Dal Latino Al Database

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DAL LATINO AL DATABASE. Marcello Bettoni, IS “Carlo Dell’Acqua”, Legnano, [email protected] Marialetizia Mangiavini, Liceo Classico “Pietro Verri”, Lodi- SSIS, Università cattolica del Sacro Cuore di [email protected] La Ict non è solo innovazione tecnologica, ma rende possibile e promuove un radicale svecchiamento didattico e metodologico. Ict ed Humanities : un nuovo paradigma per la scuola italiana.

1. Milano-Chicago, una mattina qualunque… Milano 8.30 (GMT+1), Liceo Berchet . Lezione di storia antica : la prof, in piedi davanti alla cattedra, spiega le guerre persiane col tono deciso di chi conosce bene il proprio mestiere e la propria materia.. E’ un ginnasio, i collegamenti alla tragedia ed alla lingua greca si sprecano, non parliamo della filosofia, e poi... i riferimenti all’attualità sono ghiotti : le guerre persiane come anticipazione dello scontro tra occidente libero ed oriente fondamentalista… diamine, non può non interessare. La “prof.” è brava, la classe non è nemmeno di quelle malvagie, l’argomento super interessante, eppure…Quei due laggiù in fondo parlottano, un altro gioca col cellulare, e questi tre davanti li conosce bene : occhi sbarrati e cervello per farfalle… La prof. usa anche le nuove tecnologie: li ha portati in laboratorio per far loro capire che nella storia greca c’è il nostro presente, la nostra cultura, non solo il nostro passato : una presentazione multimediale su Maratona e sulle Termopili, musiche coinvolgenti, persino una videolezione con slides sincrone da godersi tranquillamente a casa.. macchè, il sacro fuoco in loro non scatta… “Che c’è che non va?” , si chiede sconsolata la prof., “Eppure queste attività multimediali in certi licei se le sognano…” Chicago, 8.30 (CST), S. Patrick High School. Mr. Roberts conduce un laboratorio di 20 allievi sulla storia antica. Non è in forma, ma tant’è…i ragazzi si sono seduti ognuno davanti al proprio pc e si sono messi a lavorare. Non c’è stato bisogno di dire nulla , quella mattina, per fare lezione. Perché tutta l’attività è già stata impostata la settimana scorsa , e gli studenti hanno a disposizione un file con tutte le consegne: costruire una sitografia, ciascuno su un argomento predefinito di storia greca, valutare il lavoro dei compagni, infine valutare criticamente il proprio. Nessun rumore, in aula : solo il ticchettio delle tastiere… una musica, per Mr. Roberts, che passa per i banchi e curiosa, consiglia, indirizza, stimola, corregge.. Lì nessuno lo chiama “professore”, è semplicemente Mr. Roberts. Dev’essere così perché lui non dispensa la verità dall’alto… certo, la conosce bene, la storia, ma il suo ruolo è diverso, “tutor, facilitator”. Per i suoi allievi è semplicemente Mr. Roberts.

