, ad aumentare la produzione. Una conseguenza di questa diffusa tendenza è l'abbassamento della qualità del prodotto locale; l'attenzione infatti si sposta sul numero dei pezzi realizzati piuttosto che sulle loro caratteristiche in termini di rifinitura, qualità generale, ecc.. Rimangono pressoché invariate le innovazioni in campo tecnologico e le professionalità. Cresce la ricerca della qualità del prodotto ma più che in termini di "bontà" cresce la differenziazione del prodotto per tipologia. In campo organizzativo continua l'immissione di manodopera non specilizzata, attratta dai lauti guadagni nel ciclo di produzione con il conseguente "svuotamento" del serbatoio di risorse umane locali. "Per quanto riguarda la forza lavoro si è comunque cercato di assumere personale esperto, però ad un dato punto la domanda è venuta a mancare perché già tutti i residenti erano impiegati". Risale a quegli anni un forte aumento dell'immigrazione di forza lavoro per nulla specializzata proveniente dal comprensorio con conseguente necessità di formazione professionale. In questi anni "... i giovani entravano in fabbrica e sul totale circa la metà diventava ceramista. Proprio in quel periodo io cominciavo ad insegnare e ricordo che allora un ceramista stampatore tra straordinari e stipendio vero e proprio prendeva il doppio di un insegnante. Pensate le conseguenze per lo stato sociale! Si è elevato notevolmente il tenore di vita delle famiglie specie di quelle in cui erano più persone a lavorare". Nella seconda metà degli anni '70 la crisi energetica provoca il fallimento di quelle aziende che avevano solidi rapporti commerciali col mercato arabo a favore di quelle orientate all'interno ed all'Europa.

• ANNI '80 Con gli anni '80 si entra in una nuova fase per l'industria ceramica di Civita Castellana con una sorta di capovolgimento della situazione verificatasi nel periodo appena precedente. Con la chiusura dei mercati europei si è assistito ad un ripiegamento e rivolgimento delle aziende al mercato interno generando conflitti con chi già vi operava. Civita Castellana così ha cominciato a vivere un periodo di grave crisi dovuta principalmente alla scarsa capacità delle sue aziende, per la loro struttura, di essere competitive. Questo momento critico è stato tamponato dalle aziende che hanno saputo e sono riuscite a raccogliere la sfida riorientando l'interesse verso il Medio Oriente. A livello tecnologico si verifica l'introduzione di nuovi macchinari per il colaggio oltre che i robot (già utilizzati nell'industria automobilistica) per la spruzzatura e la smaltatura dei pezzi (innovazioni importanti specialmente per gli effetti positivi nella riduzione delle malattie professionali). Naturalmente anche le professionalità subiscono lievi mutamenti che si traducono, per la spruzzatura in incrementi delle conoscenze dal punto di vista tecnico. Di grande rilievo sono i mutamenti a livello organizzativo. Innanzi tutto sparisce quasi definitivamente la figura del socio-operaio che per le sue caratteristiche era ormai, eccetto in pochi casi, un ostacolo per la crescita delle aziende. Contemporaneamente e congiuntamente investitori privati hanno sostenuto e favorito con l'apporto di capitale fresco esterno questo processo di trasformazione nella gestione delle fabbriche più "forti", liquidando alcuni soci, potenziando la decisionalità dell'imprenditore

rimasto ed effettuando operazioni di incorporazione con altre aziende creando gruppi controllati finanziariamente.

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Capitolo II CARATTERISTICHE DEMOGRAFICO-STRUTTURALI DI CIVITA CASTELLANA E DEL SUO COMPRENSORIO

La popolazione residente: tendenza, struttura per sesso e classe di età. Lo studio dei dati relativi agli ultimi quattro censimenti Istat sulla popolazione residente nel comprensorio di Civita Castellana consente una lettura interessante anche dei fenomeni e delle dinamiche che si sono sviluppate al suo interno nel corso degli ultimi 30 anni. Dalla tabella 1 infatti traspare immediatamente la particolarità dell'area per quel che riguarda i movimenti della popolazione che disegnano per ogni comune tendenze fortemente discontinue che riducono i processi più o meno uniformi di emigrazione o immigrazione, che si verificano in molti comuni italiani, lungo la direttrice Nord-Sud del paese a favore di una intensificazione degli spostamenti di più breve distanza. È quindi evidente che il fermento migratorio a cui si assiste è da ricollegare a cause esogene ed endogene che spingono la popolazione a spostarsi "nei Comuni". È importante collocare i dati nel loro contesto storico di riferimento. Tab. 1: popolazione residente nel comprensorio dal 1961 al 1991.

Castel Sant'Elia Civita Castell Corchiano Fabrica di R. Faleria Gallese Nepi TOTALE

1961

1971

1589 12957 2170 3371 1418 3010 4443 28958

1513 14548 2156 3241 1470 2812 4827 30958

var. % '61/'71 -4,8 +12,3 -0,6 -3,8 +3,7 -6,6 +8,6 +5,5

1981 1738 15606 2679 4084 1464 2786 5335 33692

var. % '71/'81 +14,9 +7,3 +24,3 +26,0 -0,4 -0,9 +10,5 +9,3

1991 1935 15454 3067 5231 1428 2807 6346 36268

var % ' 81/'91 +11,33 -0,97 +14,48 +28,08 -2,45 +0,75 +18,95 +7,64

Fonte: Censimenti - Istat La popolazione residente nel comprensorio cresce del +5,5% dal 1961 al 1971 ed ancora dal '71 all''81 del +9,3% per giungere ad una ulteriore crescita dal 1981 al 1991 (+7,64%).

Fig. 1. Popolazione residente nel comprensorio dal 1961 al 1991. Castel Sant'E.

Civita Castell

Corchiano

Fabrica di R.

Faleria

Gallese

Nepi

TOTALE

40000 35000 30000 25000 20000 15000 10000 5000 0 1961

1971

1981

1991

Se si esamina il cammino storico del comprensorio e più in particolare di Civita Castellana (comune con quasi il 50% della popolazione totale) ci si rende conto che l'incremento della popolazione in generale si può attribuire alla crescita economica e sociale che la cittadina vive a partire dagli ultimi quarant’ anni. Proprio Civita Castellana infatti mostra un incremento dei residenti del +12,3% dal '61 al '71 (boom economico ed incremento aziende) e del +7,35 dal '71 all’'81. Solo l'ultimo decennio fa registrare un dato negativo indicativo di un arresto di questo fenomeno. È altresì interessante soffermarsi sul fatto che nello stesso ultimo periodo, come del resto è avvenuto nel decennio '71-'81, tutti gli altri Comuni del comprensorio crescono in popolazione anche se non in modo uniforme. Castel Sant'Elia dal '61 al '71 decresce demograficamente del -4,8% per passare ad un +14,9% dal '71 all’'81 ed infine ad un +11,33% dall’'81 al '91. Corchiano: la popolazione di Corchiano, nel decennio '61-'71, decresce in modo impercettibile (-0,6%) per poi cominciare una fase di espansione piuttosto consistente (+24,3%) dal '71 all’'81 ed ancora significativa dall’ '81 al '91 (+14,8%). Fabrica di Roma: dal '61 al '71 la popolazione decresce dal -3,8% per poi seguire una andamento fortemente crescente del +26,0% dal '71 all’'81 ed ancora più vistoso dall'81 al '91; secondo le testimonianze raccolte, in gran parte, queste percentuali trovano spiegazione in due successive ondate di immigrazione avvenute nel comune da parte di persone provenienti dal Sud (Lecce) e dalla più vicina capitale. Faleria: é l'unico comune in cui la popolazione, dopo una iniziale fase di crescita (+ 3,7% dal '61 al '71), comincia progressivamente a diminuire dello 0,4% nel periodo '71-'81 e del -2,45% dall’'81 al '91. Gallese: qui il saldo negativo nei tre decenni diminuisce progressivamente passando dal -6,6% del periodo '61-'71 al -0,9% del '71-'81 per finire con il dato positivo riferito al periodo '81-'91. Nepi: è l'unico comune in cui in tutto il periodo considerato si assiste ad una progressiva crescita della popolazione. 33

Va comunque detto che per quel che riguarda i fenomeni migratori derivanti dalle sorti dell'industria ceramica, le popolazioni orbitanti intorno a questo polo industriale hanno sempre vissuto prevalentemente di agricoltura ed il loro coinvolgimento in questo micro sistema economico, che li ha investiti a vario titolo, è stato la conseguenza dell'espansione territoriale delle aziende civitoniche nei Comuni limitrofi. Nell'ultimo periodo poi i civitonici stessi hanno preferito in molti casi, spinti dalle migliori condizioni ambientali, trasferirsi nelle zone residenziali recentemente sorte intorno alla loro città. Tab. 2. Popolazione residente per comune, sesso e classe di età. 1981

Maschi inf.14 15-24 25-34 35-44 45-64

sup-65

inf.14

Femmine 15-24 25-34

35-44

Castel Sant'E. Civita Castell Corchiano Fabrica di R. Faleria Gallese Nepi TOTALE

168 1850 299 462 118 255 656 3808

96 753 152 258 118 185 243 1805

193 1742 316 425 129 217 560 3636

144 1158 194 297 106 186 450 2535

109 1116 199 306 89 189 344 2352

98 1015 156 224 81 157 306 2037

inf.14 164 776 292 464 135 321 537 2599

15-24 153 1191 213 410 82 204 469 2722

Femmine 25-34 35-44 165 123 1145 1106 232 224 420 378 113 98 198 184 566 411 2839 2524

1991 Castel Sant'E. Civita Castell Corchiano Fabrica di R. Faleria Gallese Nepi TOTALE

inf. 14 169 1351 292 508 98 210 560 3188

160 1229 202 281 96 222 462 2652

119 1120 199 322 97 216 404 2477

15-24 120 1254 205 387 78 188 521 2753

106 983 169 252 65 162 306 2043

214 1787 309 485 225 495 502 4017

Maschi 25-34 35-44 195 136 1212 1089 247 217 399 394 137 85 204 203 545 471 2939 2595

45-64 229 1766 356 548 156 347 732 4134

sup-65 126 920 191 328 132 208 347 2252

4564 208 1846 294 499 197 228 761 4033

45-64 223 1888 357 580 165 363 759 4335

sup65 123 1007 184 273 143 220 341 2291

sup-65 142 1274 241 415 149 267 428 2916

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, censimento 1991 L'analisi della struttura per sesso e classe di età della popolazione fa riferimento alle modificazioni intervenute nel decennio '81-'91. Nel periodo considerato le femmine in totale crescono in percentuale del +6,2. Per i maschi si registra un incremento leggermente superiore e pari al +6,3%. Entrando nel dettaglio delle singole classi di età (Tab. 2), si riscontra una evidente conferma delle tendenze nazionali circa l'invecchiamento della popolazione, in special modo femminile, così pure una sensibile riduzione della fascia giovanile al di sotto dei 14 anni di età come conseguenza della diminuzione delle nascite. I giovani con meno di 14 anni, infatti, dall’'81 al '91, nel caso dei maschi decrescono percentualmente del -19,4; le femmine decrescono per una percentuale del -18,0. Incrementi lievi sono registrabili nelle classi 15-24 (con un +3,8% per i maschi ed un +7,3% per le femmine) e 45-64 dove i maschi crescono del +2,9% e le femmine, in misura superiore, del +7,5%. La popolazione che rientra nelle classi di età centrali prese in considerazione e cioè quelle 25-34 e 35-44 mostra trend crescenti in entrambi i casi, sia per gli uomini che per le donne. Ogni comune, come già accennato, presenta, anche in questo caso, andamenti suoi propri; va comunque tenuto conto del fatto che, eccetto nel caso di Civita Castellana, in ognuno di loro la densità della popolazione è inferiore o al massimo vicina alle 5.000 unità, pertanto variazioni di poche unità delle persone influenzano in modo sensibile l'entità delle dinamiche demografiche. Circa l'invecchiamento della popolazione del C omprensorio è possibile, calcolando i rispettivi indici per età, fare ulteriori importanti considerazioni.

In generale si individua un aumento dell'indice di invecchiamento sia nel comprensorio nel suo complesso che nei singoli Comuni, eccetto nel caso di Fabrica, il tutto come ulteriore conferma di quanto già detto nell'analisi della popolazione residente per classe di età. Al contempo si può verificare che gli incrementi dell'indice sono evidenti dal '71 all’'81 e significativi dal 1981 al 1991 dato che potrebbe essere indicativo di un generale miglioramento da un lato della qualità della vita (fenomeno che ha una matrice ed una diffusione di tipo più globale) e dall'altro di intervenute migliori condizioni in termini di vivibilità dell'ambiente di lavoro. Nonostante ciò la popolazione in età senile nel complesso e nei singoli Comuni rimane quella di minore numerosità rispetto alle altre. In particolare ciò è vero nel caso dei maschi rispetto alle femmine. Civita Castellana, in tal senso appare un caso emblematico: lo scarto tra maschi >65 e femmine >65 è piuttosto elevato di 254 nel 1981 e 354 unità nel 1991. Probabilmente i dati citati sono il risultato dell'elevata nocività dell'ambiente di lavoro dell'industria ceramica sulla salute umana, specialmente in passato. Il risultato del continuo contatto con "agenti" nocivi ha indotto nei lavoratori in particolare una grave malattia professionale, quale la silicosi, i cui effetti troviamo oggi tradotti in statistiche non troppo confortanti. La popolazione per "titolo di studio" nel periodo di riferimento mostra una sensibile crescita del livello di scolarizzazione rispetto ai gradi più elevati. In generale i maschi sono sia maggiormente scolarizzati, sia in possesso di titoli di studio più elevati rispetto alle femmine; il 2,3% dei maschi è in possesso di una laurea nel 1991 contro l'1,2% delle femmine nonostante per queste ultime si riscontri un incremento dall’'81 al '91 dello 0,6%. Rispetto al "diploma" di scuola media superiore si rilevano percentuali molto simili sia per i maschi che per le femmine. Infatti il 15,0 % dei maschi ed il 14,6% delle femminesono in possesso di questo titolo. Nonostante la crescita delle scolarizzazione nel comprensorio, al 1991, l'82,7% dei maschi e l'84,2% delle femmine non vanno oltre la terza media con una forte incidenza delle persone senza alcun titolo di studio (13,1% per i maschi, 21,0% per le femmine).

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Popolazione residente attiva e non attiva per sesso e per comune. Censimento 1991. MASCHI

Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi Totale

occupati 449 3603 672 1159 282 625 1556 8346

Popolazione attiva disoccup. in cerca p. o. 51 39 252 302 80 66 116 93 38 30 69 40 120 135 726 705

tot 539 4157 818 1368 350 734 1811 9777

studenti 65 584 86 162 35 81 237 1250

Popolazione non attiva ritirati lavoro 177 1366 294 405 169 223 471 3105

Totale altri 184 1485 310 629 132 322 657 3719

tot 426 3435 690 1196 336 626 1365 8074

965 7592 1508 2564 686 1360 3176 17851 segue 

FEMMINE

Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi Totale

occupati 175 1437 313 468 102 251 619 3365

Popolazione attiva disoccup. in cerca p.o. 28 47 119 378 27 75 99 104 26 31 43 76 91 173 433 884

Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat.

tot 250 1934 415 671 159 370 883 4682

casalinghe 345 3395 444 944 249 526 1160 7063

Popolazione non attiva studenti ritirati lavoro altri 78 123 174 591 624 1318 93 290 317 183 290 579 36 134 164 89 109 353 213 315 599 1283 1885 3504

Totale tot 720 5928 1144 1996 583 1077 2287 13735

970 7862 1559 2667 742 1447 3170 18417

Popolazione residente attiva e non attiva per sesso e per comune. Censimento 1981 Popolazione attiva

MASCHI

Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi Totale

occupati 387 3702 622 928 280 681 1293 7893

disoccup. 19 135 26 15 9 21 48 273

occupati 124 1178 172 341 114 216 435 2580

Popolazione attiva disoccup. in cerca p.o. 4 53 74 252 11 71 15 84 4 43 10 53 36 135 154 691

FEMMINE Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi Totale

in cerca p.o. 57 280 69 99 37 32 122 696

Popolazione non attiva tot 463 4117 717 1042 326 734 1463 8862

Totale Generale

400 3605 613 992 379 660 1233 7882

863 7722 1330 2034 705 1394 2696 16802

Popolazione non attiva totale 181 1504 254 440 161 279 606 3425

694 6380 1095 1610 598 1113 2033 13523

Totale Generale 875 7884 1349 2050 759 1392 2639 16884

Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat.

19

21

Tab. 3. Popolazione per condizione lavorativa. Anni 1981-1991 (%) MASCHI occup. disocc. 1981 1991

46,0 46,7

1,6 4,0

in cerca 1^ occ. 4,2 4,0

non attivi 47,0 45,3

TOT

FEMMINE occup. disocc.

100,0 100,0

15,3 18,3

0,9 2,3

in cerca 1^ occ 4,1 4,8

non attivi 79,7 74,6

TOT 100,0 100,0

Fonte: nostre elaborazione su dati Istat. Entrando nel merito delle dinamiche occupazionali (del periodo '81/'91) si possono individuare andamenti interessanti sia per la popolazione maschile che femminile. Relativamente agli uomini, in termini percentuali, si assiste ad un decremento dei "non attivi" dell'1,7% che passano dal 47,0 % al 45,3%. Un lieve miglioramento interessa gli "occupati" che nel decennio considerato passano dal 46,0 % al 46,7% della popolazione complessiva. In valore assoluto la categoria dei "disoccupati" cresce di 553 unità che corrispondono ad un incremento rispetto al 1981 202% ed il cui peso sulla popolazione al 1981 e 1991 rispettivamente dell'1,8% e del 4,0%. Una flessione lieve interessa le "persone in cerca di prima occupazione " che passano dal 4,2% dell'81 al 4,0% del '91. In aggiunta all'andamento crescente delle forze di lavoro in complesso si rileva un decremento della popolazione "non attiva". Tale fenomeno, che viene confermato dall'incremento del tasso di disoccupazione, può essere interpretato con la maggiore propensione delle donne ad entrare nel mercato del lavoro.

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Tab. 4. Indicatori relativi a popolazione e lavoro per comune (Censimento 1981) Tasso di attività M 53,6 53,3 53,9 51,2 46,2 52,6 54,2

Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi

F 20,7 19,1 18,8 21,4 21,2 20 22,9

Tasso di disoccupazione MF 37 36 36,2 36,3 33,2 36,3 38,8

M 16,4 10,1 13,2 10,9 14,1 7,2 11,6

F 31,5 21,7 32,3 22,5 29,2 22,6 28,2

MF 20,6 13,2 18,2 14,4 19,1 11,4 16,7

Indicatori relativi a popolazione e lavoro per comune (Censimento 1991) Tasso di attività

Castel S. Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Faleria Gallese Nepi

Fonte: Istat.

M 55,9 54,8 54,2 53,4 51 54 57

F 25,8 24,6 26,6 25,2 21,4 25,6 27,9

Tasso di disoccupazione MF 40,8 39,4 40,2 39 35,6 39,3 42,5

M 16,7 13,3 17,8 15,3 19,4 14,9 14,1

F 30 25,7 24,6 30,3 35,8 32,2 29,9

MF 20,9 17,3 20,1 20,2 24,6 20,7 19,3

Tasso di disocc. giovanile M 35,6 27,4 36,1 36,1 41,8 33,8 29,3

F 53,2 44 48,4 48,4 56,1 54,2 49,9

MF 42,7 34,2 41,4 41,4 47,2 43,2 38,1

In complesso dal 1981 al 1991 si riscontra l'aumento sia del tasso di attività che di quello di disoccupazione. In particolare a Civita Castellana si passa da un tasso di attività del 36% ad uno del 39,4%. Le donne presentano un incremento più significativo rispetto agli uomini infatti passano dal 19,1% del 1981 al 24,6% del 1991. Rispetto al tasso di disoccupazione i valori sono mediamente elevati nonché incrementati rispetto al 1981. All'interno del comprensorio le dinamiche per comune sono differenziate; si passa dal valore minimo di Civita Castellana (17,3%) al massimo di Faleria (24,6%). Il tasso di disoccupazione giovanile è elevato ma va considerato il peso di quei giovani che, pur essendo iscritti al collocamento come disoccupati, per motivi di studio o per lavori di tipo precario e irregolare, in realtà non effettuano una ricerca attiva del lavoro. I valori riscontrati vanno dal minimo registrato a Civita Castellana (34,2%) al massimo di Faleria (47,2%). Le donne rispetto agli uomini hanno tassi di disoccupazione nettamente più elevati.

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Capitolo III IL CICLO PRODUTTIVO

Il ciclo produttivo della ceramica, nelle sue fasi, ha da sempre giocato un ruolo fondamentale nella scansione dei tempi di vita, nella definizione dei ritmi, dei momenti di socialità e di aggregazione della comunità locale. Pertanto, per agevolare la conoscenza della realtà presa in esame, è sembrato opportuno proporre sin dai primi capitoli una descrizione analitica delle fasi del ciclo produttivo stesso. Questo anche per due ulteriori ordini di motivi: il primo volto all'individuazione degli elementi che costituiscono la professionalità specifica del ceramista (associata ad ogni singola fase produttiva) allo scopo di poter ricostruire il processo di formazione di questa risorsa chiave nell'ambito della economia locale; il secondo mirato alla conoscenza del livello tecnologico esistente nelle aziende dell'area per comprendere il ruolo delle scelte tecnologiche nell'ambito delle strategie degli imprenditori locali, le influenze del contesto socio-ambientale su tali scelte e la relazione tra professionalità e mutamenti tecnologici. Il presente capitolo è stato realizzato a partire dall'osservazione diretta, effettuata attraverso visite guidate all'interno di 13 fabbriche locali, da brevi interviste agli operai durante queste stesse visite e dalla consultazione di alcune pubblicazioni dell'Enea e della Regione Lazio sull'attività produttiva locale.

3.1 Il ciclo produttivo della ceramica e le industrie locali.

Premesso che la produzione di manufatti in ceramica consiste nel dare una certa forma ad un argilla o impasto argilloso e di fissare questa forma per mezzo della cottura, le materie prime utilizzate per queste produzioni sono: • argille e caolini, che conferiscono all'impasto plasticità, colore, capacità di ritiro e refrattarietà; • feldspati, calce, talco, che consentono la cottura a basse temperature; • silice, dolomite, chamotte, che consentono all'impasto di essiccare facilmente e ne dosano la plasticità. La presenza sul territorio delle materie prime, ha dato origine allo sviluppo della lavorazione della ceramica locale. Oggi, invece, le argille e i caolini usati a Civita Castellana provengono per lo più dall'Inghilterra, dalla Germania e dalla Cecoslovacchia. Analizzando in dettaglio il processo di produzione dei manufatti igienico-sanitari e quello delle stoviglie per uso domestico, si possono notare varie caratteristiche che li diversificano. In primo luogo l'impasto ceramico, pur essendo composto dalla stessa classe di elementi, presenta nelle due produzioni proprietà fisico-chimiche diverse, dovute al differente dosaggio delle materie prime.1 Ciò comporta una diversificazione dell'impasto ceramico per quanto riguarda la viscosistà, la temperatura, la plasticità ecc., inoltre esiste una diversa classificazione dell'impasto stesso all'interno dei due settori. I sanitari possono essere prodotti in vitreous china e in fire-clay. In vitreous-china sono fabbricati tutti i sanitari che debbono essere montati nel bagno; il basso assorbimento d'acqua del materiale dà una maggiore garanzia di igienicità anche in caso di accidentale scheggiatura dello smalto. Il fire-clay è utilizzato per produrre quegli articoli di grandi dimensioni: lavelli da cucina, piatti doccia che, se fatti in vitreous, sarebbero troppo soggetti a deformazioni durante la cottura. L'impasto per la produzione di stoviglie si distingue in Terraglie e Porcellane (tenere o dure). Per terraglia si intende un prodotto ceramico realizzato con un impasto poroso rivestito con vernice vetrosa. Si distingue il tipo tenero o calcareo che cuoce a 900-1000 gradi C. ed il tipo forte o feldspato che cuoce a 1100-1300 gradi C. La porcellana è un prodotto ceramico bianco a pasta compatta, dura, impermeabile e translucida. La porcellana dura è la porcellana propriamente detta, ha una temperatura di cottura che varia dai 1450° ai 1650°. La porcellana tenera deve il suo nome alla più facile fusibilità che va dai 1200° ai 1300°. Il ciclo produttivo dei due maggiori comparti produttivi dell'area è organizzato in maniera diversa, in relazione alle caratteristiche dei due tipi differenti di impasti utilizzati e quindi ai diversi tempi di essiccazione e di cottura . I due cicli produttivi verranno descritti separatamente. Si entrerà più in dettaglio su alcune fasi perché più rilevanti in relazione alle problematiche che si vogliono evidenziare nel corso della trattazione. Nella descrizione del ciclo di produzione saranno particolarmente esaminate le tecnologie adottate nel comprensorio di Civita Castellana, mentre quelle a tutt'oggi non utilizzate saranno brevemente accennate. 1

L'impasto ceramico "tipo per i sanitari è dato dalle percentuali: argilee30%, caolini 25%, quarzo 25%, feldspati 20%, mentre nelle stoviglie esso è costituito prevalentemente da: argille 55%, dolomite 34%, quarzo 6%, caolini 5%. 27

Il settore dei sanitari. Il processo produttivo nelle aziende di sanitari è stato fino agli anni '60 di carattere più propriamente artigianale. Nella fase iniziale di sviluppo del distretto la realizzazione dei manufatti era realizzata attraverso lo stampaggio dei pezzi a mano e la cottura avveniva in fornaci toscane a legna. I prodotti erano di scarsa qualità non solo per le caratteristiche artigianali della foggiatura, ma anche per il tipo di cottura che ovviamente non consentiva controlli in ordine al mantenimento di una temperatura costante e uniforme all'interno del forno. Negli anni '63/'64, vengono introdotte due fondamentali innovazioni nel ciclo produttivo. La prima riguarda la fase della foggiatura. Lo stampaggio a mano è sostituito dal colaggio. I pezzi non vengono più modellati a mano, ma la creta viene trasformata in un impasto liquido (barbottina) con l'aggiunta di acqua e quindi "colata" all'interno di stampi porosi in gesso. L'introduzione del colaggio consente la scomposizione della formatura in fasi: il colaggio vero e proprio, il primo essiccamento detto a "cuoio", la rifinitura. Tutte queste operazioni vengono effettuate dal colatore, che ha a disposizione un'isola di lavoro, costituita da pedane di legno dove sono appoggiati gli stampi e i pezzi già formati ed estratti dagli stampi da rifinire. Su questa pedana inoltre, vengono lasciati ad essiccare i pezzi appena estratti dallo stampo e gli stampi stessi vengono lasciati ad asciugare prima di essere utilizzati per un nuovo colaggio. Queste fasi del ciclo produttivo sono rimaste inalterate anche con le successive innovazioni tecnologiche dei banchi semiautomatici e, più di recente, di quelli automatici di colaggio. Il colaggio è il reparto più importante, è il cuore della produzione, il colatore è stata la figura professionale più importante nella storia del distretto ceramico. La seconda innovazione fondamentale riguarda la cottura. Le fornaci toscane vengono sostituite con i forni a tunnel, che sono forni a ciclo continuo alimentati a gasolio. Il forno a tunnel è diviso in tre sezioni principali: preriscaldamento, cottura e raffreddamento, i pezzi da cuocere sono sistemati su carrelli di refrattario, che costituiscono all'interno del tunnel un treno continuo. I pezzi attraversano il tunnel passando gradatamente da una temperatura più bassa a quella massima del centro e poi ad una fase di raffreddamento prima dell'uscita dal tunnel. Questo tipo di cottura consente un miglioramento notevole nella qualità del prodotto. Queste innovazioni hanno consentito il passaggio da una produzione artigianale ad una di carattere più propriamente industriale, sia dal punto di vista quantitativo che di uniformità della qualità del prodotto. Attualmente il ciclo produttivo dei sanitari nelle aziende di sanitari di Civita Castellana è organizzato sulla base di una sola fase di colaggio giornaliera. Tutte le fasi del ciclo produttivo sono svolte all'interno della fabbrica, in alcune esiste anche un'officina meccanica interna per le riparazioni. Non sono presenti all'interno del distretto divisioni del ciclo fra diverse fabbriche, alcune aziende acquistano gli impasti e gli stampi all'esterno, in relazione a questo si è sviluppato un indotto che però, come indicato precedentemente, è un fenomeno limitato che interessa poche fabbriche.

LE FASI DEL CICLO PRODUTTIVO DEI SANITARI. Fase 1: modellazione e produzione stampi. Fase 2: stoccaggio materiali e preparazioni impasti; Fase 3: preparazione smalti

Fase 4: Fase 5: Fase 6: Fase 7: Fase 8: Fase 9:

colaggio, essiccamento a verde o a cuoio, rifinitura; essiccamento; collaudo smaltatura cottura scelta prodotti finiti

Fase 1. Modellazione e produzione stampi. Tranne rari casi in cui gli stampi vengono acquistati all'esterno, ogni azienda che produce sanitari a Civita Castellana, è organizzata per la produzione delle forme in gesso. Un disegnatore esterno provvede alla progettazione dei modelli. Per la progettazione di una serie completa occorrono dai 5 ai 7 mesi. Si comincia col creare il disegno, che oltre a delineare le caratteristiche estetico-funzionali, deve indicare le controdeformazioni da dare al pezzo, per compensare le deformazioni che lo stesso subirà durante la cottura. Dai disegni si passa alla realizzazione dei modelli in gesso. I modelli devono essere dimensionati tenendo conto del ritiro che subiranno nel ciclo produttivo. Questa fase è completamente manuale è richiede una notevolissima esperienza e capacità tecnica. Dal modello in gesso viene ricavato un primo stampo originale, che serve per produrre il prototipo. Se il pezzo, dopo la cottura presenta difetti, si interviene sul modello, si forma un primo stampo e si fa un'ulteriore prova e così via fino ad ottenere il pezzo con le caratteristiche richieste. A questo punto dallo stampo originale, si crea la madreforma. Colando nella madreforma il gesso (miscelato con l'acqua) si ottengono gli stampi. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

modellista

preparazione modello in gesso preparazione primo stampo originale chiusura madreforma e preparazione stampo colatura di prova essiccamento stampo preparazione madreforme

colatore in gesso madreformista

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE III livello

III livello III livello

Fase 2. Stoccaggio materiali e preparazione impasti. Le materie prime sono stoccate in box aperti adiacenti alla fabbrica, a fianco vi è un locale più interno dove sono collocati macchinari di filtraggio peso e miscelazione degli impasti e degli smalti. La preparazione degli impasti avviene ogni giorno, ma il preparato deve sedimentare per 24 ore, quindi ogni giorno si utilizza l'impasto del giorno precedente. L'impasto incanalato attraverso delle pompe arriva al reparto colaggio. Alla miscelazione è addetto un operaio specializzato e non un chimico a cui spetterebbe formalmente tale compito. L'intervento del chimico avviene solo inizialmente, per stabilire la formulazione della ricetta in base alle caratteristiche delle materie prime, dopodiché viene riconvocato solo in caso di problemi tecnici. Tale figura professionale è in genere un consulente esterno che segue più aziende. Alcune aziende, ma sono una minoranza comprano gli impasti già pronti all'esterno. 29

ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio specializzato

caricamento turbidissolutore verifica densità barbottina trasporti pulizia

operaio generico

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello I livello

Fase 3. Preparazione smalti In questa fase gli operai preparano gli impasti e gli smalti utilizzati nella composizione del prodotto ceramico. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio generico

trasporto e scarico materie prime

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

operaio specializzato

miscelazione

I livello

Fase 4. Formatura per colaggio. Il colaggio che è il cuore dell'azienda, è ancora dipendente dall'abilità professionale dell'operaio. Per quanto questa abilità, come si vedrà nella sezione dedicata alla professionalità, è più legata a conoscenze sedimentate nel tempo e nella cultura "generale" locale, che non a specifiche competenze professionali. Il processo produttivo è così organizzato: ogni mattina il colatore rimonta gli stampi, vi introduce la barbottina, dopodiché, mentre negli stampi si realizza il processo di rassodamento dell'impasto, egli passa alla rifinitura dei pezzi colati il giorno prima. I pezzi dopo 24 ore di prima essiccazione, sono abbastanza "induriti" da poter sopportare operazioni di rifinitura. La formatura per colaggio può essere effettuata sia a mano che a macchina. In entrambi i casi è sempre lo stesso operaio, il colatore, che segue il manufatto dal colaggio alla rifinitura. L'operazione di formatura viene effettuata per colaggio, poiché, questo è l'unico sistema che permette di ottenere economicamente manufatti di forma così complessa. La formatura avviene colando la barbottina (impasto ceramico liquido) in stampi porosi di gesso che, assorbendo l'acqua, provocano la solidificazione dell'impasto. Si lascia trascorrere il tempo necessario per il rassodamento dell'impasto, così da poter manipolare il manufatto quindi, si apre lo stampo e si toglie il pezzo. Il meccanismo di formazione dello spessore è in stretta relazione con le caratteristiche della barbottina e dello stampo. Gli stampi con cui viene effettuato il colaggio, sono stampi in gesso. L'utilizzo del gesso risponde a un duplice scopo: offrire il giusto supporto meccanico per la foggiatura del pezzo e assorbire l'acqua contenuta nella barbottina dando luogo al processo di rassodamento dell'impasto ceramico. Il tempo di foggiatura può variare dai 60 minuti alle tre ore a seconda degli spessori dei manufatti da foggiare. Trascorso tale tempo, il pezzo ha assunto una consistenza tale da poter essere estratto dallo stampo. Dopodiché viene lasciato per 24 ore ad essiccare. Lo stampo in gesso dopo l'estrazione non può essere nuovamente utilizzato per una nuova colatura se prima non viene asciugato dell'acqua sottratta alla barbottina. Tale processo avviene, dopo ogni operazione di colaggio, lasciando gli stampi aperti sui banchi di lavoro fino al giorno successivo. I locali dopo l'uscita dei lavoratori vengono appositamente riscaldati Bisogna tener presente quando si parla di colaggio, che esso può avvenire a spessore libero, sul cavo, o a spessore obbligato sul pieno. La scelta di uno dei due metodi dipende dalla forma dei manufatti. Ad esempio colonne e cassette si colano a spessore obbligato: qui è la distanza tra stampo e

controstampo a definire lo spessore del pezzo. Bidet e water invece, avendo dei vuoti all'interno della struttura devono essere colati a spessore libero: la barbottina va qui a riempire completamente anche quelle parti che dovranno essere cave all'interno. Per ottenere che queste parti siano cave, passato un tempo sufficiente affinché la barbottina abbia formato il giusto spessore sulle pareti dello stampo in gesso, l'impasto in eccesso viene fatto defluire attraverso dei fori appositamente previsti nello stampo. Il colaggio é' una fase legata ad un gradiente di umidità e pertanto l'operaio deve essere in grado di capire se gli stampi sono sufficientemente asciutti o devono essere spolverizzati di talco. Ciò per poi rendere l'operazione di distacco del pezzo più facile, così come il tempo di ritiro della barbottina può essere suscettibile di piccole variazioni legate alla temperatura esterna. Da questa breve descrizione si evince la particolarità del processo produttivo dei sanitari, tale processo è ancora in uso in quasi tutte le fabbriche di Civita Castellana. Anche quelle più tecnologicamente avanzate conservano alcuni banchi di colaggio manuale a fianco di quelli semiautomatici e automatici (ma di questo parlerà più avanti). Una produzione a carattere industriale che conserva ancora quindi un posto centrale a figure professionali con grandi abilità manuali e in possesso della conoscenza completa del ciclo produttivo. L'introduzione dei banchi di colaggio semiautomatici e automatici, non ha modificato molto il ciclo produttivo, poiché gran parte delle operazioni sono svolte ancora manualmente. Le fasi da eseguire sono comunque quelle relative al colaggio manuale: cambiano le modalità di esecuzione che consentono di ottenere notevoli risparmi di spazio e di tempo. Quello che l'uso delle macchina ha senz'altro modificato, è la professionalità del colatore, che pur rimanendo una figura centrale nel processo produttivo è stata ridimensionata in funzione dei tempi e dei ritmi della macchina. I banchi di colaggio semiautomatici, i primi ad essere stati usati industrialmente, sono capaci di 40100 pezzi ciascuno, in dipendenza del tipo di articolo; sono dotati di impianti di colaggio automatici che permettono di colare contemporaneamente tutti gli stampi. Questo riduce i tempi morti di colaggio e garantisce un'uniformità dei tempi di lavorazione per tutti gli articoli. Un apposito circuito, facente parte del banco, consente, immettendo aria compressa negli stampi chiusi, di accelerare notevolmente i tempi di svuotamento delle forme e di rassodamento dei manufatti. I banchi semiautomatici pur eliminando quasi totalmente lo sforzo fisico dell'operatore, mantengono comunque un alto grado di manualità in tutte le altre operazioni: chiusura e apertura degli stampi, estrazione e manipolazione dei pezzi. La riduzione dei tempi di lavorazione è pari circa al 50% rispetto al colaggio manuale. I banchi di colaggio automatico eseguono automaticamente tutte le fasi di colaggio, consentendo di operare contemporaneamente su tutti gli stampi. L'operatore deve intervenire manualmente soltanto per la pulizia, la preparazione degli stampi e per il posizionamento dei supporti di sformatura. I banchi automatici sono quasi sempre dotati di sistemi di prelievo e movimentazione automatici dei pezzi sformati, così pure di nastri trasportatori o rulliere che permettono di trasferire i manufatti agli altri reparti di lavorazione. Il rapporto tra i pezzi colati manualmente e quelli a macchina è di 1:3, 1:2, secondo il livello di automazione raggiunto dall'azienda. Il ciclo produttivo così organizzato prevede tempi morti di essiccamento sia dei manufatti che degli stampi. Nelle fabbriche di sanitari di Civita Castellana il colaggio è effettuato in tutti e tre i modi sopra descritti. Permangono quindi nella stessa fase di lavorazione modalità diverse di realizzazione: sono contemporaneamente in uso sia il colaggio manuale che quello coi banchi meccanizzati,. sia semiautomatici che automatici. 31

La spiegazione che forniscono gli imprenditori è che oltre al fatto che il costo degli investimenti per l'acquisto dei macchinari è troppo elevato per fabbriche di così piccole dimensioni e livelli produttivi, il colaggio manuale rappresenterebbe ancora oggi, l'unica modalità produttiva in grado di consentire una produzione di qualità, intendendo per qualità non quella delle specifiche caratteristiche del prodotto, ma la qualità del design, cioè un prodotto migliore qualitativamente in quanto diverso dalla produzione standardizzata. Dopo il primo essiccamento a cuoio, viene effettuata la rifinitura. Il pezzo viene lavorato singolarmente dal colatore, su un tornio girevole, dove vengono corrette con spugne abrasive e utensili metallici, le imperfezioni prodottesi nel colaggio: bolle, screpolature, sbavature, cavità ecc.; si perfezionano i fori funzionali sia quelli di fissaggio che di scarico. È una fase quest’ultima estremamente dannosa per la salute del lavoratore poiché la spugna abrasiva utilizzata per togliere le imperfezioni, libera nell'aria molta polvere che contiene il silice, la sostanza chimica che causa la silicosi. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

colatore

colaggio rifinitura

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II o III livello

Fase 5. L'essiccamento. Per mezzo dell'essiccamento si elimina dal pezzo, per evaporazione, l'acqua non legata chimicamente. Come fluido riscaldante si impiega l'aria proveniente dal forno. La prima essiccazione a cuoio, avvenuta subito dopo l'estrazione del pezzo dallo stampo, ha già notevolmente ridotto la quantità d'acqua presente nei manufatti. La seconda essiccazione detta a "bianco", che avviene dopo la rifinitura, porta il valore di umidità residua a circa l'1%, in un periodo di tempo che va dai due ai tre giorni. La tendenza in atto a Civita Castellana è quella di utilizzare la catena aerea, che consiste nel porre i pezzi su delle bilancelle di una catena aerea di trasporto, che passa più volte sopra il forno. In tal modo il tempo di essiccazione è di tre giorni. In stabilimenti non appartenenti al comprensorio di Civita Castellana l'adozione di sistemi di colaggio su più turni e l'esigenza di accorciare i cicli produttivi ha reso necessaria l'utilizzazione di nuovi sistemi d'essiccamento. Sono in fase di sperimentazione alcuni processi a microonde e sottovuoto. Attualmente è possibile usare essiccatoi del tipo intermittente a camera, con durata di essiccazione di 18 ore circa; l'essiccazione a cuoio è effettuata con essiccatoi che accelerano l'evaporazione dell'acqua dal pezzo. Lo stesso trattamento viene fatto sugli stampi per poter colare più volte nelle 24 ore. Negli stabilimenti che hanno adottato il colaggio a pressione la fase dell'essiccamento a verde può essere del tutto assente, i pezzi sformati, grazie all'azione della pressione, hanno un contenuto più basso di acqua e soprattutto più uniformemente distribuita nello spessore del manufatto. Questo può consentire l'immediata rifinitura del pezzo. Fase 6. Il collaudo. L'operazione di collaudo si rende necessaria per evitare che pezzi che presentino lesioni o imperfezioni vengano smaltati e poi cotti. Il collaudo è una fase del tutto manuale che l'operatore svolge caricando il pezzo su un tornio girevole in una cabina a velo d'acqua ed è effettuato mediante controllo visivo.

L'operaio effettua una spugnatura con il petrolio dei pezzi nei punti in cui è più probabile che si formino delle imperfezioni. Dopo il collaudo, mediante pistole ad aria compressa si elimina la polvere che, se non rimossa, potrebbe impedire una smaltatura omogenea. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

collaudatore

collaudo dei pezzi

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II o III livello

Fase 7. La smaltatura. La smaltatura è una delle fasi che ha subito il più forte ammodernamento con l'intoduzione di robot. Il robot consiste in un braccio mobile che comandato da un sistema elettronico esegue movimenti precedentemente registrati da un operatore. L'uso dei robot è però condizionato dalla forma dei pezzi. Di questi alcuni, a causa della loro forma, rendono difficile la programmazione. Troviamo il robot in quasi tutte le fabbriche di Civita Castellana, ma allo stesso tempo la smaltatura meccanizzata è affiancata da quella manuale che viene effettuata dal singolo operatore tramite aerografi alimentati con aria compressa. Effettuata la smaltatura il pezzo viene lasciato ad asciugare 24 ore circa, per eliminare l'umidità dello smalto, dopodiché viene incanalato verso il forno. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

spruzzatore

regolazione aerografo smaltatura

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

Fase 8. La cottura. Il forno a tunnel è quello più utilizzato. È un forno che è diviso in tre sezioni principali: preriscaldamento, cottura e raffreddamento. I pezzi da cuocere sono sistemati su carrelli di refrattario, che costituiscono all'interno del tunnel un treno continuo. I pezzi sono sistemati su dei carrelli che vengono spinti manualmente all'interno del forno. Anche l'uscita è manuale. Il forno è alimentato a metano che raggiunge una temperatura intorno ai 1200°. Il forno resta sempre acceso giorno e notte e per tutto l'anno, tranne che per un breve periodo estivo. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

turnista

spolveramento pezzi carico e scarico del forno

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE III livello

Fase 9. La scelta dei prodotti finiti. La scelta è effettuata mediante controllo visivo da parte di un operaio che classifica i pezzi in prima seconda scelta e scarto. I pezzi con piccoli difetti vengono ritoccati e ricotti nuovamente. I pezzi danneggiati sono messi da parte. I pezzi infine vengono imballati. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio con esperienza

trasporto pezzi verifica qualità

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello 33

magazziniere

caricamento

II livello

IL CICLO PRODUTTIVO DEI SANITARI E LE NUOVE TECNOLOGIE. IL GESSO PER GLI STAMPI. La più importante fra le caratteristiche finali dello stampo in gesso è la sua porosità, da essa dipende in modo determinante la capacità di assorbire l'acqua della barbottina. Oggi sono disponibili gessi realizzati con sostanze additive che variando i valori della porosità e della resistenza meccanica, consentono il colaggio a media pressione (tre bar circa). È cosi possibile effettuare circa cinque o sei colate in otto ore, contro una col gesso normale. Esiste anche la possibilità di sostituire completamente il gesso con delle resine per ottenere stampi da colo per alta pressione, in questo caso si cola un pezzo in soli otto minuti. Si stanno anche sperimentando delle resine per bassa pressione che rispetto al gesso pur se additivato consentono di fare degli stampi a vita più lunga. Preparazione stampi. Si stanno sperimentando dei procedimenti di calcolo, con l'ausilio del computer, che consentano di prevedere il comportamento del pezzo sottoposto alle sollecitazioni meccaniche e termiche della cottura e di realizzarne un disegno che tenga conto delle tensioni e delle deformazioni del corpo ceramico. Questo sistema permetterà di diminuire il numero delle correzioni da apportare alla forma di un sanitario prima di trovare la giusta controdeformazione e, in combinazione con idoneo robot, di realizzare il modello in gesso con notevole precisione e con tempi estremamente ridotti. Colaggio in pressione. Tecnologia parzialmente sperimentata a livello industriale, è applicata solo in alcuni casi a Civita, e rappresenta l'unica novità tecnologicamente rilevante introdotta finora per quanto riguarda l'operazione di colaggio. Sono operanti due sistemi: uno a media pressione e l’altro alta pressione. Il sistema a media pressione prevede l'uso di stampi speciali in gesso ad alta resistenza meccanica. Per ora si è in grado di produrre a media pressione solo lavabi. Si tratta di un banco sul quale vengono fissati gli stampi, che sono chiusi con un sistema idraulico di bloccaggio e vi si immette la barbottina a tre bar di pressione. Lo stampo è fatto in modo tale che all'ingresso della barbottina da un lato corrisponde il formarsi del vuoto nell'altro lato. L'effetto combinato della pressione e del vuoto spinge l'acqua a migrare velocemente consentendo la formazione dello spessore e il rassodamento dell'impasto in tempi ridottissimi. In questo modo si possono effettuare sei colate in otto ore. Anche se i pezzi vengono poi estratti manualmente dallo stampo come nel ciclo tradizionale, questi sono meno umidi e quindi più maneggiabili. Gli stampi vengono asciugati dell'acqua assorbita tramite aria compressa. Si possono quindi effettuare colate su tre turni continuativamente e il locale colaggio non deve più essere riscaldato come nel ciclo tradizionale. Sono allo studio stampi in resina per la media pressione, che garantirebbero una maggior durata e un minor uso di aria compressa (quindi di energia elettrica) e potrebbero quindi definitivamente sostituire gli stampi in gesso. Col sistema ad alta pressione invece vengono a tutt'oggi prodotti solo i lavabi. La macchina è costituita da una pressa che chiude ermeticamente a 200 bar uno stampo in resina porosa, nella quale

viene immessa barbottina a circa 14-20 bar. La formazione dello spessore ed il rassodamento dell'impasto avviene in soli otto minuti circa. Questa tecnologia consente di lavorare su tre turni senza bisogno di essiccare lo stampo, ma ha un elevato consumo di aria compressa. La macchina lavora con un solo stampo alla volta e quindi è adatta ad una azienda di grandi dimensioni e con una procedura standardizzata. Essiccamento. In fabbriche di sanitari non operanti a CivitaCastellana, o che operano due o tre colate al giorno, sono usati piccoli essiccatoi che accelerano l'evaporazione dell'acqua sia dai pezzi che dagli stampi. Forno. L'innovazione più interessante nel campo dei forni è rappresentata dai forni a rulli per cottura rapida per sanitari. A livello tecnologico le aziende di sanitari del distretto presentano tra loro una notevole omogeneità. Il ruolo dell'abilità professionale è ancora centrale, l'operaio conosce l'intero ciclo produttivo, ha, in certe fasi, anche un ruolo discrezionale su decisioni relative al processo produttivo in relazione ai tempi di rassodamento del prodotto che sono variabili e non standardizzati da procedure formalizzate, i tempi di lavoro sono ancora quasi totalmente a sua discrezione, tant'è che il cottimo individuale è ancora la forma di retribuzione vigente. È un ciclo produttivo che risponde alla strategia delle aziende di Civita Castellana basata sulla competitività dei prezzi e sulla flessibilità produttiva. Uno dei vanti della Catalano, un'azienda considerata leader del distretto, per qualità di prodotto e per ricerca di innovazione tecnologica di ciclo, è il conservare il colaggio a mano solo per la produzione di alcuni pezzi particolari (water), perché questo consente, a dire del suo presidente, una produzione di qualità, intendendo per qualità la possibilità di realizzare le cosiddette serie di lusso, caratterizzate non da una qualità alta del prodotto, ma da un particolare design. Inoltre queste caratteristiche produttive hanno consentito la conquista di un mercato estero molto remunerativo come quello mediorientale. Un certo tipo di domanda estera (il pezzo con le forme e le dimensioni speciali, il gusto per le decorazioni forti), ha fatto sì che le potenzialità della produzione flessibile di Civita Castellana trovasse in suddetti mercati la propria rispondenza. Al di là di queste scelte strategiche di mercato, il ciclo produttivo dei sanitari nelle aziende locali presenta notevoli salti tecnologici, con la compresenza di fasi robotizzate come la smaltatura e di fasi ancora di livello artigianale, come la rifinitura. Questo ovviamente genera dei nodi nel ciclo che impediscono di fatto una vera e propria razionalizzazione del processo produttivo. Rispetto alle tecnologie del settore esistenti, attualmente, come si è visto, c'è la possibilità di utilizzare il colaggio ad alta e media pressione, cologgio che in alcune situazioni è parzialmente utilizzato anche nelle fabbriche locali, l'introduzione di questo tipo di colaggio realizzerebbe una rivoluzione nella produzione di sanitari, poiché consentirebbe più colaggi in un turno, con la conseguenza di un'una elevata produttività rispetto al numero degli addetti. Dalle interviste effettuate si può desumere che i tempi di una rivoluzione tecnologica delle fabbriche di sanitari di Civita Castellana non sono a breve termine nelle intenzioni degli imprenditori. Il settore delle stoviglierie. Le aziende locali producono stoviglie per uso domestico: piatti, insalatiere, piatti da portata, pirofile, tazze ecc. 35

Le fasi del ciclo produttivo vengono svolte tutte all'interno dell'azienda che a volte è fornita di un'officina meccanica che provvede alla manutenzione e riparazione dei macchinari. Lo stato della tecnologia per la produzione delle stoviglie in ceramica, consente un processo produttivo quasi completamente automatizzato; permangono tuttavia a Civita Castellana diversità nell'organizzazione del ciclo produttivo, determinate dal livello tecnologico esistente (che spesso non è molto all'avanguardia), all'interno dell'azienda e dalle scelte strategiche dell'impresa. Fondamentalmente ci sono due modi per produrre le stoviglie: la monocottura e un processo produttivo che prevede una prima cottura detta "biscotto" e quindi, dopo eventuali decorazioni, la seconda e definitiva cottura. Quasi tutte le aziende di Civita Castellana hanno organizzato il ciclo produttivo dei piatti con le due fasi di cottura, mentre la produzione delle tazze è organizzata con la monocottura. Questo processo produttivo si realizza attraverso la foggiatura a umido (l'impasto ceramico viene miscelato con l'acqua). Negli ultimi anni è stata introdotta la foggiatura a secco, un processo produttivo mutuato da quello delle piastrelle. Poiché solo alcune aziende utilizzano questo processo, verrà descritto separatamente. Per la descrizione del ciclo produttivo delle stoviglie verrà utilizzato il ciclo che prevede la foggiatura a umido e la bicottura che è la modalità produttiva maggiormente diffusa nel comprensorio.

LE FASI DEL CICLO PRODUTTIVO DELLE STOVIGLIERIE Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4 Fase 5 Fase 6 Fase 7 Fase 8 Fase 9 Fase 10 Fase 11 Fase 12 Fase 13 Fase 11 Fase 12 Fase 13

preparazione stampi stoccaggio materie prime e preparazione impasti filtropressatura impastamento preparazioni vernici preparazione dei colori e degli smalti foggiatura essiccazione e rifinitura stagionatura o seconda essiccazione cottura del biscotto scelta del biscotto decorazione verniciatura seconda cottura spuntinatura inscatolamento

Fase 1. Preparazione stampi. Nel settore delle stoviglierie la formatura si effettua per foggiatura di sezioni di filotti di barbottina su stampi di gesso, i quali richiedono, come per i sanitari, un'analoga fase di modellazione e preparazione. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

modellista

progettazione madreforme

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE III livello

formista

colaggio degli stampi

III livello

Fase 2. Stoccaggio materie prime e preparazione degli impasti. La formulazione dell’impasto chimico spetta a un chimico o ad un ingegnere che spesso è un consulente esterno. Stabilita la formulazione il consulente viene convocato solo in caso di problemi tecnici nella lavorazione. Della supervisione si occupa il capo reparto. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operai generici

scarico materie prime sistematizzazione delle polveri scarico materie prime in ballette pulizia mulino agitamento impasto movimentazione e pesatura

operai con esperienza

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

I livello

versamento materie prime nel mulino caricamento dell'acqua nel turbo dissolutore controllo dell'impasto trasferimento dell'impasto nel pozzo di deposito

Fase 3. Filtropressatura. La filtropressatura può essere semi-automatica o automatica. Nel primo caso le pastelle vengono distaccate manualmente e accatastate una sull'altra e dopo una stagionatura di 24 ore introdotte a mano nell'impastatrice. Nella filtropressatura automatica le pastelle cadono dai sacchi al nastro trasportatore che le convoglia direttamente all'impastatrice. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operai con esperienza

predisposizione e avvio della filtropressa arresto filtropressa distacco pastelle dalla filtropressa impilatura pastelle messa a disposizione carrello pastelle

operai generici

INQUADRAMENT O CONTRATTUALE I livello

I livello

Fase 4. Impastamento. Le pastelle vengono caricate a mano o a macchina nell'impastatrice Le macchine impastatrici provvedono alla degasificazione e alla omogeinaizzazione dell'impasto e tagliano la barbottina in filotti. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operai generici

caricamento impastatrice avvio impastamento riutilizzo scarti

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

37

taglio barbottina impilamento dei filotti messa a disposizone filotti per la foggiatura

Fase 5. Preparazioni vernici Il processo di preparazione della vernice, detta cristallina, dura circa 36 ore. La vernice viene preparata dagli addetti alla filtropressa. Le fasi di caricamento dei molini sono generalmente manuali. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operai con esperienza

riempimento molini di acqua versameneto fritta e materie prime avvio macinazione

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

Fase 6. Preparazione dei colori e degli smalti. La preparazione dei colori viene in genere effettuata da uno dei decoratori con più esperienza. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

decoratori

pesatura materie prime macinazione preparazione dello smalto

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

Fase 7. Foggiatura La formatura si effettua per foggiatura di sezioni di filotti su stampi di gesso mediante rotazione su un asse di simmetria e può essere di tre tipi: • Manuale: utilizzata per pezzi particolari (vassoi, insalatiere, ecc.); in essa i filotti di barbottina sono collocati sotto lo stampo e sistemati su un tornio girevole. Abbassando un braccio metallico con la controsagoma si ha la formatura del pezzo. È un tipo di formatura che non si usa più in fabbrica e rimasta in uso solo per le aziende a produzione artigianale. • Semiautomatica: si effettua con macchine ad alimentazione manuale, la macchina provvede a posizionare lo stampo, precedentemente posto dall'operatore al di sotto della testa rotante. • Automatica: l'operaio alimenta con i filotti la macchina, caricandoli su nastri trasportatori; il taglio delle pizze e la foggiatura sono completamente automatici. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte per le fabbriche di sanitari. Convivono all'interno dell'area produttiva di Civita Castellana diversi livelli tecnologici. Troviamo ad esempio una fabbrica che utilizza ancora la foggiatura manuale e fabbriche organizzate con modelli produttivi che incorporano tecnologie più avanzate. A differenza delle aziende dei sanitari, i salti tecnologici infra-aziendali sono meno forti. I tre tipi di foggiatura corrispondono a tre modelli di ciclo produttivo diverso. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio foggiatore

preparazione dei filotti in "pizze" scelta e posizionamento pizza sullo stampo avviamento macchina distacco stampo dal piatto operazioni di manutenzione

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello II livello

Fase 8. Essiccazione e rifinitura. L'essiccazione serve a ridurre l'umidità presente nell'impasto, dura circa mezz'ora, poi i piatti passano alla rifinitura. L'essicazione avviene in essicatoi a temperatura tra i 40° e i 90°. Non richiede manodopera. La rifinitura consiste nel togliere le sbavature eccedenti la forma del piatto. Può essere effettuata a mano o a macchina. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio generico

prelievo pezzi e collocamento su carrelli messa sui carrelli per la stagionatura

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

Fase 9. Stagionatura o seconda cottura. La stagionatura serve per togliere l'umidità. varia a seconda del ciclo produttivo e cioè di quanta umidità contiene ancora il piatto crudo, da 1 a 10 giorni. I pezzi di crudo rifiniti vengono collocati in degli scaffali. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio generico

trasporto carrelli carico scaffali

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello

Fase 10. Cottura del biscotto. Questa fase è detta biscottatura. La temperatura del forno va dai 950° ai 1060°. Il ciclo ha una durata media di 14 ore variabile a seconda delle capacità del forno. Lo scarico del biscotto all'uscita del forno è eseguito manualmente. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

turnisti

predisposizione carrelli da forno carico carrelli trasporto carrelli controllo cottura scarico biscotto

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE III livello

Fase 11. Scelta del biscotto. Gli operai selezionano 7.000-8.000 pezzi al giorno La spolveratura è necessaria per eliminare le particelle che comprometterebbero la decorazione. In alcune aziende in questa fase viene posto il marchio della fabbrica. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio generico

spolveratura selezione

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

39

1.

2.

3.

4.

Fase 12. La decorazione. La decorazione può essere effettuata in vari modi: a mano, con la serigrafia e con le decalcomanie. Decorazione a mano. La decoratrice, generalmente una donna, è seduta al tornio e decora i piatti a mano con pennelli di varie forme o con stampini. È un tipo di decorazione rimasta in uso solo per aziende a carattere artigianale. Decalcomania. Anche in questo caso gli addetti sono donne, che inumidiscono la decalcomania e poi provvedono a mano all'applicazione. L'applicazione di decalcomanie avviene sulle tazze; raramente si usano per i piatti, in quanto la forma di questi ultimi rende troppo difficile la loro applicazione in maniera uniforme. Serigrafia. Il piatto attraverso un nastro trasportatore arriva alla macchina. Un operaio preleva il piatto dal nastro, lo batte su un piano di legno, per verificare che il piatto non sia difettoso e lo deposita sotto la pressa, che applica la serigrafia. Tampografia. Si effettua con una sorta di palla gommata, che viene prima poggiata su un calco, raffigurante il motivo da applicare e intriso di colore, e poi poggiata sul piatto, dove stampa il disegno. In genere troviamo nelle aziende la competenza delle diverse modalità con cui si può realizzare la decorazione. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

decoratore

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

decorazione a mano decorazione con stampini operaio serigrafista assestamento macchina II livello azionamento macchina scaricamento piatti operaio addetto alla giostra spennelatura con collante II livello applicazione decalcomania

Fase 13. Vverniciatura. Per la verniciatura troviamo, come per i sanitari, l'utilizzazione di due modalità di esecuzione: una manuale e una che utilizza una macchina. L'applicazione delle vernici o cristalline si effettua per tuffatura o spruzzatura automatica. Con il metodo manuale l'operaio tramite una sorta di pinza solleva il piatto e lo immerge nel vascone che contiene lo smalto. La spruzzatura in maniera automatica avviene in cabine di aspirazione tramite aerografi. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

spruzzatore

immersione manuale spruzzatura

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

Fase 14. Incasellamento. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE

operaio incasellatore

collocazione piatti in contenitori spostamento delle caselle

II livello

Fase 15. Seconda cottura. Il piatto, dopo essere stato ricoperto dalla vernice viene nuovamente cotto ad una temperatura di 1200°. Le fasi di carico e scarico dei forni sono manuali. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

turnista

assestamento caselle scarico piatti eliminazione piatti rotti

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE III livello

Fase 16. Spuntinatura . In questa fase vengono eliminate le escrescenze taglienti formatesi sul fondo del piatto nei punti di appoggio dei supporti durante la seconda cottura. Tale fase può essere manuale o automatica. Nel primo caso l'operaio addetto utilizza un tornio girevole e contemporaneamente effettua una prima scelta dei piatti. Nel secondo caso si usa una macchina raschiatrice. ADDETTI

COMPITI DI LAVORO

operaio specializzato

azionamento tornio scarto piatti rotti spuntinatura

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE II livello

Fase 17. Scelta e inscatolamento. Dopo la scelta dei piatti, lavoro per lo più svolto dalle donne, tramite controllo visivo, si procede all'inscatolamento. ADDETTI operaio specializzato operaio generico magazziniere

COMPITI DI LAVORO scelta inscatolamento confezionamento caricamento

INQUADRAMENTO CONTRATTUALE I livello I livello II livello

CICLO PRODUTTIVO AUTOMATIZZATO CON LA FOGGIATURA A SECCO In alcune aziende viene utilizzata la foggiatura delle stoviglie a secco, per l'innovazione tecnologica che tale ciclo comporta è stato ritenuto opportuno riportarla. La foggiatura a secco può essere realizzata mediante due diversi modi di miscelazione degli impasti: 1. L'impasto umido, cioè la barbottina liquida, viene immessa in un grosso silos, detto atomizzatore, dove avviene la separazione tra l'acqua che in forma di vapore acqueo va verso l'alto e la polvere che 41

2.

• •



ridotta in forma di particelle sferiche precipita verso il basso. Da qui le palline vengono fatte cadere nel luogo dove verranno pressate. L'impasto di terre è stoccato in grossi silos. L'impasto secco è composto da palline che attraverso un elevatore a tazze saranno trasportate sopra le presse. La formatura avviene attraverso presse statiche (gomma) o isostatiche (a velo d'olio) che pressano la polvere eliminando l'aria che contengono e stampano il piatto. Automaticamente la macchina viene ricaricata di materia prima e automaticamente allinea i piatti su un nastro che li trasporta alla rifinitura. Per la rifinitura, ci sono tre stazioni attraverso cui, sempre automaticamente, passa il piatto. La prima toglie eventuali sbavature, la seconda passa una spugna verticalmente, la terza orizzontalmente. I piatti poi vengono automaticamente trasportati all'essiccatoio, dove viene tolta l'umidità residua (la terra quando è pressata trattiene ancora un'umidità del 3-5%). Il piatto viene poi trasportato alla smaltatura automatica che avviene in due fasi: una prima copertura e poi quella definitiva. Dopo la smaltatura i piatti vengono posti su dei carrelli dove rimangono per 24 ore ad asciugarsi (se sono troppo umidi nel forno scoppiano). Poi vanno alla cottura. La foggiatura a secco attualmente è utilizzata solo per la produzione di manufatti piani, che non abbiano una grande profondità, quali ad esempio, tazze e insalatiere. Le aziende di stoviglierie rispetto a quelle dei sanitari, presentano una maggiore continuità di livello tecnologico all'interno delle fasi del ciclo produttivo, ma diversi livelli tra le aziende, che in linea generale sono tre e individuano tre tipi di azienda: aziende artigianali/industriali; in esse si utilizzano tecniche artigianali, come la foggiatura al tornio o l'uso di presse manuali per la foggiatura di pezzi particolari, la decorazione a mano ma la produzione è comunque di carattere industriale; aziende intermedie: dove c'è l'uso di molte macchine, ma l'intervento umano è ancora determinante nel processo produttivo; in esse si utilizzano presse automatiche, le decorazioni sono effettuate a macchina, ma molte fasi sono ancora svolte manualmente, come ad esempio la rifinitura e la verniciatura; aziende automatizzate: dove il ciclo produttivo è quasi del tutto automatizzato, anche per quanto riguarda operazioni più complesse quali la rifinitura. Gli addetti necessari alla produzione vera e propria sono pochi e per lo più espletano funzioni di controllo del funzionamento delle macchine. Tranne che per le aziende del primo tipo, che utilizzano quel ciclo per opportune scelte di mercato, le altre aziende del comprensorio non presentano un ritardo tecnologico rispetto al settore, così visibile come nelle aziende che producono sanitari.

