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Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale Chapter · January 2015

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Caterina Laganara, Ginevra Panzarino, Gianfranco Favia*

Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale 1. La robbia Nota sin dall’Antichità, la robbia è una pianta selvatica, ubiquitaria, diffusa anche nella Puglia settentrionale1 e sul litorale sipontino2. È descritta per la prima volta nella Περὶ Φυτῶν ‘Ιστορίας del filosofo e botanico greco Teofrasto che, oltre a classificare, distingue per la prima volta nell’Antichità il valore terapeutico delle piante: la robbia, inserita nei sottoarbusti, è identificata per la sua foglia rotonda come l’edera e soprattutto per l’intenso colore rosso delle sue radici e sono annoverate le sue proprietà diuretiche e antinfiammatorie per i dolori lombari e dell’anca3. Le sue caratteristiche sono riportate dettagliatamente anche nella Naturalis Historia di Plinio, opera enciclopedica di riferimento per tutto il Rinascimento, e nel De materia medica, erbario che ebbe una profonda influenza nella storia della medicina almeno fino al XVII secolo, opera del medico, botanico e farmacista greco Dioscoride Pedanio. Diversi i lemmi in uso per indicare la pianta (ereutédanos, teucrio, darakano, cinabro, rubia presso i Romani, bardana presso i Tusci e sofobo per gli Egiziani); sostanzialmente coincidenti nei due autori antichi le descrizioni

* C. Laganara, direttore scientifico della ricerca archeologica; G. Panzarino, dottore specializzato in Beni Archeologici, curriculum tardoantico e medievale, responsabile dello scavo e dello studio tafonomico e antropologico delle sepolture; ha inoltre curato lo studio delle fonti e l’Appendice; G. Favia, direttore dell’UOC Odontostomatologia del Policlinico di Bari (Università degli Studi di Bari Aldo Moro), responsabile delle analisi paleopatologiche. 1 M.C. Leporatti - P.M. Guarrera, Ethnobotanical remarks on Central and Southern Italy, in «Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine», 3, 1, 2007, pp. 23-11. 2 M.C. Leporatti - P.M. Guarrera, Ethnobotanical remarks in Capitanata and Salento areas (Puglia, southern Italy), in «Etnobiologia», 5, 2007, pp. 51-64. 3 Teofrastro, Historia plantarum: VI, 1, 4; VII, 9, 3; IX, 13, 4-8.

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della pianta (per Dioscoride i suoi steli sono quadrati, lunghi e ruvidi; spinosi per Plinio; le foglie si dispongono a intervalli regolari, ciascun giunto a forma di stella tutto intorno e Plinio ne conta cinque; il frutto ha una colorazione mutevole nelle sue fasi di maturazione prima verde, poi rosso, infine nero; la radice è sottile, lunga, rossa)4. Un realistico riscontro figurativo della pianta è contenuto nel manoscritto medievale dell’opera di Dioscoride, conservato presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna5 (Fig. 1). 1.1 Proprietà tintorie e terapeutiche La robbia era utilizzata per due scopi principali: il più noto, da cui l’appellativo latino tinctorum, tuttora in uso, era quello riportato già nelle ‘Iστορίαι di Erodoto dove, con riferimento all’abbigliamento delle donne della Libia, si descrive la guarnizione delle pelli di capra, indossate sulle vesti, con frange tinte di robbia. A quest’uso fanno poi esplicito riferimento come colorante artificiale Vitruvio e Plinio nelle loro più note opere: le stoffe di lana erano immerse nella miscela di creta, robbia e isgino6 per raggiungere il colore purpurissimus. Plinio ne richiama anche l’utilizzo per la concia delle pelli, il cui processo lavorativo è riferito anche dal ricettario altomedievale del monaco Eraclio7. Pastorali di vescovi e di abati e altri oggetti ricavati da ossi o corni potevano essere colorati per immersione in un infuso ottenuto dalla radice della robbia seccata al sole, schiacciata in un mortaio con un pestello, cosparsa con soda e riscaldata fino all’ebollizione. A parlarne la Diversarum artium schedula di Teofilo, uno dei più completi manuali sulle tecniche artistiche del Medioevo, risalente al XII secolo8. Ed è ancora con la robbia che si ottiene il rosso inchiostro imperiale, menzionato nella prima metà del XII secolo dal politico, sto-

Plinio, Naturalis Historia: XIX, 47; Dioscoride, De materia medica: IV, 116. Dioscoride, op. cit., Ms. Med. gr. I, folio 111v, 112r. Altre illustrazioni di notevole qualità e precisione sono contenute nella principale traduzione italiana dell’opera, I discorsi nelli sei libri di Pedacio Dioscoride della materia medicinale, pubblicata a Venezia nel 1568 a cura del medico senese Pietro Andrea Mattioli. 6 Pigmento rossastro, annoverato da Plinio tra i colori artificiali (Plinio, op. cit., XXXV, 12), ottenuto da una miscela in parti uguali di sandaraca e rubrica. 7 Eraclio, De coloribus et artibus romanorum: III, 33. 8 Teofilo, Diversarum artium schedula: XCIV. 4

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Fig. 1 - Dioscoride, De Materia Medica. Ms. Med. gr. I, folio 111v, 112r: rappresentazione della rubia tinctorum.

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rico e teologo bizantino Niceta Coniata9. Galeno10 e Plinio11 informano del suo uso anche in cosmesi per tingere il viso e i capelli e Avicenna ne sottolinea le proprietà detergenti soprattutto per il viso, da cui rimuove punti neri e macchie12. Già dalla medicina ippocratea13, trasmessa per tutto il Medioevo fino ad Avicenna14 e oltre, le radici della pianta sono sfruttate per le proprietà terapeutiche, atte a curare molte affezioni legate ai diversi apparati: 1. gastro-enterico: dissenteria, colopatie, itterizia (epatopatie con ittero), gonfiore della milza (splenomegalia); 2. urinario: infezioni varie (nefriti, cistiti calcolotiche); 3. genitale femminile: patologie legate al ciclo mestruale (a-dismenorrea) e come induttore dell’aborto (antimetrorraggia); 4. muscolo-scheletrico: dolori articolari correlati alla sciatica (paralisi e paresi) e alla gotta. Le fonti attestano inoltre il suo uso per la cura nelle anomalie della pigmentazione cutanea (vitiligini, efelidi e lentiggini), nei casi di eruzioni e micosi cutanee anche del cuoio capelluto, come emostatico cicatrizzante per la perdita di sangue dal naso (epistassi) e traumi, lesioni o cadute; infine con effetto antiofidico contro il morso/veleno dei serpenti e con effetto antiedemigeno e lenitivo nelle punture d’insetti. Le ricette riportate dagli autori antichi e medievali (infra Appendice) indicano, oltre a specificarne la posologia, la preparazione ottenuta mescolando la robbia con altre piante in una soluzione di acqua, idromele, vino e, nelle cure dermatologiche, di aceto.