1.1 Modelli tradizionali e problemi di apprendimento Lo scenario si apre , con inevitabile semplificazione,su due modelli di insegnamento, due approcci diversi: il primo trasmissivo, fondato sul comportamentismo, il secondo costruttivista e socio-collaborativo. Il primo modello di di trasferimento delle conoscenze, quello frontale e trasmissivo, è ancora il prevalente e il più diffuso nella scuola italiana. E’ il metodo con cui tutti noi siamo stati educati da studenti e che abbiamo utilizzato per anni come docenti.E’ indubbiamente il più rapido per svolgere la mole di contenuti che il programma annuale di ogni disciplina comporta. Si concentra sulla illustrazione dei contenuti; è una comunicazione asimmetrica che vede il docente primo attore e gli studenti passivi spettatori.. E’ il metodo più veloce , ma è sempre il più efficace? . Ci sembra che oggi questo modello mostri sempre di più i suoi limiti rispetto ad allievi che, bombardati da una quantità impressionante di dati ed informazioni frammentarie, trovano una scuola che tende a riempirli di dati ulteriori, senza preoccuparsi minimamente di fornire loro criteri e abilità su come filtrarli, selezionarli, organizzarli, ri-crearli e ri-produrli in modo originale. E’ un procedimento di accumulazione che non ha in sé gli strumenti per “ trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza”. (1) Scopo primario di un apprendimento significativo (meaningful learning) è invece la capacità di organizzare le nuove informazioni, innestandole su ciò che già si sa. Solo così si può dominare il sapere, e non esserne dominati. “L’ accrescimento ininterrotto delle conoscenze edifica una gigantesca torre di Babele, rumoreggiante di linguaggi discordanti. La torre ci domina perché noi non possiamo dominare i nostri saperi” (1) Nella lezione frontale il modello di comunicazione è verbale, raramente utilizza altri codici, ed è adatto ad una intelligenza di tipo prevalentemente auditivo. Questo spesso provoca problemi a studenti con diverso tipo di intelligenza, che di fronte a questo modello appaiono invece “incapaci”. Altra questione: la motivazione. Il modello trasmissivo presuppone la motivazione degli studenti all’apprendimento. Non si pone il problema di come crearla , perché la dà per scontata, come lo era ai tempi di una scuola “d’elite”. Ma oggi ,nella scuola di tutti e per tutti, ciò non funziona più: lo studente con poca motivazione rimane in una condizione cognitivamente subordinata, perciò non assume un atteggiamento attivo e responsabile nel proprio apprendimento. In questa situazione anche il docente perde motivazione, è a disagio e sempre meno efficace. La motivazione è un’attitudine, che non può essere creata, né trasmessa. Va maieuticamente stimolata, “fatta uscire”. Come? Inducendo il bisogno di colmare un gap tra quello che si sa e quello che si dovrebbe sapere, ad esempio ponendo lo studente di fronte ad una consegna per la quale deve trovare la strategia migliore. E’ il passaggio dal primo al secondo stadio dell’apprendimento delle abilità : dall’incompetenza inconscia alla incompetenza conscia. (2) Tuttavia, il motivo principale che ci ha spinti ad intraprendere queste sperimentazioni è il miglioramento del ratio tra risultato atteso e l’ outcome conseguito. Il modello trasmissivo-frontale funziona benissimo con il 10-15% degli allievi, i più dotati, e risulta invece poco efficace col restante 90%.

Sembra infatti che in questo modello la curva di apprendimento, oltre una certa soglia “sostenibile” di “pressione” sugli allievi, si appiattisca assolutamente, e che da lì in poi i miglioramenti siano minimi, a fronte di richieste didattiche che da una parte la classe percepisce come insostenibili, e che dall’altra si rivelano controproducenti, perché deteriorano il rapporto complessivo con e tra gli allievi.

Serve perciò un approccio nuovo, che senza aumentare (anzi, alleggerendola decisamente) la pressione complessiva sugli allievi , al contempo aumenti il ratio tra risultato atteso ed outcome conseguito. E questa ci sembra una ragione sufficiente per intraprendere una strada alternativa. 2. Nuova didattica, nuovi strumenti Qui non intendiamo stabilire graduatorie di valore, e nemmeno di opportunità. Ci interessa piuttosto interrogarci su che cosa la scuola italiana possa mutuare dalla impostazione pragmatica ed operativa anglosassone per far fronte ai problemi dell’apprendere, oggi, nella scuola superiore del nostro paese. E riflettere sul ruolo imprescindibile che la ICT ha in tutto ciò. Il nostro contributo è infatti basato sulla presentazione di alcune metodologie innovative per l’insegnamento medio, sperimentate in classe e proposte nella formazione dei docenti in servizio, in cui si promuove una reale integrazione tra educazione e tecnologia. Da queste attività le ICT sono imprescindibili, sia perché esse stesse si configurano come un vero e proprio “thinking tool” (3) , sia perché tali strategie non sarebbero praticabili senza adeguati strumenti informatici. 2.1 Un approccio socio-cognitivo nella didattica del latino Il problema da cui siamo partiti è stato lo sviluppo di abilità complesse nella traduzione di testi latini d’autore. Le conoscenze e le abilità di base del latino possono essere insegnate ancora attraverso un modello trasmissivo e frontale, basato sull’approccio comportamentista. L’utilizzo della tecnologia può aumentarne l’efficacia con le sue potenzialità multimediali ed interattive, con venature ludico-emotive, con test che realizzano il modello “drill and practice”(4). Quando però si tratta di tradurre testi d’autore, ovvero di rendere la complessità insita nella distanza linguistica e culturale di un testo antico, di sviluppare una nuova attitudine

