Alcune istruzioni per la lettura
Nel commento e nelle note compaiono alcuni termini suggestivi ma facilmente equivocabili: alfabeto sacro, radici, geroglifici. Ne do qui la spiegazione.
Le lettere dell'alfabeto sacro Per trascrivere le parole ebraiche, uso una grafia in cui maiuscole e minuscole si alternano in modo diverso dal nostro consueto. Per esempio: 'eTZ 'aDaM QeDeM Le lettere che trascriverò in maiuscolo sono le 22 lettere dell 'alfabeto ebraico (ne do l'elenco completo tra due pagine). Originariamente, il testo del Libro era scritto soltanto con queste lettere; le parole citate sopra erano scritte, perciò, in questo modo: 'TZ 'DM QDM E poiché già in epoca antica tutte te 22 lettere erano soltanto consonanti, stava al lettore ricordare quali vocali si dovessero inserire nelle paXXXI
role per renderle pronunciabili. Le lettere che trascriverò in minuscolo sono invece i «punti-vocale», così chiamati perché in ebraico si scrivono come minuscoli punti, sopra, sotto o accanto alle lettere vere e proprie; i punti-vocale vennero adottati negli ultimi secoli dell 'era precristiana, quando le lingue parlate dagli ebrei erano ormai I'aramaico e il greco, e pochi ricordavano qualcosa dell 'ebraico: i punti-vocale mostrarono, da allora in poi, come vocalizzare correttamente la lingua del Libro. I punti-vocale per lo più riguardano soltanto la pronuncia, e s010 in alcuni casi sono d'aiuto per togliere ogni dubbio riguardo alla forma grammaticale di una parola: per stabilire cioè se sia nome, verbo, aggettivo eccetera. Il senso delle parole dipende invece esclusivamente dalle 22 lettere, che sono chiamate sacre per analogia con la «scrittura sacra», o geroglifica, degli antichi egizi.
TI«nome», SHeM, è dunque ciò che plasma la sfera, l'ambito di una cosa, e la rende conoscibile. Così avviene per ogni parola ebraica. Nelle lingue europee moderne la parola è invece un insieme di suoni associato per lo più solo convenzionalmente a ciò che indica. In ciò sta la principale differenza tra queste lingue e l'antico ebraico (che per il resto, nella grammatica e nella sintassi, non è invece molto diverso da esse: un poco più semplice dell 'inglese, e un poco più elIittico del russo). Ecco qui la tavola completa dell' «alfabeto sacro», con la grafia ebraica, la traslitterazione e i significati di ciascuna lettera:
L'alfabeto ebraico
(\ Proprio come i geroglifici egizi, anche le 22 lettere hanno ciascuna un suo significato compiuto, benché - come vedremo - molto astratto. La prima lettera, l'aleph, è la raffigurazione della potenza, della stabilità. La seconda lettera, B, è il segno dell' interiorità, di tutto ciò che è o avviene all'interno di qualcosa. La terza lettera, G, è il segno dell'avvolgere, e così via. Secondo la tradizione ebraica, ciascuno di questi significati descrive esattamente una delle 22 forze elementari che danno forma all'intero universo; e tutto ciò che esiste è il prodotto dell' unione di almeno due di queste forze elementari. In ebraico ogni parola vuole dunque mostrare immediatamente - nella sua stessa forma, nelle lettere che la compongono - quali di queste forze universali abbiano costituito ciò che la parola indica. Il che rende la grafia ebraica molto simile alle moderne formule delle sostanze chimiche, in cui le lettere dell'alfabeto latino indicano quali atomi costituiscano ciascuna sostanza. Così, per esempio, la parola SHeM (che nel testo è scritta SHM), il cui significato generico è «il nome», mostra immediatamente che le sue forze costitutive sono due: e precisamente: - SH, che è il segno della sfera e della conoscenza, e yv:>~ - M, che è il segno del plasmarsi e dello schiudersi.
~
J :::l B, EH. È il segno dell'interiorità, della casa, di ciò che avviene all'interno di un qualsiasi spazio. Nell'ebraico moderno, la bh si pronuncia «v»: così, Hevel invece di Habhel (Abele), Bavel invece di Babhel (Babele), eccetera. , , C, CH. L~ pronuncia è sempre dura, come «gh» in italiano. E il segno dell'avvolgere, del recingere, degli organi del corpo (che sono appunto racchiusi dal corpo).
Il
Come in 'ei.; «la potenza divina».