3.2 La tecnologia

Il determinismo tecnologico e i distretti. Il cambiamento tecnico, in genere, è considerato un elemento fondamentale dello sviluppo economico, inteso, per lo più, come processo generalizzato e irreversibile che conduce ad una sempre maggiore efficienza produttiva. In questa ottica si fa per lo più riferimento alla grande impresa come al modello più efficiente. E’ questa "l'eredità schumpeteriana": Schumpeter riconosce alla grande impresa il ruolo principale nel determinare l'attività inventiva, poiché essa impegna ingenti risorse finanziarie in attività di ricerca e sviluppo. Ma la scoperta di radicali "discontinuità nelle società industriali" (Berger e Piore 1978) ha messo in crisi l'idea stessa di modernizzazione come processo generalizzato ed irreversibile. L'analisi dei sistemi locali di sviluppo ha messo in luce che segmenti regolati dalla tradizione, da vincoli familistici o comunitari (e comunque estranei alla razionalità anonima del mercato) sono presenti all'interno delle più moderne attività produttive ed anzi sono essenziali per il loro funzionamento (Bianco 1988). La società attuale è una società eterogenea, segmentata e discontinua, al suo interno convivono strettamente intrecciati, e senza alcun rapporto necessariamente simmetrico, comportamenti, strutture sociali, valori e modi di produzione che secondo le teorie classiche avrebbero dovuto appartenere a stadi successivi di sviluppo. Pertanto, nella stessa formazione sociale, convivono anche modi diversi di produzione, senza che tra i diversi modi vi sia necessariamente una naturale successione da un livello inferiore ad un livello superiore. In questa prospettiva è entrato in crisi il principio del determinismo tecnologico, non sono più le innovazioni tecnologiche e produttive a determinare l'organizzazione del lavoro e la società. "La tecnologia non è la causa dei mutamenti sociali; essa si limita a offrire strumenti e potenzialità. Quale uso fare di questi strumenti è una scelta di ordine sociale" (Bell 1986). Sul piano dell'analisi organizzativa queste premesse indicano che per cogliere i mutamenti nei sistemi produttivi bisogna guardare all'intero sistema sociale dell'impresa ed al più ampio contesto economico, sociale e culturale in cui l'impresa opera. Valori, culture, vincoli ambientali, processi negoziali, obiettivi sociali ed economici orientano e sono determinanti nei processi di innovazione. Certo, non si può negare che la tecnologia influisca direttamente sui contenuti specifici del lavoro, soprattutto nella relazione uomo-macchina, ma anche in questo caso, bisogna tenere in considerazione le variabili sociali e culturali che stanno alla base degli indirizzi di progettazione e che orientano inconsapevolmente chi progetta le nuove tecnologie. Innovazione e invenzione. Quando si parla di cambiamento tecnico ci si riferisce all’invenzione, intesa come cambiamento radicale di una tecnica preesistente, il salto discontinuo da un sistema ad un altro, o al cambiamento inteso come processo che si realizza per gradi successivi nel continuo adattamento dei mezzi agli obiettivi? La distinzione tra innovazione e invenzione è un altro paradigma entrato in crisi, essa deriva dallo schema schumpeteriano che distingue tra invenzione, innovazione e diffusione di innovazioni, in cui 43

l'invenzione o ha luogo all'esterno della sfera economica o è comunque un'attività separata dalla attività produttiva. Nell'analisi di Usher si evidenzia invece, come non sia possibile distinguere analiticamente tra innovazione e invenzione: si tratta di attività strettamente connesse e che spesso sono interne all'attività produttiva. Inoltre, egli considera fuorviante l'immagine schumpeteriana dell'imprenditore innovatore, poiché in questo modo si perderebbe di vista il ruolo di coloro, ad esempio i tecnici, che sviluppano intuizioni e sono provvisti di abilità di vario tipo che, nel processo di cambiamento tecnico, risultano decisive non meno di quelle dell'imprenditore innovatore. Per il miglioramento di un dato processo o prodotto è necessaria una "conoscenza tacita", che non è facilmente incorporata in un manuale tecnico, che si costruisce all'interno del processo produttivo, nell'interazione tra l'attività di R & S e le altre attività lavorative. Si è quindi affermata una visione del processo di cambiamento tecnico che dà importanza anche al processo cumulativo di piccoli miglioramenti e alla ricerca informale e che non si realizza esclusivamente all'interno delle grandi imprese. L'attività innovativa è quindi connessa alla attività di produzione. Le sofisticate tecnologie realizzate all'interno di alcuni distretti ne sono la conferma. Rilevante all'interno di queste situazioni è anche il ruolo delle "convergenze tecnologiche" e cioè le conseguenze "a cascata" che si realizzano tra le innovazione prodotte in un settore produttivo e quelle prodotte in altri. Frequente, infatti, è nei distretti, il processo innovativo realizzato attraverso il riadattamento di tecnologie utilizzate in altri settori. È quindi difficile distinguere, anche solo sul piano analitico, tra invenzione, innovazione e diffusione. Questa considerazione è evidentemente rilevante ai fini dell'analisi del cambiamento tecnico nelle economie locali, dove assistiamo in molti casi a fenomeni di grande innovazione tecnologica, realizzati da un tessuto produttivo di piccole imprese, carenti certamente di risorse economiche e organizzative da impegnare nella Ricerca & Sviluppo come avviene nelle grandi imprese. Il rapporto circolare che si innesca tra invenzione-innovazione-applicazione-diffusioneinvenzione tra le imprese del distretto è stata la risposta alle sue necessità di innovazione. L'esistenza allo stesso tempo, di un diverso livello tecnologico tra il sistema produttivo di una grande impresa e di una piccola impresa in uno stesso settore produttivo e non solo, tra un sistema produttivo e l'altro, e, tra le imprese di uno stesso sistema locale ci deve far riflettere in relazione a quale variabile vogliamo analizzare l'innovazione. Esiste infatti, una dimensione analitica del cambiamento tecnico che è di natura economica, relativa cioè alle scelte di strategia aziendale, dove la tecnologia è una delle variabili che formano il mix di risorse che l'imprenditore vuole e può utilizzare. Esiste una dimensione più squisitamente tecnica, dipendente dall'uso delle tecnologie più o meno moderne esistenti in un determinato ambito produttivo. Esiste, inoltre, un approccio alla tecnologia di cui si parla meno che è quello orientato e influenzato non da fattori di efficienza produttiva e tecnica, ma in dipendenza di quella che Butera (1992) chiama "ecologia delle condizioni di lavoro" e cioè l'uso della tecnologia per migliorare le condizioni di vita dell'uomo e all'ambiente. In conclusione il cambiamento tecnico "entra da molte porte" e le caratteristiche del cambiamento mutano nel tempo non solo perché mutano le conoscenze tecniche, ma anche perché mutano le condizioni in cui operano le imprese e il tipo di relazioni interne ed esterne al sistema di imprese, l'assetto sociale ed istituzionale, le caratteristiche della forza lavoro, il regime di relazioni industriali. Si procede, quindi, ad analizzare il livello tecnologico esistente nel comprensorio alla luce dei tre aspetti prima identificati: quello tecnico, quello economico e quello "ecologico".

Il distretto e la tecnologia . Quando si è sviluppato il distretto industriale di Civita Castellana, il comparto ceramico era un settore merceologico labour-intensive caratterizzato da una bassa soglia di entrata e dall'uso di tecnologie poco avanzate. Alle fasi di sviluppo e di espansione del distretto non è corrisposta una evoluzione del livello tecnologico. Come è stato illustrato precedentemente, nell'analisi del ciclo produttivo, molte sono le innovazioni, sia nel settore dei sanitari che in quello delle stoviglierie che non vengono applicate nel distretto. Oggi le imprese del distretto si presentano caratterizzate da due livelli diversi di innovazione tra sanitari e stoviglierie. Nelle aziende di sanitari vi sono ancora molte fasi del ciclo dipendenti dal lavoro manuale e nel contempo sono in uso delle macchine per le quali è fondamentale e indispensabile l'intervento umano. Le aziende di stoviglierie presentano una maggiore applicazione di macchine al ciclo produttivo, vi sono macchine automatiche, il cui controllo è comunque svolto da operai, pur essendo ancora presenti alcune fasi produttive manuali. Fanno eccezione un paio di aziende di stoviglie, molto moderne, in cui è stato introdotto il ciclo continuo. In nessun caso comunque si usano macchine a controllo numerico, dove cioè la funzione del controllo è inglobata nella macchina ed è eseguita da un computer. Non si utilizzano in nessuna azienda locale tecniche di cad/cam. Ma quali sono i canali e i modi in cui arriva la tecnologia nel distretto? Le aziende del distretto non si sono mai caratterizzate per una particolare tendenza verso l'innovazione, le tecnologie introdotte sono state quelle a imitazione delle grandi aziende leader nel settore. Vediamo allora quali sono state le scelte strategiche, delle aziende del distretto, in relazione alla tecnologia e quali fattori sono alla base di tali scelte. Innanzi tutto attraverso quali canali e in quale modo sono stati realizzati gli investimenti in tecnologia più recenti. Ci sono alcune aziende nel distretto che si connotano per l'utilizzo di un più elevato livello tecnologico. In un'azienda di sanitari, l'unica del comprensorio, abbiamo visto l'utilizzo degli stampi in resina, per il colaggio ad alta pressione, una delle tecnologie più all'avanguardia per la produzione di sanitari. L'introduzione di una tecnologia così sofisticata è stata realizzata attraverso una collaborazione con la ditta produttrice dei macchinari per il colaggio ad alta pressione, che tra l'altro, sta ora, sperimentando, sempre all'interno della fabbrica, la possibilità del colaggio ad alta pressione per la produzione di water. Interessante è il fatto che in questa fabbrica l'innovazione tecnologica si è inserita all'interno di un ciclo produttivo che prevede ancora il colaggio manuale per la produzione dei water. Il colaggio a media e alta pressione è conosciuto nel distretto non solo all'interno della fabbrica prima descritta ma, come risulta dalle interviste effettutate, anche dagli altri imprenditori locali. Anche se il colaggio a media e alta pressione è ritenuto dagli operatori locali una delle possibilità di innovazione tecnologica del ciclo produttivo, i nuovi stabilimenti preferiscono impiantare i banchi di colaggio automatico tradizionali. In un altro caso è stato realizzato un impianto moderno in un’azienda di stoviglierie relativamente recente (1992). Qui vi sono pochi operai addetti alla produzione che hanno, per lo più, solo il compito di controllare il funzionamento delle macchine. L'impianto è nato da una collaborazione, tra l'impresa che si è assunta l'onere di acquistare le macchine, l'impresa produttrice dei macchinari e l'Enea. L'ente, oltre a qualificare l'impianto, ha permesso l'accesso ai fondi che la Comunità europea destina all'innovazione tecnologica. Anche in altri casi, collaborazioni con l'Enea o con le ditte costruttrici dei macchinari hanno consentito l'ammodernamento delle tecnologie utilizzate nel distretto. Tali innovazioni però non si 45

diffondono nel distretto, rimangono limitate alle fabbriche che le impiantano. Queste evidentemente traggono dei vantaggi economici da siffatte collaborazioni anche in termini di assistenza di impianto della nuova tecnologia. La tecnologia e le strategie imprenditoriali locale. Vediamo ora su quali basi sono state effettuate le scelte tecnologiche operate dagli imprenditori locali e quali sono i fattori all'origine delle strategie aziendali in termini di innovazione. Le origini sociali degli imprenditori e il fenomeno delle aziende di soci-operai sono tra i fattori della scarsa propensione agli investimenti delle imprese del distretto. Le compagini di soci-operai nascevano con lo scopo da parte dei soci di un guadagno immediato. Gli utili d'azienda costituivano lo "stipendio" dei soci e perciò venivano immediatamente ridistribuiti. In tal modo venivano sottratti però a nuovi investimenti. Queste compagini sono esistite in gran numero nel distretto fino agli anni '80 e i soci hanno quindi condizionato le scelte anche di chi, in una fase successiva, più lungimirante, voleva reinvestire gli utili in azienda. Per l'innovazione tecnologica: "... il nostro orientamento è quello di andare avanti piano piano, come del resto accade per molte piccole aziende di Civita. Anche in funzione dei soci che non operano più in azienda che si aspettano a fine anno un utile e non l'obbligo di fare investimenti e quindi sostenere spese" (dirigente di un'azienda di sanitari). Questo da un lato, dall'altro le origini sociali dell'imprenditoria locale in generale. Essi sono tutti imprenditori di prima generazione formatisi nel contesto locale. Non tutti hanno all'origine una professionalità operaia, né hanno una propensione a pensare in "grande". Essi stessi Infatti spiegano il ritardo tecnologico delle imprese del distretto con il costo elevato degli investimenti in tecnologia rispetto alle dimensioni e al volume della produzione delle imprese locali. Inoltre spiegano che il sistema di retribuzione basato sul cottimo ha garantito fino a qualche anno fa una competitività tale da rendere più economico l'uso di manodopera rispetto all'investimento in macchinari. Il cottimo, regolato contrattualmente, prevedeva che, oltre un numero standard di pezzi prodotti che costituiva la "giornata", quelli successivi venissero pagati secondo un cottimo a scalare rispetti ai primi prodotti, ciò con un grosso vantaggio per le aziende. Le scelte tecnologiche delle aziende del comprensorio sono avvenute anche in relazione alle strategie di mercato da esse attuate. La produzione delle aziende del distretto si è orientata verso fasce di mercato medio-basse, basando la propria competitività più sul prezzo che non sulla qualità del prodotto. Questo diversamente dalle grandi aziende nazionali che, per conquistare fasce di mercato diverse da quelle di Civita Castellana, hanno affidato la loro competitività ad un'innovazione di prodotto con una maggiore attenzione alla qualità e all'immagine. Nell'ambito della produzione dei sanitari Civita Castellana si è ricavata delle nicchie particolari di mercato come il Medio Oriente. Il mantenimento di forme meno automatizzate di produzione ha consentito alle imprese, tramite l'offerta di una produzione flessibile, di rispondere appropriatamente alla domanda di quei mercati. Le aziende di stoviglierie si sono trovate maggiormente esposte alla competizione con le grandi imprese del settore più avanzate tecnologicamente. Tecnologia e ecologia del lavoro. Nelle fabbriche di ceramica vi sono diversi problemi legati alla salute dell'ambiente di lavoro, il più grave è la silicosi, una malattia polmonare che deriva dall'inspirazione di polvere di silice che è contenuta negli impasti ceramici e che è presente nell'aria che si respira all'interno delle fabbriche. Nel settore dei sanitari questo problema è molto più grave, poiché, come abbiamo visto gran parte del ciclo produttivo è ancora manuale. In particolare una delle fasi più a rischio è la rifinitura.

A Sassuolo, il distretto industriale produttore di piastrelle in ceramica, il cui ciclo produttivo è simile a quello delle stoviglierie, si è presentato lo stesso problema. Ma diversamente che a Civita Castellana le lotte operaie degli anni '70 caratterizzate da una grande attenzione alla salute in fabbrica, trovano un obiettiva rispondenza nelle istituzioni locali. Viene avviata una politica di risanamento ambientale che produrrà notevoli miglioramenti dell'ambiente di lavoro riducendo sensibilmente il rischio silicosi. A Sassuolo le percentuali di lavoratori affetti da silicosi passano dal 3% del 1980 allo 0,54% del 19832. La bonifica ambientale è realizzata con la introduzione di aspirazioni localizzate, con manutenzioni ordinarie, con un igiene individuale corretta e con un monitoraggio biologico di chi è più esposto, per cui ai primi problemi l'addetto viene spostato a un’altra mansione. La granulazione a secco che creava un enorme quantità di polvere è stata sostituita con quella a umido. La necessità di recuperare il tempo necessario all'essiccazione, problema indotto dall'introduzione di un processo lavorativo basato su fasi di lavorazione ad umido, è stato risolto dalle aziende con l'uso di un essiccatore. In questo caso una maggiore conflittualità operaia e una maggiore sensibilità delle istituzioni ha indotto gli imprenditori a introdurre nuove tecnologie produttive. A Civita Castellana i particolari meccanismi che regolano l'equilibrio sociale hanno fatto sì che per anni i problemi della salute sul lavoro fossero risolti con una monetizzazione del rischio e con l'utilizzo "formale" di alcuni strumenti (mascherine e cuffie) fornite dalla Usl. Ci sono quindi una serie di fattori che concorrono al difficile rapporto tra il distretto e la tecnologia: • le caratteristiche dell'imprenditoria locale, finora più interessata al guadagno immediato che agli investimenti produttivi; • le dimensioni aziendali in relazione al costo delle innovazioni; • le strategie di vendita: fascia di mercato medio-bassa, particolare nicchie di mercato; il tipo di relazioni industriali come il cottimo (che ha contribuito a mantenere competitivi i prezzi della manodopera rispetto alle macchine) e la bassa conflittualità operaia anche su aspetti come la salute in fabbrica.

2

Fonte: Pubblicazione Enea, 1991, "Innovazione tecnologica e salute" 47

Capitolo IV LE IMPRESE

Questa sezione del rapporto di ricerca è dedicata alle imprese ceramiche del comprensorio. Viene presentato un censimento delle industrie locali e del numero degli addetti, realizzato con la raccolta di dati effettuata sul campo. Lo scopo che si è voluto perseguire è stato quello di costruire un censimento aggiornato delle unità locali comunque collegate alla produzione della ceramica e del numero degli addetti impiegati in ogni unità. Non esistendo dati ufficiali in merito si è proceduto ad una rilevazione diretta dei dati, tramite la raccolta di dati parziali reperiti presso diverse fonti: gli uffici comunali, l'ufficio di collocamento locale, le associazioni di categoria imprenditoriali e sindacali. Dalla verifica delle discordanti informazioni ricevute, effettuata con controlli incrociati tra le diverse fonti, si è ottenuto un dato sufficientemente realistico del numero delle imprese e degli addetti. L’analisi sarà incentrata su alcuni aspetti delle imprese dei due settori produttivi principali dell'area: i sanitari e le stoviglierie. Per lo sviluppo di tale analisi sono state utilizzate le interviste effettuate a diversi imprenditori locali, ai responsabili delle associazioni di categoria locali (Centro Ceramica e sindacati), dati raccolti su pubblicazioni del Centro Ceramica di Civita Castellana e della Filcea-Cgil. L'analisi è svolta in ordine ad alcune funzioni-base dell'organizzazione aziendale in generale, quelle di progettazione, produzione e organizzazione del lavoro, commercializzazione, finanziamento. Particolare attenzione è stata posta all'organizzazione della commercializzazione. Per questo motivo in un capitolo a parte, sono trattati i rapporti col mercato e i canali di vendita, in relazione al ruolo che il mercato ha come fattore esogeno nell'influenzare e determinare le caratteristiche produttive dell'area e alle difficoltà che possono verificarsi in un'economia locale nell'ambito di un mercato che va sempre più globalizzandosi. In una sezione a parte vengono analizzate le problematiche relative ai finanziamenti e al credito, poiché questi sono, in generale, tra gli aspetti di debolezza delle aziende distrettuali e perché nel caso specifico presentano interessanti evoluzioni indicative dei fenomeni di mutamento che stanno interessando l'area.

4.1 Le industrie della ceramica

• • • • • •

Le produzioni prevalenti nel comprensorio sono quelle degli articoli igienico-sanitari e quelle delle stoviglie domestiche, c'è poi una modesta presenza di aziende artigiane che producono ceramiche artistiche e di aziende dell'indotto dei due settori principali. È presente anche un piastrellificio, ma questo tipo di produzione per quantità di prodotto e per numero di addetti, ha sempre rappresentato un settore marginale. Più dettagliatamente le aziende del comprensorio producono: prodotti idro-sanitari: lavabi, colonne, vasi, cassette, bidet, piatti doccia; stoviglierie: piatti, tazze, piatti da portata, pirofile; piastrelle: per rivestimenti e pavimenti; accessori (in ceramica): accessori per bagno, lavelli in ceramica; ceramiche artistiche: oggetti da regalo, bomboniere, cotto per pavimenti; indotto: impasti ceramici, stampi in gesso, decalcomanie per decorazione. Tab. 2: Unità produttive locali per comune, per settore e numeo di addetti COMUNI

sanitari

un.loc. n.add. Castel Sant'Elia 3 85 Civita Castellana 17 809 Corchiano 4 144 Fabrica di Roma 9 796 Gallese 2 173 Nepi 0 0 TOTALE 35 2007 *non include gli addetti di Stella 2.000

stoviglie un.loc. 3 15 2 5 2 0 27

n.add 321 623 75 193 260 0 1472

artigian./altro

TOTALE

un.loc 0 19 0 11 0 1 31

un.loc. 6 50 6 25 4 1 92

Fonte: Nostre elaborazioni Fig.1. Unità produttive locali per comune e per settore.

49

n.add. 0 293* 0 125 0 110 528

n.add. 406 1.725 219 1.114 433 110 4.007

Castel Sant'Elia Gallese

Civita Castellana Nepi

Corchiano

Fabrica di Roma

TOTALE

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 sanitari

stoviglie

artigian./altro

TOTALE

Fonte: Nostre elaborazioni. Secondo i dati della Filcea-CGIL (1992) la produzione nel settore dei sanitari si aggira intorno ai 4 milioni di pezzi/anno, nel settore delle stoviglierie intorno a 86 milioni di pezzi/anno. Nel 1992 il fatturato globale dei due settori è stato di 354 miliardi di cui 193 relativi alla produzione di sanitari e 135 relativi alla produzione di stoviglie. Le imprese del comprensorio coprono una quota rilevante della produzione nazionale3.

Fig. 2. Numero di addetti per comune e per settore

3

Fonte: Pubblicazione "Dati sul comprensorio" del Centro Ceramica, 1993.

Castel Sant'Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica di Roma Gallese Nepi TOTALE

4500 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0

sanitari

stoviglie

artigian./altro

TOTALE

Fonte: Nostre elaborazioni. Le aziende di sanitari e di stoviglie. I due comparti produttivi principali del comprensorio si strutturano su un tessuto produttivo di piccole imprese. Per le stoviglie la caratterizzazione è di piccole dimensioni, 18 delle aziende del comprensorio sono comprese nella classe fino a 50 addetti (Fig. 2; 3).

Tab. 3. Classificazione delle unità locali per settore e classi di addetti. classi addetti < 10 11 - 50 51 - 100 > 100 TOTALE

sanitari 5 12 14 4 35

stoviglie 8 10 5 4 27

TOTALE 13 22 19 8 62

Fonte: Nostre elaborazioni.

Fig.3. Numero di aziende per settore e classi di addetti.

51

< 10

da 11 a 50

da 51 a 100

> 100

TOTALE

TOTALE

stoviglie

sanitari

0

10

20

30

40

50

60

70

Fonte: Nostre elaborazioni La piccola dimensione non deve però trarre in inganno, alcune di queste piccole aziende hanno un mercato internazionale e un fatturato che si aggira tra i 7 e i 10 miliardi. È esemplificativo il caso di una piccola azienda che si è ricavata una specifica nicchia di mercato, specializzando la propria produzione in piatti da portata. Il prodotto di questa azienda, che pur producendo migliaia di piatti al giorno (4.000) conserva un processo produttivo di carattere artigianale, è originale nelle forme e curato nella decorazione, che in gran parte viene eseguita a mano. Il suo mercato di riferimento sono per il 50% gli Usa, è un'azienda in continua crescita. Le dimensioni delle aziende di sanitari si addensano (vedi Tab.3) nelle due classi centrali con un numero di addetti compreso tra gli 11 e 100 per 26 aziende. Nel dettaglio 11 di esse si collocano in una fascia che va dai 40 ai 60 addetti. In relazione al ciclo produttivo dei sanitari che prevede ancora un'alta incidenza della manodopera rispetto a fasi automatizzate, le imprese devono avere una dimensione minima ottimale per porre in essere la produzione. Diversamente avviene nel settore delle stoviglierie dove anche unità produttive con un numero di addetti inferiore a 20, sono in grado di sviluppare una produzione a livello industriale. Per esempio, nel settore delle stoviglierie, una piccola azienda con 18 addetti complessivamente che ha automatizzato quasi tutto il ciclo produttivo è in grado di produrre 7.000 pezzi al giorno. Le imprese più grandi, in ambedue i settori, si connotano comunque per una dimensione media, nell'area ci sono 8 aziende con più di 100 addetti, di cui uno sola arriva ai 250 addetti. La classificazione che è stata qui adottata è quella per unità locale, per gli scopi precedentemente delineati. Una diversa definizione del tessuto produttivo è legata alla lettura dei legami finanziari che in varia maniera collegano alcune delle unità locali, e che si esprimono principalmente in due forme: gruppi formalmente costituiti e gruppi operanti di fatto. Questi aspetti sono analizzati nella sezione di questo lavoro relativa alle caratteristiche organizzative delle imprese.

Le imprese ceramiche minori Le 29 imprese che sono state raccolte (v. tab. 2) per facilità di esposizione e in relazione alla loro consistenza e in termini di addetti e in termini di fatturato nella voce artigianato, comprendono in realtà, oltre alle imprese artigiane, imprese dell'indotto ceramico e fabbriche di accessori. Tab. 4. Unità locali delle altre attività ceramiche per comune, settore e numero di addetti. COMUNI Castel Sant'Elia Civita Castellana Corchiano Fabrica Gallese Nepi TOTALE

artigianato un.loc. n.add. 0 0 8 71 0 0 3 13 0 0 0 0 11 84

indotto un.loc. 1 7 0 5 0 0 13

accessori un.loc. n.add. 0 0 3 41 0 0 3 50 0 0 0 0 6 91

n.add. 14 167* 0 62 0 0 243

TOTALE un.loc n.add. 1 14 18 279 0 0 11 125 0 0 0 0 30 418

* Non include gli addetti di Stella 2.000. Fonte: Nostre elaborazioni. Le aziende artigiane vere e proprie sono 11 e occupano un numero di addetti pari a 84 unità. Sono microimprese a conduzione familiare, in genere con due o tre dipendenti oltre il proprietario che lavora insieme a loro in laboratori artigiani, indirizzati verso produzioni artistiche. La tradizione artistica preesistente a Civita Castellana, di cui si è già parlato, è stata soppiantata dalla sopravvenuta produzione di carattere industriale. Adesso stanno riprendendo piede invece, alcune produzioni artigianali quali quella del cotto per rivestimenti. Le imprese che operano in questo campo, producono piastrelle di buona qualità e si stanno conquistando una particolare nicchia di mercato. Sono 13 invece le aziende dell'indotto ceramico: esse occupano 243 addetti. Esse coprono quelle poche fasi del ciclo produttivo che alcune delle aziende dei sanitari e delle stoviglierie chiedono all'esterno. Sono fabbriche che vendono impasti per la ceramica già miscelati, oppure stampi in gesso, ma la maggior parte di esse (6 aziende) è impegnata nella produzione di decalcomanie per la decorazione. La maggioranza delle imprese del comprensorio comunque, ha al proprio interno reparti specializzati per la preparazione sia degli impasti che degli stampi. Sono solo sei con 91 addetti le imprese che producono accessori per ceramica. Si tratta di piccole imprese che forniscono pezzi in ceramica per arredamento, ad esempio pomelli in ceramica per armadi o accessori da bagno tipo portasapone ecc. commissionati loro dalle fabbriche di sanitari. Anche se questo settore complessivamente non ha una grande rilevanza in termini di fatturato e di addetti è un altro indicatore della relazione stretta tra territorio e ceramica e della vivacità dei soggetti economici dell'area che, a partire da un "saper fare" di ceramica diffusa nell'atmosfera del comprensorio, riescono a mettere a frutto la loro capacità imprenditoriale.

53

4.2 Caratteristiche delle imprese

Il modello organizzativo delle imprese distrettuali ha caratteristiche peculiari, rispetto ad un modello di impresa non inserito all'interno di una area a forte caratterizzazione produttiva, poiché nel funzionamento dell'impresa distrettuale intervengono direttamente variabili di natura sociale. I fattori sociali, culturali e personali costituiscono insieme al mercato il principale meccanismo regolatore dei rapporti economici nel distretto. Conoscenza e frequentazione reciproca, legami di amicizia e parentela, tradizioni di cooperazione e solidarietà, si intrecciano anche nella definizione del pratico operare delle istituzioni, concorrendo così alle forme effettive di regolazione di quel tipo di relazioni che può essere sintetizzato nel concetto di comunità locale, caratterizzate da particolari rapporti sociali nei distretti. Questo tipo di variabili garantisce la sistematicità delle relazioni intraziendali e costituisce quindi parte integrante del sistema di coordinamento del processo produttivo Questo tipo di relazioni sociali si riflettono nell'organizzazione, nella struttura e nella strategia delle imprese Nell'ambito degli studi sulle piccole imprese situate all'interno del contesto dei sistemi produttivi locali, l'unità di analisi non è l'impresa singola, ma l'insieme delle relazioni che ne determinano l'operare. I fattori di successo di queste imprese vengono ricondotti alla ricca e originale rete di relazioni sociali che caratterizza il distretto e che investe il rapporto, tra imprese e tra attori economici e il sistema sociale all'interno della singola impresa. Vicinanza e senso di appartenenza convergono nel determinare un elevato grado di cooperazione e insieme, nel fare dell'informalità una modalità caratteristica delle relazioni tra imprese come all'interno delle imprese (Franchi e Rieser 1991). Tra gli elementi costitutivi dei modelli organizzativi di queste imprese, si fa stretto riferimento alla piccola dimensione e alla natura "artigianale" in senso lato dell'impresa: una basso grado di gerarchia e di formalizzazione dei compiti e il frequente coinvolgimento dell'imprenditore nella produzione. Le peculiarità di questa organizzazione del lavoro trovano espressione nelle caratteristiche e nella gestione della forza lavoro impiegata: un minor filtro selettivo all'entrata, un processo di apprendimento imperniato sul learning by doing e centrato su alcune figure di operai qualificati e sullo stesso imprenditore. Sulla base di questi tratti distintivi viene generalmente delineato un modello di organizzazione del lavoro contrapposto a quello tayloristico, proprio della grande impresa, caratterizzato dall'informalità contrapposta alla formalizzazione e dall'aggiustamento flessibile contrapposto alla programmazione rigida. È stato sottolineato anche come questo modello consenta di attivare un processo di collaborazione dal basso sul processo produttivo da cui nasce quella peculiare capacità di innovazione che costituisce uno dei punti di forza di queste imprese. Queste capacità tecnico-progettuali si manifestano principalmente nelle scelte di esecuzione del prodotto. Data la modesta dimensione delle imprese, il processo produttivo presenta una elevata interattività tra il lavoratore e le macchine e ciò comporta la possibilità di apportare innovazioni incrementali nell'utilizzo di queste.

Caratteristiche più generali di queste imprese: • unità tra proprietà e management, in questo tipo di imprese, l'imprenditore o il gruppo di imprenditori mantengono quell'unità che si è spezzata nello sviluppo della grande impresa, sono insieme capitalisti e manager; • preponderanza del lavoro direttamente produttivo sulle altre funzioni aziendali. Aspetti sociali connessi alla realtà distrettuale: • l'origine professionale degli imprenditori, quasi sempre settorialmente omogenea, è molto spesso quella di un operaio professionalizzato, questo influisce sul percorso di formazione dell'impresa che trova il suo punto di forza nella conoscenza diretta e specifica di un particolare processo produttivo; • ruolo delle relazioni familiari: esse svolgono un ruolo importante, spesso le soluzioni organizzative si intrecciano con l'inserimento di un familiare in un determinato ruolo; • gestione e formazione delle risorse umane: reclutamento legato ai rapporti parentali e amicali, formazione professionale anticipatoria che avviene nella socializzazione manifatturiera e che si completa all'interno della fabbrica nel processo di learning by doing;.

• • • • •

Questi elementi poi, come è ovvio, trovano realizzazioni diverse nella realtà, diversità che possono essere anche di natura concettuale, dovute a differenze connesse alle tipologie produttive e alla collocazione dell'impresa sul mercato. In questo caso specifico si cercherà di verificare quali delle caratteristiche prima individuate siano presenti nelle imprese del comprensorio, ed eventualmente invece quali siano le peculiarità delle imprese locali, attraverso le risposte organizzative che esse attuano in relazione alle funzioni-base indicate da M. Franchi, V. Rieser, L. Vignali (1990): progettazione: scelta e ideazione del prodotto, progettazione, traduzione in termini operativi del progetto; produzione: scelta e organizzazione dei fattori produttivi (tecnologia e forza lavoro) e della combinazione fra make and buy, organizzazione: scelta delle strutture rispondenti alle varie funzioni e allocazione dei loro compiti, organizzazione del flusso di informazioni; commercializzazione: scelta e costruzione del mercato, organizzazione e distribuzione del prodotto; amministrazione: scelta e reperimento delle risorse finanziarie.

La progettazione. La funzione di progettazione trova nel comprensorio di Civita Castellana una realizzazione ereditata dalle aziende di soci-operai. Le aziende locali realizzano i propri prodotti sulla base dell'imitazione dei modelli realizzati dalle imprese nazionali leader del settore. "Questo modello ... lo abbiamo preso da un'altra ditta, da quelle grandi che fanno ricerca e sono all'avanguardia". In particolare questo e stato uno dei punti di forza delle aziende locali produttrici di sanitari sul mercato, poiché essere erano in grado di offrire lo stesso prodotto delle grandi marche a prezzi inferiori.

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"Non avevamo una struttura di ricerca. Per produrre il pezzo copiavamo da grandi aziende, per esempio Ideal Standard, con costi anche del 60% in meno". Nessun segno nella produzione locale di stoviglie invece ha lasciato l'antica tradizione della lavorazione ceramica a Civita Castellana, né c'è una caratterizzazione locale del prodotto come per esempio nel caso delle ceramiche che si producono a Deruta. La strategia di vendita volta a fasce di mercato medio-basse non ha mai richiesto l'ideazione di un prodotto originale, come si è visto precedentemente, la produzione è per lo più in terraglia, è mirata alla grande distribuzione o risponde alle esigenze delle campagne promozionali delle grandi imprese di altri settori produttivi. Le aziende locali, come avviene in genere per le piccole e medie imprese, vengono a conoscenza dei gusti del mercato per lo più attraverso le fiere. Da alcuni anni in ambedue i settori, si sta cercando di portare avanti una strategia finalizzata al miglioramento della qualità del prodotto e in questa ottica, c'è maggiore attenzione alla ideazione e progettazione dei modelli. Le imprese leader del comprensorio si avvalgono da qualche tempo della collaborazione di progettisti e disegnatori. "Adesso stiamo creando una linea nuova che sarà distribuita con un marchio ...ora lavoreremo forme nostre, non copiate a destra e sinistra come normalmente si fa". A contrasto con la scarsa originalità dell'ideazione e della progettazione sia di modelli che di innovazione di prodotto, la realizzazione in termini operativi del progetto, "l'ingegnerizzazione" è svolta quasi in tutte le fabbriche in un reparto interno: il reparto modellazione degli stampi, dove vengono realizzati sia gli stampi di nuovi prodotti che gli stampi da rinnovare per usura nel ciclo produttivo. Questo reparto è il regno di una delle ultime figure artigianali rimaste nella produzione dei manufatti ceramici, il madreformista. Egli, straordinario artigiano dal progetto su carta, realizza il prototipo e, quindi, attraverso una serie di passaggi e di successivi adattamenti la madreforma, che serve per la produzione degli stampi. È quindi una funzione affidata ad un operaio specializzato, che si è formato l'esperienza necessaria in anni di lavoro, una figura insostituibile, proprio per l'elevata quantità di "mestiere" artigiano che esprime. Questa analisi vale certamente per il passato e in larga parte anche per il presente orientamento degli imprenditori locali, ma in molte interviste gli imprenditori stessi si lamentano della scarsa originalità dei loro modelli. Attualmente, soprattutto nell'ambito dei sanitari, c'è una rincorsa ad avvalersi di designer e architetti per la progettazione di serie "firmate".