mentale capace di selezionare significati provvisori, di formulare ipotesi , di applicare strumenti logici complessi come l’abduzione, il metodo tradizionale non basta più (5). La traduzione è un processo, non un prodotto. Non è soltanto un insieme di regole da trasferire con un addestramento operativo, bensì un sistema complesso che implica abilità elevate e diversificate. Tali abilità complesse non possono essere trasferite come sequenze operative, perché non sono algoritmi. Sono personali, individuali, frutto di un processo di riflessione sulle proprie procedure, sui propri errori, che solo l’interessato, lo studente può fare. La prima abilità è quella di saper fare delle ipotesi provvisorie, gestirle, scartarle od ammetterle, procedere per congetture e confutazioni, infine verificarle o falsificarle. Insomma, il lavoro dello scienziato, del manager, del giocatore di scacchi, che predispone gli scenari e decide come agire. Inoltre una traduzione matura è un atto di comprensione, di interpretazione, che parte dalla propria visione del mondo per ricostruire il mondo, la cultura, lo stile e la mente stessa dell’autore antico. Una traduzione è una attribuzione di senso. Questi “high skills” si raggiungono soltanto stimolando la riflessione su se stessi, sul proprio metodo di lavoro, sollecitando la consapevolezza dei propri errori, l’autostima e la capacità di auto-correzione. Sono perciò necessari strumenti tecnologici adatti ad un modello didattico diverso, che non consideri lo studente come un “assorbitore” dei contenuti (quand’anche forniti in formato digitale), ma che funzioni da enzima per il sistema digestivo, aumentando la probabilità di reazione chimica tra il testo e la mente dell’allievo. (6) Sono strumenti individuabili in LCMS ad impronta sociocognitiva, come MOODLE, che consentono allo studente di trasformarsi da passivo recettore a protagonista del proprio apprendimento, e al docente di divenire un facilitatore, un consulente di processo, che corregge il tiro, guida, indirizza, interviene laddove necessario. E’ un nuovo paradigma cognitivo: dal programma da completare, alle abilità da conseguire. Dalla nozione, al metodo. Dal contenuto, al processo. 2.2 La valutazione tra pari e il modulo Workshop in Moodle : valutare per apprendere La peer review è uno strumento metodologico e didattico molto utilizzato nelle scuole di impostazione anglosassone e presso gli editori americani, i comitati di valutazione di premi, concorsi . L’idea di fondo è piuttosto semplice : ciascuno viene valutato e valuta il lavoro dei propri pari. I criteri e gli elementi di valutazione sono chiariti agli studenti prima di iniziare il lavoro. La valutazione diventa quindi strumento formativo: lo studente, che ha partecipato alla stesura degli elementi di valutazione, deve verificare che i lavori dei colleghi ed il proprio (uno, due o più) posseggano- ed in che misura- determinati requisiti. Correggere significa essere consapevoli in massimo grado dei processi. E’ un atto di autocoscienza superiore rispetto al dire o al sapere. Pertiene alla sfera del fare. E questo fare implica una riflessione metacognitiva.