9 N i c e ta C o n i ata , Χρονικὴ διήγησις: IV, 5,5 (=ReignMan1, pt3, 112,21); V, 6,8 (=ReignMan1, pt4, 141, 12); XI, 3,3 (= ReignAndron1, pt2, 326, 27). 10 Galeno, De remediis parabilibus: XIV, 392, 423-424. 11 Plinio, op. cit., XXIV, 94. 12 Avicenna, Canone della medicina: II, 17. 13 Ippocrate, De morbis mulierum: I-III, 91, 7; De sterilitate mulierum: 224 ; Peri diaites oxeon nota: II, 250, 1. 14 A seguire da Ippocrate altre menzioni della pianta per scopo medicale si ritrovano in: Bolus, Physica et mystica: II, 42. Dioscoride, op. cit., III, 143. Anonimi Medici De morbis acutis et chroniis: 27, 3. Archigenes, Fragmenta: 13; 16. Galeno, De simplicium medicamentorum facultatibus: XI, 878; De succedaneis: XIX, 734. Zosimus, Excerptum de partibus alchimiae: II, 220. Oribasius, Collectiones medicae: XI, ε, 18; XIV, 49, 3,4; XVI, 1:5, 33; Eclogae medicamentorum: 30,1; 48, 12; 50, 3; 50, 4; 50, 11; Synopsis ad Eustathium filium:

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Studi recenti hanno confermato le sue applicazioni tintorie15 e mediche16, ma ne hanno anche evidenziato l’elevata tossicità17. 2. L’area cimiteriale Nell’ambito della ricerca archeologica sulla città di Siponto, antica colonia romana dedotta nel II sec. a.C., precoce diocesi della II regio Apulia et Calabria e fiorente porto sull’Adriatico fino all’epoca dell’abbandoII, 35, 1; Libri ad Eunapium: II, 16, 1. Aetius, Iatricorum: I, P; I, 148; III, 111; III, 136; III, 150; III, 153; VI, 95; VIII, 12; XI, 5; XII, 1; XII, 67. Alexander, Therapeutica: VIII, 395, 25; XII, 529, 31. Paulus, Epitomae medicae: III, 25, 7; III, 50, 2; IV, 57, 8; VII, 3, 5; VII, 11, 37; VII, 11, 59; VII, 25, 11. Avicenna, op. cit., II, 17. 15 C. Clementi, W. Nowik, A. Romani, F. Cibin, G. Favaro, A spectrometric and chromatographic approach to the study of ageing of madder (Rubia tinctorum L.) dyestuff on wool, in «Analytica Chimica Acta», 596 (1), 2007, pp. 46-54; I. Karapanagiotis, Y. Chryssoulakis, Investigation of red natural dyes used in historical objects by HPLC-DAD-MS, in «Annali di Chimica», 96 (1-2), 2006, pp. 75-84; N. Cücer, N. Guler, H. Demirtas, N. Imamoğlu, Staining human lymphocytes and onion root cell nuclei with madder root, in «Biotechnic & Histochemistry», 80 (1), 2005, pp. 15-20. 16 Per le proprietà terapeutiche in generale B. Verhille, Tinctorial plants, their therapeutic applications in ancient times. The particular case of Isatis, in «History of  Science Technology & Medicine», 43 (4), 2009, pp. 357-367. Per le proprietà antibiotiche I. Formanek, G. Rácz, The antibiotic effect of the madder root (Rubia tinctorium), in «Pharmazie», 30 (9), 1975, p. 617; F. Kalyoncu, B. Cetin, H. Saglam, Antimicrobial activity of common madder (Rubia tinctorum L.), in «Phytotherapy Research», 20 (6), 2006, pp. 490-492. Per le proprietà diuretiche J. Keller, Madder root in the therapy of nephrolithiasis, in «Pharmazie», 6 (12), 1951, pp. 675-680; H. Barthelemy, Madder root for small urinary calculi, in «International Urology and Nephrology», 67, 1961, pp. 538-539; D. Lorenz, P.W. Lücker, G. Krumbiegel, W.H. Mennicke, N. Wetzelsberger, Pharmacokinetic studies of alizarin in man, in «Methods & Findings in Experimental & Clinical Pharmacology», 7 (12), 1985, pp. 637-643; S.A. Norton, Useful plants of dermatology. IV. Alizarin red and madder, in «Journal of the American Academy of  Dermatology», 39 (3), 1998, pp. 484-485. 17 I. Jäger, C. Hafner, C. Welsch, K. Schneider, H. Iznaguen, J. Westendorf, The mutagenic potential of madder root in dyeing processes in the textile industry, in «Mutation  Research/Fundamental and Molecular Mechanisms of Mutagenesis», 16, 605(1-2), 2006, pp. 22-29; K. Inoue, M. Yoshida, M. Takahashi, H. Fujimoto, M. Shibutani, M. Hirose, A. Nishikawa, Carcinogenic potential of alizarin and rubiadin, components of madder color, in a rat medium-term multi-organ bioassay, in «Cancer Science», 100 (12), 2009, pp. 2261-2267.

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no, decretato dal sovrano svevo Manfredi nel 126318, a ridosso del tratto settentrionale delle mura urbiche, e quindi in un comparto periferico della città, lo scavo ha messo in luce una serie di strutture attribuite a un piccolo edificio di culto monoaulato, con probabile terminazione triabsidata (edificio XII, Fig. 2). Indizi cronologici sono forniti dagli elementi decorativi ritrovati nello strato di crollo, che rinviano alla koinè culturale della Puglia romanica, e dai rinvenimenti monetali19 (Fig. 3). Intorno alla chiesetta e in contiguità con altri due edifici (VIII e X – quest’ultimo un’abitazione –) si sviluppa un’ampia zona sepolcrale20, di cui ancora minima è la parte scavata. Già la superficie regolare e compatta del deposito sottoumifero (550) mostra una diffusione di numerose ossa e una concentrazione intenzionale di crani e ossa lunghe (551, 553, 554, 729, 731 e 767), come nel vicolo cieco tra gli edifici XII e X in cui, tra l’altro, lo strato di terra mista a pietre e ciottoli di piccole dimensioni è ricco di numerosi frammenti di anfore. Si evidenziano 14 sepolture in connessione e in discreto stato di conservazione21, di cui alcune sono a stretto contatto con i perimetrali degli

P. Corsi, Siponto nel Medioevo: vicende di una città portuale, in C. Laganara, Siponto. Archeologia di una città abbandonata nel Medioevo, Foggia 2011, pp. 22- 28. 19 C. Laganara, Siponto. Archeologia di una città abbandonata nel Medioevo, cit., pp. 5253 anche per bibliografia; C. Laganara C., P. Albrizio, G. Panzarino, Recenti scavi a Siponto: un nuovo edificio religioso presso il tratto settentrionale delle mura, in Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione, in Atti X Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Università della Calabria, Aula Magna, 15-18 settembre 2010), a cura di A. Coscarella, P. De Santis, Rossano Calabro 2012, pp. 743-751. Lo studio delle monete è stato effettuato dal dott. Sarcinelli dell’Università del Salento. 20 I dati di 6 sepolture, scavate nelle campagne 2008 e 2009, sono stati pubblicati in C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il contributo archeologico, antropologico e paleopatologico in Atti del VIII Congresso Nazionale di Archeologia Medievale della Società degli Archeologi Medievisti Italiani, a cura di F. Redi, A. Forgione, Firenze 2012, pp. 540-543. In questa sede si aggiungono i risultati dello studio delle sepolture rinvenute nella campagna 2011 (G. Panzarino, Paleobiologia di un campione scheletrico bassomedievale da Siponto (Manfredonia, FG), Tesi di laurea magistrale in Archeologia Medievale, A.A. 2011-2012). 21 Lo stato di conservazione è legato alla deposizione in piena terra, alla diagenesi nel terreno argilloso e sabbioso (A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti umani: dallo scavo al laboratorio, Roma 2005, p. 63), alle manomissioni intenzionali per la pluristratificazione e accidentali per le attività postdeposizionali fino a tempi recenti, documentate nel sito. 18

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Fig. 2 - Siponto (Manfredonia, FG, Sud Italia). L’edificio religioso (XII) e l’area cimiteriale annessa: la gradazione del tono, dal più intenso a scalare, indica la successione stratigrafica delle sepolture, dalle più superficiali alle più antiche.