Come in Be, «in», «ali'interno di».
Come in CaN «la cinta».
, i D. DH. È il segno di ciò che è diviso, della suQIDv·- Come in DOR «la sione •..dell'abb.<mct.anzache viene ri artita, di ciò_ progenie».
I
I La Tavola periodica degli elementi - elaborata nel 1869 da D.I. Mendeleev e tuttora studiata, senza particolare emozione, nelle nostre scuole medie - ebbe infatti come modello l'alfabeto ebraico nell'interpretazione che ne dava la tradizione (o Qabbalah).
l'aleph. Non ha suono. Nella traslitterazione si rappresenta con lo stesso segno dello spirito dolce del greco antico: ' . E il segno della potenza, 'della stabilità, .....--- .•. dell'unità.
c~e si propaga in direzioni diverse.
i1
H. Si pronuncia come la «h» inglese. Non ha alcun suono se è alla fine di una parola. È il segno della
Come nel verbo «essere»: HalaH.
vita, dell'essere, di ciò che anima.
i O
Come in 'aOR, «la luce»
1 V
Come in RUaJ:I «l'alito di vento».
xxxm
ì
W. Verosimilmente,
all'epoca del Libro questa lettera si pronunciava soltanto «o»; ha assunto in seguito anche un suono semivocalico, come la «w» inglese, e infine un suono consonantico, uguale alla «v» italiana. In tutte e tre queste sue forme, è il segno del nodo che unisce e, al tempo stesso, del punto di confine tra due cose unite. Nella sua forma vocalica piena, di «o», è anche il segno dell'intelligenza (della capacità di cogliere i nessi e le differenze tra le cose), della limpidezza e della luce. Nella sua forma semivocalica, di «u», è il segno del vento e del suono.
Come in We, «e».
o
$. Si pronuncia
come una «S» 'sorda (come in rosso). E il segno del curvare e piegare, della rotoridità, della circonferenza - del limite di un cerchio.
Come in $aGaR, «chiudere».
~
Nella traslitterazione, si rappresenta come lo «spirito aspro» del greco antico ('). E un brusco suono gutturale, o ,colpo di glottide (come la «h» di Manhattan). E il segno dell' s etto materiale - o anche soltanto dell'apparenza - eg l esseri e delle cose.
Come in 'aNaN, «le nuvole».
j
9 E:lp. PH. È il segno della bocca, della voce, dell'esprimere.
i z. Come la «S» dolce in italiano (rosa, cosa). È il segno del raggiungere una meta, uno scopo, e del riflettersi della luce su un oggetto (della luce che giunge a una meta e vi si ferma).
n
H, Si pronuncia come il «eh» tedesco, in Bach. È l'immagine dell'esistenza, e anche della tensione e dell 'equilibrio tra tensioni diverse.
t!) T Si pronuncia come una «t~>sorda, premendo la punta della lingua sul palato. E il segno della protezione, del tetto, della solidità.
"lÈ
il segno delia potenzialità, della durata e del manifestarsi.
~ :;, K, e KH (quest'ultima spagnola). E l'immagine prendere, della concavità.
f'
Come in ToBH «buono».
Come in KoL, «tutto».
p ,
Come in MaIM, «le acque».
j
N. È il segno di ciò che è prodotto: delle cose, fabbricate o create; e di Ciò che nato: i figli. Quando è all'inizio di un verbo o di parole che designano un'azione, ne indica la forma o la qualità passiva o «media» (l'azione che il soggetto compie per sé). Quando è alla fine di una parola, è il segno di un aumento delle dimensioni di ciò che la parola designa.
Come in NaHaR, «fiume».
X
IV
e
~'WJ
TZ. È il segno della fine, della ~luzione, e della scissione (del punto in cui qualcosa cessa di avere una e erminata forma). -
Come in 1ZeL,
Q. È il segno del comprimere, dell'agglomerare, rinchiudere in sé.
del
Come in QaTaN, «un piccolo».
e del
Come in Ra'ali, «vedere» .
--
R. È il segno del movimento fuoco.
prolungato,
fJ) SH, S. (Nella pronuncia, questo suono di «s» non si distingue dalla «S» dura indicata più su.) Raffigura un unto centrale che sta dando forma a un cerclìio: è if tempo sesso if segno deJ conoscere, e il segno di un movimento che si sta concludendo, di un periodo che inizia e finisce.
n n TH, T. Il primo
M. È il segno della fecondità, di ciò che plasma e si schiude. Quando è alla fine di una parola, diventa il segno del moltiplicarsi (in numero o in intensità) di ciò che la parola indica.
j
®
iD Come in 10M, «giorno».