L'organizzazione. Informalità e indifferenziazione sono gli elementi alla base dell'organizzazione delle aziende locali, omogenee quindi alle imprese dei distretti in genere. Innanzitutto non c'è distinzione tra proprietà e gestione e i legami tra i titolari sono prevalentemente di tipo familiare e amicale. Le funzioni direttive e gestionali sono gestite direttamente e collegialmente dai titolari di azienda, le funzioni non sono distinte tra i soci né formalizzate. I soci in gran parte sono ancora imprenditori di prima generazione, provengono dalla produzione, sono in genere ex operai specializzati, conoscono bene il ciclo produttivo e sono occupati direttamente con l'aspetto produttivo dell'impresa. Essi, inoltre, si interessano direttamente della produzione, nella quale intervengono giornalmente con funzioni di verifica e controllo, conoscono personalmente gli operai e i rapporti all'interno della fabbrica sono improntati alla familiarità più che alla gerarchia.

Anche nei casi in cui l'ingresso di capitali esterni ha portato alla distinzione tra proprietà e management, la gestione è stata lasciata nelle mani dei precedenti soci e non sono ancora per il momento state inserite figure di tipo manageriale. L'informalità caratterizza inoltre le procedure, non esistono normative standardizzate. Le procedure che si riscontrano si sono venute formando per un processo di sedimentazione relativo a decisioni ricorrenti prese in casi simili, vale il principio del "come si è sempre fatto". Il regolare funzionamento della produzione oppure il far fronte alle problematiche che si possono creare, è assicurato dall'esperienza degli operai più esperti. La struttura aziendale è basata sulla produzione, c'è quindi una netta prevalenza di manodopera, con funzioni esecutive, e una scarsa presenza di impiegati ed è pressoché totale l'assenza di quadri e dirigenti. L'azienda è costituita dalla fabbrica organizzata in reparti di produzione, con dei capireparto responsabili che rispondono direttamente al management che coincide con i proprietari dell'azienda stessa. In ogni reparto lavorano operai specializzati in una determinata fase del ciclo produttivo e che, in linea di massima, espleteranno quella particolare mansione per tutta la loro vita lavorativa. Non c'è intercambiabilità tra un operaio e l'altro e non c'è rotazione nelle mansioni. Nei casi in cui i soci ritengono opportuno ampliare il management, in relazione alla necessità di dotarsi di figure professionali con particolari competenze, il criterio di scelta è quello di cercare all'interno della rete parentale persone che si formeranno poi una preparazione all'interno dell'azienda. "Questa è un'azienda familiare, qui ci lavora il marito di mia sorella." Solo figure professionali che richiedono competenze tecniche specifiche, ma non necessarie in maniera continuativa, ad esempio chimici, designer, ecc. vengono contattati come consulenti esterni e questi, in genere, lavorano per più imprese locali. La forma giuridica che le aziende hanno scelto è in larga parte quella della società di capitali. Questo è un aspetto che differenzia il comprensorio dalla maggior parte degli altri distretti dove emerge la numerosità di ditte individuali, in ragione proprio del carattere maggiormente frammentato del tessuto produttivo, dovuto alla divisione del ciclo produttivo fra aziende che comporta una forte presenza di microimprese. Dalla classificazione delle aziende per dimensioni (tab.3) si vede che le imprese locali a carattere industriale vero e proprio sono comunque al di sopra delle dieci unità lavorative. Quindi si riscontrano a Civita Castellana caratteristiche simili a quelle delle imprese distrettuali: identità tra proprietà e management, indifferenziazione delle funzioni direttive e informalità delle procedure. C'è comunque da sottolineare che l'afflusso di capitali esterni all'area, come sarà più ampiamente spiegato nel capitolo relativo ai finanziamenti, ha creato i primi casi di distinzione tra proprietà e management. Attualmente le scelte strategiche di questi gruppi finanziari hanno però lasciato al loro posto il vecchio management, così che gli imprenditori locali hanno ancora tutti la stessa origine socio-culturale.

La produzione. Nella scelta dei fattori produttivi, tra tecnologia e forza-lavoro, le imprese locali si sono strutturate su un uso preponderante della forza-lavoro, rispetto all'impiego di macchine. Questa scelta è avvenuta non solo in dipendenza della scarsità di risorse finanziarie per gli investimenti, ma anche in relazione alle modalità di gestione della forza lavoro locale. Tipico punto di forza delle piccole imprese, e ancora più di quelle distrettuali, la gestione flessibile della manodopera trova a Civita 57

Castellana una particolare modalità legata alla struttura retributiva che, ancora attualmente, pur se regolata dal contratto collettivo di lavoro, è basata sul cottimo. "Si sviluppa un sistema di lavorazione a cottimo senza orario di lavoro per cui un lavoratore deve fare un tanto di pezzi al giorno e si forma una struttura della retribuzione che vede un cottimo decrescente, cioè il carico di lavoro è 15, molto basso e, si riesce a farlo in poche ore, e per questo c'è la paga salariale contrattuale, ma il singolo colatore, se vuole, può farne di più. Per produrre 5 pezzi in più prende il 70-60% di quello che avrebbe percepito se fossero stati i primi pezzi, i pezzi che vanno da 20 a 25 sono pagati ancora meno e così via. Questo sistema è stato una delle fortune di Civita. Ciò permetteva di avere dei costi molto molto bassi". La formazione professionale vera e propria avviene on the job secondo modalità che sono riconducibili a quelle dell'affiancamento. Per una trattazione dettagliata della formazione della professionalità si rimanda alla relativa sezione del presente lavoro. Anche i criteri di reclutamento sono influenzati dai rapporti di conoscenza e parentela. Le figure professionali esecutive vengono reclutate in questo modo, per gli operai vige il criterio di selezione legato alla affidabilità desunta in termini di parentela o di conoscenza diretta o indiretta. Esiste però, per gli operai anche un altro criterio di reclutamento: il "rubare" a un'altra azienda l'operaio bravo già formato. In questo caso la richiesta di competenza è specifica: il colatore, il magazziniere. Questo avviene perché, anche se è vero che molte competenze si acquistano con pochi giorni o brevi periodi di apprendimento on the job, per alcune professionalità i tempi di buona professionalizzazione sono più lunghi e rappresentano quindi un costo che grava sull'azienda. Inoltre, per questi tipi di cicli produttivi ancora poco automatizzati e in cui ancora vige il cottimo, è indispensabile non solo "saper fare" ma anche saper fare velocemente e con il minimo margine di errori. Questa abilità ovviamente richiede tempi più lunghi del semplice apprendimento della mansione. Abilità, velocità e poco scarto, sono elementi fondamentali per questo tipo di azienda che basa molto più la sua competitività sul prezzo che non sulla qualità dei prodotti. Per quanto riguarda le scelte tecnologiche si rimanda all'apposita sezione del capitolo precedente. La scelta tra make and buy, dato il tipo di processo di produzione, è in generale a favore del fare in azienda, e questo distingue tale opzione da quella di altri distretti industriali, con produzioni più complesse e divisibili, dove in genere la produzione si specializza per fasi. Solo di recente e in poche aziende si va diffondendo l'uso di acquistare all'esterno ciò che prima si produceva internamente; comunque questo avviene per due sole fasi del ciclo: la preparazione degli impasti e la modellazione degli stampi. Si ritrovano in questi gli aspetti caratteristiche delle aziende inserite nei sistemi produttivi locali, la centralità dell'aspetto propriamente produttivo sulle altre funzioni aziendali, una gestione flessibile della manodopera e la formazione professionale svolta in azienda con un processo di learning by doing.

Le relazioni tra imprese Quando si dice che le imprese di un distretto appartengono ad uno stesso settore industriale, si intende parlare del settore in un senso particolarmente ampio. Ad esempio nel distretto tessile, ci si riferisce anche alla produzione di macchine e di prodotti chimici per l'industria, nonché ai molteplici servizi funzionali in tale industria. Marshall ha parlato in questo senso di industria principale e industria ausiliare, altri parlano di filiere o di settore verticalmente integrato. Un'altra caratteristica è che i processi produttivi inclusi nel settore debbano potersi scomporre in fasi spazialmente e temporalmente separabili. "È richiesta in sostanza l'esistenza di condizioni tecniche

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tali da consentire la formazione di una rete locale di transazioni specializzate sui prodotti di fase" (Becattini 1989). A prescindere dalle caratteristiche tecniche del processo produttivo, la decisione di esternalizzare una certa fase dello stesso, non è esclusivamente di tipo economico, ma una volta presa questa decisione l’impresa rinuncia al controllo diretto non solo del processo produttivo, ma anche a quello dei lavoratori in essa coinvolti. Se l'imprenditore è orientato alla scelta di soluzioni che offrano il maggior rendimento economico in senso stretto, disinteressandosi degli equilibri sociali, politici e culturali locali, è possibile quindi che si realizzi quella "forma" di distretto costituita da una popolazione di imprese piccole e medie indipendenti, tendenzialmente coincidenti con le singole unità di fase, che si appoggia ad una miriade di unità fornitrici di servizi alla produzione. Di questo tipo di economia distrettuale non troviamo riscontro a Civita Castellana. Innanzitutto il processo produttivo non è diviso per fasi fra più aziende. Si può ipotizzare che in parte ciò è determinato dal ciclo produttivo della ceramica, anche se nel distretto ceramico di Sassuolo (almeno fino agli anni '80) la produzione di piastrelle, che ha un ciclo produttivo simile a quello delle stoviglie, veniva effettuata con il sistema della bicottura, ha generato la divisione ciclo fra le aziende. Queste localmente si sono divise in due "gruppi": quelle che si occupavano del ciclo fino alla prima cottura (biscotto) e quelle che si occupavano della decorazione e della seconda cottura. Certamente le condizioni tecniche della produzione dei sanitari rendono più difficile la separazione delle fasi del ciclo. Dato il carattere indipendente e autonomo del ciclo produttivo sia dei sanitari che delle stoviglierie, non sono venuti a svilupparsi quei rapporti di collaborazione per divisione delle fasi del ciclo, caratteristiche di molti distretti italiani. Il desiderio di autonomia e indipendenza che sottende ai vari fattori di sviluppo del distretto, trova ancor più espressione nelle relazioni tra imprese. L'individualismo degli imprenditori di Civita Castellana è stato uno dei fattori che in questi ultimi anni hanno ostacolato la realizzazione di un comune marchio di qualità. Difficilmente si verificano casi di cooperazione e passaggi di commesse. Le aziende, in contrasto con la forte coesione sociale e il condiviso orgoglio di campanile, sono in forte competizione tra loro. Alla mancanza di relazioni tra imprese, sono venuti a sostituirsi il bar e la piazza come momenti di socializzazione che hanno sempre caratterizzato la vita dei civitonici e che sono sempre stati "luoghi" di scambio di informazioni. La necessità comunque avvertita del bisogno di collaborazione tra imprese ha trovato una formalizzazione nella costituzione del Centro Ceramica, di cui si parlerà dettagliatamente in seguito. In conclusione si può quindi delineare un'ipotesi di modello di impresa locale che presenta i seguenti aspetti organizzativi: la progettazione avviene attraverso l'imitazione dei prodotti realizzati dalle imprese leader del settore; l'identità tra proprietà e management; l'indifferenziazione delle funzione direttive; l'informalità delle procedure; una forte caratterizzazione produttiva che si esprime con una altrettanta preponderanza del lavoro con una scarsa presenza di ruoli impiegatizi; una estesa internazionalizzazione commerciale.

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Altri aspetti sono più direttamente connessi all'inserimento di queste imprese nell'ambito distrettuale soprattutto in relazione alle caratteristiche delle risorse umane. • Il primo aspetto è l'origine professionale degli imprenditori spesso settorialmente omogenea, il più delle volte quella di un operaio professionalizzato con una conoscenza diretta e specifica del processo produttivo che è un suo punto di forza. • Il secondo è costituito dalle relazioni familiari che svolgono un ruolo importante. Spesso le soluzioni organizzative si intrecciano con l'inserimento di un familiare in un determinato ruolo lavorativo. • Terzo, la gestione e la formazione della forza lavoro le cui basi sono: 1. il reclutamento, fondato principalmente su criteri di affidabilità desunti in termini di parentela o di conoscenza diretta o indiretta; 2. la formazione professionale, che avviene prima attraverso un processo di socializzazione manifatturiera che si realizza nell'atmosfera industriale" e che si completa poi dentro la fabbrica con un processo di learning by doing, realizzato con l'affiancamento ad un operaio più esperto; 3. le relazioni tra le imprese, caratterizzate dal forte individualismo che orienta le scelte degli imprenditori locali e che ostacola strategie comuni a livello di distretto.

Capitolo V GLI ELEMENTI CHIAVE DEL SISTEMA ECONOMICO-PRODUTTIVO

Tra i fattori di sviluppo endogeni delle aree a economia diffusa un ruolo certamente determinante è costituito dall'esistenza di un humus sociale. Questo è caratterizzato da una propensione al rischio di impresa e dall'esistenza di un peculiare processo di socializzazione al lavoro che genera un fenomeno diffuso di acquisizione di competenze, di conoscenze e abilità professionali all'interno del sistema produttivo locale. "I segreti dell'industria sono nell'aria", ed è all'interno di quella che Marshall chiama "atmosfera industriale" che si formano le caratteristiche degli elementi chiave del sistema economico produttivo locale: gli imprenditori e la professionalità degli operai.

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5.1 Gli imprenditori Nella letteratura del settore la ricostruzione storica della genesi dell'imprenditorialità dei sistemi produttivi locali è ricondotta ai fenomeni economico e sociali avvenuti in Italia alla fine della seconda guerra mondiale. Sono anni caratterizzati da una crisi strutturale dell'agricoltura, dalla obsolescenza di grandi fabbriche incapaci di riconvertirsi dalla produzione di guerra a quella di pace. Tali fenomeni sono poi aggravati dalla smobilitazione di grandi masse di giovani dalle forze armate. In conseguenza di questi fenomeni, verificatisi soprattutto nelle regioni dell'Italia Nord-orientale, centrale e meridionale, si sono create grandi masse di popolazione in cerca di un'occupazione qualsiasi, che in gran parte hanno trovato una via di uscita con l'emigrazione nelle città del triangolo industriale del nord Italia e in Europa. Ma in alcune di queste regioni, allo stesso tempo, si sono messi in moto dei meccanismi di risposta che, facendo leva su risorse endogene preesistenti, hanno dato luogo alla nascita e allo sviluppo delle aree a economia diffusa. Da qui si può far derivare la natura e la tipologia dell'imprenditorialità caratteristica di questa economia. Essa sorge prevalentemente e spontaneamente dal basso, a volte si sviluppa fortemente e a volte ricade nel lavoro salariato, con rapidi turn-over. In questa ottica Garavini (1988) definisce l’imprenditore "l'emigrante in casa propria". All'origine di questa imprenditorialità troviamo soprattutto mezzadri o piccoli proprietari terrieri, operai o tecnici licenziati dalle grandi fabbriche. Possiamo inoltre trovare gruppi di artigiani che si sono evoluti verso una produzione di tipo industriale sotto la spinta dei mercati o commercianti (soprattutto al sud) che hanno deciso di entrare in produzione. Diventa imprenditore in questo ambito colui che è più abile o più fortunato o che dispone di un capitale minimo e quindi può entrare solo in settori che non richiedano investimenti troppo elevati, a basse barriere d'entrata, settori dove si possano trovare facili agganci commerciali e dove la produzione sia facilmente organizzabile e controllabile. Quelli che nascono nelle aree storiche si orientano sulle produzioni tipiche; quelli che si formano in aree nuove verso produzioni che essi considerano più facili o per le quali già esistono nell'area competenze professionali specifiche. Nel caso di origine contadina è l'alienazione dei beni posseduti che fornisce il capitale e la forzalavoro, inizialmente, è costituita dallo stesso nucleo familiare. Nel caso di imprenditori ex operai le risorse sono il know-how e la presenza di fabbriche "in loco". In queste aree l'imprenditoria è un processo sociale continuo, c'è infatti un orientamento dei lavoratori dipendenti a staccarsi dalla impresa madre per orientarsi verso unità imprenditoriali proprie. Ma più ricca di nessi con la situazione locale sembra la matrice industriale. L'ex operaio di mestiere, professionalizzato, costituisce infatti la figura imprenditoriale più diffusa nei distretti industriali. Diventare imprenditore permette all'operaio di sfruttare meglio quegli elementi di professionalità e di conoscenza che ha sviluppato con l'esperienza di lavoratore dipendente . L'orientamento volto alla soluzione tecnica dei problemi, proprio dell'operaio di mestiere, predispone l'imprenditore ad un atteggiamento cooperativo agli scambi informativi, ritenuti indispensabili per una soluzione tecnica adeguata. Tra i fattori di sviluppo del distretto, e quindi alle origini dell'imprenditoria locale, troviamo diverse relazioni con quanto espresso dalla letteratura del settore: 1. un problema di disoccupazione successivo alla seconda guerra mondiale: "Ci fu una fase immediatamente dopo la guerra in cui un ristretto numero di aziende di tipo padronale in seguito a difficoltà e di merito e di capacità tecnologiche e produttive entrò in crisi ... e di fatto i padroni

misero le chiavi sotto la porta ... gli operai rilevarono le aziende e riuscirono non solo a conservare i propri posti di lavoro ma anche a dare un incremento notevole alla ceramica"; 2. la presenza di un nucleo industriale monoculturale, formatosi sulla tradizione artigianale preesistente che ha sedimentato nel distretto un know-how specializzato e l'abitudine al lavoro in fabbrica; 3. un settore a bassa soglia di entrata come quello della ceramica e inoltre la possibilità di conoscere e controllare l'intero ciclo produttivo. Sono questi i fattori che hanno facilitato la crescita di un fenomeno di imprenditorialità diffusa che si è espressa inizialmente con la creazione di compagini societarie di soci-operai. Il fenomeno delle aziende di soci-operai non solo ha influenzato l'evoluzione e le caratteristiche che ancora attualmente contraddistinguono le aziende ceramiche di Civita Castellana, ma ha anche segnato per più di trent'anni la storia della società locale. La ceramica era l'attività principale dei civitonici e la chiusura di molte fabbriche nel dopoguerra creava drammatici problemi di disoccupazione di una massa di operai specializzati. Gli operai invece di perdere il posto di lavoro e lasciar chiudere le fabbriche decisero di associarsi e di rilevare le aziende che li volevano licenziare. Si crearono così le cosiddette aziende di soci-operai dove ogni socio era proprietario di quote in parti uguali ed era al tempo stesso padrone e operaio che lavorava in fabbrica a fianco degli altri operai. Non è stato ininfluente probabilmente su questo peculiare fenomeno di associazionismo operaio, l'ambiente socio-politico di Civita Castellana. Vale la pena di ricostruire brevemente la storia di quegli anni. Civita Castellana vanta solide radici socialcomuniste, già sotto il regime fascista ebbe un sindaco socialista. Il partito comunista è sempre stato il partito di maggioranza, ricorda un operaio che Civita Castellana era chiamata la "Stalingrado del Lazio". La stragrande maggioranza degli operai era iscritta alla CGIL e inoltre, continuavano a rimanere iscritti al sindacato anche coloro che diventavano soci-operai. Queste condizioni possono aver determinato la spinta all'associazionismo operaio e la reazione attiva alla perdita del posto di lavoro. "Dopo il '48 c'è stata la discriminate politico sindacale, la gente tornava dalle carceri, dalla guerra ed era impegnata a livello politico, e ha avuto la forza di organizzare gli operai ... La prima che è nata, quella si diceva che era una fabbrica di comunisti, con gli anni la spinta non è stata più questa, ma quella di liberarsi dal padrone" (un ex socio operaio). Ancora un ex socio-operaio: "Nel '58 si è chiusa la fabbrica per motivi economici e l'abbiamo presa noi in cooperativa, dopo l'esperienza degli altri l'abbiamo fatto anche noi. Nel '60 facemmo un altro salto di qualità, dalla cooperativa abbiamo fatto una S.r.l. Noi abbiamo fatto la cooperativa perché il padrone ha detto chiudo - e noi gli abbiamo detto - ce la prendiamo noi!". Non avendo il civitonico alle spalle un'origine contadina che gli fornisse il capitale iniziale, probabilmente l'associazione tra operai è la risposta locale a questo tipo di carenza. Il fenomeno dei soci-operai è generato proprio da questo insieme di fattori che si sono poi intrecciati con l'aspirazione degli operai a mettersi in proprio. Non si è trattato comunque di un vero e proprio associazionismo di tipo cooperativistico. Non nascono delle vere e proprie cooperative, in parte perché è carente la conoscenza della realtà cooperativstica e poi perché è forte il desiderio di ottenere dal proprio lavoro e dal proprio 63

investimento un tornaconto individuale, attraverso una regolare redistribuzione degli utili. Inoltre la forma cooperativa era ritenuta poco adatta all'assunzione di nuovi dipendenti o alla sottoscrizione di capitale di rischio da parte di soci esterni.4 La forma giuridica che scelgono è invece la società di capitale, dove i soci-operai sono possessori in parti uguali delle quote azionarie. Inizialmente per difendere il posto di lavoro e poi, come dicono molti degli intervistati, per un processo imitativo generatosi in conseguenza del successo delle prime esperienze, nascono a Civita Castellana numerose imprese gestite direttamente dagli operai. Questo fenomeno che riguarda principalmente le aziende ceramiche che producono sanitari, è dovuto oltre ché ai fattori di mercato precedentemente ricordati, anche alla bassa soglia d'entrata del settore. In una situazione in cui la domanda del mercato era in costante ascesa e il processo produttivo era ancora prevalentemente artigianale, tutto quello che serviva per costituire un'azienda era poco capitale e molta professionalità. E infatti così raccontano i vecchi soci-operai: "Nascevano aziende da una cena, diversi operai specializzati che stavano all'interno di uno stabilimento padronale si mettevano insieme, si dicevano: occorrono pochi investimenti, la conoscenza è la nostra, mettiamo su un capannone". La forza dei soci-operai è stata la loro capacità lavorativa, la completa conoscenza e padronanza del processo produttivo, il lavoro inteso come risorsa strategica. C'è quasi un continuum tra qualificazione professionale e vocazione imprenditoriale. Così in quegli anni a Civita Castellana si sviluppa un fenomeno di imprenditorialità diffusa; con un processo che potremmo definire di "scissione", gruppi di operai si staccano dalla fabbrica in cui lavorano per mettersi in proprio. Le caratteristiche organizzative di queste aziende hanno segnato non solo la storia della produzione della ceramica del comprensorio, ma anche la vita della comunità locale. Lo spirito d'iniziativa che muoveva gli operai era generato più da un'inclinazione all'indipendenza economica che da un'aspirazione al lavoro autonomo o imprenditoriale. Caratteristica questa espressa da una gestione sostanzialmente cooperativa delle aziende che ha contribuito a definire una figura di imprenditore di tipo collettivo, uno dei limiti per l'emergere di figure imprenditoriali individuali. "Dal punto di vista sostanziale erano delle cooperative, dal punto di vista legale delle s.r.l. Le aziende (attualmente, ndr) del G.s.i. sono state fondate da soci-operai, l'avevano fondate originariamente solo per il posto di lavoro, non si erano posti altri obiettivi oltre l'utile". La logica gestionale del socio-operaio è quella di lavorare per produrre, una strategia orientata quasi esclusivamente all'aspetto produttivo, una "figura di imprenditore artigiano, che riunisce in sé le varie funzioni dell'impresa, inclusa quella del lavoro direttamente produttivo e manuale" (Franchi e Rieser 1991). Come ci racconta un dirigente dell'unica azienda di soci-operai rimasta nel comprensorio: "Attualmente circa l'80% del capitale sociale è detenuto dagli stessi fondatori o da loro parenti. Se per un verso questo tipo di compagine ha aiutato a superare momenti di crisi, per un altro verso è stata una palla al piede per lo sviluppo dell'azienda perché non c'è stata una professionalità a livello dirigenziale, che si è registrata solo col passare degli anni e grazie alla capacità, in questo senso, di alcuni soci, al contrario di quanto è sempre stato per la produzione. Soltanto negli ultimi 4

Fonte: da una ricerca di A. Zevi e M. Marini riportata dal "Il Messaggero" del 28/6/89.

7-8 anni è stata portata avanti una ricerca per far sì che il management avesse determinati requisiti e professionalità, con l'allentarsi un po' dei vincoli di amicizia, che sta generando i presupposti per passare ad una vera mentalità capitalistica". La logica che orientava i soci-operai è volta solamente alla produzione: essi sapevano produrre i sanitari e lavoravano incessantemente fianco a fianco ai loro dipendenti, con ritmi di lavoro elevati, non avevano interesse a fare investimenti, per migliorare la qualità del prodotto o per innovare il ciclo produttivo. La progettazione dei modelli avveniva su imitazione di quelli delle grandi imprese leader del settore. Il loro interesse maggiore era rivolto ad un'immediata redistribuzione degli utili. La loro strategia di vendita era basata essenzialmente sulla competitività dei prezzi. La funzione imprenditoriale era svolta da tutti i soci, poiché ad ogni quota corrispondeva uguale diritto decisionale. Le aziende nascevano con un gran numero di soci 20-50, a volte si arrivava anche a 100. Se per un verso questo tipo di compagine ha aiutato a superare i momenti di crisi, per un altro ha rappresentato un limite, perché non ha favorito lo sviluppo di professionalità a livello dirigenziale. "La forma societaria con cui sono nate queste aziende è quella di un gruppo di soci lavoratori che le gestivano personalmente in maniera assembleare ... L'aspetto negativo è una certa immobilità dell'azienda, che dovendo soddisfare tanti soci con limitate disponibilità economiche, nel momento del risultato d'esercizio preferiva spartire gli utili che non reinvestire ... e in più una lentezza, un'incapacità decisionale, un'incapacità a prendere decisioni tempestivamente, determinata dalla forma societaria assembleare". L'azienda di soci-operai ha creato delle opportunità ma anche dei problemi. Dal lato delle opportunità ha creato un forte gruppo di lavoratori, che pensava solo a produrre, con una produttività pro-capite elevatissima e che spingeva anche gli operai dipendenti a sostenere gli stessi ritmi. Ragione per cui dal punto di vista della produzione riuscivano a raggiungere risultati straordinari rispetto alle medie del settore in Italia. I punti di debolezza hanno coinciso con un modo di produzione basato sul cottimo e du di un orario di lavoro non definito, determinato di volta in volta dai pezzi prodotti. Caratteristiche che nel tempo sono andate a detrimento della qualità. L'altro aspetto negativo stava in una mancanza di strategia aziendale determinata dal fatto che gli utili venivano immediatamente ridivisi tra i soci. C’erano inoltre lentezza e difficoltà nel prendere tempestivamente decisioni proprio per via della forma societaria assembleare. Comincia dopo la seconda ondata di espansione il declino di questo fenomeno che ha segnato profondamente, come si vedrà in seguito, lo sviluppo futuro del comprensorio. Oggi il capitale di proprietà dei soci-lavoratori oscilla tra il 10 e il 30%, in un solo caso è pari all'80%. La figura del socio-operaio è quasi del tutto scomparsa, su 1513 addetti al settore dei sanitari, ne sono rimasti solo 239 e le imprese in cui conservano le quote sono solo 195. Questo fenomeno di trasformazione delle imprese si conclude alla fine degli anni '80 con la definitiva scomparsa di compagini sociali governate da soci-operai Accanto al socio-operaio si è affermata una figura di imprenditore di tipo tradizionale che non viene direttamente dalla produzione della ceramica, ma anche da altri rami lavorativi. È uno che viene dalla gavetta, un self made man, che ha saputo mettere a frutto le possibilità offerte dal comprensorio e che è stato abile nell'organizzare la ricchezza del distretto e cioè il lavoro. Lavoro inteso non 5

Fonte: Il Messaggero del 28/6/89 65

solamente come ampia disponibilità di manodopera, ma anche come concretizzazione di competenze tecniche, manuali, ideative. È attorno alla figura dell'imprenditore che ruota tutta la vita aziendale. Anche se non è impegnato direttamente in produzione, egli conosce bene tutto il ciclo produttivo; nella maggior parte dei casi svolge sia funzioni direzionali che tecniche e commerciali. I rapporti che l'imprenditore instaura all'interno della fabbrica sono di carattere informale, improntati alla familiarità, sostenuti dalla conoscenza diretta di tutti i lavoratori. L'intreccio tra rapporti personali (familiari e di amicizia) e rapporti professionali si è rivelato molto solido. "Qui sono tutti imprenditori che si sono fatti da sé, provengono dalla gavetta ...C'è di buono il fatto che sono persone genuine, che qui il proprietario non fa il proprietario estraniandosi dalla produzione, ma lavora ancora in fabbrica e più degli altri ... I rapporti sono ancora di tipo informale". Come accade spesso nelle economie locali, per conoscere l'orientamento dei mercati, l'imprenditore si affida alla frequentazione delle fiere. Il suo stile è di tipo incrementale non innovativo, anche se non mancano casi di maggiore propensione all'innovazione tecnologica e di prodotto. Sostanzialmente si verifica lo sviluppo di un'imprenditoria che, anche se non ha origine direttamente dal lavoro in fabbrica, non presenta però delle caratteristiche difformi da quelle dei soci-operai. L'imprenditore "È un infaticabile lavoratore che nella fabbrica spende le migliori ore della giornata. È un «apprendista stregone». Gli manca una preparazione a livello manageriale". Tra di essi vi sono alcuni personaggi, espressione per lo più di gruppi familiari che hanno costruito la loro fortuna nell'ambito dell'economia distrettuale, che hanno conquistato, attraverso la rilevazione di quote in più aziende, un piccolo "impero commerciale". I gruppi di aziende in cui essi operano sono costituiti da aziende specializzate in settori produttivi diversi, sempre legate alle economie del distretto, oppure, se operano nello stesso ambito produttivo, sono orientate verso fasce diverse di mercato. A fianco dei gruppi familiari, negli ultimi anni, con l'intervento di finanziatori esterni all'area, si sono costituite delle holding finanziarie. L'affluenza di questi capitali esterni, attualmente non ha modificato la caratteristica peculiare dell'area, quella di una imprenditoria esclusivamente civitonica. Ci sono, inoltre, alcune figure che spiccano per originalità e peculiarità, queste non rientrano nella categoria dell'ex operaio professionalizzato, ma provengono per lo più da altri settori lavorativi: edilizia, autotrasporti ecc. Sono comunque imprenditori di prima generazione che stimolati dalle potenzialità offerte dal comprensorio, hanno avuto il "buon fiuto" e le capacità di organizzarle, ricavandosi vantaggiose quote di mercato in alcune produzioni specializzate. "Io facevo il costruttore, ho sempre lavorato nelle costruzioni. Poi nel '70 tra amici con qualche ingegnere, abbiamo detto facciamo una ceramica di piatti, da qui è nata l'idea di fare questa piccola ceramica. Avevamo degli amici americani, cercavano questi articoli ... quello che abbiamo imparato lo abbiamo imparato dal mercato". E di un altro imprenditore si racconta: "Ha creato una compagine carattere familiare, lui stesso con due fratelli, la capacità imprenditoriale è proprio la sua, dei due fratelli ha utilizzato le capacità tecniche. Nasce come azienda che fa sottolavelli cioè un accessorio per la ceramica. Successivamente la nicchia di mercato si amplia e poi si passa a tutta la cucina e così si è andato avanti finché il mercato lo ha consentito. Oggi si produce il lavapanni in ABS, pur rimanendo nello stesso settore, un'ulteriore distinzione e innovazione produttiva che ha fatto sì che l'azienda sia tuttora sulla cresta dell'onda e con un solo concorrente in Italia".

In questi racconti possiamo cogliere il modello dell'imprenditore puro di Becattini: "l'ideale imprenditore puro agisce così: da un lato osserva attentamente il mercato mondiale dei prodotti del distretto e dall'altro approfondisce in continuazione la sua conoscenza del distretto come entità produttiva e socioculturale. La sua funzione specifica sta nel tradurre in termini di prodotti vendibili su quel mercato, tutte le potenzialità racchiuse nel distretto. Il distretto è per lui una sorta di capitale malleabile, capace di produrre tante cose diverse all'interno di un certo range. La sua principale immobilizzazione consiste nel fatto che egli conosce solo un certo distretto ed eventualmente suoi annessi e connessi". Non sono comunque assenti figure imprenditoriali con caratteristiche più manageriali, che tendono verso uno stile gestionale diverso, che si orientano verso la diversificazione delle funzioni imprenditoriali. Esse scelgono per lo più i propri collaboratori tra i familiari che poi realizzano la loro formazione in fabbrica. "Io curo la parte commerciale. Nessuna formazione in particolare. Sono perito elettrotecnico, conosco l'inglese. Lavoro qui da due anni (la fabbrica è stata costruita da mio padre, mio nonno e altri operai), sto imparando il lavoro da uno dei dirigenti". Queste nuove figure operano, in maniera diversa, con un'attenzione maggiore al mercato, più orientate ad una logica di innovazione di processo e di prodotto. Per fare questo, in relazione alle poche risorse finanziarie di cui dispongono, si avvalgono talvolta di collaborazioni o con le aziende produttrici di macchinari o con enti pubblici di ricerca, come l'Enea. Tuttavia, non si può dire che sia in atto una trasformazione della figura imprenditoriale, nell'ambito del distretto, che tenda verso un modello di tipo manageriale, anzi, esaurita la fase delle aziende di soci operai, attualmente sembrano convivere il piccolo imprenditore artigiano, l'imprenditore innovatore e i grandi gruppi finanziari e di fatto. Le caratteristiche dell'imprenditoria locale attualmente sembrano quindi delinearsi su tre tipi di orientamenti: 1) la costituzione di gruppi e la concentrazione di imprese per rispondere all'andamento ciclico dei mercati con una più ampia gamma di prodotti e realizzare maggiori sinergie finanziarie; 2) l'innovazione tecnologica di processo e di prodotto anche a livello di piccolo imprenditore, realizzata reperendo le risorse necessarie attraverso la collaborazione esterna di ditte ed enti pubblici, ma mantenendo il capitale proprio; 3) il mantenimento e l'ampliamento di quote di mercato, attraverso politiche di nicchia con un'offerta di prodotto specializzata e resa possibile dall'elevata flessibilità della mano d'opera impiegata.