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Fig. 3 – Siponto, edificio religioso. Elementi decorativi: frammenti di intonaco dipinto policromo (a); frammento di elemento architettonico con motivo vegetale (b). Elementi numismatici: denaro di Corrado I detto il Salico (1027-1039), follaro di Ruggero II (1150-1151); quarta tercenari di Guglielmo II (1166-1189) e denaro di Corrado I (1250-1254) (c).

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edifici: le deposizioni 552, 557, 672, 708, 710, 694-695 si appoggiano al fianco orientale della chiesa e altre due (555, 556) si appoggiano al muro occidentale dell’edificio VIII. Le deposizioni sono disposte in direzione Sud/Ovest-Nord/Est a seguire l’orientamento della chiesetta. Sono tutte fosse terragne semplici22. Vanno segnalate le tracce di una probabile sistemazione dei bordi nella sepoltura 694 (per la descrizione dettagliata vedi infra 2.2) e la presenza di un blocco calcareo in testata con funzione di cuscino nella sepoltura 55723. Le fosse sono poco profonde e con fondo irregolare, i tagli difficilmente individuabili. La posizione degli arti, il persistere delle articolazioni labili e la loro connessione stretta o poco allentata indicano la giacitura primaria dei corpi, decomposti nella quasi totalità dei casi in spazio pieno. Dal punto di vista della giacitura, i corpi sono sempre deposti in decubito dorsale con le braccia piegate sull’addome o con un braccio poggiato sul pube; le gambe sono distese, ma non ravvicinate o sovrapposte, dato che, oltre ai mancati segni di compressione dei cinti, indica l’assenza di una fasciatura. Fa probabilmente eccezione una sola sepoltura (infra 2.2. La sepoltura 694). Dalla zona sepolcrale provengono alcuni oggetti dell’abbigliamento24, come la piccola fluorite da castone25; un anello circolare in lega di rame con castone ovale e pietra blu26; un bottone in lega di rame, di forma globulare con occhiello di fissaggio (Ø: 0,8 cm), simile agli esemplari di XIII e XIV secolo rinvenuti in

22 Le semplici fosse scavate nel terreno sono la tipologia tombale più diffusa nel Medioevo (S. Gelichi, Introduzione all’archeologia medievale: storia e ricerca in Italia, Roma 1997, p. 164). 23 Sepolture «con pareti di pietre oblunghe poste di taglio oppure a fossa terragna, sempre senza corredo, con deposizioni sia monosome che polisome di adulti e bambini» furono rinvenute negli scavi degli anni Sessanta (F. Tinè Bertocchi, Gli scavi 1965-1966, in Siponto antica, a cura di M. Mazzei, Foggia 1999, pp. 353, 359). 24 L’uso di deporre il defunto abbigliato torna a farsi abbastanza comune nel Tardo Medioevo e a partire dal XIII secolo sono sempre più frequenti le segnalazioni di elementi dell’abbigliamento archeologicamente documentabili, come le fibbie da cintura e da calzatura, bottoni, anelli e collane (S. Gelichi, Introduzione all’archeologia medievale: storia e ricerca in Italia, cit., p. 168 e bibliografia). 25 G. Panzarino, Il profilo biologico degli inumati e il contributo paleopatologico, in C. Laganara, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p. 143. 26 A. Busto, Le tracce del quotidiano: produrre, distribuire, consumare, divertirsi, in C. Laganara, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p.112.

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Toscana a Castel di Pietra e Montarrenti27 e sulla spalla sinistra dell’inumato 694 un bottone in osso, di forma emisferica con foro passante nella parte centrale, integro (Ø esterno: 2 cm; Ø interno: 0,5 cm), tipologia già riscontrata a Siponto28 (Fig. 4). L’assenza di una distribuzione delle sepolture in base al sesso e all’età, anche se rilevate in un campione esiguo, depongono per una pratica deposizionale non differenziata. Lo spazio funerario risulta utilizzato con continuità. Le sepolture sono pluristratificate e in alcuni casi lo scheletro precedente è tagliato (708) o ridotto tramite l’asportazione di un lato (552, 556) oppure il cranio è ricollocato tra le caviglie (709)29. La presenza nello strato di riempimento della fossa di piccole ossa non appartenenti all’inumato conferma la pratica di riutilizzare sempre la stessa terra nelle fasi di seppellimento30. L’inquadramento cronologico al periodo bassomedievale è avvalorato dalla documentazione materiale rinvenuta in associazione con gli scheletri più antichi. I frammenti ceramici – tra cui si segnalano alcuni anforacei “da acqua” senza rivestimento con larghe anse a nastro e una scodellina con rivestimento vetroso dipinta monocroma – sono databili entro la seconda metà del XIII secolo. Il gruppo di inumati è composto dai resti di 8 adulti generici tra i 25 e i 40 anni (3 maschi, 3 femmine e 2 non identificati), 2 giovani adulti C. Citter, M. Belli, C. Cicali, M. Goracci, A. Magazzini, M. Pistolesi, H. Salvadori, A. Sebastiani, E. Vaccaio, Castel di Pietra (Gavorrano-GR): relazione preliminare della campagna 2001 e revisione dei dati precedenti, in «Archeologia Medievale», XXIX, 2002, p.153, tav. 14, tipo 1; F. Cantini, Il castello di Montarrenti: lo scavo archeologico (1982-1987): per la storia della formazione del villaggio medievale in Toscana (secc. VIIXV), Firenze 2003, pp. 174-176, tav. 41, n. 23. 28 A. Busto, Reperti in metallo e altri materiali e Catalogo, in C. Laganara, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, cit., p. 185, nn. 99-100. Il rinvenimento di esemplari secenteschi, ancora inediti, nello scavo delle camere mortuarie della cattedrale di Acquaviva (Bari) consente la ricostruzione del rivestimento con filo intrecciato (cotone, lino o lana) del nucleo (comunicazione personale del dott. Austacio Busto). 29 L’alta densità delle inumazioni è un fenomeno tipico dei cimiteri bassomedievali: i corpi precedenti venivano non di rado intercettati - spesso, rimossi (totalmente o parzialmente) - e gli stessi contenitori possono accogliere più corpi (S. Gelichi, Funeraria, archeologia, s.v., in Dizionario di Archeologia, a cura di R. Francovich, D. Manacorda, Bari 2000, pp. 152, 164, 167). 30 Dal punto di vista stratigrafico nelle sepolture vi è una sostanziale coincidenza del bacino di origine (terra asportata) con quello di deposizione (terra di riempimento) (T. Mannoni, E. Giannichedda, Archeologia della produzione, Torino 2003, p.118). 27

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Fig. 4 – Siponto, area cimiteriale. Elementi dell’abbigliamento: pietra di fluorite per castone, rinvenuta nei pressi dell’inumato 556 (a); anello con castone ovale e pietra blu (b) e bottone in lega di rame (c), provenienti dallo strato superficiale dell’area; bottone in osso rinvenuto sulla spalla dell’individuo 694 (d).