Come in Lall.a «la notte».
o
I
Come in HaI, «vivere».
L. È il segno del movimento che si estende intorno o che si dirige verso l'alto.
,
",)f"
si pronuncia come la «[» dell'afferrare, del com-
Come in ZaHaBH, «l'oro».
Come in PaNIM, «viso».
suono si pronuncia come il «th» inglese in these, e il secondo come la «t» di «tu». In entrambe le forme, è il segno ~lIa c.9!!lpletezza, di c iè,. che è iunto a essere, pLenamente se stesso, e dell'azione c e diventa reciproca - che colma la sua misura e si comunica all'esterno.
'.\.T't:
Come in SHeM, «il nome».
Come in THO, «il segno»,
xxxv
Le radici TI paragone con la chimica moderna si impone anche per ciò che riguarda le radici ebraiche. In chimica, ciascun elemento ha la proprietà di associarsi soltanto con alcuni elementi e non con altri, per formare le sostanze composte; lo stesso avviene alle 22 lettere ebraiche, che combinandosi fra loro formano soltanto un centinaio di radici. Le radici costituiscono il nucleo principale delle parole e permettono di risalire all 'etimo, all 'origine delle parole stesse. Poche parole ebraiche sono costituite dalla sola radice (per esempio: 'IR, «la città»); in genere, . accanto alla radice (prima o dopo di essa) compaiono una o più lettere, che ne modellano ulteriormente il significato. Così, per esempio, nella parola' aDaM - «l'uomo», «l'umanità» - la radice è DM, che è immagine dell'assimilazione, dell'omogeneità, mentre la lettera aggiunta è l'aleph ('), che è il segno della potenza, della stabilità, dell'unità. Dunque l'umanità, in ebraico, è propriamente il risultato di un processo di assimilazione giunto alla sua forma stabile, compiuta. E nel racconto della Creazione vedremo di quale processo si trattò. Apparentemente, nella funzione delle radici l'ebraico non si differenzia dalle lingue europee, dato che anche in queste le radici sono i nuclei concettuali delle parole, che permettono di individuarne l'etimo e sono precedute da prefissi e seguiti da vocali tematiche, desinenze e così via. Ma mentre nelle lingue europee non è necessario conoscere la radice di una parola per sapere che cosa la parola indichi, nell'ebraico antico la radice ha un valore decisivo: nell' Antico Testamento la radice determina il significato, mostra come una parola debba essere intesa - a volte addirittura in contrasto con il valore d'uso, con il senso cioè che la parola assume nell'ebraico corrente. Gran parte dei versetti del Libro risultano contraddittori o insensati, se le loro parole vengono tradotte secondo l'uso corrente e non in base al loro significato originario, indicato dalla radice. Nelle note alla traduzione (Parole) vedremo in ogni capitolo numerosi esempi di questa caratteristica della lingua di Mosè.
L'ebraico geroglifico Anche l'importanza decisiva delle radici e la distanza tra l'ebraico del testo sacro e l'ebraico corrente sono indici di una componente geroglifica dell'ebraico antico. Tale componente dovette svilupparsi, con ogni probabilità, durante i quattro secoli dell'esilio di Israele in Egitto (tra il XVI XXXVI
e il XIII sec. a.c.), e venne dimenticata abbastanza rapidamente dalla maggior parte degli ebrei dopo il ritorno in Palestina: nel nuovo ambiente linguistico e culturale in cui gli ebrei si vennero a trovare, il modo di pensare inscindibilmente connesso alla lingua geroglifica era divenuto un lusso inutile a ogni fine pratico. Con la stessa rapidità il segreto dei geroglifici egizi venne completamente dimenticato dopo la conquista araba dell 'Egitto, nel VII d.C. I! «segreto» delle lingue geroglifiche - riscoperto nel 1822 da Champollion, per l'egizio, e poco dopo, ma con ben poco seguito, da Antoine Fabre-D'Olivet, per l'ebraico - consiste non certo nella decifrazione dei graziosi disegni usati in Egitto al posto delle lettere, bensì I) nel fatto che le lettere delle lingue geroglifiche avessero ciascuna, come abbiamo visto, un valore fonetico e insieme un significato compiuto, 2) e che per conoscere davvero una lingua geroglifica era necessario conoscere con precisione i significati di ciascuna lettera, e saperli interpretare: chi non li conosceva, aveva accesso soltanto al senso esteriore, vulgare, delle parole (al loro valore d'uso); chi li conosceva, aveva accesso al loro senso intero, originario. Sia in egizio sia in ebraico, i modi di intendere il senso delle parole (e dunque di utilizzarle) erano tre. Eraclito li definiva, rispettivamente: un modo per parlare, un modo per significare, e.un modo per nascondere i significati. Oggi si usa indicarli come livello letterale, livello figurato, e livello «sacro» (o geroglifico propriamente detto). 