Naturalmente, nel setting della valutazione tra pari, è riservato uno spazio ben preciso alle valutazioni dell’insegnante : valutazioni del lavoro di ciascun allievo, delle valutazioni di ciascun allievo, dell’autovalutazione. La nota finale di solito è una media ponderata tra gli assessment. Qui non intendiamo descrivere i caratteri della peer review, sulla quale esiste una bibliografia di riferimento: parliamo di un modulo effettivamente sperimentato nella nostra prassi scolastica: il workshop, un’attività presente nell’LCMS Moodle. Il workshop è di gran lunga l’attività più complessa, la meno praticata, ma anche una delle più efficaci .Si tratta di un’attività di peer / self assessment che smista i lavori degli studenti, ridistribuendoli tra gli stessi per una valutazione tra pari. Fase 1 - Setting iniziale : la definizione dei criteri e degli elementi di valutazione. E’ buona prassi negoziarla e condividerla con gli studenti . Essi devono essere consapevoli del processo che stanno per realizzare, in particolare della definizione e della ponderazione degli elementi di valutazione . Fase 2 - Il Workshop dà la possibilità al docente di inviare dei compiti di prova, affinché lo studente possa praticare la valutazione su modelli esemplificativi di compito svolto, alcuni buoni, altri meno. Fase 3 – E’ la fase realizzativa vera e propria , in cui ciascuno lavora individualmente sulla propria produzione. Termina con l’invio dei lavori. Fase 4 – In questa fase, temporalmente contigua e logicamente successiva alla precedente il sistema redistribuisce i lavori in automatico ed in forma anonima, e gli studenti cominciano a valutare i lavori dei propri pari. Fase 5 - Il docente valuta e corregge i lavori degli studenti in base alla stessa griglia usata dagli studenti per correggere il lavoro dei propri compagni Fase 6 – Il docente stabilisce la data di pubblicazione delle valutazioni, sue e degli studenti. Il sistema provvede ad attribuire una valutazione automatica (in base a ponderazioni effettuate dal docente nella fase 1) alle valutazioni degli studenti, sulla base di un confronto tra queste e la valutazione del docente, e mediante un algoritmo (regolabile) basato sulla deviazione standard tra le due valutazioni. Fase 7 - Lo studente ha la possibilità di accettare o meno le valutazioni sul suo lavoro che i compagni gli hanno attribuito, motivando il suo rifiuto. Fase 8 – Autovalutazione (se nel setting iniziale era stato previsto). Fase 9 - Il voto finale è la risultante di tutte le valutazioni, secondo la ponderazione stabilita dal docente nella fase 1. Si può dare più peso alla sua valutazione o a quella tra pari, così come nella correzione è il docente stesso – non lo studente- a settare il peso di un elemento di valutazione (ad es. la correttezza sintattica) rispetto ad un altro ( ad es. la scelta lessicale). E ora andiamo al cuore del problema: quali abilità ha promosso l’uso del workshop negli studenti di liceo impegnati con la traduzione dal latino? Da un questionario somministrato a fine corso, è emerso che i punti di forza sono stati: 1- sviluppo della consapevolezza delle strategie, per superare un atteggiamento “meccanico” nei confronti della traduzione, per provare nuove soluzioni, abbandonando modelli precostituiti e cercando una via personale. 2- acquisizione di un metodo personalizzato, che di volta in volta ha imparato dai propri – e altrui – errori, un metodo capace di applicare la logica della ricerca scientifica alla traduzione.