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maschi e 1 infante II di probabile sesso maschile e 3 infanti I di sesso non identificabile. L’esiguità del campione limita ogni considerazione statistica sulla mortalità e sulle generali condizioni di vita. Ci si limita ad osservare che nella serie “Adulti e Giovani Adulti” prevale la mortalità negli individui di sesso maschile. Il grado di usura delle superfici occlusali dei denti è elevato, talora fino alla frattura31 e deriva dalla masticazione di elementi duri e fibrosi, come farinacei poco abburattati e vegetali ricchi di fibre; brevi momenti di stress durante l’amelogenesi hanno causato una lieve ipoplasia dello smalto in un unico campione32. Da segnalare l’assenza di stati anemici legati alla carenza di ferro: a livello di suggestione è possibile pensare al consumo di carne nell’alimentazione. Si incrocia con questa ipotesi la presenza nel sito di resti di animali giovani macellati, sintomo o della necessità di procurarsi cibo in momenti di emergenza o dello stato agiato della popolazione33. Gli indicatori scheletrici di stress, valutati sugli inumati più completi e di sesso maschile, rimandano ad attività implicanti soprattutto l’esercizio degli arti inferiori e la frequente deambulazione su terreni dissodati, come indicano l’osteoartrosi della testa femorale (709) e la forte impronta del tendine d’Achille (709, 694). L’analisi macroscopica, radiografica e istologica di alcuni reperti ossei ha evidenziato una serie di patologie, tra cui spicca l’esostosi del meato acustico esterno (552)34. 2.1. La sepoltura 694 A focalizzare l’analisi sul 694 sono le buone condizioni di conservazione e i caratteri della sepoltura che si diversifica per più elementi dalle altre rinvenute nell’area cimiteriale (Fig. 5a). Una serie di tracce circolari 31 C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il contributo archeologico, antropologico e paleopatologico, cit., p. 541 e fig. 4. 32 Ivi, p. 541 e fig. 3. 33 P. Albrizio, I reperti archeozoologici, in C. Laganara, Siponto. Archeologia di una città abbandonata nel Medioevo, cit., pp. 211-216. 34 C. Laganara, G. Panzarino, G. Favia, Lo spazio funerario nella Siponto medievale: il contributo archeologico, antropologico e paleopatologico, cit., p. 541 e fig. 5; G. Panzarino, Il profilo biologico degli inumati e il contributo paleopatologico, cit., pp. 143-145 anche per bibliografia.

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in negativo, evidenziate per le accidentali condizioni di forte umidità del terreno, sono disposte ad intervalli regolari parallelamente al lato destro del corpo, delineato a sinistra dal perimetrale dell’edificio religioso. È possibile ipotizzare un’originaria sistemazione del bordo con pietre di medie dimensioni, verosimilmente asportate a seguito delle attività postdeposizionali che hanno altresì provocato la dislocazione dei distretti più superficiali (cranio e braccio destro)35. La compressione riscontrata sulla cintura scapolare e a livello degli arti inferiori indica la presenza di una probabile fasciatura che ha mantenuto strette le connessioni. Infine, sul suo torace, in pessime condizioni di conservazione36 è deposto in decubito dorsale un bambino (695) di circa quattro anni37 (Fig. 5b, in grigio). Il mantenimento delle articolazioni più labili e la sostanziale assenza dello strato deposizionale tra i due corpi supportano l’ipotesi della simultaneità della deposizione38. La sepoltura è pertanto definibile “bisoma” o “doppia”39. 2.2. L’individuo 694 Lo studio antropologico40 indica il sesso maschile, un’età di 20-25 anni

35 Nelle tracce circolari non si legge l’interfaccia netta di un taglio: ciò induce ad escludere l’interpretazione quali buchi di palo. 36 Le ossa degli infanti sono solitamente più fragili e più piccole di quelle degli adulti e sono pertanto maggiormente sottoposte ad una naturale selezione. 37 A causa delle cattive condizioni di conservazione delle ossa (vedi nota precedente) l’età è stata calcolata sulla base della lunghezza della diafisi delle sue ossa lunghe (M. Stloukal, H. Hanakova, Die länge der längsknochen altslawisher bevölkerungen - Unter besonderer berücksichtigung von wachstumsfragen, in «Homo», 29(1), 1978, pp. 53-69). 38 A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti umani: dallo scavo al laboratorio, cit., p. 87. 39 Duday, citando J. Leclerc e Tarrete (Leclerc, La notion de sépolture, in «Bulletins et mémoirs de la Société d’anthropolgie de Paris», n.s., 2 (3-4), 1990, pp. 13-19; J. Leclerc, J. Tarrete, Sépolture, s.v. in Dictionnaire de la Préhistoire, a cura di A. Leroi Gourhan, Parigi 1988, pp. 963-964), afferma che «generalmente questo può essere la testimonianza di un avvenimento catastrofico che ha coinvolto gli individui sepolti» (H. Duday, Lezioni di archeotanatologia. Archeologia funeraria e antropologia sul campo, Roma, 2006, p. 34). Tuttavia la simultaneità della deposizione non implica necessariamente la contemporaneità della morte (A. Canci, S. Minozzi, Archeologia dei resti umani: dallo scavo al laboratorio, cit., p. 85). 40 I resti scheletrici sono stati sottoposti ad indagine antropologica per verificare il sesso (G. Açsàdi, J. Nemeskéri, History of human life span and mortality, Budapest 1970),

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Fig. 5 – Siponto, area cimiteriale. Il giovane 694 e l’infante 695: foto da Sud Est dopo l’asporto di 695 (a); grafico di 694 (in nero) e 695 (in grigio) (b).