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5.2 Le caratteristiche della professionalità

La socializzazione al lavoro e la comunità locale. Il processo di socializzazione al lavoro futuro è sempre stato considerato centrale sia nelle fasi di equilibrio e di mantenimento dei sistemi sociali, sia nelle fasi di transizione. Gli studi intorno alla "socializzazione anticipatoria" al lavoro futuro sono riconducibili a diversi modelli e correnti di pensiero. Si va dal modello teorico integrazionista fino alle nuove terie emergenti. Il modello teorico-integrazionista sottolinea la funzione prevalente dell'ambiente circostante nella trasmissione, attraverso i meccanismi di identificazione e imitazione, del patrimonio consolidato di norme, valori e conoscenze. L'apprendimento sociale avviene attraverso l'acquisizione di ruoli adeguati ad una specifica situazione sociale, fino ad arrivare ad una sorta di "dotazione di partenza". Questa favorirà la nascita di atteggiamenti pre-professionali e di rappresentazioni del proprio futuro occupazionale. L'attività paterna, le proiezioni che il soggetto ha di sé nell'attività lavorativa futura, i significati culturalmente attribuiti al lavoro da parte dell'ambiente circostante, gli effetti legati all'ingresso nel mondo del lavoro rappresentano variabili influenti. È soprattutto a livello adolescenziale che si verificano tali rappresentazioni ed è importante che esse siano adeguate alla realtà economico-produttiva realmente presente sul territorio. I contenuti di tali teorie sono stati ripresi, in parte, alla fine degli anni '70 da psicologi del lavoro (Logquist e Dawis) e applicati alla teoria della Work personality, secondo la quale la personalità costituisce una sorta di struttura socio-psicologica che si forma prima ancora di entrare nel mondo lavorativo vero e proprio, in relazione al contesto in cui si vive. La socializzazione è stata anche interpretata, da parte dei teorici della riproduzione sociale e culturale di ispirazione marxista, come il mezzo attraverso cui si rende possibile la riproduzione della stratificazione sociale esistente alla luce dei condizionamenti sociali e dell'influenza da parte della cultura dominante. In contrasto con la teoria "tradizionale" sono le nuove teorie emergenti che si basano, invece, sul principio della comunicazione, ponendo l'accento sull'individuo e sul rifiuto di una società già precostituita. Gli esponenti di questa teoria parlano di interazione faccia a faccia (Goffman), di agire comunicativo sui valori opposto all'agire utilitaristico secondo lo scopo (Habermans), di contesto interattivo (Crozier). Alla base del modello comunicativo è l'idea della socializzazione intesa come processo cognitivo di costruzione del sapere e degli orientamenti di valore (saper essere, saper fare) all'interno delle diverse situazioni e avvenimenti sociali. Nel modello comunicativo è implicita una sorta di "patteggiamento" tra l'attore sociale e l'ambiente, a differenza del modello tradizionale, dove attraverso l'adulto viene trasmesso alle nuove generazioni un bagaglio di conoscenze e valori che non è posto in discussione. In particolare le nuove teorie circa la "complessità sociale e l'identità" rivendicano e sottolineano l'importanza di variabili di tipo soggettivo e individuale (e quindi non sempre prevedibili) nella costruzione dell'identità che si forma, quindi, attraverso un processo sociale in cui le aspettative, i bisogni, gli atteggiamenti personali hanno un loro peso e condizionano i vissuti dei soggetti. Gli studi sui distretti industriali sottolineano l'influenza che l'ambiente in cui si vive esercita nel far sì che si creino delle rappresentazioni del proprio futuro lavorativo e che sulla base di tali rappresentazioni si sia portati all'acquisizioni di quelle competenze, conoscenze e abilità che fanno parte del "patrimonio del distretto" . "Nei distretti industriali le esperienze in famiglia, le esperienze

lavorative saltuarie, la scuola convergono nel fornire alle nuove generazioni gli elementi di base della professionalità del distretto" (S. Brusco). Marshall parla di "atmosfera industriale" e del fatto che "i segreti dell'industria sono nell'aria" riferendosi a quella sorta di formazione invisibile alla professionalità che si verifica all'interno delle aree caratterizzate da concentrazione locale di imprese. Becattini (1987) parla di "ispessimento di relazioni" che si ricollegano ad una situazione di vicinanza in cui gli scambi e le comunicazioni hanno un carattere fluido e immediato. La socializzazione al lavoro è un processo complesso che contiene più dimensioni. Soprattutto per i giovani che vivono in un'"atmosfera industriale" può assumere caratteri di conflittualità tra un sistema che preme per plasmarli secondo i criteri che regolano l'identità collettiva locale e la loro identità, il loro sviluppo personale. In un sistema sociale orientato al conformismo e alla riproduzione passiva dei modelli comportamentali esistenti, si verificano delle dinamiche tali da poter spingere i soggetti a compiere involontariamente e non consapevolmente modifiche nelle proprie aspirazioni, interessi e comportamenti individuali. Nei distretti si è di fronte a "una costruzione sociale prodotta da generazioni di lavoratori. Una costruzione basata su interessi economici e su un capitale simbolico di risorse normative negoziata e rinegoziata periodicamente con la controparte, all'occasione difesa da intrusioni esterne" (A. Baldissera 1990) La professionalità stessa del lavoratore viene vissuta da parte della comunità come un "bene della comunità" che è funzionale non solo al lavoratore ma anche a tutto il distretto. Una delle caratteristiche dei distretti, infatti, è proprio il fatto che anche se i lavoratori passano da un'azienda ad un'altra il "sapere del distretto" non viene perduto, ma anzi è proprio il fatto che nel distretto vengono riconosciute e ricercate quelle specifiche abilità professionali che induce i lavoratori a concentrarsi nell'area distrettuale. Inoltre bisogna considerare che alcune abilità e conoscenze particolari possedute dai lavoratori non solo sono "focolai di identità collettive" (A. Baldissera 1990), ma possono trovare valorizzazione solo in un contesto produttivo ben specifico e all'interno di un dato processo produttivo. Affinché le risorse umane vengano utilizzate occorre, inoltre, una capacità imprenditoriale in grado di impiegarle. "La valorizzazione della conoscenza e qualificazione della competenza del capitale umano si sviluppa spesso nel quotidiano delle relazioni di lavoro ed è diffuso anche nelle forze di lavoro alle dipendenze che costituiscono la forza dell'impresa" (Calza Bini 1993). Il sistema omogeneo di valori in termini di etica del lavoro, della famiglia, di norme non scritte e conoscenze costituisce uno dei requisiti fondamentali che non solo è alla base della formazione di un distretto ma anche della sua sopravvivenza e riproduzione in quanto costituisce una sorta di "collante" sociale. Il sistema di valori comunitario si riproduce perché, accanto ad esso si è sviluppato un sistema di norme e regole formali e informali che ne garantiscano la trasmissione all'interno delle generazioni. Il distretto visto dall'esterno si configura come un sistema chiuso, anche se poi richiede continui scambi, soprattutto a livello di mercato, con il mondo esterno. In particolare c'è una sorta di orgoglio e di fierezza che deriva dall'appartenere alla propria comunità e che si palesa in una sorta di "resistenza pacifica" nei confronti delle comunità circostanti. Nondimeno non si può non considerare che alcune variabili di tipo endogeno (per esempio le caratteristiche e la composizione della forza lavoro, i mutamenti degli assetti societari etc.) ed esogene (per esempio la tecnologia, l'entrata nel mercato unico europeo, gli effetti della globalizzazione in termini di mercato etc.) hanno avuto, continuano e continueranno ad avere degli effetti a livello di comunità locale che inducono costantemente la ricerca di "un equilibrio". 69

Ricerche recenti (Bortolotti 1994) hanno evidenziato una diminuzione del "consenso sociale" all'interno dei distretti. L'aumento della scolarizzazione (pur sempre poco orientata alla formazione universitaria), l'emergere di ceti terziarizzati e non direttamente legati alla produzione locale, il diffondersi di atteggiamenti "urbani" tra i giovani, una diminuzione dell'appetibilità del lavoro in fabbrica sono fattori che possono contribuire ad alterare l'equilibrio interno del distretto con conseguenze sulla struttura occcupazionale e produttiva locale. Le radici storico culturali delle professioni. Nella letteratura del settore sono stati individuati due differenti filoni di analisi. Il primo si ricollega alle radici agricole degli imprenditori dei distretti e sostiene la tesi secondo la quale il possesso di una piccola proprietà terriera avrebbe favorito il costituirsi di una cultura del lavoro autonomo e di una sorta di socializzazione al lavoro imprenditoriale. Il secondo filone di analisi si ricollega alle radici industriali, alla presenza di una concentrazione di fabbriche e di operai specializzati ed è collegata all'esistenza "in loco" di scuole professionali. Il caso del comprensorio di Civita Castellana è per certi versi atipico, infatti è necesssario distinguere il comune di Civita Castellana dagli altri comuni facenti parte del comprensorio. Civita Castellana, com'è noto, ha una matrice in principio di tipo artigianale che, in seguito, si è evoluta in industriale fino alla creazione delle prime fabbriche. Lo sviluppo del polo ceramico è stato reso possibile anche grazie all'accumulazione e alla sedimentazione storica di know how tecnico. Le radici degli altri comuni sono invece di tipo agricolo e l’agricoltura continua tutt'oggi ad avere un peso rilevante nell'economia locale. Le prime fabbriche sono nate a Civita Castellana e vi lavoravano esclusivamente "civitonici", in seguito per varie ragioni, prima si è verificata "importazione di manodopera" dai comuni limitrofi poi gli imprenditori di Civita Castellana hanno cominciato a costruire fabbriche nei comuni circostanti. L'educazione e la formazione al lavoro si sono sviluppate, così come spesso accade nei distretti, attraverso le relazioni sociali e comunitarie piuttosto che attreverso le istituzioni scolastiche e formative ( Calza Bini 1994) Viene da chiedersi quanto della cultura originaria si è trasferito nel distretto e quanto è rimasto nelle professionalità e nella cultura lavorativa sia degli imprenditori che dei lavoratori. Perché gli imprenditori sono quasi esclusivamente civitonici? Per quale motivo nei comuni intorno a Civita Castellana, dove sono nate le fabbriche, non si è scatenato quel processo imitativo (da parte dei non civitonici) che sembra essere una delle caratteristiche dei distretti? Una risposta potrebbe essere data proprio facendo riferimento alla matrice contadina "degli altri" lavoratori della ceramica. Per esempio la cooperazione all'interno del distretto, nelle sue varie forme, (consapevole, semiconsapevole o inconscia (Becattini)), si pensi alle fabbriche di soci-operai o alla circolazione informale delle informazioni, non può definirsi come un tratto tipico della cultura imprenditoriale contadina. Altra variabile influente è stata sicuramenta l'orgoglio civitonico e una certa "impermeabilità" degli abitanti di Civita Castellana nei confronti degli altri abitanti del comprensorio. La prima distinzione che viene fatta è che gli abitanti di Civita Castellana sono ceramisti "gli altri" sono agricoltori. Racconta un ex ceramista: "A Civita i ceramisti hanno un certo spirito di sacrificio, a lavorare dentro la fabbrica ci si ammala. ... Ma quando hanno iniziato a venire anche dai paesi vicini, Gallese, Corchiano, si è cominciato a rompere qualcosa. Io vivevo solo della ceramica però quello che veniva da Corchiano magari aveva anche la vigna". "... Nelle fabbriche in cui la stragrande maggioranza veniva dalle zone agricole, nel mese di luglio sparivano tutti a raccogliere il grano e mancavano gli operai, quando era settembre si doveva

vendemmiare e allora il responsabile della ceramica disse agli operai di decidere se fare i contadini o gli operai. Il civitonico andava sempre a lavorare perché faceva quello e basta e ancora oggi è così". Nell'ambito delle professionalità la ricerca si è posta un duplice obiettivo. Da un lato quello di identificare le varie figure professionali che intervengono nelle diverse fasi del ciclo produttivo e come queste si vanno modificando in relazione ai cambiamenti nel ciclo produttivo, dall'altro analizzare come si sviluppano e come nascono le varie professionalità e analizzare il ruolo svolto dall'ambiente circostante nel far sì che tali professionalità nascano e si diffondano. Molteplici sono stati i contributi offerti dalla sociologia del lavoro e dalla sociologia dell'organizzazione nella definizione del concetto di professionalità. Senza voler in questa sede ripercorrere le varie tappe del dibattito sembra utile chiarire che la professionalità è qui intesa come sintesi di capacità, conoscenze, competenze. Dal punto di vista del concetto sociologico essa si qualifica come "l'attività effettivamente svolta vista nella funzione che ha e nelle relazioni che essa costituisce" (F. Butera). Nello stesso tempo nell'esercizio di un lavoro convivono dimensioni etiche, sociali e culturali di cui non si può non tenere conto. Nell'ambito degli studi sociologici si è ormai diffusa una lettura della professionalità in termini multidimensionali e scomponibile in: abilità manuali, conoscenza, autonomia, polifunzionalità e responsabilità. (G. Cerruti, W. Tousijn 1990) L'apprendimento delle professionalità. Civita Castellana presenta senza dubbio la caratteristica tipica dei distretti industriali in termini di apprendimento della professionalità. Fin dalle prime interviste ci è stato detto che "il sapere di ceramica è nell'aria" e che nascere civitonico equivale al saper lavorare la ceramica. Indubbiamente l'ambiente sociale gioca un ruolo di primo piano nel fornire stimoli e informazioni ai soggetti che fanno parte della comunità. Ma come nasce la figura del ceramista? Abbiamo chiesto a un ex-ceramista, ex socio-operaio di raccontarci come ha iniziato la sua attività: "Io avevo 13 anni ho finito la scuola e sono andato in fabbrica. È la storia di tutti noi. Ho iniziato prima a fare l'apprendista, ... e ho iniziato a fare i lavandini. Adesso a 60 anni sto in pensione perché ho raggiunto il massimo dei contributi. La nostra vecchia storia è che a 14-15 anni si andava in fabbrica. È stata la nostra fortuna e sfortuna. Sfortuna perché abbiamo tutti la silicosi, l'80%. Questo però permetteva a tutti noi di vivere. Sa... passata la guerra, io sono del '35, nel '50 trovare un posto di lavoro era una fortuna. A Civita Castellana hanno assorbito parecchia manodopera. Siamo vissuti intorno a queste fabbriche, tutti lì. Avevamo degli ottimi tornianti, li abbiamo pure esportati fuori. Facevamo una ceramica più bella di Deruta poi invece è prevalsa la ceramica industriale. Questo nel periodo degli anni '50." In questo capitolo sono state considerate quelle parti delle interviste che riguardano i vissuti soggettivi delle persone che esercitano le varie professioni nel settore ceramico e le loro opinioni specifiche sulle caratteristiche della professioni stesse. Grande importanza è stata attribuita alle immagini e alle rappresentazioni che i soggetti hanno del loro lavoro. Si è ritenuto infatti, che le rappresentazioni del lavoro abbiano una loro valenza sociale e che abbiano la funzione "di ordinare e dare senso alla realtà esterna... di rendere possibile la comunicazione tra i membri di una stessa comunità, di specificare e giustificare il comportamento del soggetto anche agli occhi degli altri" (Sarchielli 1993, 1994) 71

" Io sono 25 anni che sono ceramista e quello che ho imparato l'ho imparato con gli occhi, pure se ho avuto una persona anziana, abbastanza in gamba che mi ha istradato su come si lavorava, non è che io lavoro ancora come quello, ma sulla rifinitura ... ho ancora tutti quei movimenti, quegli accorgimenti ... io mi ricordo quando facevo colazione andavo a imparare da quelli più bravi, mentre mangiavo imparavo. Se avevo un problema mi riferivo a quelli più bravi. Cosa che oggi è diventato l'inverso, se c'è un problema ci mettiamo in tre o quattro e si risolve." " Succede che tu entri in fabbrica e appena entri ci metti 10 ore a fare i pezzi che gli altri fanno in 6 ore e allora cerchi di stare appresso agli altri per imparare come si fa a fare prima. I primi mesi è dura, gli altri ti aiutano, non c'è una vera e propria formazione professionale. Gli anziani sono operai che sanno risolvere i problemi, perché in ceramica ci stanno sempre problemi, non si finisce mai di imparare." L'apprendimento, quasi spontaneo della professionalità avviene dunque attraverso relazioni di tipo prevalentemente informale. L'affiancamento è stato fin dalle origini del distretto lo strumento attraverso il quale l'operaio anziano trasmetteva la sua professionalità all'operaio giovane. È la natura del lavoro stesso che porta gli operai a cooperare e a collaborare tra di loro, questo avviene ancora oggi, soprattutto nelle fabbriche non completamente automatizzate, per esempio nei reparti del colaggio a mano. Chiaramente, l'assenza di formalità non implica l'assenza delle regole, infatti è cosa nota che le regole "non scritte" abbiano un'efficacia assai maggiore, all'interno dei gruppi, delle cosiddette regole formali. Entra in gioco la cultura della fabbrica e il sistema di valori condivisi. L'attività di affiancamento ha quindi da un lato la funzione di favorire il trasferimento delle competenze acquisite e in questo senso fornire una sorta di specializzazione professionale, dall'altro la trasmissione dei valori culturali dell'azienda Il patrimonio professionale. "L'operaio di Civita Castellana ha ormai come un patrimonio ..." "L'apprendimento avviene col tempo, non ci sono altri modi perché la lavorazione della ceramica è così particolare. Capire qual'è il tempo che può far staccare un pezzo o no, capire qual'è la barbottina che può creare dei problemi o no, capire se bisogna in base alla barbottina scolare il pezzo o cinque minuti prima o dopo, sono tutte cose che si apprendono col tempo. " "Un colatore bravo è quell'operaio che sa quanto può essere lungo un tempo di colata, sa quanto può essere lungo il tempo di tiraggio del pezzo all'interno della stampa, conosce a colpo d'occhio se la barbottina può essere difettosa o no. Sa quali possono essere le condizioni ambientali più favorevoli ad una produzione migliore e meno favorevoli. È in grado di produrre un'intera gamma di serie, di prodotti diversi." "... Con il tempo acquisisci una certa esperienza, lo vedi ad occhio se la vernice copre o non copre: Una volta per controllare la vernice si metteva un dito dentro alla tinozza di vernice e si tirava su, se cadevano cinque gocce la vernice era perfetta, se erano di meno era fitta, bisognava aggiungere l'acqua, mentre se erano più gocce bisognava aggiungere vernice: questa è l'esperienza, sono quei piccoli particolari che uno acquisisce quando sta dentro." C'è nell'operaio di Civita Castellana la consapevolezza del possesso di un patrimonio professionale personale che egli ritiene di possedere e su cui influisce senza dubbio un'esperienzza storica di contrattazioni sindacali per il riconoscimento da parte dell'azienda del proprio patrimonio professionale. C'è nei "lavoratori civitonici" una sorta di orgoglio, non solo legato alla competenza lavorativa ma anche al paese di origine. Dalle interviste è emerso che "il civitonico lo si trova tra i

formatori, i modellisti, tra quella gente, insomma che ha bisogno di maggiore professionalità". Sembra che nel civitonico si sia sviluppata, negli ultimi sei o sette anni, culturalmente l'idea di evitare alcune mansioni del ciclo produttivo, come per esempio quelle di manovalanza semplice o quelle legate al mestiere del "turnista". Per "gli altri operai" del comprensorio l'approccio al lavoro sembra diverso. In loro convive l'identità operaia con l'identità contadina. In quanto tale, è una manodopera che condivide atteggiamenti e valori diversi nei confronti del lavoro in fabbrica, lavoro che viene in molti casi considerato come un'integrazione a quello della terra, quel lavoro che magari consente di vivere anche nelle annate in cui il raccolto è andato male. La formazione. "Mai avuti grossi chimici qui, i chimici qui sono nati per eredità, c'avevano il libretto, che noi diciamo il libretto di Mago Merlino dove c'era scritto come era fatta la barbetta. Ora le cose stanno cambiando." "Noi preferiamo assumere gente che non abbia delle conoscenze e formarla all'interno. Molte persone vengono con dei preconcetti, invece in ceramica bisogna imparare, è un'esperienza continua, ogni giorno c'è un problema nuovo." " ... Il mestiere si impara qui, si mettono dietro un operaio che ha una certa esperienza e imparano. Non c'è collegamento tra scuola e fabbrica, è impossibile perché non hanno nemmeno a disposizione le cose per poter imparare. Dovrebbero mandarli in fabbrica per fargli dare un esame, per potergli dare un riconoscimento di specializzazione, ma debbono farlo negli stabilimenti. Dovrebbero usufruire delle fabbriche per fargli fare qualche ora la mattina di pratica." " Non ci vuole tanto a fare un pezzo, è una cosa che si impara presto. Una volta quando si faceva a mano ... Uno che entra nuovo in tre mesi è pure capace a colare poi il resto si impara." La formazione è dunque on the job e prevalentemente di tipo informale, i tempi di affiancamento sono piuttosto brevi. L'esistenza a Civita Castellana dell'Istituto d'arte, con un indirizzo specificatamente rivolto all'industria della ceramica, la presenza di una scuola di formazione per la ceramica, la presenza di istituti professionali da cui potrebbero uscire tecnici diplomati in chimica, non sembrano avere fino a questo momento modificato le modalità dell'apprendimento lavorativo. A parte qualche sporadico tentativo, è sempre mancato e manca tuttora un collegamento tra le scuole professionali presenti sul territorio e le imprese. I programmi scolastici dell'Istituto d'Arte prevedono la formazione delle seguenti figure professionale legate all'industria della ceramica: il formatore, il modellista, il decoratore, lo smaltatore, il progettista. Difficilmente la formazione scolastica è legata alla professione svolta e anzi talvolta gli imprenditori stessi preferiscono formare una persona "ex novo" piuttosto che assumerne una che proviene da una formazione "istituzionale". I giovani. "... Io a mio figlio assolutamente non gli faccio mettere piede in fabbrica, ho fatto delle guerre per farlo studiare, perché lui ha fatto ragioneria e poi voleva andare a lavorare ... Lui non è soddisfatto perché gli piaceva di andare subito a lavorare perché gli amici suoi avevano i soldi in mano, più di quelli che aveva lui, si è sempre rammaricato di questo fatto." " No i giovani secondo me non vogliono più fare questo mestiere. È un lavoro faticoso. Qui c'è la silicosi ... I giovani vogliono lavori meno faticosi." "No, mio figlio fa il liceo classico, andrà all'università, io spero che cambierà strada ..." 73

Nel corso dell'indagine ci siamo chiesti spesso quali sono le motivazioni che spingono ancora oggi i ragazzi ad entrare in fabbrica, a svolgere un lavoro duro in cui è implicita la possibilità di contrarre la silicosi e a non tentare invece di proseguire gli studi. Il ruolo svolto dall'ambiente sociale è anche in questo caso rilevante. Civita Castellana è una comunità in cui, negli anni, si è raggiunto un livello di agiatezza economica abbastanza elevato, ma, insieme al benessere economico è subentrato anche il consumismo, le mode, e sembra che "i giovani civitonici" da un lato siano facilmente attratti dalla possibilità di guadagni a breve termine, dall'altro siano scoraggiati nel proseguimento degli studi dalle difficoltà dei collegamenti in cui si trovano le facoltà universitarie. Su questi fattori influisce poi naturalmente la cultura comunitaria, talvolta la continuità con la tradizione familiare.

I criteri di selezione. "L'imprenditore prende la persona che più gli aggrada se nella scuola trova la persona già un po’ formata e che non dà fastidio dal punto di vista sindacale lo assume." "Se manca un operaio io mi metto alla ricerca e cerco di trovarne uno già fatto che è stato nelle altre aziende e cerco di portarlo via, sono sincero ..." "Uno che entra nuovo in tre mesi è pure capace di colare, poi il resto si impara. Io non lo vedo difficile." "Io dico che in un mese apprendono tutto. Con un mese un operaio può già lavorare, poi oggi con la meccanizzazione è anche più semplice. Qualche danno fa parte del rodaggio." " I problemi che danno i singoli addetti ed i criteri di valutazione delle aziende sui singoli non sono quasi mai di tipo professionale, è difficile che l'azienda dica che il lavoratore non gli piace perché non sa lavorare. Molto più spesso il lavoratore non piace perché è un assenteista, si comporta male con i compagni di lavoro, difficilmente si sente dire che non è capace." I criteri di selezione nell'assunzione degli operai sono molto spesso basati sulla conoscenza personale da parte dell'imprenditore. La maggior parte degli intervistati è concorde nel sostenere che qualunque persona "volenterosa" sia in grado nel tempo di apprendere il mestiere del ceramista, soprattutto da quando sono state introdotte le macchine. L'impressione che si ha dai colloqui avuti con gli imprenditori è quella che il peso maggiore nella decisione di assumere una persona lo abbia la sua personalità, il fatto di essere o no un "buon lavoratore", dal momento che la competenza, in fondo, non è un problema: in parte è già "tacita" all'interno del lavoratore e in parte verrà acquisita con l'esperienza. Gli imprenditori leader si trovano spesso in una condizione di vantaggio e riescono a "rubare" gli operai più qualificati alle altre aziende evitando quindi di dover investire nei costi della formazione iniziale e in una minore produttività dell'operaio principiante. Le professionalità e l'innovazione tecnologica Dagli anni '60 in poi sono subentrati cambiamenti nella professionalità dovuti all'introduzione delle innovazioni tecnologiche. Occorre distinguere tra i due settori. Nel settore dei sanitari è stata introdotta la figura del colatore (prima si lavorava con lo stampaggio a mano), figura che diventa centrale, dal momento che il reparto colaggio è il cuore dell'azienda. Fino agli anni '85-'87 non ci sono grandi modificazioni nelle professionalità finché non vengono introdotte le macchine per il colaggio semiautomatico e automatico. Questo ha indotto dei cambiamenti:

" A macchina è un pò più brutto perché si fanno più pezzi, mentre a mano, magari hai più tempi morti, magari hai la possibilità di fumare una sigaretta, a macchina vai appresso alla macchina ... A mano si sta meglio, parliamoci chiaro, anche se c'è più fatica a mano si sta meglio. A mano poi stai pure uno vicino all'altro mentre lavori, parli." "I giovani a macchina non hanno problemi. Il caporeparto ti insegna tutti i movimenti che devi fare, all'inizio li fa proprio lui." "Il punto di aggregazione non è più nella fabbrica ma all'esterno. Quando si è accellerata la produzione, la tecnica e le altre cose, è caduto il sistema." "Alla macchina abbiamo invece un sistema di colaggio dove il rapporto tra il lavoratore e materia prima non c'è più, perché il tubo dove viene immessa la barbetta viene collegato direttamente al tubo principale e quindi allo stampo. Quindi non c'è rapporto tra lavoratore e materia prima. Di solito non hanno problemi." Attualmente accanto alla figura professionale tradizionale del colatore si trovano le figure professionali emergenti legate all'introduzione delle macchine. Un lavoratore-tipo prima dell'introduzione delle macchine nel settore dei sanitari era in grado di produrre 25 pezzi al giorno, oggi è in grado di produrre 35-40 pezzi. L'introduzione delle macchine non ha portato a un miglioramento della qualità del prodotto ma solo a un aumento della quantità. Nella lavorazione a mano l'operaio è in grado di intervenire sulla lavorazione del pezzo, cosa che non è possibile se la lavorazione è eseguita con le macchine e, aumentando il numero di pezzi prodotti da ogni operaio, diminuisce l'attenzione riposta sul singolo pezzo. Sembra comunque che, nel futuro prossimo, non sia prevista la sostituzione totale del colaggio a mano con il colaggio a macchina dal momento che alcune serie di prodotti devono necessariamente essere colate a mano o per motivi tecnici o per gli eccessivi costi che la produzione di questi richiederebbe con il colaggio in modo automatico. L'avvento delle macchine ha sicuramente modificato le caratteristiche originarie della professionalità del colatore. A macchina, rispetto al colaggio manuale manca il contatto con la materia, i pezzi vengono colati tutti insieme, diminuisce la responsabilità da parte del colatore (spesso è il caporeparto che indica i tempi del colaggio), un errore nel tempo di colaggio a macchina comprometterebbe la riuscita di tutti i pezzi. "Nel colaggio a mano bisogna stare attenti anche a quando si "smappa" cioè quando si staccano le varie parti dello stampo, io sono 15 anni che faccio pezzi speciali, non è che sono serie economiche sono quelle grandi, tocca stare attenti perché se non aspetti il tempo dovuto specialmente il venerdì e il sabato che gli stampi sono più umidi, quando vai ad aprire ed il pezzo dovrebbe rimanere dritto c'è pericolo che il pezzo si «sballi» ..." Il colatore si occupa anche della rifinitura dei "pezzi". Questa è la fase del ciclo produttivo in cui maggiore è l'esposizione alle polveri di silicio. Il collaudo è un'altra fase delicata. "Quando il pezzo va al collaudo gli passano il petrolio, per vedere se ci stanno spacchi, perché dopo, quando passa in forno gli spacchi si vedono ... dovrebbero controllare se è funzionante, cioè se sono stati fatti gli scarichi." Altri cambiamenti all'interno delle professionalità dovuti all'innovazione tecnologica hanno riguardato la figura dello spruzzatore. È da circa dieci anni che in molte fabbriche è stato introdotto 75

il robot per la spruzzatura, di conseguenza lo spruzzatore si occupa o di serie particolari o di colori particolari. "Nella smaltatura la meccanizzazione è stata valida non tanto come resa ma quanto per il fatto che non siamo condizionati alla persona che una mattina non viene. Non è un lavoro che chiunque può fare. Lo spruzzatore vuole una professionalità." "Gli spruzzatori a mano sono rimasti per i pezzi particolari e per il colorato. Qui c'è un caporeparto che imposta la figura quando la vede e mette in moto il meccanismo e poi è tutto automatico. I programmi li fa il caporeparto con un operaio che noi abbiamo formato qui. Ci vuole una smalto un po’ più adatto per i robot e il chimico deve fare lo smalto per i robot." Nel settore delle stoviglierie la meccanizzazione è stata introdotta molti anni prima e i cambiamenti nella professionalità hanno sempre seguito i ritmi delle macchine, che, con varie modifiche, sono state tratte dal ciclo produttivo delle piastrelle. A Civita Castellana la maggior parte delle fabbriche di stoviglierie che lavorano su base industriale e non artigianale sono automatizzate (chiaramente a livelli diversi, le aziende leader lo sono maggiormente). "... Con l'utilizzo delle macchine non ci vuole una particolare abilità ... La macchina la controlla il meccanico...L'obiettivo nostro è quello di creare delle persone che sappiano mettere le mani sulla macchina e questo permette di dare una certa responsabilità all'operatore e di avere una persona che in caso di difetto della macchina è in grado di segnalarlo al capostabilimento. Anche se oggi l'obiettivo è quello di ridurre il personale però ci saranno dei posti dove non potrà mai mancare. La persona che controlla il normale andamento delle macchine ci sarà sempre." "Qui (nelle stoviglierie, ndr) la professionalità è legata soprattutto alla conoscenza della macchina." "... Controllano che la macchina lavori in maniera regolare, si occupano di controllare gli stampi, le lame, le presse, i pistoni, ... la macchina funziona in maniera automatica ma deve essere sempre seguita costantemente. Gli operai che lavorano a questa macchina dovrebbero sempre operare ognuno nel suo preciso posto di lavoro o in entrata o in uscita della macchina, secondo le direttive dell'azienda, ma ciò non avviene sempre in maniera regolare, ogni tanto loro si danno il cambio e capita che uno lavori al posto dell'altro. Diciamo che un operaio viene assunto per fare sempre lo stesso tipo di lavoro." Buona parte delle figure professionali richieste nelle fabbriche automatizzate di stoviglierie sono dunque operai addetti alla macchina che lavorano nella "catena di produzione". "L'operaio che lavora nella stoviglieria, sicuramente fatica molto ma molto di meno, però ha dei ritmi più veloci, deve stare dietro alle macchine, alla macchina che bagna i pezzi, calcoli che qui alla ... si parla di 100.000-120.000 pezzi al giorno, se una ragazza, perché in quei posti maggiormente ci lavorano le donne, dovesse andare al bagno deve essere sostituita perché si blocca tutto quanto. Mentre invece, qui (nei sanitari) no, l'andamento è più blando, più calmo." Tra le figure professionali tradizionali all'interno delle fabbriche si trovano ancora le decoratrici. Parliamo al femminile perché la maggior parte sono donne. I decori sono eseguiti sia a mano (in media 30 l'ora) che con gli stampi (in media 130 l'ora). "È un lavoro che a me comunque piace, è si un lavoro meccanico, però c'è la mia mano ..." In alcune fabbriche sono state inserite delle macchine che attraverso la tampografia o la serigrafia impromono il decoro sui piatti.