3- sviluppo dell’autostima, indispensabile per poter gestire le difficoltà. In breve, un autentico sviluppo delle metacompetenze. 2.3 Il PeerTask Il successo del workshop nell’insegnamento di una lingua classica ci spinto ad estenderlo ad altre discipline letterarie, anche in un contesto educativo diametralmente opposto al ginnasio. Le metacompetenze più richieste e meno “trasmissibili” sono certamente quelle relative alla produzione scritta in lingua italiana, il vecchio “tema”. Ci riferiamo alla coesione formale e alla coerenza logica di un testo scritto.Tali abilità compositive ,infatti , provengono da una impostazione che ha radici lontane, nell’infanzia e nella scuola primaria, nell’ambiente familiare e sociale . Correggere certe abitudini ortografiche, malvezzi sintattici o erronee espressioni tipiche del parlato , non è facile. Farlo con un adolescente è complicato; con un adulto, ancor più. Di qui l’idea di Missione Podcasting: far produrre alla classe dei file mp3 che sintetizzassero il contenuto delle lezioni, liberamente fruibili e scaricabili dal nostro ambiente virtuale di apprendimento. Non semplici registrazioni della lezione, ma ri-produzione della lezione da parte degli allievi, da caricare in piattaforma e da rendere disponibile al download per un podcasting da fruire in mobilità.

ATTIVITÀ’

METODOLOGIA DIDATTICA

1. Sintesi storico-letteraria ed analisi dei testi

Lezione frontale

2. Creazione individuale di una mappa concettuale del L.O. sulla quale basare il lavoro 3. Divisione in 4 gruppi e condivisione collaborativa delle mappe concettuali. Costruzione dello storyboard 4. Ogni gruppo seleziona i testi affrontati e tra i testi seleziona le frasi da citare nel podcast. 5. Ogni gruppo elabora il testo di interconnessione creando un testo finale che contiene i concetti fondamentali del segmento di L.O. che gli è stato assegnato 6. Condivisione dei criteri di valutazione e prova di valutazione esemplificativa. 7. Mediante piattaforma, i testi prodotti da ogni singolo gruppo vengono ridistribuiti in forma anonima e random ad ogni studente, che li deve valutare, sulla base di criteri di correzione che l’insegnante ha concordato con gli allievi. Essi possono accettare o meno le valutazioni motivate dei loro pari, motivandole. Così deve fare con la valutazione del docente sul proprio lavoro e sulla sua valutazione del lavoro dei compagni. La valutazione finale sarà la media ponderata di tutte queste valutazioni, secondo “pesi” prestabiliti. 8. Assemblaggio finale dei prodotti dei gruppi, assistito dal docente. Stesura finale del testo di registrazione. 9. Produzione mp3/conversione formato.