2 II livello letterale era usato nel linguaggio corrente: per esempio, la parola «luce», nel linguaggio corrente, indicava semplicemente una qualsiai luce sensibile: quella del fuoco o del giorno o della luna, eccetera. AI livello letterale ilsignificato di ogni parola doveva essere chiaro e concreto. AI secondo livello, figurato, le parole indicavano non le cose concrete, ma ciò che oggi chiameremmo il loro «valore metaforico»: la parola «luce», al secondo livello, indicava ciò che la luce può rappresentare, la luce della conoscenza, la luce dello sguardo, eccetera. AI terzo livello le parole divenivano esclusivamente realtà del mondo
, La parola «geroglifico»
viene dal greco: da hieron, che significa «tracciare profondamente».
appunto «sacro», e
gtyphein, che significa «incidere»,
XXXVII
.•.
dello spirito e degli Dei, rispetto alle quali i significati dei livelli precedenti suonavano soltanto come vaghe, ironiche allusioni. A questo livello la parola «luce» veniva usata, per esempio, in un canto rituale di Nefti, per descrivere Osiride nell'atto di «dar luce alla terra in oscurità», O all'inizio del Libro di Mosè, là dove la Divinità fa risplendere la luce nell 'universo prima che siano stati creati il sole e le stelle. In ebraico, al primo e al secondo livello la funzione delle lettere dell'alfabeto è soltanto fonetica, mentre il terzo livello è appunto quello in cui le lettere e le radici da esse composte mostrano che cosa realmente si nasconda nelle parole, e lo mostrano soltanto nella scrittura (il terzo livello esiste soltanto per gli occhi, può essere dunque percepito sempre e soltanto in prima persona; nel suono della parola pronunciata esso è veramente «nascosto», come diceva Eraclito). Così, «luce» in ebraico è ,aOR: la prima lettera, l'aleph, è il segno della potenza, la lettera O è il segno dell'intelligenza oltre che della luminosità, la lettera R è il segno del movimento. II significato geroglifico della luce che compare ali 'inizio del Libro è dunque «la potenza del comprendere, che ha cominciato a muoversi» . Al secondo livello, quella stessa luce sarebbe una metafora indefinita, infinitamente opinabile. Al primo livello, è un' inspiegabile contraddizione: come poteva esserci luce, all 'inizio, se nell 'universo non esistevano ancora sorgenti di luce? Dio aveva una lampada? E via dicendo. Allo stesso modo anche la parola SHeM, «il nome», al primo livello era una realtà puramente anagrafica; al secondo livello poteva indicare la reputazione, la fama, la gloria di qualcuno; e al terzo livello era appunto la sfera, la dimensione di un 'esistenza che sta prendendo forma giorno dopo giorno, e che il nome, per essere veramente un nome, deve racchiudere ed esprimere. Così è per tutte le parole ebraiche.
* Nella traduzione che do in questo volume, ciascuna parola e ciascun nome sono stati interpretati a partire dal loro significato geroglifico. Là dove la distanza tra il livello geroglifico e gli altri due livelli diventa particolarmente ampia, il commento e le note segnalano e spiegano il diva" rio chiamando naturalmente in causa le versioni consuete.
I.S.
Nelle versioni consuete della Bibbia, le parole e i nomi veneono tradotti soltanto al primo livello, con sporadiche incursioni nel secondo livello, e ciò perché tali versioni si basano su traduzioni precedenti (dall 'ebraico al greco, e dal greco al latino) fatte da traduttori che ignoravano la componente geroglifica dell 'ebraico. In alcuni passi della traduzione dall'ebraico al greco si ha l'impressione che tale ignoranza sia stata consapevole. Nelle principali traduzioni latine e nelle versioni consuete in lingue moderne tale ignoranza è invece inconsapevole. XXXVIII
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