"... Qui c'è stata tutta una trasformazione: in passato a Civita Castellana c'erano circa trecento donne che decoravano a mano. Poi a causa di problemi sindacali e altro si è creata una situazione per cui da un accordo che stabiliva una produzione di 500 pezzi al giorno, dopo diverse lotte, dopo dieci giorni se ne facevano mille per prendere la paga doppia. In questo modo ci siamo trovati fuori mercato, abbiamo dovuto aguzzare l'ingegno e siamo andati da chi fa le decalcomanie che ce le ha fatte storte, come se fossero state pennellate a mano, così siamo passati ad una produzione di 10.000 pezzi al giorno. La conseguenza è stata cha abbiamo perso quei 300 posti di lavoro e abbiamo perso una caratteristica di Civita nella produzione di stoviglierie, dei piatti a fasce in terraglia, con dei grandi fiori che veniva realizzata tutta qui." Le donne spesso si trovano oltre che nei reparti della decorazione, nel reparto scelta e inscatolamento. Se non si può parlare di una vera e propria discriminazione allocatoria delle mansioni rispetto alle donne è pur vero che all'interno del distretto è diffusa la convinzione che vi siano delle professionalità per cui sono più portate le donne ed altre che sono di dominio maschile. "Le scelte sulle donne sono state un giocoforza a causa degli orari di lavoro e del fatto che sono sposate e fanno i figli. Le donne in tante cose sono più utili degli uomini, ma sinceramente comportano dei problemi." Il modellista-madreformista è ancora tra le figure maggiormente professionalizzate ed in cui è presente una forte manualità. Il bravo modellista è quello che ha acquisito esperienza e conoscenza tecnica sul posto di lavoro. Anche per questa figura professionale scarso è il collegamento con l'Istituto d'arte e la scuola di formazione. "... Il modellista non è quello che fa il disegno, a volta anche, ma è un interprete, però deve anche sapere se una forma funziona o no, deve saper leggere il disegno e interpretare l'oggetto, deve anche essere in grado di fare delle modifiche al progetto stesso." " Il modellista già sa come viene fatta la madreforma o deve comunque saperlo. Non è posssinile che facendo un modello poi non si riesce a fare la madreforma, quindi uno deve essere prima un bravo madreformista e poi modellista." "... Questo che vedete non è un ricamo ma è per la tenuta del lavabo. Man mano che è stato fatto il modello si trovavano delle difficoltà e si sono trovate delle curvature per sostenere il modello. Ogni minimo particolare del pezzo è ragionato, non c'è niente lasciato al caso." Il chimico è una figura professionale molto importante, è il responsabile della preparazione degli impasti. Generalmente è un consulente. "Il chimico interviene continuamente. Il problema non c'è solo col cambio di stagione ma giornalmente perché anche un piccolo sbalzo di umidità ti fa la differenza per cui si deve cambiare l'impasto." "Il chimico in genere è un tecnico che si forma in fabbrica, per chi ha studiato c'è da togliersi tanto di cappello, ma a Civita molti sono praticoni." A Civita Castellana non si verifica frequentemente lo scambio di figure professionali tra i due settori e anche la mobilità all'interno della stessa fabbrica è piuttosto limitata. "Qualche cambio c'è stato di qualche operaio che dalle stoviglierie viene a lavorare qui, ci viene perché gli piace cambiare, guadagnare qualche cosa di più." 77

"Difficilmente un operaio può cambiare reparto, se viene assunto per fare un certo tipo di lavoro molto probabilmente, se non cambia azienda lavorerà per tutta la vita all'interno del suo reparto." Non sembrano esserci, a detta delle persone intervistate particolari carenze di figure professionali legate al ciclo produttivo, qualche difficoltà in più si incontra nel ricercare figure maggiormente professionalizzate, magari con qualche anno di esperienza alle spalle. Grande carenza sembra esserci invece per quel che riguarda i meccanici addetti alla manutenzione delle macchine, ingegneri, tecnici di un certo livello e consulenti. "I quadri" sono figure professionali relativamente recenti a Civita Castellana. Molte delle figure che operano a livello amministrativo nelle aziende sono o lavoratori (talvolta ex soci) provenienti dalla produzione o persone assunte sulla base di rapporti di tipo amicale o parentale. Nella maggior parte dei casi sono diplomati. L'incremento dei quadri è un fenomeno degli ultimi otto o nove anni ed è da attribuirsi soprattutto all’ampliamento dei mercati.

Capitolo VI LE IMPRESE E IL MERCATO

La letteratura del settore evidenzia come i distretti industriali siano tradizionalmente legati alle esportazioni e come uno dei nodi centrali dei distretti sia stata e resti la capacità di scoprire, coltivare e servire mercati. Superati i momenti di crisi, di cui la più grave fu causata dalla crisi petrolifera del '73, per il polo ceramico di Civita Castellana si è verificata nei primi anni '90 una nuova apertura dei mercati europei ed extraeuropei. A livello di mercato, in relazione alla domanda, occorre differenziare tra i due settori dei sanitari e delle stoviglierie. Nel settore dei sanitari la domanda è legata all'edilizia abitativa e alla ristrutturazione. Come tendenza generale gli operatori evidenziano come il gusto del consumatore finale si sia col passare del tempo "standardizzato". Il settore delle stoviglierie è legato all'andamento delle mode ed è quindi maggiormente soggetto a cambiamenti repentini dei gusti. In particolare le grandi aziende del settore lavorano sulla "quantità" e devono imporsi dei costi marginali bassissimi. In relazione alle quote di mercato nel settore dei sanitari, le aziende di Civita Castellana hanno registrato un aumento costante passando dal 16.5% del 1991, al 20.7% del 1992, al 21.7% del 1993. Tab. 1. Mercato e quote in valore il settore dei sanitari. Produttore Ideal Standard16 Pozzi Ginori7 Dolomite8 Cesame9 Senesi Prima10 Civita Castellana11 Altre Totale

% valore 33.0 11.4 15.4 8.7 2.5 0.7 21.7 6.7 100

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Multinazionale americana, possiede stabilimenti a Pordenone, Brescia, Roccasecca, in Campania. 7 Possiede due stabilimenti a Pordenone (produzione media) ed a Gaeta (produzione medio-alta). Lo stabilimento in Piemonte è chiuso. É stata acquisita da un gruppo finlandese. 8 Possiede uno stabilimento a Belluno. É stata acquisita da un gruppo inglese. 9 Possiede uno stabilimento a Catania. 10 Subentrata alla Spea. 11 Il gruppo include Simas, Venus, Catalano, Facis, Ilca, Kerasan, Ceramica Profili, G.S.I., Globo, Vincenti, Delta.

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Fonte: Centro ceramica. Attualmente, a livello di mercato, si sta attraversando una fase positiva dal momento che gran parte della produzione è destinata all'esportazione e la svalutazione della lira, che è l'elemento trainante in questa fase, ha permesso alle imprese di indirizzare all'estero una quota crescente dei propri prodotti, così da compensare le minori vendite in Italia. In Italia il settore dei sanitari ha risentito del blocco delle commesse pubbliche legato all' "effetto tangentopoli". "In questo momento ... vendiamo però si fatica, perché sta un pò tutto fermo, per questa questione politica, perché se non si rimuovono i cantieri, se non si rimuove l'edilizia, noi siamo legati a loro. Anzi ancora si lavora bene, però si lavora molto sul privato. I nostri clienti vendono soprattutto a dei privati." I dati nazionali relativi al settore dei sanitari mostrano che l’andamento delle vendite sul mercato interno ha subito una flessione in volume del 3.2% per il settore dei sanitari mentre per l'export si registrano tassi di crescita superiori al 10%.

6.1 Le imprese, i mercati di sbocco e le reti di vendita

Attualmente il "distretto" sta attraversando una fase di "maturità" del proprio ciclo di vita, nel quale è in atto un mutamento degli assetti organizzativi. La domanda è comunque in evoluzione ma a un tasso meno elevato rispetto alla fase iniziale e la concorrenza è elevata. Le aziende del polo ceramico, pur avendo molte caratteristiche comuni ed essendo tutte orientate all'export, presentano delle caratteristiche a livello di prodotti che le differenziano tra di loro. Volendo operare una "tipologizzazione" si può dire che la grande impresa è rappresentata da aziende riunite in gruppi industriali e dispone di ampie quote di mercato. La caratteristica principale di tali gruppi è quella di avere attuato una politica di differenziazione rispetto alla produzione in modo tale che anche nei periodi di crisi è possibile per loro mantenere alcune nicchie di mercato aperte. Sono aziende con una rete commerciale sviluppata che si rivolgono anche alla grande distribuzione (Standa, Upim), a grossisti, alla vendita per corrispondenza, alle promozioni e che, negli ultimi anni, hanno compiuto accordi commerciali con grandi catene alimentari, come per esempio la Barilla o con la Procter & Gamble nel settore dei detersivi. Le grandi imprese effettuano investimenti per quanto riguarda la tecnologia e la ricerca, mentre le spese promozionali sono ridotte al minimo. In particolare la grande azienda è rappresentata dalla Quadrifoglio (che inoltre è la più grande in Europa per la produzione in terraglia tenera) che si muove nella fascia medio-bassa del mercato dove la variabile prezzo è una variabile strategica. Tab 2. Gruppi di imprese e caratteristiche commerciali. Tipologia prodotto

QUADRIFOGLIO (stoviglie)

Gruppi strategici

Caratteristiche commerciali QUADRIFOGLIO mercato basso GALLES mercato basso CIPA PRIMULA

grande distribuzione mercato nord-americano, australiano giapponese bassa qualità medio-bassa qualità medio-bassa qualità

GRUPPO SANITARI ITALIA VENUS FACIS DELTA

Seguono le imprese di medie dimensioni (50-200 addetti) che sono solitamente aziende di sanitari, la cui produzione è di circa 600-700 pezzi al giorno e le piccole imprese (fino a 50 dipendenti) che sono generalmente aziende di stoviglierie e producono fino a 4.000 pezzi al giorno. All'interno di queste ultime due tipologie vi sono aziende che hanno operato, pur muovendosi in fasce di mercato basse e medio-basse, delle scelte strategiche e delle politiche di nicchia tali da non renderle concorrenti tra di loro. Per esempio nel settore delle stoviglierie vi sono aziende che producono "pezzi" in terraglia, altre che offrono prodotti collaterali al piatto ad altre ancora che producono "pezzi" in porcellana. 81

Come detto precedentemente, il distretto presenta una forte propensione all'esportazione e negli ultimi anni tutte le imprese hanno accentuato la loro presenza sul mercato internazionale. Le aziende si sono rivolte all'esterno per differenziare i mercati in cui collocare i prodotti. Ciò in parte in risposta alle normative vigenti nei vari Paesi, m anche per attenuare l'impatto provocato dalla crisi della domanda. Per quanto riguarda i principali mercati di sbocco, il settore dei sanitari serve prevalentemente Paesi europei extra-Cee, Paesi europei Cee (Francia, Spagna, Grecia, Germania), Medio Oriente e altri marginali. Per il settore delle stoviglierie gli Stati Uniti sono il primo paese importatore. Seguono Europa, Asia, Medio Oriente, Giappone. La forte internazionalizzazione del distretto è esclusivamente a carattere commerciale e in nessun caso produttiva. Si è verificata negli anni passati, se pur in modo limitato, esportazione di know-how proprio verso quei Paesi che ora si trovano ad essere concorrenti sul mercato (soprattutto Nord Africa). Circa la creazione di imprese in altri paesi (per esempio dei mercati dell'Est) esiste una forte reticenza da parte degli imprenditori del polo ceramico. Questi infatti non amano lunghi soggiorni all'estero, dal momento che questo implicherebbe una delega del controllo delle funzioni produttive e quindi organizzative. Attualmente alcune fabbriche di stoviglierie importano prodotti che vanno ad integrare la loro linea produttiva dei Paesi dell’Est. A livello europeo nel settore dei sanitari (Fig 1) la concorrenza è rappresentata soprattutto da Francia, Spagna e Inghilterra e per il settore delle stoviglierie anche dai Paesi dell'Est. In un'ottica mondiale i principali concorrenti sul mercato sono ancora i Paesi dell'Est e il Brasile che sono in grado di produrre a costi di manodopera inferiori rispetto all'Italia ed hanno, inoltre, materie prime migliori. È soprattutto sulle fasce basse di mercato che si concentra la concorrenza, anche potenziale, di parte dei paesi asiatici (Corea, Tailandia, Taiwan) e la competitività è soprattutto una competitività di prezzo. La distribuzione sul mercato nazionale avviene principalmente attraverso il canale produttore-gente (di solito plurimandatario), anche rivenditore-utilizzatore. Anche sui mercati esteri ci si serve principalmente dell'intermediazione attraverso grossisti-importatori. "Noi in Italia siamo organizzati con agenti plurimandatari. Abbiamo un responsabile delle vendite Italia che si occupa di tutto. Invece, per l'estero, in alcuni paesi siamo rappresentati da agenti, in altri operiamo direttamente."

Fig 1. Ripartizione della produzione europea nel settore dei sanitari 1990 (% sul numero dei pezzi).

21.36

Italia Francia Gran Bretagna Spagna Germania Turchia Portogallo Paesi scandinavi Benelux Austria e Svizzera Grecia

21.02

19.12 16.48

15.07 14.06 14.02

14.24 12.00 9.36

8.02 7.07

7.12 5.03 4.06 4.01

4.48

2.06 1.08

2.24 0.00 %

Fonte: Centro Ceramica

83

Solo le imprese maggiori del distretto hanno sviluppato una propria rete di vendita diretta al cliente finale. Uno dei punti deboli è che spesso le imprese producono per il proprio magazzino e si occupano di stoccare i prodotti, questo perché la maggior parte dei distributori effettua le ordinazioni sulla merce già venduta. "Quando non ci sono ordini si lavora per gli articoli mancanti in magazzino, poi durante l'anno ci sono momenti in cui il mercato ristagna e noi ci prepariamo al successivo creando in magazzino l'assortimento che ci permette nel giro di 40 giorni di fare le consegne complete." A causa del frazionamento della domanda e del mutare in tempi brevi dei modelli richiesti, i grossisti ed i rivenditori non sono disposti a mantenere stock di magazzino. Pertanto lo stoccaggio dei prodotti è divenuto un onere delle aziende, le quali, nello stesso tempo, devono essere in grado di garantire sia consegne in tempi brevi, sia flessibilità nell'ampiezza della gamma dei modelli offerti.

6.2 Fattori di competitività

Ad un primo sguardo d'insieme l'approccio delle imprese del distretto con il mercato sembra essere di tipo passivo, caratterizzato soprattutto dal buon "fiuto" dell'imprenditore. Andando poi ad analizzare i singoli casi si scopre che in realtà delle strategie di mercato ci sono e che queste fanno leva di volta in volta, ora sul prezzo, ora sulla qualità, ora sulla flessibilità. Ciò non toglie che nel comprensorio vi siano ancora aziende per cui il rapporto con il mercato è prevalentemente di tipo "passivo" e le richieste da parte dei clienti rappresentano soprattutto un problema di "produzione". Il fattore prezzo ha avuto fin dall'inizio un ruolo dominante, sicuramente fino agli inizi degli anni '90 e questa fase non si può dire tuttora conclusa, soprattutto per quelle imprese situate su livelli bassi del mercato e che quindi sono maggiormente esposte alla concorrenza dei paesi emergenti. Nel corso degli anni si è assistito sia a una diminuzione del ciclo di vita del prodotto, sia ad un ampliamento della gamma di prodotti dovuto alle esigenze stesse dei consumatori sempre più esposti alle "mode". Il ciclo di vita del prodotto è in genere più breve nelle stoviglierie rispetto ai sanitari, dove le linee "classiche" raggiungono anche i 10 anni di vita. Nel settore delle stoviglierie ci sono aziende che lavorano anche con mille decori, in relazione ai diversi paesi di destinazione dei prodotti e si produce anche su ordinazione del cliente. "I clienti richiedono un cambiamento dei decori se non mensile quantomeno legato alle stagioni. Lo stesso cliente nel corso dell'anno fa 8-10 decori." Tendenzialmente le aziende cercano di limitare ulteriori ampliamenti di gamma che richiederebbero un'elevata flessibilità produttiva, cercando piuttosto di proporre linee classiche adattabili a diversi ambienti e stili di arredamento. In Italia, nel settore dei sanitari negli ultimi anni si è avuta una preferenza del prodotto "bianco" che a Civita Castellana ha la caratteristica di essere molto standardizzato e di non garantire quindi grossi margini di guadagno. All'estero (soprattutto in Medio Oriente), invece, si verifica per le aziende la possibilità di vendere il "decorato" e il "colorato" che permettono più alti margini di guadagno. Come tendenza generale si assiste ad una decisa affermazione del prodotto bianco. Nel settore dei sanitari le serie variano mediamente tra le quattro e le otto per azienda ed hanno una vita media che va dai cinque agli otto anni. Le serie speciali a Civita Castellana vengono prodotte in numero variabile tra tre e otto e sono spesso prodotte su ordinazione. (Tab 3). Mediamente ogni impresa produce almeno due serie economiche. Alcune aziende producono anche serie extralusso. Tab. 3. Ampiezza di gamma di alcune aziende di sanitari. Azzurra Catalano Flaminia Globo Hidra Ilca Kerasan Micas

6 8 7 7 6 4 6 4 85

Profili Simas Simca

8 7 6

Fonte: Centro Ceramica e nostre interviste. In relazione ai prezzi finali esistono dei listini orientativi ma questi non vengono in genere definiti con precisione in quanto gli sconti applicati dalle imprese alla distribuzione possono subire variazioni e pertanto incidono sul prezzo al cliente finale. Anche se per le imprese operanti nella fasce di mercato bassa e medio-bassa la concorrenza sul prezzo continua ad essere strategica, la dimensione d'impresa si è rivelata una variabile chiave che ha in parte influenzato, negli ultimi anni, il tipo di approccio al prodotto-mercato. A livello di distretto una delle reazioni "strategiche" alla crisi è stata la standardizzazione dei prodotti favorita, nel settore dei sanitari, dall'introduzione delle macchine per il colaggio. La standardizzazione ha favorito l'ingrandimento dimensionale delle aziende abbattendo i costi produttivi per unità di prodotto. All'interno delle strategie messe in atto si è mirato sia al mantenimento della flessibilità, che a Civita Castellana al pari di altri distretti è flessibilità della forza lavoro, dei macchinari, delle modalità di lavoro (cottimo) e dello stoccaggio per i magazzini, che all'introduzione della "qualità". Da qualche anno, infatti, pur muovendosi ancora su fasce basse e medio-basse di mercato, gli imprenditori hanno introdotto delle prime politiche di qualità. Nella maggior parte delle fabbriche è presente il reparto collaudo dove lavorano specifiche figure professionali e ormai tutte le fabbriche hanno affiancato ai forni a tunnel i forni ad intermittenza grazie ai quali molte aziende hanno quasi del tutto eliminato la seconda scelta. Si sta inoltre tentando di portare avanti (purtroppo con scarso successo), soprattutto attraverso il Centro Ceramica, una politica finalizzata all'introduzione del marchio di qualità (Civita Quality World). Questo avrebbe una serie di risvolti sia dal punto di vista del consumatore, che avrebbe delle garanzie sul prodotto comprato, sia dal punto di vista commerciale con una campagna promozionale unitaria (e non solo della singola azienda), con una notevole riduzione dei costi promozionali, infine la possibilità di raggiungere prezzi più vantaggiosi di mercato. Quanto alla certificazione di qualità, inoltre, non si può dimenticare che deve essere rispondente alle direttive europee e ai requisiti fondamentali che la Comunità richiede per i diversi tipi di prodotto. Le "imprese leader" del comprensorio si avvalgono da qualche tempo della collaborazione con progettisti e disegnatori. Nel settore dei sanitari vi sono alcune che puntano sull'ampliamento della gamma dei prodotti "particolari" per formati, colori e innovazioni (come per esempio La Flaminia che produce il "vaso a scomparsa"). Altre invece (ma sono poche, tra queste la Catalano), si sono relativamente svincolate dal prezzo puntando su altri fattori del marketing-mix come l'immagine, il marchio e la ricerca. In questo caso si parla di una azienda con un mercato quasi del tutto interno e che attraverso il miglioramento della qualità del prodotto (ricerca sui materiali, progettazione, sperimentazione tecnologica) tende a spostarsi da una fascia medio-bassa ad una medio-alta. L'attività di ricerca è nel complesso piuttosto carente all'interno del distretto. Un ruolo in tal senso è svolto dal Centro ceramica, ma manca un laboratorio scientifico e tecnologico di ricerca, poche le collaborazioni con l'Enea e con le Università. L'attività di promozione è in genere scarsa. "Fino ad adesso a livello promozionale non abbiamo fatto niente, perche la produzione è stata poca. Spendere soldi per la pubblicità? Non ci credevamo molto, perché i soldi che possiamo spendere sono pochi e quindi poco il ritorno. Poi noi non abbiamo mai avuto problemi di vendita ..."

I principali strumenti di promozione sono le fiere e le mostre, utilizzate anche per incontrare clienti potenziali e attuali o carpire informazioni e per verificare i prodotti prima di immetterli sul mercato. L'attribuzione alle fiere di tutte le varie funzioni quali la promozione, la pubblicità, l'incontro con i clienti, la verifica rende espliciti i problemi e le carenze legate all'organizzazione commerciale di quelle imprese che si basano solo su tale strumento. Ulteriori problemi sono quelli inerenti al trasporto e alle infrastrutture locali: manca una rete ferroviaria adeguata, mancano delle reti attrezzate per carico e scarico merci, mancano, ancora strutture per ospitare eventuali interlocutori commerciali e possibili clienti. All'interno del "distretto" il rapporto tra competitività e collaborazione è sbilanciato a favore della prima. "Tra gli imprenditori di Civita Castellana non c'è cooperazione, però c'è amicizia, ci conosciamo tutti in un paese di 15.000 abitanti. Soprattutto quelli della mia generazione ... Magari lotto con un'azienda per un cliente e poi la sera sto a cena con un mio concorrente, però forme di cooperazione non ci sono ..." I rapporti tra le imprese del distretto, nonostante la presenza di legami parentali ed amicali, sono rapporti tra imprese concorrenti con un'accentuazione della competizione in caso di recessione economica. Difficilmente si verificano casi di cooperazione o passaggi di commesse. Nonostante all'interno del distretto si verifichi talvolta quella che Becattini ha definito "la cooperazione semiconsapevole e involontaria" che è dovuta al comune sistema socio-culturale e che in qualche modo "innerva il mercato" del distretto, il forte individualismo degli imprenditori di Civita Castellana è stato uno dei fattori che in questi ultimi anni ha ostacolato la realizzazione di un comune marchio di qualità. "Si noi facciamo degli incontri, abbiamo l'Associazione industriali, abbiamo il Centro Ceramica, dove facciamo delle riunioni, diciamo tante belle cose, poi quando usciamo fuori facciamo quello che ci pare. Questa è Civita ... No, ancora non c'è questa mentalità aperta a Civita." "... A Civita Castellana c'è una forte individualità, la collaborazione non è il nostro forte. Potrebbe essere un discorso validissimo ma c'è la tendenza a non collaborare." Il miglioramento della qualità del prodotto a livello strategico dovrebbe riguardare non solo le caratteristiche intrinseche del prodotto, ma anche le reti pre e post-vendita e cioè l'offerta di un'ampia gamma di prodotti, la capacità di soddisfare particolari ordinazioni, le consegne rapide e i rifornimenti, informazioni tecniche, progettazioni ad hoc. Chiaramente la flessibilità produttiva resta un elemento fondamentale in tale contesto, flessibilità che possa consentire sia la personalizzazione del prodotto che la messa in produzione anche per piccoli ordini. Unitamente alla qualità del prodotto sarà importante promuovere l'immagine del prodotto, anche attraverso l'introduzione del marchio. La nuova estensione e la globalizzazione del mercato, il cambiamento delle regole della competizione legate alle politiche della Cee, imprimeranno una maggiore forza ad alcuni fattori che incidono sulla sopravvivenza delle imprese nel mercato, quali l'attività di ricerca e di sviluppo finalizzata alle innovazioni nell'offerta di prodotti, l'adeguamento rapido alle normative Cee, la gestione dell'attività pubblicitaria, il controllo delle reti distributive e commerciali, la capacità di offrire prodotti differenziati. Nel polo ceramico i punti di debolezza possono non limitarsi alla sola competitività del prodotto sul mercato, ma possono verificarsi soprattutto nella mancanza di una strategia unitaria del distretto e mirata ad uno sviluppo e non sopravvivenza nel mercato. 87

La specializzazione nella funzione produttiva, il basso grado di terziarizzazione, il fatto di operare in un settore "tradizionale" e con basse barriere di entrata, come quello della ceramica, rendono il polo di Civita Castellana particolarmente esposto alla concorrenza dei Paesi emergenti. Più esposto in particolar modo è il settore delle stoviglierie, proprio per le sue caratteristiche di presentare rischi maggiori che rendono necessaria una razionalizzazione del lavoro e una azione di promozione delle imprese stesse (anche attraverso opportuni centri di servizio) per un maggior controllo della qualità dei prodotti.

Capitolo VII LE IMPRESE E I FLUSSI FINANZIARI

Una delle chiavi dello sviluppo locale è certamente la disponibilità di risorse finanziarie, la loro qualità, la quantità, le modalità con le quali tali risorse possono essere attinte e da chi. Per meglio comprendere, quindi, come un valore fondamentale quale il capitale possa essere al contempo un elemento frenante (quando è carente) o al contrario un elemento stimolante e potente vettore dello sviluppo e della crescita economica e sociale di uno specifico contesto territoriale (quando garantisce un certo margine di operatività), è necessario considerare aspetti sia legati alla sua domanda che alla sua offerta. Calando la problematica nel quadro di riferimento dell'analisi, ciò impone innanzi tutto una rilettura storica dei rapporti intervenuti tra le due citate variabili negli ultimi anni. È altresì indispensabile la circoscrizione di tali eventi ai singoli ambiti comunali del comprensorio che, proprio storicamente ed economicamente, hanno seguito cammini ed orientamenti differenti. A tal proposito si intende effettuare tutte le considerazioni del caso considerando Civita Castellana come osservatorio privilegiato e di base; il riferimento agli altri Comuni verrà debitamente argomentato nei casi in cui lo si riterrà rilevante ai fini della trattazione. Il carattere marcatamente autarchico nella gestione delle attività e risorse presenti e disponibili in Civita Castellana, sin dalle sue origini, ha fatto sì che, fino a tempi abbastanza recenti, tra domanda ed offerta di capitale vi fosse una quasi coincidenza o sovrapposizione: praticamente chi "attingeva" e chi "accordava" denaro erano le stesse persone. In particolare ciò è stato vero a partire dalla nascita dei soci-operai, fenomeno che ha coinvolto, in vario grado, tutta la popolazione di Civita Castellana e che aveva generato un circuito di finanziamento delle attività produttive e di spesa privata "chiuso", dove le due voci erano reciprocamente dipendenti; tale circuito non prevedeva né considerava apporti esterni, di qualsiasi natura essi fossero, a quelli specificatamente locali. Danni e benefici di questa dinamica hanno interessato solo i civitonici, sia nel loro ruolo di imprenditori che di operai, a causa di una sorta di "impermeabilità" che ha ridotto al minimo i processi di integrazione economica o trasferimento di modelli con il resto del comprensorio. Ciò che in sostanza è avvenuto è stato un gioco di stretti contatti ed interazioni tra gli attori strettamente "locali" che da protagonisti hanno operato e realizzato la loro "fortuna", respingendo inoltre una mentalità di dipendenza o di attesa di soluzioni esterne come gli incentivi allo sviluppo predisposti nel campo della politica industriale nazionale o di quella a stampo prettamente assistenziale. Si sono moltiplicate le iniziative, si sono assunti rischi in prima persona e mobilitato energie e risorse civitoniche e delle zone limitrofe; il risultato di questo processo è stata la creazione di una "base di ricchezza" la cui reale portata si è potuta quantificare solo quando il sistema ha cominciato ad incrinarsi e lo scenario si è arricchito di figure nuove. Gli anni '80, specie nella seconda metà, hanno rappresentato il periodo del mutamento della configurazione economica dell'attività ceramica con la genesi di un nuovo ed inedito assetto, anche 89

se parziale, degli operatori proprio a partire da una separazione progressiva dei ruoli di chi impersonava la "domanda" e chi "l'offerta" di capitali. Da una parte la crisi dei mercati indicava nell'avviamento del "processo globale delle attività aziendali"1 l'unica soluzione per raccogliere la sfida per non sparire dallo scenario economico ( e non venire schiacciati dalle aziende più dinamiche), dall'altra la gestione d'impresa si è dotata di nuovi strumenti finanziari, più complessi ed anche più flessibili in rapporto alle necessità ed ai vincoli delle specifiche attività. Il tutto sulla base di un principio generale divenuto imprescindibile: la programmazione spaziotemporale delle funzioni ed operazioni aziendali (piani programmatici di periodo). Non che le esigenze di programmazione non fossero già state intuite, ma andavano riconsiderate perché divenute cruciale fattore critico come conseguenza della turbolenza dei mercati tesa a rendere sempre più difficili le previsioni economiche. Questo elemento, in parte, scardina i valori ed i comportamenti (per lo più poco razionali) alla base della gestione di molte aziende ceramiche avviando un lento processo di polarizzazione dove, da una parte, si collocano le numerose piccole (sottodimensionate anche finanziariamente) aziende che sopravvivono, grazie ai peculiari meccanismi di salvezza che si attivano all'interno dei distretti (o poli industriali) e, dall'altra, nascono i cosiddetti "gruppi di fatto". Comincia a delinearsi un assetto che si trova tuttora in fase evolutiva. All'interno dei due poli le unità componenti sono morfologicamente tra le più svariate: la gamma di situazioni è ampia così come la diversità.

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Incentrato nella maggior parte dei casi sull'introduzione di innovazione tecnologica e di nuovi modelli organizzativi.

7.1 Flussi finanziari e tipologia delle aziende

In merito ai flussi finanziari questa zona produce un fatturato che si aggira intorno ai 500 miliardi prodotti solo dall'industria pura ceramica, senza considerare altre attività collegate, con degli utili operativi che si aggirano intono al 30-40 %. Si possono considerare quindi circa 140-150 miliardi l'anno che rappresentano per le aziende una solida garanzia al momento di procedere con gli investimenti di grande o piccola entità che siano. Alla formazione di gruppi aziendali di fatto sottende un controllo finanziario strategico che si è sviluppato a partire da acquisizioni, sia di tipo orizzontale che verticale e che ha modificato gli equilibri interni al sistema socio-economico del distretto. Una distinzione tra i diversi gruppi si può realizzare a partire dalla definizione delle fonti finanziarie. Il caso più frequente da riscontrare, in questo ambito, è quello di famiglie che controllano un certo numero di aziende attraverso forme di partecipazione azionaria più o meno esplicite e pubbliche. Un secondo caso, che ha comunque dei punti di contatto con il primo, è quello di interventi sul territorio di merchant bank, quindi di operatori e capitali esterni che sono alla ricerca di buoni investimenti, magari non direttamente collegati ad altre attività di cui già si occupano e come progetto di una differenziazione orizzontale dei proprio interessi per settore. In tal senso le quote azionarie dei vecchi soci-operai hanno costituito un terreno di conquista. Anche la "filosofia" alla base dei gruppi sembra essere diversa: • nel primo caso la proprietà coincide con il management a tutti i livelli ed influenza le scelte aziendali generalmente comunque in modo collegiale2; • nel secondo caso la strategia è quella di garantire l'autonomia operativa delle aziende facenti parte del gruppo che rimangono gestite, nella maggior parte dei casi, dal management originario (talvolta integrato con nuove figure professionali di supporto), con una propria cultura di produzione, una medesima collocazione territoriale 3.

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Ecco come lo stesso imprenditore descrive la situazione e le relazioni che si verificano all’interno di un gruppo aziendale riconducibile a questa prima categoria. "Siamo un gruppo di amici che sono partiti con una fabbrichetta di 500 metri quadri e adesso, in totale, sono circa 20.000 metri quadri coperti. Nell'ultima fabbrica che abbiamo creato, nella compagine sociale c'è questa società ed un'altra ancora. Perché sono tre le società: Saturnia, Deco e Safim. La Safim è costituita dai soci Saturnia e Deco ed in più la società Deco e la società Saturnia stesse hanno ognuna il 9%. Poi ci sono io che sono il socio di maggioranza in tutte e tre le attività, ma con diverse quote azionarie. Io personalmente alla Saturnia detengo il 22%. In un'altra azienda il 34% e nell'altra ancora il 17% perché abbiamo cercato di compensare un po' in modo amichevole. Nella società siamo abbastanza allineati, ci mettiamo intorno ad un tavolino a discutere, si prendono le decisioni, non c'è quell'astio presente nelle altre società. Noi abbiamo sempre cercato di fare tutto con l'onestà, perché quella è alla base di tutto; si può anche litigare ma solo se ci sono motivi gravi come ad esempio quando vanno male degli investimenti... ma quello è anche il rischio dell'imprenditore".