Meaningful learning

10. Implementazione in Moodle. Tab.1 Missione Podcasting: il setting del PeerTask

Attività collaborativa

TE M PI 3 or e 1 or a 1 ora

Discussione guidata

1 ora

Scrittura collaborativa

3 ore

Peer review

1 ora 1 ora

Peer grading

Scrittura collaborativa guidata Didattica laboratoriale Didattica laboratoriale

1 ora 1 ora ---

Questo nuovo setting, che abbiamo chiamato PeerTask, risponde alle necessità specifiche dell’educazione degli adulti: realizzare attività in learning by project e supportare i problemi di frequenza. Il cuore dell’attività è la valutazione tra pari . Prima di registrare il testo della lezione, ciascun gruppo deve valutare il lavoro dei colleghi. Si evita in tal modo la parcellizzazione dei compiti, che porta spesso, nei lavori di gruppo, a conoscenze parziali: tutti devono conoscere tutto, per poterlo valutare. 2.4 La Videopoesia: quando la tecnologia incontra la poesia Il setting di questa attività è piuttosto semplice: una volta addestrati all’utilizzo del software (MovieMaker) , gli studenti devono leggere con attenzione la poesia loro assegnata e farla “parlare”, ricercando nel web immagini che interpretino le parole del testo e un file musicale adeguato al ritmo della poesia, e montando un video che rechi in sovrimpressione il testo stesso, in sincronia con le immagini. I puristi storceranno il naso davanti all’idea di far costruire agli studenti dei veri e propri clip video, in cui le parole si mescolano alle immagini e ai suoni. Forse si crede che tutto ciò corrompa la sacralità della poesia.. Ma , diciamo noi, non è proprio l’accurata esegesi- al limite della anatomia patologica- con cui esaminiamo un testo poetico, a romperla? Con tutto il suo corredo di parafrasi, analisi, figure retoriche e metriche, riferimenti intra ed extratestuali, troppo spesso la poesia, per uno studente, diventa…muta. Proprio la poesia, che è per definizione suono, ritmo, musica. Questa attività, proposta agli studenti, è stata accolta con notevole entusiasmo. Figli di una società dell’immagine, giocano ad essere registi e creatori di un video simile a quello dei loro cantanti più amati. Cercano immagini, fanno corrispondere suoni a parole.. e non si rendono conto che questo comporta una attenta manipolazione del testo, una interpretazione linguistica e tematica della poesia. Non fanno altro che enfatizzare, attraverso il mezzo digitale, la naturale sinestesia propria del testo poetico, che parla insieme all’occhio e all’orecchio: segni e spazi bianchi, un rincorrersi o un lento fluire di suoni . E che, con le parole, evoca cose alla nostra immaginazione: la primavera che “brilla nell’aria” , la luna, la siepe, il girasole, o la”nebbia impalpabile e scialba”… Non solo: quella poesia diventa la “loro” poesia. Ed è questa risonanza , questa interiorizzazione del testo, uno dei caratteri peculiari della funzione poetica. E’ evidente che questa attività non può sostituire il lavoro tradizionale con il testo poetico, ma affiancarlo, o meglio anticiparlo, questo si. L’obiettivo cui mira, e che raggiunge, è quello di avvicinare lo studente di oggi alla poesia in modo personale, attraverso un metodo ludico-produttivo. Ancora una volta, la tecnologia come enzima, questa volta di motivazione . 2.5 Il Database come “learning tool”. Se la funzione di un DBMS nella gestione delle basi di dati e nello specifico di un CMS dedicato all’e-learning è cosa nota, poco o nulla si sa circa l’utilizzo di un DataBase come strumento didattico , tanto più nelle materie umanistiche. Un DBMS è un sistema di records digitalizzati che permette agli utenti di immagazzinare informazioni e di recuperarle con procedure intelligenti di ricerca

(queries), suddividendole in generi o gruppi omogenei (campi) e stabilendo tra i vari campi relazioni più o meno complesse. E dunque, perché non utilizzare le possibilità che un DB offre in un modello costruttivista di apprendimento? Ora, se pensiamo al web come ad una immensa miniera di dati, che aspetta solo un lavoro intelligente di scavo, suddivisione per gruppi omogenei, classificazione etc., ecco che un DB offre interessanti opportunità. Far sperimentare in concreto il metodo di costruzione dei contenuti disciplinari: ad esempio il mestiere dello storico, manipolando materiali “grezzi” (fonti testuali, storiografiche, archeologiche, cartografiche) per ricostruire un evento. Un intervento didattico contenutistico e nel contempo metodologico, in cui la conoscenza si trasforma in autentica esperienza di apprendimento. Tra le ulteriori possibili applicazioni didattiche di un database realizzato ve n’è qualcuna che può essere desunta dal data mining , ovvero il machine learning (apprendimento automatico). Si pensi allo studio di una lingua: con opportune query, guidate dal docente, si possono identificare interessanti regolarità (pattern) che portano alla luce delle relazioni sfuggite ad un primo sguardo. Un Webquest , al posto della più usuale presentazione PPT, può avere come prodotto finale anche un database, in cui le categorie di ogni campo sono create dagli studenti: db di dati, immagini, filmati o Url (che lo trasformano in una sitografia ragionata) Tuttavia crediamo che lo strumento possa dispiegare le sue potenzialità in un ambito strettamente contiguo alla Media Education(7), e che sia proprio il docente di materie umanistiche il più indicato a formare l’allievo alle information literacy skills . Esse sono “competenze nel riconoscimento dei propri bisogni informativi, negli strumenti e nelle risorse appropriate, nella scelta delle strategie cognitive di ricerca, nell’analisi e nella valutazione delle risorse trovate, nel riconoscere eventuali problemi legali, sociali ed etici, nel sintetizzare, presentare ed organizzare le informazioni” (8)Competenze trasversali agli ambiti disciplinari, urgenti per formare persone consapevoli e metodologicamente accorte nel trattare , vagliare ed organizzare la gran mole di dati a disposizione sul web, e non solo. Lo strumento didattico che utilizziamo per la creazione di basi di dati, naturalmente, non è un editor professionale per database, bensì l’attività “Database” all’interno del CMS Moodle, integrato tra le features standard a partire dalla release 1.6. 3. Un nuovo paradigma: integrare modelli educativi e tecnologia Il costruttivismo ed il costruzionismo socio collaborativo sono discretamente diffusi nella scuola primaria, ma la situazione è molto più problematica nella scuola superiore, ed addirittura paradossale ed anacronistica nella educazione (serale) degli adulti, costretta a clonare in maniera goffa e inadeguata il modello di apprendimento della scuola diurna con condizioni di lavoro e discenti completamente diversi dagli allievi del mattino. Più in generale, in tutti gli ordini della istruzione superiore il vincolo del programma ministeriale inibisce fortemente la sperimentazione di percorsi “learner-skill-centred”, che necessitano di più tempo a disposizione rispetto a quello di una normale lezione frontale. Il punto su cui vorremmo riflettere è