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e una statura medio-alta di circa 1,70 m. Dagli indicatori scheletrici di attività si deduce che gli arti inferiori sono stati sottoposti in maniera continuativa a stress biomeccanici, con coinvolgimento dei muscoli preposti alla deambulazione e alla flessione della colonna lombare solitamente più stressata nelle attività lavorative degli individui maschili41. Analoga condizione si osserva negli arti superiori per i movimenti di estensione e adduzione. Il quadro generale rivela un uso combinato di tutti gli arti. L’esame dell’emiarcata destra della mandibola rivela l’assenza del terzo molare e la malposizione del primo canino; praticamente nulli i dati desumibili dai

l’età (D.R. Brothwell, Digging up bones, Oxford 1981; H.V. Vallois, Vital statistics in prehistoric population as determined from archaeological data in The Application of Quantitative Methods in Archaeology, a cura di Heizer R. F., Cook S. F, Chicago 1960, pp. 186-222; D.H. Ubelaker, Human Skeletal Remains: excavation, analysis, interpretation, Washington 1999), la statura (M. Trotter, G.C. Gleser, Estimation of stature from long limb bones of American White and Negroes, in «American Journal of Physical Anthropology», 10 (4), 1952, pp. 463-514; Trotter, Gleser, Corrigenda to “Estimation of stature from long bones of American whites and negroes”, in «American Journal of Physical Anthropology», 47 (2), 1977, pp. 355-356), gli indicatori scheletrici di attività (R. Martin, K. Saller, Lehrbuch der Anthropologie in systematischer Darstellung, Stuttgart 1956-59; S.M. Borgognini Tarli, E. Repetto, Skeletal indicators of 121ubsistence patterns and activity regime in the Mesolithic sample from Grotta dell’Uzzo (Trapani, Sicily): a case of study, in «Human Evolution», I, 1986, pp. 331-352; V. Mariotti, F. Facchini, M.G. Belcastro, Enthesopathies: proposal of a standardised scoring method and applications, in «Collegium Antropologicum», 28 (1), 2004, pp. 145-159) e quelli dentari (S. Molnar, Human tooth wear, tooth function and cultural variability, in «American Journal of Physical Anthropology», 34(2), 1971, pp. 175186; Smith B. H., Patterns of molar wear in Hunter-gatherers and Agriculturalist, in «America Journal of Physical Anthropology», 63 (1), 1984, pp. 39-54; C.O. Lovejoy, Dental wear in the Libben population: its functional pattern and role in the determination of adult skeletal age at death, in «American Journal of Physical Anthropolgy», 68, 1985, pp. 47-56; A.H. Goodman, J.C. Rose, Assessment of systemic physiological perturbations from dental enamel hypoplasias and associated histological structures, in «Yearbook of Physical Anthropology», 33, 1990, pp. 59-110; M. A. Kelley, C. S. Larsen, Advances in Dental Anthropology, New York 1991) e infine le patologie (R. T. Steinbock, Paleopathological Diagnosis and Interpretation: Bone Diseases in Ancient Human Populations, Springfield 1976; D. M. Stothers, J. F. Metress, A system for the description and analysis of pathological changes in prehistoric skeletons, in «Ossa», 2(1), 1975, pp. 3-9; D.J. Ortner, Identification of Pathological Conditions in Human Skeletal Remains, New York 2003). 41 S. Jiménez-Brobeil, M. Roca-Rodríguez, I. Al Oumaoui, P. du Souich, Vertebral pathologies and related activity patterns in two mediaeval populations from Spain, in «Collegium Antropologicum», 36 (2), 2012, pp. 521-527.

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pochi denti mascellari, rinvenuti sparsi in fase di scavo, a conferma dell’originaria presenza del cranio, poi dislocato. Le superfici occlusali, in generale quelle dell’emiarcata destra e in particolare quelle dei primi molari, sono mediamente appiattite, indicando un’usura dentaria di secondo grado, legata al consumo frequente di cibi coriacei. Il mancato riscontro, all’esame autoptico, di linee o pozzetti indica l’assenza di episodi infantili di stress (nutrizionali o morbosi). Tra le patologie dentoalveolari spiccano le forti tracce di tartaro, messo in relazione all’elevato consumo di proteine, ad una bassa igiene orale, ad un pH della saliva e all’età. 2.3. La malattia Una serie di indizi inducono ad ipotizzare che l’individuo sia affetto da malattia tubercolare post-primaria diffusa, con interessamento osteoarticolare multifocale (vertebre, omero, tibie, femore). Già a livello macroscopico l’affezione sarebbe indicata dai segni di periostite con lesioni iperplastiche e di riassorbimento, diffusi in maniera più grave sulle ossa lunghe (scapola, omero, ulna, femore e tibia) e dalla degenerazione dei corpi vertebrali (neoformazioni di tessuto osseo, porosità e bordi irregolari, sporgenti e sopraelevati)42. È noto dalla letteratura che, in particolare, il distretto della colonna vertebrale è quello maggiormente interessato (40% dei casi) dalle alterazioni ossee da tubercolosi43, come dimostrato nello studio di alcune serie scheletriche di età medievale44. A livello radiografico emerge un quadro di osteomielite tubercolare45.

42 E.I. Radin, I.I. Paul, R.M. Rose, Role of mechanical factors in pathogenesis of primary osteoarthritis, in «Lancet», 1(7749), 1972, pp. 519-522; C.A. Roberts, J.E. Buikstra, The Bioarchaeology of Tuberculosis: A Global View on a Reemerging Disease, Florida 2003, p. 110; S. Sabbatani, S. Fiorino, Contribution of paleopathology to defining the pathocoenosis of infectious diseases, in «Le Infezioni in Medicina», 16(4), 2008, pp. 236-250; A. C. Stone, A.K. Wilbur, J.E. Buikstra, C.A. Roberts, Tuberculosis and leprosy in perspective, in «American Journal of Physical Anthropology», 140, 49, 2009, pp. 66-94. 43 A.C. Aufderheide, C. Rodriguez-Martin, The Cambridge Encyclopedia of Human Paleopathology, Cambridge 1998, p. 121. 44 A. Marcsik, E. Molnár, L. Szathmáry, The antiquity of tuberculosis in Hungary: the skeletal evidence, in «Memórias do Instituto Oswaldo Cruz», 5, 101 Suppl. 2, 2006, pp. 67-71; M.I. Hofmann, T. Böni, K.W. Alt, U. Woitek, F.J. Rühli, Paleopathologies of the vertebral column in medieval skeletons, in «Anthropologischer Anzeiger», 66 (1), 2008, pp. 1-17. 45 C.J.P. Thijn, J.T. Steensma, Tuberculosis of the Skeleton: Focus on Radiology, New York 1990.