Questo è il caso del gruppo Quadrifoglio il primo gruppo ceramico monoprodotto nato a Civita. In questo caso si assiste per la prima volta all'implementazione di un sistema per cui "la gestione viene affidata ad un pool di persone fidate dell'azienda ed in qualche modo controllate". Nel 1975 i soci d'opera pongono G. Allegretti a capo della loro avventura imprenditoriale: la Quadrifoglio. Il suo ingresso prevede anche una partecipazione nella compagine azionaria della società. Gli altri soci sono artigiani, commercianti, un funzionario di banca ed alcuni piccoli imprenditori del settore e soprattutto F. Centaro presidente della Svilupppo investimenti finanziari di una 91

In entrambi i casi l'operazione svolta dal gruppo è quella di acquisizione ma non di assorbimento delle aziende. Il motivo di questa scelta risiede, facendo riferimento solo all'aspetto finanziario, in particolare all'ottimizzazione della gestione dei flussi: 1. le passività accumulate con le economie esterne da un'azienda del gruppo possono essere ridotte in termini di flussi intragruppi, cioè convogliando, dove necessitano, risorse eccedenti prodotte in altre attività collegate; 2. l'ottimizzazione può riguardare migliori forme e condizioni di gestione dei flussi in termini di innovatività degli impieghi. Tentare di creare una modellizazione di questa realtà appare cosa ben difficile ancor più se si considerano i fattori che motivano le scelte e gli indirizzi alla base delle acquisizioni per le quali non è discriminante il riferimento alla "fonte". Le opzioni da parte dei gruppi sono molteplici. "Probabilmente chi ha portato a compimento questo tipo di transazioni inizialmente non ha agito sulla base di un programma, nel senso che le scelte imprenditoriali e l'apporto di capitale ad alcune attività piuttosto che ad altre nasce dalle esigenze del momento, quando ad esempio si vuole sostenere un'azienda che si trova in crisi." Viceversa gli investitori potrebbero essere orientati al rafforzamento della loro posizione in un certo settore, oppure ad un ampliamento del loro raggio d'azione, comunque agire su base più razionale. Oggi, anche nel secondo caso, per lo più gli ingressi (o acquisizioni) dei gruppi in altre società avvengono nei momenti di crisi. L'unico caso del comprensorio in cui c'è stata una transazione su tre aziende ceramiche "sane" per cercare di attivare delle sinergie concrete è quello del GSI (Gruppo Sanitari Italia). Il GSI è il risultato della diversificazione di portafoglio avviata dal gruppo Quadrifoglio. Le aziende coinvolte sono la Venus, la Delta e la Facis che fatturavano ognuna circa 10 miliardi. Oggi il gruppo ne fattura circa 40. "Questo è forse l'esempio di acquisizione più programmato che si possa trovare a Civita e l'unico caso conosciuto dell'esistenza di una sorta di holding finanziaria" Sull'altro versante si collocano sia le aziende che hanno resistito e superato la crisi dei mercati mantenendo, anche se a fatica, una propria autonomia, sia quelle che sono rinate. Per quel che riguarda le strategie competitive che hanno adottato circa la produzione, i mercati serviti, la tecnologia, ecc. si rimanda alle sezioni della ricerca che trattano questo argomento. Naturalmente molti dei cambiamenti strutturali avvenuti al loro interno hanno comportato la necessità di disporre di capitali "freschi" anche per ridurre i diffusi problemi di sotto capitalizzazione caratteristici di molte piccole-medie aziende ed in particolare di quelle civitoniche. In generale, l'evento più importante degli ultimi anni nel comprensorio ceramico è stata la crescita degli investitori locali che hanno agito come le merchant bank, liquidando i vecchi soci ed entrando in possesso di quote variabili delle aziende: queste trattative hanno portato poi a diversi casi di "scalata" delle società. Lo spirito che muove queste risorse e le convoglia sul territorio è favorito anche da una propensione all'assunzione di rischi.

merchant bank romana alla ricerca di possibili investimenti. Oggi la "Zeta", la finanziaria della merchant bank, controlla il 40% della Quadrifoglio. Un altro 40% è di Allegretti ed il resto ripartito tra un'altra merchant bank ed un investitore privato.

"I civitonici sono molto spregiudicati in questo campo: investono ed hanno capacità di rischiare. Se gli va bene «fanno i soldi" altrimenti vanno a fondo e tornano a fare gli operai aspettando un'altra» occasione." Gli imprenditori poi hanno imparato ad investire le proprie risorse operando, in qualche caso, anche in Borsa, come pure conoscono nuovi strumenti finanziari. Sono fatti che lasciano intravedere una "modernizzazione" della cultura finanziaria locale. Il limite che si intravede comunque in questa azione di reinvestimento, se di limite si tratta, coincide con il fatto che si investe sempre nel campo della ceramica rispettando la tradizione monoculturale del luogo, che, d'altro canto, seppure con vicende alterne, fino ad oggi ha funzionato e fa sì che Civita Castellana stia assumendo un ruolo di prim'ordine per la sua produzione. "Nel passato ci sono stati semplici trasferimenti di know how anche come conseguenza delle moltissime sollecitazioni che sono venute dall'esterno. C'è stato anche qualche tentativo di sviluppare delle attività all'estero, si è mostrato dell'interesse, ma non è un fenomeno comune, anzi è un fatto piuttosto sporadico che è stato realizzato non dall'imprenditore tradizionale, quanto da quegli imprenditori o quei tecnici- imprenditori che hanno effettivamente fiutato la possibilità di fare dei grandi affari. Questi si sono interessati ed hanno attivato joint venture o rapporti di collaborazione coi paesi dell'Est e Balcanici per creare nuove unità produttive in quei posti, per i mercati di quei posti". In questo caso c'è comunque una certa pigrizia dell'imprenditore che non vede la necessità di supportare queste iniziative e di rischiare il proprio capitale. Uno dei problemi che portano a questa diffidenza da parte dei civitonici nei confronti dell’esportazione di nuove aziende all'estero è probabilmente il fatto che nei paesi di riferimento c'è scarsa liquidità ed essi comunque vogliono delle garanzie proprio in questi termini. 7.2 I flussi finanziari ed il privato. A Civita Castellana, diversamente da quanto avviene nel resto del comprensorio, gli standard di vita sono piuttosto elevati: si è raggiunta una certa agiatezza economica un diffuso benessere che genera esso stesso ricchezza per mezzo soprattutto degli investimenti produttivi o di alcune forme di risparmio nel senso più classico. Alla base di tutto c'è una forte liquidità derivante dalla già citata alienazione di quote societarie da parte degli operai fondatori. In realtà: "sulle capacità di risparmio locali, in termini qualitativi, c'è ancora da lavorare e così sulle capacità di investimento". Questo è quanto si sta facendo da parte di operatori dei servizi, nei fatti, attraverso l'assistenza e la consulenza finanziaria. Il risparmio classico corrisponde a pronti contro termine, BOT o libretti postali; queste sono le alternative. "Una buona forma di investimento, che ha avuto grande fortuna, è stato il libretto di risparmio della Coop (depositi ad un tasso di interesse dell'8%) la quale gestisce circa 50-60 miliardi di depositi di risparmio solo a Civita". I sistemi di investimento più complessi come quelli obbligazionari, i fondi comuni di investimento non vengono ancora presi in considerazione. 93

Un settore che sta nuovamente prendendo piede è quello dell'edilizia abitativa: i piccoli investitori convogliano i risparmi in cooperative edili (i cui soci sono soprattutto giovani). Nel resto del comprensorio la situazione è più statica e decisamente più bassa la velocità di circolazione dei capitali. L'impermeabilità nei comportamenti, tra civitonici e non, ha fatto sì che non si innescassero ad alcun livello dei processi di imitazione. È emblematico il caso della Banca del Cimino che nella provincia di Viterbo ha 32 filiali, "si tratta quindi di una grande banca", che ad esempio a Fabrica di Roma (uno dei comuni che maggiormente ha accolto sul suo territorio importanti realtà produttive ceramiche) non è riuscita ad acquisire una dimensione significativa. La spiegazione di questo fenomeno va ricercata, molto probabilmente, più che nel "basso profilo" della cultura sottostante alla gestione delle risorse finanziarie del comprensorio esclusa Civita Castellana (effetto), nelle origini e tradizioni economiche (causa) dei Comuni legati fortemente all'agricoltura. "Ciò che distingue le mentalità è qualcosa di molto sottile ... Qui entrano in gioco componenti come il campanilismo. Esiste una forte distinzione che si fonda sul carattere del civitonico: aperto, spregiudicato, allegro. E lo sviluppo dell'industria fino alle attuali dimensioni nasce dal continuo rapporto con la produzione di ceramiche per tradizione. Si tratta di qualcosa di ereditario. Il fabrichese, ad esempio, ha uno stile di vita più tranquillo, oggi, anche se fa l'operaio, ha conservato questa attitudine e le sue radici con il mondo contadino." Situazioni simili si presentano un po' dappertutto. Orte, che è una cittadina legata al trasporto, ad esempio, in qualche modo ha una tradizione saldamente radicata al suo ruolo di interporto che non si è mai modificata o trasformata in qualcos'altro (eppure Orte si trova a 15 Km. da Civita Castellana). Nepi è legata all'agricoltura degli ortaggi con un rapporto commerciale molto forte con Roma. Corchiano è legata alla coltura delle nocciole e delle olive. E così via. Tornando agli attori chiave dei circuiti finanziari, se si scende nel piccolo, si può scoprire che ci sono rapporti molto intrecciati fra piccoli professionisti, assicuratori, commercianti che poi influenzano la sorte di molte aziende salvandone alcune, affossandone altre, ecc. Questo discorso si presenta in misura maggiore quando si parla di grandi aziende.

7.3 Le fonti finanziarie

Dopo le banche il secondo gruppo di fornitori di capitali comprende gli investitori istituzionali e le compagnie di assicurazione. Il mercato finanziario riguarda essenzialmente capitali a basso rischio su grande scala, quando invece la domanda delle aziende concerne principalmente capitali di rischio con un ammontare più modesto. Tale situazione è tra l'altro all'origine dei problemi di sotto-capitalizzazione a cui vanno incontro le aziende. I fondi provenienti dai diversi meccanismi di incentivazione pubblici costituiscono una fonte di finanziamento complementare le cui potenzialità non sono ancora state sfruttate. Quello accennato è pressappoco lo scenario in cui si colloca la produzione ceramica di Civita Castellana e del comprensorio, anche se stanno intervenendo significativi cambiamenti. L'input di partenza è dato dalle favorevoli e redditizie circostanze in cui si trova il settore e dalla recente chiusura della Cassa di risparmio di Viterbo4, acquistata dalla Cariplo. Ciò che sta avvenendo in sostanza ha inciso in modo significativo e determinante sui comportamenti delle aziende perché la situazione è stata considerata a rischio ed ha comportato la necessità di trasferire i capitali in altri Istituti di credito. I flussi di capitali che orbitano intorno alle aziende ceramiche non hanno favorito attività finanziarie al di fuori dell'economia di Civita Castellana.Qui esiste l'esigenza di disporre di più sportelli bancari locali (diverse banche infatti già operano con le aziende civitoniche pur non avendo una sede sul posto), oltre che di avere più servizi direttamente collegati alle imprese. Nuove banche stanno cercando di fornire una risposta a questi impellenti bisogni ricercando freneticamente di aprire nuove filiali, come nel caso del Monte dei Paschi di Siena. Un caso che ha avuto esito positivo è stato quello della Banca dell'Etruria e del Lazio che, pur avendo sede a Viterbo, ha svolto non poche operazioni con gli imprenditori civitonici. "La Banca dell'Etruria e del Lazio ha offerto ottimi servizi senza creare troppi problemi nel concedere finanziamenti, fidi ed altri sostegni indispensabili per le aziende". A Civita Castellana nel giro di cinque-sei anni hanno aperto tre nuovi Istituti di credito. Altre banche interessate stanno vagliando la possibilità di operare partendo dalla consapevolezza che si trovano di fronte ad una "piazza ricca". I pubblici poteri, per diversi motivi, hanno svolto fino a tempi recenti solo il ruolo di spettatori, cosicché alle aziende ceramiche sono venuti a mancare quei fondi che costituiscono un'importante fonte di finanziamento complementare. Fatto questo che si è poi tradotto in alcuni casi in vicende negative. A tal proposito si può citare il fatto che Civita Castellana è stata esclusa dal Piano 5b del regolamento Cee, quindi non più riconosciuta come zona industriale, con conseguente perdita dei contributi a fondo perduto; "C'è rientrata per cinque anni, adesso con il nuovo regolamento è stata esclusa perché non riconosciuta più tale. Di questo gli operatori se ne sono accorti dopo, una volta che i Piani sono arrivati a Bruxelles. Questo perché, pare che un funzionario della regione, dovendo escludere dal 4

Questo Istituto ha chiuso con un passivo di circa 17 mld per operazioni creditizie non troppo ragionate , concedendo prestiti senza richiedere sufficienti garanzie reali. 95

Piano cinque comuni, abbia tolto Civita, senza cognizione di causa. Io a questo non credo, penso piuttosto che non ci sia stata attenzione ad un certo livello ...Tutto sommato poi in questo periodo si sta tentando di far rientrare Civita come polo appartenete ai distretti industriali, si sta cercando di razionalizzare il sistema viario e ferroviario." Il fatto non è di scarso rilievo in quanto va ad incidere sulle decisioni prese a livello nazionale e di Ue in termini di politiche industriali che riducono l'incidenza di leve positive come quelle fiscali, oggi imprescindibili.

Capitolo VIII LA COMUNITÀ' E GLI ATTORI LOCALI

Questo capitolo è incentrato sull'analisi dell'interazione tra le dinamiche economiche e le dinamiche sociali, dove l'attenzione viene posta sul particolare intreccio tra l'attività produttiva ceramica e la vita sociale, e sul ruolo svolto dalle istituzioni locali nell'ambito dell'economia distrettuale locale.

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8.1 Il sistema dei valori

La letteratura ha ampiamente sottolineato il ruolo delle subculture locali e degli interventi istituzionali nel determinare i circoli virtuosi tra dinamiche economiche e dinamiche sociali che stanno alla base delle economie distrettuali. Uno dei requisiti preliminari, insieme con una delle condizioni fondamentali dello sviluppo di un sistema produttivo locale, è il sistema relativamente omogeneo di valori che vige nella comunità locale. Tale sistema è preesistente all'attività produttiva e si forma nel corso del tempo e con modalità non ancora definite. "In parallelo con questo sistema di valori si deve essere formato un sistema di istituzioni e di regole che quei valori diffondano nel distretto, li garantiscano e li trasmettano da una generazione all'altra. Le istituzioni includono, ovviamente, il mercato, l'impresa, la famiglia, la chiesa e la scuola, ma anche l'amministrazione pubblica, le articolazioni locali dei partiti, dei sindacati e di molte altre entità pubbliche e private, economiche e politiche" (Becattini 1989). L'omogeneità di valori tra persone e istituzioni della comunità locale non sottintende assenza di conflitti o di contrasti di interesse tra i membri, ma significa solo che tali contrasti di interesse vengono affrontati e risolti all'interno di una logica che considera superiore l'interesse comunitario. Tra i fattori costituivi della nascita e dello sviluppo dell'economia distrettuale c'è quindi la rete delle relazioni sociali locali che investe sia il rapporto tra imprese e tra attori economici sia il sistema sociale all'interno dell'impresa. "Nel distretto ... la comunità e le imprese tendono ad interpenetrarsi" (Becattini 1989) e così la vita sociale di Civita Castellana è stata permeata, disegnata dall'attività produttiva locale. I valori relativamente omogenei che sono comunque alla base di una comunità piccola e isolata rispetto ai grandi centri urbani (come del resto sono, per lo più, i centri di sviluppo dei sistemi produttivi locali, nell'area oggetto di studio), sono stati rafforzati dallo sviluppo produttivo monoculturale legato alla ceramica. L'etica del lavoro, l'orgoglio di essere un bravo ceramista, il senso di appartenenza alla comunità locale, la capacità di creare il lavoro per sé e anche per gli abitanti dei comuni limitrofi, caratterizzano in maniera forte la comunità civitonica, e non allo stesso modo gli altri comuni del comprensorio. In particolare le aree dello sviluppo dell'economia diffusa sono caratterizzate dall'esistenza di piccoli centri legati ad attività commerciali e artigianali, dalla presenza di tradizioni e istituzioni politiche legate al movimento cattolico e a quello comunista e quindi di subculture politiche. Queste hanno contribuito a creare identità collettive solide con una conseguente connotazione dell'azione politica che è risultata fortemente vincolata alla difesa degli interessi collettivi. L'esistenza storica di una base politica e ideologica comune ha fatto sì che i conflitti abbiano trovato sedi informali in cui esprimersi ed essere ricomposti. Le aziende di soci-operai hanno cementato questo rapporto tra fabbrica e società. Le fabbriche gestite per lo più da soci-operai, in dipendenza anche del processo produttivo di tipo artigianale sono sempre state oltremodo un luogo di aggregazione sociale, come pure una fucina di quadri politici e sindacali. Non è un caso che il percorso formativo di molti sindaci locali è stato: ceramista, sindacalista, sindaco. Il fenomeno dei soci-operai innestatosi su un tessuto sociale pervaso da una subcultura politica rossa e, probabilmente da questa generato, ha facilitato il formarsi di un blocco sociale unico, quello dei

ceramisti, all'interno del quale i conflitti tra ruoli diversi padrone/operaio hanno trovato una mediazione contribuendo a creare così un forte blocco di coesione e identità collettiva. L'esistenza di una pluralità di sedi di mediazione formali e informali hanno sempre garantito alle parti una certa comunicazione e mediazione dei conflitti. Il sindacato, la comunità locale, il partito, da un lato hanno rappresentato per gli associati un terreno di coesione e di identificazione, dall'altro hanno fornito uno strumento di ricomposizione degli interessi. La convivenza fianco a fianco sul posto di lavoro fra operai-soci e operai ha contribuito a creare un sistema di valori condivisi. All'interno della fabbrica i rapporti che si sono instaurati sono oltre che di lavoro anche di carattere amicale e parentale, sia tra operai che tra operai e soci-operai. Dentro la fabbrica si ricostruisce la rete di relazioni di carattere comunitario dell'ambiente esterno. "Una certa congiuntura potrebbe suggerire agli imprenditori di tagliare i salari, o ai lavoratori di richiedere massicci aumenti salariali, ma in base ad esperienze di lungo periodo, in qualche modo interiorizzate dagli agenti del distretto e incorporate nelle consuetudini e nelle istituzioni, si rinuncia molto spesso a tali opportunità congiunturali". (Becattini 1989). "Quando ci stava un po' di fermo è chiaro che il socio-operaio e l'operaio insieme facevano sacrifici." All'esterno della fabbrica il ruolo centrale dell'attività ceramica per la popolazione locale si sente anche nei luoghi di ritrovo. Il bar, la piazza sono ancora luoghi in cui si parla di ceramica. Quasi tutti, sia a Civita Castellana che negli altri paesi, anche se non hanno mai lavorato direttamente in fabbrica, conoscono più o meno il processo produttivo dei manufatti tipici locali. "Perché qui succede questo...noi magari stiamo in un bar, un gruppo di amici, si parla sempre di ceramica, di quello che succede ..." L'originale orario di lavoro in vigore solo nelle fabbriche ceramiche del comprensorio, che oggi è regolato dal contratto in un unico turno (esclusi gli addetti ai forni che turnano su 24 ore), che va dalle 5.00 alle 12.30, ha contribuito anch'esso a costruire l'omogeneità culturale della comunità. I civitonici non solo hanno ormai organizzato la loro vita intorno a questi orari, ma non aspirano neppure a rinunciarci, Ciò nonostante i tentativi degli imprenditori e del sindacato che hanno proposto modifiche in tal senso. Suddetto orario di lavoro non solo è atipico ma non è neppure rispettato: in realtà si comincia a lavorare in fabbrica anche alle quattro del mattino. Questa consuetudine, legata alla storia della ceramica, nasce come lavoro di cottimo, non legato all'orario di lavoro, determinato dalla necessità di produrre il prima possibile i propri pezzi da mandare in forno. Soprattutto nelle fabbriche di sanitari il perdurare di un lavoro dalle caratteristiche artigianali ha consentito lo sclerotizzarsi di un sistema di pagamento legato al numero dei pezzi fatti e non alla prestazione di lavoro in un arco di tempo, sistema che comunque ha consentito la possibilità di maggiori guadagni rispetto allo stipendio base. Ma, oltre a questa logica remunerativa, l'orario e il cottimo rispondono anche ad una cultura del lavoro prettamente locale. "Prima si finiva e prima si usciva dalla fabbrica. Ci stava gente che magari andava su alle tre e mezza/quattro e alle nove e mezza/dieci (del mattino) stava a casa o al bar." Una necessità questa che nei mesi estivi può anche essere stata determinata dall'eccessivo calore che esiste all'interno delle fabbriche per via dei forni sempre accesi, ma che di fatto si è trasformata in un fattore culturale permanente della comunità locale. 99

Questo è lo stile di vita del ceramista: comincia a lavorare di notte alle quattro anche alle tre del mattino; quando ha finito la "giornata", e cioè il numero di pezzi previsto dal contratto più eventualmente quelli del cottimo, torna a casa, mangia e va a dormire. Nel pomeriggio o ha un altro lavoro o, se vive in uno dei paesi del comprensorio, cura la campagna. La grande maggioranza dei ceramisti però, il pomeriggio lo vive in momenti di aggregazione nella piazza o nei bar. Fino a qualche tempo fa il partito era anch’esso un luogo di aggregazione. D’altronde altri svaghi o approcci culturali non esistono a Civita Castellana e, dopo cena, si va a letto presto. Intorno a questi orari si è modellata la vita della cittadina, le piazze deserte al mattino e all'ora di pranzo, piene il pomeriggio, deserte la sera. La ceramica a Civita Castellana ha prodotto un elevato standard di vita, tutti i giovani fino a qualche anno fa preferivano andare in fabbrica, piuttosto che frequentare le scuole superiori. D’altra parte negli anni '70 un ceramista guadagnava il doppio di un insegnante. Molti operai raccontano di aver rinunciato ad impieghi con maggiori garanzie e tutela della salute per lavorare in fabbrica e guadagnare di più. Scegliere di continuare gli studi comportava in qualche modo "l'uscita" dalla comunità, si avevano orari diversi e soprattutto i coetanei operai avevano un reddito da far invidia. Probabilmente questo orario di lavoro ha garantito la possibilità, nonostante la presenza del lavoro organizzato in fabbrica, di mantenere in piedi una vita di tipo comunitario, preindustriale, fortemente basata sulle relazioni sociali. Tale possibilità è stata, insieme alla piena occupazione e agli elevati guadagni, il "ritorno" in termini di benefici che probabilmente ha fatto accettare alla comunità un lavoro così duro. Anche in termini di salute: silicosi, rumorosità, fatica fisica, compiti monotoni e ripetitivi. Si è generato quel complesso equilibrio tra costi e benefici che caratterizza i sistemi produttivi locali, equilibrio che è uno dei fattori che ne consente lo sviluppo. L'orgoglio di campanile dei civitonici è un altro dei fattori che caratterizza la forte integrazione sociale di questa comunità e che ne determina un peculiare carattere di "impermeabilità" verso la società esterna, pur così presente, attraverso l'immigrazione della forza lavoro dai paesi vicini. Tutta l'abilità, la capacità di produrre ricchezza della zona è considerata opera dei civitonici e in parte questa immagine corrisponde alla realtà, gli "altri", quelli dei paesi vicini del comprensorio, non sono mai diventati imprenditori, le fabbriche nei loro comuni sono state impiantate da civitonici. "Noi a Civita sappiamo moltiplicarci come gli atomi ..."; "Nnoi a Civita avevamo lo sviluppo, gente di Vignanello, Fabrica venivano tutti a Civita a lavorare ..." L'orgoglio di essere bravi ceramisti si salda a quello di campanile. "La cultura che abbiamo qui a Civita Castellana sono generazioni e generazioni di ceramisti. C'è un vecchio detto che dice che i funari ci vogliono di Foligno e i ceramisti di Civita Castellana." L'orgoglio di essere dei bravi ceramisti, va a scapito della considerazione dei lavoratori degli altri paesi dell'area. Il civitonico si considera un operaio specializzato e vede gli altri come manovalanza comune, con origine contadina e non ceramista. "Lo Stato, la Regione, non è mai arrivato nessun finanziamento, Civita è nata coi sacrifici dei socioperai e degli operai." Ancora l'orgoglio di non essere stati aiutati da nessuno. In questa società quasi monolitica, basata sui valori tradizionali della famiglia, (le donne sono casalinghe e anche quelle che lavorano in fabbrica hanno comunque come attività principale la famiglia), del lavoro, della vita sociale, in questi ultimi tempi qualcosa sta cambiando, comincia a sentirsi il problema della disoccupazione e le retribuzioni non sono così redditizie come una volta. Sta cambiando anche qualcosa nei modelli culturali locali,

il lavoro in fabbrica non è più considerato una buona prospettiva dai civitonici per i propri figli; è invece un lavoro pesante e nocivo, e, per i loro figli, tutti oggi vorrebbero un lavoro migliore. Sono le prime avvisaglie di un cambiamento di costume di una possibile incrinatura dell'attuale equilibrio tra società e fabbrica, che si può ipotizzare possa acuirsi con l'immissione di nuove tecnologie produttive, soprattutto nell'ambito dei sanitari (il che ridurrebbe ulteriormente gli spazi di vita sociale in fabbrica), e con la possibile trasformazione dell'organizzazione dell'impresa secondo modelli più formalizzati. Tutto ciò comporterebbe una modifica dell’orario di lavoro e di conseguenza dei tempi e degli spazi della vita sociale. Certamente il cambiamento culturale che sta attraversando Civita Castellana sta avvenendo gradualmente e l'organismo sociale che è il distretto si riorganizzerà presumibilmente su un altro punto di equilibrio.

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8.2 Il Sindacato

Nel comprensorio di Civita Castellana il tasso di sindacalizzazione è piuttosto elevato e, pur non essendo ufficialmente divulgato, può essere stimato intorno al 57.5%. Su circa 3.479 lavoratori nella ceramica5 infatti, 1.500 sono iscritti alla Cgil e 500 alla Cisl. I rapporto tra i due sindacati sono buoni e si parla ormai di politica sindacale unitaria. Dal punto di vista del sindacato non si evidenziano particolari problemi di rapporti tra rappresentati e rappresentanti. Tra le parti sociali è privilegiata l'interazione di tipo informale e relativamente alla conflittualità vi è un ricorso limitato allo sciopero, sia come forma di pressione per l'applicazione e il rispetto degli accordi, sia in caso di mobilitazione per vertenze sindacali. Le parti, generalmente, raggiungono intese ricercando il consenso sulle specifiche questioni, piuttosto che esprimere il dissenso in forme organizzate. La sovrapposizione tra politica e sindacato ha condizionato negli anni la linea politica del sindacato stesso. Molte scelte sono state condizionate proprio dal fatto che lavoratori e imprenditori avessero una comune base politica e ideologica. Sostanzialmente si è instaurato quello che Trigilia ha denominato "compromesso sociale" il quale si è incentrato su due aspetti essenziali: • l'alta flessibilità dell'economia; • il controllo dei costi e la redistribuzione dei benefici della crescita economica. All'interno di questo modello si è verificato una sorta di scambio tra flessibilità nell'uso del lavoro, crescita dei salari (anche in relazione al cottimo) e mantenimento della occupazione locale. La linea politica assunta dal sindacato per anni, ha avuto delle ripercussioni sulle attuali condizioni dei lavoratori del comprensorio. A Civita Castellana il problema dell'ambiente di lavoro e quindi della tutela della salute dei lavoratori, proprio per le caratteristiche sopra esposte, è sempre stato un problema "scottante" in cui il sindacato ha certamente avuto un suo ruolo di responsabilità. "A Civita non è che si badasse molto all'ambiente dove si lavorava, perché essendo soci era tutto relativo e questo ha determinato una staticizzazione del problema ambientale." Si è accettata quindi una condivisione collettiva dei rischi e dei benefici. Per anni si è scelta la strada della monetizzazione della malattia professionale piuttosto che la lotta per il miglioramento effettivo dell'ambiente di lavoro. Si è fatto ricorso ad un ammortizzatore sociale che ha avuto come risultato l'accettazione (anche consapevole) di una condizione, in termini di salute, oggettivamente critica da parte dei lavoratori. "D'altro canto la salute nasce anche dal confronto sociale e in una monocultura in cui tutti vivono in uno stesso ambiente e fanno la stessa vita." Oggi in relazione ai mutamenti sociali e soprattutto ai mutamenti negli assetti societari all'interno delle imprese anche la strategia del sindacato va modificandosi. I temi oggetto della negoziazione riguardano in particolare l'ambiente di lavoro, l'orario, gli aspetti organizzativi, l'inquadramento professionale, i salari, le assunzioni e le riduzioni di occupazione. Ciò che va modificandosi è l'attenzione che il sindacato (Cgil, Cisl) sta prestando alle problematiche inerenti l'ambiente di lavoro. Tuttavia non sarà facile trovare una soluzione. Poiché le fabbriche sono 5

settori dei sanitari e delle stoviglierie

vetuste, le modifiche per migliorare l'ambiente di lavoro richiedono notevoli investimenti in ristrutturazioni e in tecnologia da parte degli imprenditori. Al momento motivi di attrito sono individuabili nella linea politica del sindacato che tenta di far riconoscere la silicosi come danno biologico. Circa il lavoro a cottimo e l'orario di lavoro atipico, sia il sindacato che il Centro ceramica, da qualche anno tentano di attuare delle riforme, sinora con scarso successo. L'orientamento al cottimo e la non rigidità dell'orario di lavoro hanno fatto sì che per anni: "... ognuno andasse a lavorare per conto suo. Questo ha portato alcune persone a non rispettare neppure le norme, anche quelle igieniche dentro il reparto, tanto uno si sbrigava ed andava via." Attualmente rispetto all'orario di lavoro si è avuta una regolarizzazione con il contratto integrativo del 1990. Il contratto stabilisce che il lavoratore deve essere presente in fabbrica 7,36 ore al giorno. "In alcune aziende c'è un po’ più di permissivismo nel senso che si lasciano i lavoratori uscire un'ora prima. C'è possibilità sia nell'entrata che nell'uscita, soprattutto quando è caldo. Non sono poche comunque le aziende che vorrebbero l'orario unico per tutti, però non lo fanno mai perché a volte fa comodo che un lavoratore entri alle quattro." Quanto al cottimo è in parte o del tutto formalizzato in regole più o meno note ed è il risultato di una sedimentazione storica e culturale dei modelli organizzativi delle imprese. Anche in questo caso sia il sindacato, per ragioni di tutela della salute dei lavoratori, che il Centro ceramica, per ragioni anche di qualità del prodotto, stanno cercando attualmente di porre dei limiti e dei disincentivi a tale tipo di organizzazione lavorativa che tuttora permane diffusamente. Il 12 ottobre 1992 è stato stipulato l'accordo di rinnovo del Contratto nazionale tra le rappresentanze datoriali e sindacali. Il nuovo contratto vuole dare risposte alle esigenze di flessibilità all'interno delle imprese. Si è messa a punto una riforma del sistema classificatorio basato su sei categorie (da A a F), nell'ambito delle quali è possibile occupare diverse posizioni organizzative (1, 2, 3). La maggior parte dei lavoratori della ceramica, sia nel settore dei sanitari che in quello delle stoviglierie, sono inquadrati nella categoria E, posizioni 1, 2, 3. Nella categoria F sono inquadrati gli addetti alla manovalanza generica e alle pulizie. Si verifica senza dubbio un appiattimento verso il basso delle varie figure professionali. Occorre dire che c'è uno scarto tra i salari reali (che sono mediamente elevati rispetto alla media nazionale) e il riconoscimento della professionalità reale dei lavoratori. Come precedentemente detto a Civita Castellana è diffuso il lavoro a cottimo, gli incentivi, i fuori busta, gli straordinari. Questo tipo di comportamento si alimenta e si perpetua in un'ottica di "compromesso sociale" ed ha delle ripercussioni e delle convenienze che dei datori di lavoro sia per i singoli lavoratori. Infatti per le aziende significa non pregiudicare con riconoscimenti di qualifiche superiori i tradizionali livelli professionali previsti dai contratti nazionali ed in più avere una flessibilità maggiore e in qualche modo garantita a livello dei singoli lavoratori. Per alcuni lavoratori significa la possibilità di aggirare il sistema fiscale aumentando le loro entrate salariali e quindi considerarsi soddisfatti dal punto di vista economico pur non rivendicandone il riconoscimento formale. Rispetto alle politiche attive per i giovani il sindacato non si è mai realmente posto il problema, pur essendo consapevole delle carenze nei percorsi professionali legati al contesto locale. In realtà a Civita Castellana, nonostante l’elevato tasso di disoccupazione "ufficiale", non si è mai avvertito in maniera preoccupante il problema della disoccupazione giovanile (almeno finora). Circa 103

il 90% dei giovani assunti in fabbrica con contratto di formazione lavoro vengono poi generalmente confermati con contratti a tempo indeterminato. In tema di formazione professionale non sono mai stati progettati interventi comuni tra le parti sociali. La formazione professionale non è avvertita come importante dai lavoratori perché di norma si risolve in un breve periodo di addestramento sul posto di lavoro e la trasmissione delle competenze professionali è legata all'esperienza, ai processi di socializzazione, alla cultura professionale e di impresa. Il problema dello sviluppo professionale dei lavoratori non è particolarmente sentito neanche dalle aziende e le uniche reali possibilità di accrescimento professionale in futuro sono legate all'adozione di scelte tecnologiche che richiedano lavori non troppo parcellizzati, dequalificati, vincolati e soprattutto a trasformazioni nell'organizzazione del lavoro. Venendo a trattare delle politiche in favore delle donne, il contratto nazionale ribadisce una linea politica "di pari opportunità". In realtà: "... nelle attività che possono essere comunque svolte da uomini invece che da donne, questi vengono preferiti perché hanno generalmente minor possibilità di assentarsi sul lavoro." La società di Civita Castellana è orientata a un sistema familiare tradizionale. Una ricerca dell’Enea 1989 effettuata su due fabbriche della città, ha mostrato che il 65% delle madri e delle mogli dei lavoratori è casalinga. In generale si può anche affermare che le donne siano e meno partecipi sul posto di lavoro e meno attive a livello sindacale. Infatti come evidenziato dalla ricerca Enea, nella maggior parte dei casi per le donne il lavoro è importante in quanto integra il reddito familiare. I terreni di intervento possibili per il sindacato sono legati alla consapevolezza che, diversamente da quanto accadeva prima, la sua forza sociale non potrà dipendere direttamente (ed esclusivamente) dall'intreccio con la politica. Il processo di mutamento in atto e di differenziazione tra la sfera politica e la sfera sociale richiederà nuove strategie, anche se naturalmente continueranno a essere necessari i rapporti tra le due sfere. In un'ottica collaborativa (e possibilmente costruttiva), imprenscindibile in una comunità-distretto vi sono per il sindacato ampi margini di azione sia nelle politiche industriali6sia (anche attraverso i programmi comunitari) a livello della formazione-lavoro. Ma ampi margini anche nelle politiche attive a favore dei giovani, nel sostegno di iniziative atte a creare nuove figure professionali, soprattutto specializzate, e nell'attenzione da rivolgere ai mutamenti organizzativi e quindi professionali dovuti all'introduzione delle tecnologie.