questo : in che misura le tic si rendono indispensabili nella realizzazione di percorsi innovativi dal punto di vista del modello didattico di riferimento?

3.1. ICT e didattica innovativa. Anzitutto qualche considerazione ovvia : senza la rete, senza il web e l’http, senza i database, senza la possibilità di ricercare e riprodurre immagini, audio e video in formato digitale, molti nuovi percorsi non esisterebbero affatto : la sitografia, il webquest, il modulo database in piattaforma, la stessa videopoesia, il PeerTask. La ICT non solo mette a disposizione nuove metodologie, ma le incentiva, le crea. In secondo luogo, l’utilizzo delle metodologie didattiche più sofisticate non sarebbe realizzabile, per ragioni pratiche ed operative, senza un sistema dinamico gestito da un database. Si immagini una peer review realizzata senza uno strumento tecnologico: l’insegnante dovrebbe valutare anche le valutazioni, dovrebbe fare complessi calcoli per le ponderazioni, , la redistribuzione in forma anonima delle prove sarebbe impossibile, il tempo complessivo si dilaterebbe sino a fuoriuscire dal controllo. In questo caso, il supporto tecnologico è decisivo perché permette di effettuare un numero elevato di operazioni in minor tempo. Non è un caso che la peer review esista nell’editoria da molto tempo, ma che sia diventata, nel mondo anglosassone, una metodologia scolastica condivisa solo a partire dagli anni ‘90, quando si è verificata una diffusione massiva degli strumenti informatici nelle scuole di ogni ordine e grado. In terzo luogo, i nuovi strumenti permettono il perseguimento di obiettivi didattici metacognitivi, “high skills”, difficilmente perseguibili con strategie cognitiviste e frontali. Verrebbe da dire : strumenti evoluti per competenze evolute. Insegnare un metodo è forse il sogno nascosto di ogni prof. Peccato che non si possa fare. Se fosse una sequenza di istruzioni operative standardizzate, cioè un algoritmo, si potrebbe. Ma il metodo di traduzione, la capacità di scrittura, il metodo di studio sono poco assimilabili ad algoritmi. Perché sono un saper fare e un saper essere,dunque personali, e possono solo essere maieuticamente portati alla luce mediante la riflessione ed il riconoscimento dei propri errori. Le Ict, in questo senso, sono veri e propri “thinking tools” . Infine, le ICT permettono un approccio operativo, fondato sull’apprendimento “by doing”, “by project”, anche per quegli insegnamenti tradizionalmente teorici, le materie umanistiche, che non hanno direttamente a che fare con scopi pratici. La lontananza dalla utilità immediata della letteratura e della storia le fa sembrare, agli occhi di molti allievi, lontane anche dalla vita. L’operatività concreta, la manipolazione (seppur digitale) di contenuti, la realizzazione di un “task”, la possibilità di attivare aree cerebrali di solito “a riposo” nella lectio diurna (l’intelligenza cinestetica, la capacità di progettare, di ricercare, di organizzare, di valutare ed autovalutarsi, di rapportarsi, di negoziare, di gestire/gestirsi, di correggere/correggersi), una forte stimolazione dell’apprendimento emotivo che la multimedialità è in grado di sollecitare : tutte operazioni e funzioni che riavvicinano le humanities alla vita perché della vita fanno parte.