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L’evoluzione della patologia si osserva sull’omero sinistro (Fig. 6a), che nella sua estremità distale mostra una tipica lesione mista osteolitica46 (Fig. 6b), tramite fistoloso per cui la malattia tubercolare ha perforato la corticale ossea e si è propagata ai tessuti molli (muscoli, vasi, nervi, cute) e all’articolazione del gomito, determinando un’artrite acuta tubercolare che lascia pensare in un’avanzata ipotesi ricostruttiva ad una impotenza funzionale o addirittura alla paralisi del braccio. L’esame istologico delle ossa patologiche - metodo nella maggior parte dei casi di studio praticato sui tessuti molli e sui resti mummificati47 e in un solo caso su un tessuto duro48 – fornisce l’ulteriore conferma dell’ipotesi diagnostica. 2.4. La terapia L’analisi al microscopio confocale laser di una ground section dello smalto del secondo molare inferiore di destra (Fig. 7 dell’Appendice, tav. III) mostra una serie di striature multiple fluorescenti nella banda del rosso con morfologia assimilabile alla fluorescenza da alizarina (C14H8O4)49. Questo composto organico si lega naturalmente con il Ca+, pertanto è 46 M. Martini , M.R. Hannachi,  A. Boudjemaa , Tuberculosis of bone. Tuberculous osteomyelitis, in «Acta Orthopaedica Belgica», 47 (1), 1981, pp. 95-103; M. Martini , A. Adjrad,  A. Boudjemaa, Tuberculous osteomyelitis. A review of 125 cases, in «International Orthopaedics», 10 (3), 1986, pp. 201-207; M. Martini, A. Boudjemaa, Tuberculous osteomyelitis in Tuberculosis of the Bones and Joints, a cura di M. Martini, New York 1988, pp. 52-79. 47 G. Fornaciari, R. Ciranni, C.A. Busoni, S. Gamba, E. Benedetti, F. Mallegni, S. Nelli, F. Rollo F., Santa Zita di Lucca: malattie, ambiente e società dallo studio di una mummia naturale del XIII secolo, in I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 29-31 maggio 1997), a cura di S. Gelichi, Firenze 1997, pp. 280-285; L. Ventura, C. Mercurio, C. Guidotti, G. Fornaciari, Tissue identification and histologic findings in four specimens from Egyptian canopic jars, in «Journal of Biological Research», 80, 2005, pp. 355-356; L. Ventura, C. Mercurio, F. Ciocca, M. Sarra, S. Di Lernia, G. Manzi, G. Fornaciari, Paleoistologia dei resti mummificati del Tadrart Acacus, Libia sud-occidentale (IV millennio a.C.), in «Pathologica», 99, 2007, p.188. 48 J.E. Aaron, J. Rogers, J.A. Kanis, Paleohistology of Paget’s disease in two medieval skeletons, in «American Journal of Physical Anthropology», 89 (3), 1992, pp. 325-331. 49 Le medesime tracce del glicoside si notano anche su altri campioni di tessuto osseo prelevati dal femore, in corso di studio. Sono state programmate, allargando il confronto interdisciplinare, ulteriori indagini archeometriche a supporto della somiglianza morfologica finora riscontrata.

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Fig. 6 – Siponto, individuo 694. Omero sinistro, estremità distale: lesione mista osteolitica e fenestrazione: referto fotografico (a); referto RX (b).

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utilizzato tuttora come marker nello studio fisiologico delle ossa50. L’alizarina è la componente principale delle radici della robbia che, proprio in virtù dei suoi effetti lenitivi contro le affezioni muscolo-scheletrico (vedi supra) in cui credeva l’antica medicina, è stata assunta ripetutamente dall’individuo. 3. Conclusioni Lo studio dello spazio funerario che si organizza e si pianifica gerarchicamente intorno all’edificio religioso, come indicano in particolare le sepolture localizzate a ridosso del suo perimetrale, offre così esiti interessanti e inediti per molteplici aspetti sia contestuali che di più ampio respiro. Il giovane sipontino di costituzione forte, robusta e marcata dai segni di un’intensa e precoce attività lavorativa, è affetto da tubercolosi cronica diffusa con localizzazioni multifocali, fortemente invalidante. Nella Puglia settentrionale la diagnosi è rara in un contesto bassomedievale, laddove gli esempi riportati in letteratura sono di età neolitica51 e tardoantica52. Il dato continua a confermare l’ampia diffusione della malattia presso le popolazioni antiche, in un lungo arco cronologico che va dall’era preistorica fino agli albori dell’epoca moderna53. Suggestiva l’ipotesi che viene da formulare sulla terapia: il malato ha

50 D. Richter, Vital staining of bones with madder, in «Biochemical Journal», 31(4), 1937, pp. 591-595; H. Puchtler, S. N. Meloan, M. S. Terry, On the History and Mechanism of Alizarin Red S Stains for Calcium, in «The Journal of Histochemistry and Cytochemistry», 17 (2), 1969, pp. 110-124.  51 Una sintesi in C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op. cit., pp. 173-174. 52 S. Sublimi Saponetti, Relazione tra morte e aree sacre: paleopatologia di un campione scheletrico dal sito tardoantico di San Pietro a Canosa, in Paesaggi e insediamenti urbani in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo. II Seminario sul Tardoantico Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia-Monte Sant’Angelo 27-28 maggio 2006), a cura di G. Volpe, R. Giuliani, Bari 2006, pp. 167-174. 53 H.D. Donoghue, Human tuberculosis - an ancient disease, as elucidated by ancient microbial biomolecules, in «Microbes and Infection», 11(14-15), 2009, pp. 1156-1162; Id., Insights gained from palaeomicrobiology into ancient and modern tuberculosis, in «Clinical Microbiology and Infection», 17 (6), 2011, pp. 821-829; T. Hajdu, H.D. Donoghue, Z. Bernert, E. Fóthi, I. Kővári, A. Marcsik, A Case of Spinal Tuberculosis From the Middle Ages in Transylvania (Romania), in «Spine (Phila Pa 1976)», 37(25), 2012, E1598-E1601.

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assunto ciclicamente e per via orale la robbia per alleviare gli acuti dolori articolari. È probabile supporre che raccogliesse la pianta selvatica sul litorale sipontino, dove ancora oggi cresce spontanea, oppure che se la procurasse in una di quelle tintorie, molto probabilmente esistenti nella città portuale, nota proprio dalle fonti scritte54 e materiali55 per il commercio del lino e della lana e per la lavorazione delle pelli. Tra l’altro secondo la letteratura la tubercolosi si contrae sì per il consumo del latte e dei suoi derivati56, ma anche in contesti lavorativi come concerie e tintorie57. Anche sul piano prettamente metodologico, oltre al riscontro positivo dell’interazione pluridisciplinare, innovativa è l’applicazione dell’indagine istologica sul tessuto duro. Ringraziamenti Si rivolge un sentito ringraziamento al prof. Massimo Pinto e al dott. Claudio Schiano per i consigli sulle fonti; al dott. Paolo Fioretti per aver fornito la rappresentazione della robbia dal Dioscoride di Vienna; alla prof.ssa Caterina Lavarra per alcune indicazioni e alla dott.ssa Elena Ciani per le referenze botaniche. Appendice Di seguito in ordine cronologico alcune ricette.

54 J. M. Martin, La città di Siponto nei secoli XI-XIII, in San Leonardo di Siponto. Cella monastica, canonica, domus Theutonicorum, Atti del Convegno Internazionale (Manfredonia, 18-19 marzo 2005), a cura di H. Houben, Galatina 2006, pp. 15-32. 55 A. Busto, Reperti in metallo e altri materiali e Catalogo, cit., pp.161-188; ID., Le tracce del quotidiano: produrre, distribuire, consumare, divertirsi, cit., pp. 93-114. 56 J. Rogers, T. Waldron, Infections in paleopathology: the basis of classification according to most probable cause, in «Journal of Archaeological Science», 16, 1989, pp. 611-625; I. Hershkovitz, A. Gopher, Is tuberculosis associated with early domestication of cattle? Evidence from the Levant, in Tuberculosis: Past and present, a cura di G. Palfi, O. Dutour, J. Deak, I. Hutas, Budapest/Szeged 1999, p. 447; C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op. cit., pp.119-120. 57 C.A. Roberts, J.E. Buikstra, op. cit., pp. 72-74.