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In particolare una strategia mirata in collaborazione con gli altri operatori locali all’inserimento del comprensorio ceramico nel piano 5B della Cee e quindi la possibilità di contributi a fondo perduto per lo sviluppo economicoterritoriale.

8.3 Il Centro Ceramica

Il Centro ceramica nasce nel 1982 sulla base dell'opportunità offerta dalla legge 40/81 ed è una società mista costituita da una maggioranza privata e da una minoranza pubblica. Soggetti coinvolti sono: l'Associazione industriali, la Provincia, il Comune, la Camera di commercio e la maggior parte delle aziende ceramiche presenti nel comprensorio. Il Centro ceramica nasce originariamente come esigenza da parte degli imprenditori di coordinarsi di fronte a una struttura operaia molto organizzata e sindacalizzata. Lo scopo del Centro ceramica è quello di unire le varie sinergie al fine di aumentare il potere contrattuale delle aziende nei confronti dei fornitori, per le materie prime e per l'energia, ma anche del potere politico e economico. Ha altresì lo scopo di promuovere campagne promozionali comuni, migliorare la rete dei servizi e operare nel settore formativo. "Le aziende del polo di Civita Castellana hanno il problema di acquisizione delle materie prime che è uguale per tutte, hanno un problema di regolamentazione dell'organizzazione del lavoro che è uguale per tutti, hanno dei costi per l'energia che sono uguali per tutti, hanno i problemi di rappresentanza uguali per tutti. Tutte queste cose possono far parte dell'attività di una struttura che li unisce. Poi bisogna diminuire i costi e continuare ad usufruire di quello che è uno dei punti di forza del distretto cioè la grande flessibilità, la grande adattabilità al cambiamento del mercato, una grande propensione a dare servizio." Tra le attività del Centro ceramica vi sono: • la promozione di ricerche, studi e aggiornamenti relativamente alla tecnologia nella produzione ceramica, materie prime, impianti, prodotti; • facilitare scambi tecnologici di macchinari, soprattutto con l'estero (Paesi in via di sviluppo); • incentivare le aziende ad accedere a programmi europei di innovazione tecnologica; • attività di formazione; • attività di supporto in termini di infrastrutture. Il Centro ceramica, negli ultimi anni ha portato avanti iniziative finalizzate alla promozione di un comune marchio di qualità. Questo consentirà di identificare il prodotto con un'area produttiva ben definita, di offrire delle garanzie ai consumatori e di attivare una sorta di "politiche comuni". Com'è noto le iniziative relative al marchio sono tuttora in una situazione di stasi e non si riesce a trovare un raccordo tra gli imprenditori locali. "... Facciamo degli incontri, abbiamo l'Associazione Industriali, abbiamo il Centro Ceramica, dove facciamo delle riunioni, diciamo tante belle cose, poi quando usciamo fuori facciamo quello che ci pare. Questa è Civita. Sarebbe troppo bello cercare di trovare un'unione tra aziende, che ci potrebbe portare dei giovamenti, si potrebbero fare degli acquisti consorziati, ma succede che quello che ha uno sconto del 3% da un fornitore non lo dice a nessuno, no, ancora non c'è questa mentalità aperta a Civita." Strettamente legato al discorso della qualità è il lavoro a cottimo. Il Centro Ceramica ha promosso delle iniziative per disincentivare il cottimo: "... incentivando, invece tutte le forme alternative che sono basate sulla qualità del prodotto e sulla presenza del lavoratore". 105

Ha tentato negli anni due diverse strategie. Prima con un sistema che disincentivava il lavoratore a produrre tanto, cioè all'aumentare dei pezzi prodotti non corrispondeva un guadagno proporzionale, ma non ha funzionato perché: “anche se l'ultimo pezzo prodotto nella giornata gli veniva pagato pochissimo il lavoratore continuava a farlo". Successivamente si è invertito il sistema in modo che fosse penalizzante per l'imprenditore, ossia si è fatto in modo che i pezzi prodotti in aggiunta al carico di lavoro giornaliero venissero pagati di più. Questo sistema ha avuto maggiore successo e si è deciso di: "disincentivare la produttività pro capite a favore di una qualità migliore". In ambedue i casi le strategie messe in atto non si sono dimostrate efficaci di fronte ad un radicamento così profondo tra i lavoratori e tra gli imprenditori della cultura del cottimo. Sul piano della tecnologia il Centro ceramica svolge delle funzioni di "aggiornamento" e attualmente è impegnato con tre aziende di Civita Castellana, una portoghese e una francese in un progetto tecnologico innovativo nel settore dei sanitari relativo a un robot a lettura ottica del pezzo per la rifinitura7. A livello della formazione sono stati realizzati dei corsi per: • funzionari di strutture commerciali; • preparatori di barbottina; • contabilità industriale per gli imprenditori; • lingue straniere; • capireparto e direttori di produzione; • produzione per tecnologia ceramica; • workshop e giornate di studio per gli imprenditori sui problemi relativi alla qualità. Complessivamente i corsi non hanno riguardato la formazione di figure "tradizionali" della ceramica e non sono stati rivolti a giovani in cerca di prima occupazione ma prevalentemente a persone già occupate nel settore. Il progetto relativo all'istituzione di un laboratorio tecnologico che avrebbe dovuto stimolare l'attività di ricerca, non è mai riuscito a decollare sia per problemi dovuti alla carenza di finanziamenti (soprattutto pubbblici), sia per la scarsa collaborazione degli imprenditori spesso poco propensi a riconoscerne l'utilità. Il Centro ceramica, così come il sindacato, non si è mai dovuto porre il problema dell'occupazione giovanile né quello di creare un bacino di manodopera. I rapporti con il Sindacato sono buoni ed anche da parte del Centro Ceramica si cerca di attuare una politica di consenso e di accordo tra le parti interessate. Rispetto alla tecnologia uno dei limiti che può essere imputato al Centro Ceramica, come agli altri operatori locali, è quello di non avere in qualche modo investito in tecnologia ambientale, nel senso che la tecnologia introdotta dalle imprese finora ha riguardato il ciclo produttivo e non è stata usata "a favore dell'uomo" per migliorare l'ambiente di lavoro. Se ci spostiamo sulle politiche della Comunità europea il Centro ceramica ha altissime potenzialità sia nella promozione di progetti innovativi, sia nella promozione di attività formative (in collaborazione con enti locali, associazioni, sindacati), legate all'incentivazione dell'occupazione nell'area locale o alle creazione di servizi alle imprese (cosa che contestualmente potrebbe incentivare la creazione di figure professionali nuove per il polo ceramico), nonché nell'approvazione del piano 5B. 7

La rifinitura è una delle fasi della lavorazione del prodotto in cui i lavoratori sono maggiormente esposti alle polveri di silicio

Per il Centro ceramica esiste possibilità di azione su almeno due diversi livelli: l'ambiente in cui operano le imprese e gli imprenditori. Nel primo caso si verifica la possibilità (ma anche la necessità) di offrire supporti di vario tipo legati ai servizi di consulenza, all'assistenza finanziaria, fiscale, tecnica, commerciale, organizzativa. Un ruolo rilevante assume nel distretto la capacità di offrire informazioni complete circa gli andamenti e le tendenze del settore. Solo delle informazioni complete possono consentire, infatti, una programmazione a medio-lungo termine. In questo ambito si situa anche l'utilità di creare collegamenti con università e istituti di ricerca. Nel secondo caso si offre la possibilità di costruire "a misura degli imprenditori locali" degli interventi formativi che da un lato li rendano consapevoli dell'utilità di un certo tipo di formazione, dall'altro rafforzino le basi tecniche e manageriali del loro "saper essere e saper fare". Nel corso degli anni il Centro ceramica, pur essendo molto propositivo ha trovato ostacoli che hanno impedito la realizzazione delle proprie idee progettuali e il pieno utilizzo delle sue risorse potenziali. In primo luogo problemi dovuti alla mancanza di finanziamenti da parte dei soggetti pubblici coinvolti. In secondo luogo il forte individualismo degli imprenditori che porta le aziende a lavorare spesso in un clima di competizione non solo aziendale ma talvolta addirittura personale.

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CONCLUSIONI

La ricostruzione delle fasi dell'origine e dello sviluppo della produzione ceramica a Civita Castellana, così come impostata in questa ricerca, è risultata indispensabile per la definizione di un quadro storico-sociale di sfondo della evoluzione della produzione ceramica. Si sono così potuti delineare alcuni elementi chiave del sistema locale: • il peso e l'importanza dell'attività produttiva ceramica nell'area considerata; • l'esistenza di una "atmosfera industriale" legata al saper fare ceramica come conseguenza di una preesistente tradizione artigianale trasformatasi successivamente a livello industriale nei primi decenni del secolo; • l'esistenza di professionalità artigianale, che ha costituito un bacino di manodopera specializzata per il circuito produttivo, e di un ampio bacino di manodopera comune costituita dai lavoratori provenienti dagli altri comuni del comprensorio; • una diffusa propensione al rischio di impresa sia come risposta a problemi occupazionali sia come vocazione per il lavoro autonomo che, nel caso di Civita Castellana, si è espressa in un primo fertile periodo attraverso figure imprenditoriali di tipo collettivo; • la creazione delle condizioni di base del settore produttivo locale a bassa soglia d'entrata; • una forte e continua capacità di espansione delle quote di mercato da parte degli imprenditori civitonici; • l'esistenza di una diffuso e condiviso orientamento politico nella comunità locale; • un forte orgoglio di campanile che tende a rendere la popolazione civitonica impermeabile rispetto a quelle degli altri comuni del comprensorio. Gran parte di questi elementi possono essere rintracciati, pur con caratteristiche proprie, anche in altre realtà distrettuali in particolare per quanto riguarda l'origine sociale degli imprenditori e la presenza di una competenza professionale diffusa e specializzata. Come molti distretti quello di Civita Castellana nasce negli '50/'60, quando nella domanda di beni di consumo comincia una fase ascendente. La presenza delle aziende di soci operai (uno dei più interessanti fenomeni studiati nel corso della ricerca), fa di Civita Castellana un distretto industriale diverso da tutti gli altri. Questo particolare assetto della proprietà industriale infatti esprime emblematicamente, sia il peso dei fattori sociali all'origine del distretto, sia il ruolo dei valori sociali e culturali, sia la rilevanza dell'atmosfera industriale. Come già accennato, all'origine delle aziende di soci-operai c'è un problema di salvaguardia dell'occupazione, ma è pur vero che alla disoccupazione non si reagisce necessariamente col passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo. In realtà la disoccupazione non è l'unica causa, ma soltanto uno dei fattori all'origine del distretto. Questi vanno cercati anche nella forte consapevolezza della propria capacità professionale da parte degli operai (dovuta ad un processo produttivo ancora a carattere artigianale) come delle caratteristiche socio-politiche di una comunità a forti radici socialcomuniste che hanno favorito l'associazionismo degli operai. A tale ideologia politica non ha corrisposto una propensione significativa alla realizzazione di un modello produttivo di tipo cooperativistico, quanto piuttosto una forte spinta verso la creazione di piccole-medie società di capitali di fatto fondate sulla base di un azionariato diffuso.

La comunità locale ha poi funzionato come veicolo per la crescita di questo fenomeno; si è infatti innescato un successivo processo imitativo che, in risposta a precise esigenze di autonomia lavorativa, nonchè di redditività, ha determinato il sorgere di altre imprese di soci-operai. Gli effetti di un simile meccanismo hanno poi contribuito a definire le caratteristiche ed i percorsi evolutivi dell'attuale imprenditoria locale . Per quanto riguarda la suddetta “impermeabilità”, questa è stata così denominata perché la produzione ceramica che interessa i sette comuni del comprensorio (in termini di localizzazione delle unità produttive, a livello imprenditoriale e nel corso dei 45 anni di sviluppo), è rimasta un fenomeno esclusivamente civitonico. Le fabbriche ubicate nei diversi comuni hanno tutte origine da imprenditori di Civita Castellana e la manodopera originaria degli altri comuni ha, in linea di massima, fornito esclusivamente forza lavoro comune. Il processo imitativo all'origine della nascita di molte fabbriche del distretto non si è mai esteso ai soggetti economici degli altri comuni. Attraverso la ricostruzione dello schema semplificato delle fasi del ciclo produttivo, che scandisce tutt'oggi i tempi di vita dei lavoratori del distretto, è emerso un quadro disomogeneo del tessuto produttivo locale rispetto al diverso impiego di tecnologie più o meno avanzate. Tale quadro innanzi tutto si connota per il diverso livello tecnologico tra i due settori dei sanitari e delle stoviglierie. Mentre le aziende di stoviglie hanno un ciclo produttivo quasi completamente automatizzato, le aziende di sanitari invece presentano notevoli salti tecnologici all'interno del proprio, il che fa ancora dipendere alcune fasi solo dall'abilità professionale degli operai. All'interno dei due comparti c'è poi una gamma di processi produttivi diversificati determinati dalle diverse tecnologie utilizzate. Lo studio del ciclo produttivo ha consentito inoltre una riflessione sulla tecnologia e sul ruolo che questa assume, indipendentemente dal grado di innovazione tecnologica raggiunto dal settore in cui opera un'azienda. Il livello di molte imprese dell'area apparentemente sembra presentare un notevole ritardo rispetto alla tecnologia utilizzata nell'ambito dello stesso settore produttivo, e le tecnologie utilizzate sono per lo più imitate dalle grandi aziende. Questo aspetto pone il comprensorio in una condizione di diversità rispetto alla maggior parte dei sistemi produttivi locali che in genere sono dei luoghi dove si sperimenta e si produce innovazione. L'analisi sviluppata in proposito ha consentito di individuare diversi fattori che concorrono a spiegare il difficile rapporto tra il distretto e la tecnologia: • le caratteristiche dell'imprenditoria locale, finora più interessata al guadagno immediato che agli investimenti produttivi; • le dimensioni aziendali in relazione al costo delle innovazioni; • le strategie di vendita (fascia di mercato medio-bassa, particolare nicchie di mercato); • il tipo di relazioni industriali; • il cottimo che ha contribuito a mantenere competitivi i prezzi della manodopera rispetto alle macchine; • la bassa conflittualità operaia anche su aspetti come la salute in fabbrica. In sintesi il "ritardo" tecnologico delle aziende del comprensorio ha risposto, almeno finora, a due motivi specifici: le scelte strategiche di vendita degli imprenditori e le caratteristiche della manodopera locale inserite nel quadro delle relazioni industriali esistenti nell'area. Le relazioni di cooperazione tra imprese, considerate uno degli elementi di forza dell'economia distrettuale, non sono state riscontrate. "La cooperazione semi consapevole e involontaria" (Becattini 1994) dovuta al comune sistema socio-culturale e che in qualche "modo innerva il mercato" del distretto, non ha sviluppato i rapporti tra le imprese. Queste infatti non sono in grado di mediare tra i 109

loro interessi nemmeno attraverso il Centro ceramico. Questo stile di rapporti è quello che impedisce alcune iniziative di cui si parla da anni: la costituzione di un marchio della zona, l'associazione per servizi in comune come la promozione, l'acquisto di materie prime, l'innovazione tecnologica. Un'annotazione a parte merita l'aspetto finanziario poiché è stato oggetto dei cambiamenti più sostanziali verificatisi nell'ultimo decennio nelle aziende locali. Le risorse finanziarie utilizzate, dall'origine dell'economia distrettuale fino alla seconda metà degli anni '80, sono state di natura rigorosamente endogena: i civitonici sia come soci-operai che come gruppi familiari che operano sempre nel settore ceramico, hanno sempre finanziato direttamente le loro attività. Nella seconda metà degli anni '80 sono invece intervenuti quei cambiamenti, di cui si è più ampiamente parlato nello svolgimento di questo: parliamo dell’intervento di capitali esterni attraverso merchant bank, le cui conseguenze sull'attività produttiva locale non sono ancora chiaramente leggibili. Se la ricchezza del distretto è stata sinora ad ora l'abilità professionale del saper fare ceramica, è nel processo di socializzazione manifatturiera che questa abilità si è diffusa e si è trasformata in fattore di sviluppo. Il processo di socializzazione manifatturiera è servito a diffondere e a tramandare nel tempo un abilità professionale, un mestiere che in tal modo si è trasformato in una ricchezza collettiva, in un bene posseduto non solo dal singolo ma dal distretto nel suo insieme. Lo svilupparsi del processo di formazione professionale all'interno di una rete di relazioni sociali e non attraverso sistemi istituzionali di formazione non è certo una peculiarità di Civita Castellana: il saper fare diffuso è una ricchezza fondamentale per ogni economia di piccola e media impresa localizzata. Quello che è specifico di Civita Castellana però, è che attraverso le interviste, le visite alle fabbriche, l'analisi del ciclo produttivo, si è arrivati a concludere che non si tratta solo di un patrimonio professionale basato su delle specifiche competenze tecniche, ma di un saper fare che tra origine dalla sedimentazione, nella memoria individuale e collettiva locale, di esperienze lavorative acquisite e trasmesse nelle relazioni sociali sia familiari che comunitarie. Si tratta di una professionalità acquisita quasi inconsapevolmente in un processo di socializzazione anticipatoria all'attività lavorativa preminente all'interno della fabbrica, ancora quindi in un processo di interazione sociale tra l'operaio esperto che trasmette il suo bagaglio professionale a quello più giovane. Civita Castellana si presenta come una comunità dove il consenso verso l'attività produttiva ceramicola è sempre stato notevole e diffuso. L'attività produttiva locale è stata una degli elementi costitutivi del sistema dei valori locali, come le caratteristiche tipiche della cultura di una comunità extra urbana si sono saldate alla tradizione produttiva locale. L'etica del lavoro, l'orgoglio di essere un bravo ceramista, tutto ciò si è legato all'orgoglio di campanile di una comunità capace di produrre ricchezza per sé e per le popolazioni degli altri Comuni del Comprensorio. Un sistema di valori che ha dato luogo ad una forte coesione sociale e ad una relazione tra fabbrica e società tale che gli orari della fabbrica hanno scandito e scandiscono ancora oggi i tempi della vita sociale. La fabbrica è sempre stata luogo di aggregazione sociale (anche se ora in alcune fabbriche l'introduzione di un maggior numero di macchine ha modificato tali rapporti) e le relazioni al suo interno ripropongono quelle della comunità esterna, improntate come sono a rapporti di tipo amicale e parentale. La ceramica è ancora il principale argomento di conversazione nei luoghi di ritrovo sociali che sono il bar e la piazza; lo è pure tra le pareti familiari. La fabbrica è stata fucina di figure di rilievo locale come sindacalisti e sindaci.

La conoscenza dell'attività produttiva derivante dagli effetti di formazione che produce la socializzazione manifatturiera in un contesto locale è in larga parte all'origine dello svilupparsi di quel fenomeno di imprenditorialità diffusa all'origine del distretto. Ciò riguarda ovviamente sia le aziende di soci-operai, che quegli imprenditori che, provenienti da altri settori, si sono “impadroniti” delle risorse locali e si sono inseriti nella produzione ceramica. Le caratteristiche imprenditoriali stanno cambiando perché oggi non basta più saper lavorare la ceramica per aprire una fabbrica: il settore delle stoviglie principalmente e in misura diversa anche quello dei sanitari, richiedono investimenti iniziali in macchinari più onerosi di quelli dell'epoca d'oro dello sviluppo locale. Si è cercato in fine di comprendere il ruolo delle istituzioni locali e degli attori sociali collettivi, all'interno di quella problematica che Bagnasco (1988) ha chiamato "la costruzione sociale del mercato", dove gli attori sociali, economici, istituzionali, individuali e collettivi locali concorrono attraverso la creazione di regole formali e informali socialmente accettate e alla ricerca di una combinazione efficiente delle risorse. In questa atmosfera le relazioni sindacali tra padroni e operai hanno assunto un peculiare equilibrio, che è stato mirato più che alla salvaguardia di interessi di parte ad una redistribuzione collettiva dei benefici economici . Il sindacato in questo ha giocato un ruolo attivo, riuscendo almeno sinora a compensare i costi coi benefici, snaturando, in alcuni casi, anche il proprio ruolo su problematiche importanti come quella della salute in fabbrica. Le interviste ad alcuni rappresentanti delle amministrazioni di alcuni Comuni del comprensorio hanno messo in evidenza come non si siano mai concertate politiche a livello di area. Il Comune di Civita Castellana non sembra avere svolto un ruolo attivo, soprattutto come tramite con altri enti territoriali come la Provincia e la Regione. Queste ultime non solo risultano assenti, ma per motivi che non si è avuta l'opportunità di indagare sufficientemente, hanno assunto, sia nel passato che nel presente, iniziative e comportamenti negativi, per il polo ceramico. Si apre in questa direzione un’interessante prospettiva di indagine: l'incidenza dell'elemento territoriale non solo nella relazione tra imprese e territorio, ma anche nella relazione tra il sistema produttivo locale e la sua collocazione in un contesto più ampio come quello regionale. Il Centro ceramico, l'Associazione degli industriali locali, sia dall'intervista al responsabile attuale che dai commenti registrati nelle interviste agli imprenditori, al sindaco e ai rappresentanti sindacali, risulta purtroppo di scarsa efficacia nel promuovere iniziative per il comprensorio, come quella da molti anni in progetto di un marchio comune per le imprese dell'area. Ciò in conseguenza della già esplicitata forte individualità degli imprenditori e dei loro contrasti di interessi che prevalgono sui possibili benefici di iniziative comuni. Molti mutamenti stanno attraversando il comprensorio di Civita Castellana sia dal punto di vista produttivo che sociale. Stanno mutando le imprese, che non si presentano più solo come un tessuto omogeneo di piccole imprese autonome; si sono già formate nell'area delle concentrazioni. Ma più che un processo di concentrazione progressiva quello che è in atto sembra essere un fenomeno di polarizzazione tra imprese autonome e grandi gruppi che almeno attualmente sembrano coesistere. La ricchezza fondamentale del distretto (la professionalità, il "saper fare ceramica"), sta mutando anch'essa. L’introduzione delle macchine non richiede quasi più il mestiere, ma un tipo di conoscenza legato alla tecnologia, e alla capacità di utilizzarla. Bisogna anche sapersi adeguare ai tempi delle macchine. Sta inoltre emergendo il bisogno di nuove figure professionali più qualificate, ciò in relazione alla complessità della gestione aziendale. 111

Ma stanno mutando anche i modelli culturali, per esempio verso la salute in fabbrica; la silicosi non è più considerata la malattia del ceramista, ma si stanno preparando battaglie sindacali affinché essa venga riconosciuta come danno biologico. Se questo riconoscimento ci sarà o meno non è dato sapere, ma certamente questo nuovo orientamento costringerà gli imprenditori a prendere seri provvedimenti in tema di tutela dell'ambiente di lavoro, in ciò sollecitati anche dalle nuove normative dell’Unione europea. Tutto è in mutamento lentamente, gradualmente. Le aziende di soci-operai si stanno avviando verso un altro modello di sistema che non è però ancora chiaramente identificabile. Persiste il legame tra le popolazioni del distretto e la loro attività produttiva. Questa relazione, che ha radici storiche e natura dinamica, contribuisce a formare un'identità individuale e collettiva socialmente e produttivamente costituita, peculiare al territorio in questione. Questo studio di caso rende ragione delle necessità di esplorare e ampliare le conoscenze empiriche sui sistemi produttivi locali in ordine alla possibilità di una politica industriale generale, già espressa dalla legge 317/91. Tale politica evidentemente per essere efficace deve conoscere e tenere conto delle specificità territoriali di questo fenomeno produttivo, poiché, come si è visto, i criteri di elaborazione della legge suddetta escludono situazioni quali il comprensorio di Civita Castellana. In ordine a un ragionamento teorico più generale, l'intrinseca multidisciplinarietà del fenomeno studiato, ripropone la necessità dell'approccio anche sociologico nell'analisi dei processi economici. Concludendo, il distretto, che a una prima analisi sembrava essere un sistema produttivo locale "arretrato" che avrebbe ceduto prima o poi all'impatto con la "modernità", ha rilevato di possedere risorse endogene tali da essere in grado di dare risposte ai problemi di sviluppo e di mantenimento di quote di mercato in un'economia globale in cui, da un lato si fanno spazio i paesi ultimi industrializzati con manodopera a basso costo, dall'altro le innovazioni tecnologiche rendono sempre più flessibile la produzione di scala della grande impresa. Risposte che derivano non solo come effetto degli stimoli del mercato ma che sono influenzate ed a loro volta interagiscono con i piani del sociale propri della comunità su cui "insistono".

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APPENDICE

Aspetti metodologici. Per la realizzazione della ricerca sono state utilizzate una pluralità di fonti. Le principali fonti di informazione di tipo quantitativo sono state l'Istat, la Confindustria, il Cerved. Relativamente alle fonti di informazione di tipo qualitativo si è fatto uso di interviste libere a testimoni privilegiati. La ricerca si è articolata sulla base dei seguenti step metodologici: 1. reperimento del materiale esistente sui distretti industriali e le concentrazioni locali di piccola e media impresa; 2. contatti con le istituzioni regionali, locali, le associazioni di categoria, le associazioni sindacali che a vario titolo avevano del materiale disponibile; 3. primi incontri di verifica con testimoni privilegiati con interviste realizzate al termine della raccolta dei materiali aventi lo scopo di aiutare a completare il quadro di fondo, al fine di individuare le principali linee guida che avrebbero caratterizzato un primo rapporto di ricerca; 4. Reperimento dati sul comprensorio tramite Istat, Ufficio di collocamento di Civita Castellana e la rilevazione diretta. 5. Inizio della ricerca su campo. In questa fase attraverso interviste "libere" a diversi interlocutori si è cercato di approfondire la conoscenza delle caratteristiche economico-sociali sia dal punto di vista degli imprenditori e delle aziende che da quello di testimoni privilegiati circa le risorse locali, i modelli di socializzazione locali e lo "stile di vita" locale. Inoltre sono state effettuate delle visite in alcune aziende per prendere conoscenza del processo produttivo. Questo ha consentito di mettere in rilievo elementi per la messa a punto della fase successiva della ricerca. In seguito si è dato inizio ad un secondo ciclo di interviste mirate ad un ulteriore approfondimento di alcuni elementi emersi nella prima fase dell'indagine su campo e alla ricerca di aspetti nuovi non ancora evidenziati. Anche in questo caso si è operato tramite interviste libere condotte sulla base dei campi di indagine precedentemente definiti. L'approccio utilizzato nel delineare le varie figure professionali è consistito nell'analisi sia del processo produttivo che dei compiti ad esso afferenti, come di quali "saperi professionali" siano necessari per svolgere detti compiti e per il governo del processo o di parte di esso in cui interviene la professionalità considerata. I "saperi professionali" sono stati dedotti valendosi: • dell’analisi di ciò che oggettivamente la mansione esercitata richiede; • delle interviste ai soggetti direttamente coinvolti; • del riferimento all'inquadramento aziendale e sindacale. 6. È stato ritenuto opportuno, al fine di migliorare la conoscenza "della comunità", integrare i colloqui e le interviste con "l'osservazione partecipante" intervenendo in alcuni momenti di aggregazione di alcune parti sociali.

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Traccia di intervista. • •



• •

Può descrivere per sommi capi il processo di strutturazione (o destrutturazione) che ha portato all'attuale configurazione del settore ceramistico di Civita Castellana. Può fornirci dati aggiornati circa la struttura del settore ceramistico locale ed una descrizione delle caratteristiche di una azienda-tipo (forma giuridica, dimensioni - sia in termini di impianti che di addetti coinvolti nel processo di lavoro -, gamma produttiva). L'imprenditore: può ricostruire un profilo di questa figura professionale (età media, titolo di studio, capacità distintive), se necessario, attraverso una ricostruzione per fasi del processo di apprendimento imprenditoriale. La manodopera: quali sono gli aspetti che caratterizzano questa seconda figura professionale in generale. Partendo dall'assunto di base che le fasi del ciclo produttivo sono rispettivamente per il comparto sanitario e quello delle stoviglierie le seguenti : Ciclo sanitario Stoccaggio di argilla e caolino Movimentazione Miscelazione prima con acqua poi con argilla e caolino Stagionatura Colatura Sformatura Prima essiccatura Collaudo Seconda essiccatura Collaudo Verniciatura Terza essiccatura Cottura Scelta definitiva

• •







Ciclo delle stoviglierie Stoccaggio dell'argilla Movimentazione Preparazione dell'impasto Foggiatura Rifinitura Prima cottura (biscottatura) Decorazione Smaltatura Incasellatura Seconda cottura Scelta Spuntinatura

può fornirci indicazioni circa le fasi stesse e le competenze richieste da ognuna di esse. Dalla lettura del materiale bibliografico su Civita Castellana e la sua produzione di ceramiche abbiamo appreso di una forte incidenza nelle aziende di prestazioni di lavoro "a cottimo". Può spiegare come si è giunti allo sviluppo di questo fenomeno, quali sono stati i fattori che lo hanno favorito e specificare se ha portato al consolidamento di una "cultura" di lavoro alternativa rispetto agli altri distretti industriali di sua conoscenza ed in particolare rispetto a quelli in cui prevale lo stesso tipo di attività di Civita Castellana. In merito alla formazione professionale della manodopera, quali sono i processi di apprendimento che hanno portato e che portano attualmente all'acquisizione delle competenze specifiche e quali incentivi esistono attualmente per i giovani che intendano lavorare nel campo delle ceramiche. In sintesi per l'attività ceramistica, così da come emerge dall'esperienza di Civita Castellana, a livello di manodopera, si può parlare di una prevalente specializzazione intra-aziendale o inter- aziendale, o di una coesistenza di entrambe in ogni unità produttiva. Attualmente tra le aziende esistenti nel distretto esistono dei rapporti prevalentemente di cooperazione e di competizione, oppure entrambi si avvicendano in funzione dei periodi di turbolenza o stabilità del mercato.

• •



• •



Ci sono stati in passato e ci sono attualmente fattori esogeni, quale ad esempio l’apporto di capitali privati, che hanno modificato la struttura e gli equilibri del distretto. Come noto le aziende, specialmente quelle di piccole dimensioni, riscontrano attualmente nella fase della commercializzazione dei prodotti uno dei momenti maggiormente critici per la loro sopravvivenza (fenomeno che non ha risparmiato Civita Castellana) e, in questo caso, quali soluzioni sono state adottate: se si è posto riparo cioè in maniera unitaria o si è accentuata invece la competizione tra le aziende con la modifica delle dimensioni d'impresa riducendola unitamente a una più spinta specializzazione produttiva. In altre parole la tradizione artigianale ceramistica ha svolto una funzione di catalizzatore di forza lavoro in un numero ridotto di aziende. Oggi, di fronte alla crisi dell'intero sistema produttivo, permangono forze di aggregazione o forze disgreganti, effetto dell'acuirsi della concorrenza tra imprese. Il sistema produttivo: come si è evoluto dal punto di vista delle figure chiave e in relazione allo sviluppo tecnologico. La "qualità", indubbiamente uno dei fattori critici più importanti per le imprese, in riferimento a fasi lavorative, competenze, gestione aziendale, prodotto finito, ecc. In quale di questi ambiti è stata particolarmente ricercata in passato e come si è modificato il suo peso in ognuno di essi allo stato attuale. Quali sono le attuali prospettive del mercato.

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INDICE

PREFAZIONE INTRODUZIONE 1 - LA STORIA 2 - LE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEL COMPRENSORIO 3 - GLI ELEMENTI CHIAVE DEL SISTEMA ECONOMICO-PRODUTTIVO - 3.1 Gli imprenditori - 3.2 Le caratteristiche della professionalità 4 - LE IMPRESE - 4.1 Le industrie della ceramica - 4.2 Le caratteristiche delle imprese 5 - LE IMPRESE E IL MERCATO - 5.1 Le imprese, i mercati di sbocco e le reti di vendita - 5.2 I fattori di competitività 6 - LE IMPRESE E I FLUSSI FINANZIARI - 6.1 Flussi finanziari e tipologia delle aziende - 6.2 I flussi finanziari ed il privato - 6.3 Le fonti finanziarie 7 - IL CICLO PRODUTTIVO - 7.1 Il ciclo produttivo della ceramica e le industrie locali - 7.2 Il ciclo produttivo e la professionalità - 7.3 La tecnologia 8 - LA COMUNITÀ E GLI OPERATORI LOCALI - 8.1 Il sistema dei valori - 8.2 Il sindacato - 8.3 Il Centro ceramico CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA APPENDICE

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