Con buona pace dei Savonarola dell’anti-tecnologia, che preferiscono il “caldo e diretto rapporto umano” allo “stordimento del monitor”.

3.2 ICT, efficienza ed efficacia Sembra dunque fuori discussione che le ICT siano indispensabili nell’applicazione di nuovi percorsi didattici. Di fatto, però, nelle nostre scuole prevale il modello della presentazione multimediale e degli esercizi “drill and practice”, come potenziamento di impostazioni didattiche tradizionali. Più raro è notare l’utilizzo della tecnologia per potenziare l’interazione comunicativa e le attività collaborative e/o costruzionistiche. Ora, a nostro avviso, l’utilizzo delle ICT, di per sé, non significa didattica innovativa. Questa viene perseguita solo se si traduce il curriculum, l’oggetto disciplinare in attività di apprendimento. Le ICT hanno un fortissimo potenziale che però non sempre si traduce in effettivo potenziamento . Per così dire, se andiamo nella direzione sbagliata, le ICT ci fanno andare più veloci… Se insegnare è dimostrare e parlare, ed apprendere è memorizzare e ripetere, usare a questo scopo le tic serve a potenziare questo modello cognitivo, ma non a renderlo indicato ed opportuno per degli allievi, per obiettivi formativi e per un contesto socio-culturale radicalmente mutati da vent’anni a questa parte. Le ICT migliorano l’efficienza di un modello, ma non lo rendono di per se efficace. Sembrerebbe proprio che il cuore del problema sia dunque la didattica : le tecnologie possono dispiegare il loro potenziale se guidate da uno sforzo di innovazione metodologica e didattica che solo in parte può essere indirizzato dall’alto. Sono i docenti in primis coloro che devono “aprire” alle ICT , non foss’altro per due fondamentali recuperi motivazionali : quello dei propri studenti, come abbiamo cercato di dimostrare, ed il proprio…(9) Accettare la sfida di sperimentare nuovi modelli e nuovi strumenti, per diventare davvero professionisti dell’educazione. Bibliowebgrafia 1. Morin E., 2000 ,“La testa ben fatta – riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, Raffaello Cortina Editore 2. Jonassen, David H. ,1995 ,”Computers in the Classroom: Mindtools for Critical thinking”, Paperback 3. http://www.businessballs.com/consciouscompetencelearningmodel.htm 4. http://olc.spsd.sk.ca/DE/PD/instr/strats/drill/index.html 5. http://old.irrelombardia.it/Borse_di%20_ricerca/materiali_06/Mangiavini_pres_prog.htm

6. Mangiavini M., Bettoni M, “Moodleo, es, moodlere: la costruzione di contenuti didattici con l’OS Moodle”, Istituto Pedagogico di Bolzano, in corso di pubblicazione 7. www.ilmediario.it

8. http://209.85.129.104/search?q=cache:CXsYfN3sJy4J:ulearn.itd.ge.cnr.it/workshop_syll abus/abstract%2520presentazioni/ITD%2520Genova%2520exerpt%2520per%2520Mid oro.doc+informatin+literacy&hl=it&gl=it&ct=clnk&cd=1 9. Bettoni M., Mangiavini M., “Il circolo virtuoso Tic-didattica: una “psicoterapia” per l’attività docente?”, in “Atti Didamatica 2006”, p.165ss

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