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«Dopo che il feto è stato espulso. Sminuzzare una foglia di robbia e pezzetti di cedro, versare dell’acqua, tenere all’aria aperta, poi al mattino cospargerla sulle parti doloranti oppure mescolare il silfio quando una dracma [1 dracma è circa 3-5 grammi] o quando un ossibafo [1 ossibafo è ¼ di una coppa, circa una scoldella] di porro/alga marina»58. «Un trattamento dell’infertilità, fissato giorno per giorno, tra due cicli mestruali. Foglie di marrubio [robbio], abbastanza da riempire per bene la mano, mettere in un angio attico [in generale un vaso] e versare quattro bicchieri attici di acqua potabile. Far macerare il tutto per nove giorni; la donna berrà questa durante altri nove giorni di digiuno, dopo un bagno, due ciazi della bevanda di marrubio tagliato con vino bianco in quantità uguali. Quando è il terzo giorno di questa bevanda, la donna applica una fumigazione con foglie di cicuta riscaldate sul fuoco, per nove giorni. Dopo la fumigazione, ci vorrà un bagno e, in questo modo, berrà la sua bevanda. E quando la donna ha preso le sue fumigazioni per tre giorni, pone nel pessario anche il marrubio, ben lavorato, per tre giorni, o il mercuriale, ben lavorato con del miele attico, durante il giorno. Far inoltre macerare in un congio [un congio è 1/8 di anfora] di feccia [sedimento che si deposita sul fondo dei recipienti di fermentazione e di primo stoccaggio] di vino, radice di ippomaratro e di finocchio, rami di pino grassi il più possibile, un quarto di robbia, semi di finocchio, e molte radici di verbena. Questa macerazione non deve essere inferiore a nove giorni. Poi, dopo aver ricevuto le aspersioni sulla testa, si beve un giorno, durante il bagno, una tazza di questa macerazione pura. Poi, sdraiatasi e riscaldatasi, la donna si metterà il pessario. Così, di tre giorni in tre giorni, con la bevanda, il pessario di bile durante il giorno e per sei giorni. Quando il cambiamento è riuscito, lei deve andare con il marito, deve bollire le foglie e le radici di giusquiamo nell’acqua, e fomentatolo con questo decotto, più caldo possibile, deve avere degli approcci nella notte per tre giorni. La donna si fa il bagno e va con suo marito. Dopo questo impacco, deve somministrare in fumigazione il pene di cervo; quando sarà secco, deve raschiare in un bicchiere di vino bianco dell’acqua, che dovrà bere per tre giorni; si da nuovamente per i dolori del parto; perché è un mezzo per affrettare il parto»59.

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Ippocrate, De mulierum affectibus, III, 91.7. Id., De sterilitate mulierum: 224.

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«Prendete un quarto di tazza di semi puliti e due rami di robbia, mescolate regolarmente, cuocete e somministrate con grasso nell’elettuario [uno sciroppo di zucchero e miele]»60. «La radice […] si fa bere ai malati di itterizia con idromele, per curare la sciatica e la paralisi. Cura l’orina eccessiva e densa, talora sanguinolenta. Però è necessario lavarsi ogni giorno per coloro che ne bevono il decotto. Lo stelo delle foglie serve a chi è morso da un serpente. Il frutto, bevuto con oxymele, diminuisce la milza. La radice, applicata, provoca le mestruazioni e l’aborto, elimina le chiazze bianche della pelle se unte con aceto»61. «Meravigliarsi dei malati di fegato, il botanico Farnace malato. Usare zafferano, finocchio montano, di nardo selvatico [gli antichi greci chiamavano nard la  lavanda  in seguito conosciuta anche come nardus, dal nome della città siriana Naarda], valeriana del Ponto, carota, prezzemolo, mirra, singolarmente, nardo dell’India e della Gallia, entrambi una dracma, costo, cannella, giunchi profumati, ognuno un obolo [un obolo è circa 0,5 grammi], frutto dell’albero balsamo, una dracma di robbia, una dracma di succo di radice dolce, foglie di erba mula, una dracma di polio, succhi balsamici, tritato di unguenti odorosi, miele quanto necessario. È efficace per ogni dolore, con vino addolcito con una gran quantità di noce del Ponto»62. «Antidoto epatico lodato da Nearco. Prendere radici di panacea, di robbia, di eringio [comunemente nota come calcatreppole], di agrimonia, di elenio, di polio, di costo, di aristolachia, di pepe, di scolopendria [comunemente note come lingua cervina], semi di cocomero, di canepizio, radici di genziana, terra di Sinope rossa, bile di orso, spighe di nardo, bacche di ginepro, semi di cavolo, semi di ruchetta, in uguale misura, con del vino attico cotto e usare»63.

Id., Peri diaites oxeon nota: II, 250, 1. Dioscoride, op. cit., III, 143, 1. 62 Galeno, De compositione medicamentorum: XIII, 204. 63 Ibidem. 60 61

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«Antidoto per espellere l’orina, medicamento idoneo alle malattie ostinate del fegato. Prendere del canepizio, marrubio, semi di prezzemolo, di genziana, semi della vetrice, bile d’orso, terra di Sinope, semi di cocomero, scolopendria [comunemente note come lingua cervina], panacea, terra rossa di Lemno, robbia, semi di cavolo, aristolochia, pepe, nardo dell’India, costo, semi di sedano, semi di ruchetta, eringio, polio, erba viperina, agrimonia, bacche di ginepro, singolarmente, pestato e setacciato con miele. Dare due bicchieri di vino addolcito con una gran quantità di noce avellana»64. «Quelle medicine che Archigene prescrisse ai malati di itterizia nel secondo libro dei medicamenti in base al genere. Per i malati di itterizia conviene seguire la dieta, fare frequenti passeggiate e spalmare frequentemente gli unguenti, (prendere) i fomenti più importanti e i medicinali prescritti. Dicono che questi, che durante le febbri contraggono la gotta, giovano da subito nel mangiare il frutto rosso della rosa canina. Aiuta anche il succo di chelidonia con vino o bevuta con acqua dolce o il capelvenere o un obolo di radici di robbia con acqua dolce. Si sua anche la saponaria [il nome fa riferimento alle proprietà detergenti e medicinali della pianta, ben note fin dall’antichità] con miele. Viene anche somministrato un ciato [circa a 0,05 litri, traducibile anche con “bicchiere”] di bile d’orso. Si dà da bere anche iperico con vino dolce o con un ciato di acqua dolce. Anche un decotto di helxine al giorno, con vino dolce. Bisogna bere ogni tre giorni anche un sesto di sterco di cane bianco e un quarto di miele. Prendere i licheni che crescono sulle rocce con acqua dolce o i licheni che crescono sulle tegole o sulle pietre, così puri. Si dà da bere anche il nasturzio con un ciato di olio e la radice si applica sulle narici. Date alcuni cucchiaini di assenzio, alcuni di anice con oxymele. Se non ha la febbre, date le radici tritate di ossilapato o di lapazio [o romice] con acqua dolce, vino o vino dolce. Cuocere nell’acqua il capelvenere, la menta e la robbia in ugual misura e dare da bere un’emina [1 emina è mezzo sestario, circa 0,27 litri], si espone (il malato) a lungo al sole, che sia assetato e ansimante, così che, dopo aver ricevuto la bevanda, sudi e subito cambi colore»65.

64 65

Ivi, 214. Ivi, 234-235.

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«Medicamenti da bere prescritti in breve da Andromaco ai malati di milza. Medicina di Antipatro per gli splenici come Nilo: una dracma di polpa di mirobalano, di erba mula, che qualcuno dice l’asplenio, qualcuno una dracma di scolopendria, una dracma di corteccia di radice di cappero, una dracma di costo, una di camedrio, tre di polio, di radice di cotyledon, chicchi di corimbo di edera nigra, una dracma di ammoniaca di incenso, una dracma di semi di iperico, una dracma di galbano [resina di pianta ombrellifera della Siria], una di semi di caprifoglio o una di radice, di nasturzio nero, una dracma di succo del frutto della scilla. Dare due oboli con oxymele. Ancora: una dracma di essenza di ghianda, semi di edera bianca, una dracma di costo, una di semi di caprifoglio, una di iperico, uno di aglio, uno di galbano, un obolo, una dracma di nasturzio, dare con succo di scilla cotto; somministrare una tazza greca con oxymele. Ancora: somministrare la polpa del mirobolano, l’iperico, i semi del caprifoglio, le radici della carota, la robbia, il calamo aromatico, la valeriana del Ponto, lo zafferano, singolarmente, una dracma di finocchio montano, di nasturzio, di camepizio, le radici del cappero, ognuno una dracma, una di polio, una di aglio, una di ammoniaca di incenso con oxymele, formare le pastiglie dal peso di due oboli e dare una con oxymele. Fate così anche per gli epatici e gli idropici [termine non più in uso per designare la presenza di liquido nelle cavità sierose]. Ancora per i malati di milza: una dracma di camedrio, di polio, di camepizio, di robbia, di ammoniaca di incenso, di artemisia, di mirobolano, di corteccia di radice di cappero, di aristolochia, due dracme di dragante, ridotte in pastiglie dal peso di tre oboli e somministrati con oxymele.Un altro rimedio per il mal di stomaco, da usare anche per qualsiasi dolore alla milza e ai dolori, ai gonfiori e ai malanni femminili. Mescolare una dracma di mirra, di nardo dell’India, di corteccia di radice di cappero, di costo, di radice di panacea, di radice di finocchio porcino, di dittamo [comunemente noto come frassinella o limonella], due dracme di polio, di corteccia di radice di caprifoglio, di robbia, di ammoniaca di incenso, con oxymele, altri aggiungono anche una dracma e mezza di iris, e somministrare due oboli in oxymele»66. «Al malato di fegato e di ostruzioni. Prendere dell’amigdala amara 66

Ivi, 240-241.

Un antico rimedio per i dolori articolari in un malato di tubercolosi medievale

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con comino, semi di sedano, dare un cucchiaio con del vino. Ancora: prendere una radice di panacea, una dracma di robbia, una di sedano, una di pepe, una di aristolochia, un cucchiaio di genziana tritata per bene, dare con del vino»67. «Al malato di milza. Per questa bevanda dare da bere il decotto di camedrio o di canepizio o di polio o di robbia, o da sola o con dell’oxymele, non a coloro che hanno la febbre»68. «Per le vitiligini, le efelidi, le lentiggini e altre malattie simili del viso. La robbia ha azione positiva per le macchie provocate dal sole e le vitiligini, se questa viene tritata e si cosparge il viso con l’olio»69. «Semplice rimedio per il fegato: per l’indurimento e la costipazione del fegato sono salutari i semi di agnocasto, così come anche la linfa della piccola centaurea minore che è bevuta o esternamente frizionata; inoltre le radici, le foglie e ancor più i semi del millefoglio secco, gli asparagi del pungitopo, in particolare le sue radici, i semi e le radici della peonia, il libro [in botanica il secondo strato del tronco è chiamato libro] delle radici di alloro bevuto in vino odoroso; in più le pigne del pino, i ceci, le radici della robbia e dell’agrimonia eupatoria [già nota per le sue proprietà medicinali già ai tempi di Plinio per le affezioni al fegato] che allo stesso tempo rafforzano l’organo stesso. È consigliabile inoltre il decotto di lupini bianchi amari bevuto con la ruta e il pepe e applicato esternamente. Anche gli iris, il frutto del pistacchio, il marrubio, la mandorla e le radici del gigaro scuro depurano le viscere e assottigliano i succhi inspessiti e densi. Il carpesio [simile alla valeriana per gusto ed efficacia], il camedrio polio e quello comune migliorano la costipazione ed eliminano il carattere denso dei succhi. Il porro così come l’anthemis e la camomilla sono in genere un rimedio molto salutari per il basso ventre»70.

Id., De remediis parabilibus: XIV, 374- 375. Ivi, 377. 69 Ivi, 420-421. 70 Alessandro, op. cit., VIII, 395, 25. 67 68

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LAGANARA - PANZARINO - FAVIA

«Il rimedio di Agapeto per la gotta che è stimato e che ha già curato qualcuno: 2 once è [1 oncia è circa 30 grammi] di nardo; 2 once di iris; 2 once di mirra; 2 once di anagallide [primulacea rinomata contro l’idropisia e l’idrofobia] dai fiori azzurri; 2 once di radici di peonia; 1 oncia di cassiae cannella; 1 oncia di zafferano; 1 oncia di meo atamantico; 1 oncia di foglie di malabatro; 1 oncia di resina di lentisco; 1 oncia di radici di asarabacca [una specie di ginger selvatico]; 1 oncia di robbia; 4 once di alisma acquatica; 4 once di aristolochia cretica lunga; 4 once di aristolochia pallida tonda; ½ oncia di chiodi di garofano; ½ oncia di valeriana; 3 once di aloe epatica. Le dosi ammontano a una dracma. Il malato deve assumere la medicina per un anno intero»71. «Si applica con aceto per curare la pitiriasi alba. Pulisce anche la pelle e rimuove tutti i tipi di punti e macchie. Se assunto con idromele si rivela utile per sciatica, paralisi con difetto della sensibilità tattile; quando 3,5 grammi di robbia tintori è presa con 7 grammi di rabarbaro dell’Himalaya, diventa utile nel trattamento di lesioni e caduta: a questo scopo, si prende con una tazza di nabidh [un tipo di vino]. Il suo frutto viene assunto insieme all’oxymele nelle infezioni della milza; purifica il fegato e la milza e rimuove le ostruzioni; questa è la sua caratteristica principale. É altamente diuretico e causa a volte ematuria; è necessario fare il bagno giornalmente durante il suo utilizzo; il suo uso come pessario può causare mestruazioni eccessive ed espelle il feto. L’uso dei suoi rami con foglie contrasta gli effetti velenosi delle punture d’insetti»72.

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Ivi, XII, 529. Avicenna, op. cit., II, 17.

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