Periodico gratuito dell’Area Metropolitana dello Stretto N. 1 - Marzo 2009
Metropolitana del mare, pronta a primavera (?), prezzi alle stelle e tempi di percorrenza assurdi
Messina e Reggio più lontane? Noi abbiamo un sogno asce un piccolo giornale, anzi piccolissimo. Un giornale free-press che dovrebbe essere possibile leggere in soli Ventiminuti. Il tempo che sino a qualche anno addietro occoreva per attraversare lo Stretto su un mezzo veloce. Il tempo perché Reggio e Messina si sentissero più vicine. Un piccolissimo giornale, nato dopo una lunga incubazione, che periodicamente sarà distribuito a chi viaggia tra le due sponde. Una voce, molto piccola, è giusto ripeterlo, che cercherà proprio in Ventiminuti di diventare voce di una “popolazione in marcia”, quei pendolari spesso dimenticati ma che sono una parte attiva e laboriosa della nostra società. Abbiamo deciso, però, di non parlare solo di loro e dei loro problemi. Crediamo sia giusto assicurare Ventiminuti di lettura “leggera”. Ospiteremo pochissimi articoli di cronaca, quasi niente politica ma avvenimenti, che riguardano tutti noi, la nostra quotidianità e i nostri piccoli problemi. Problemi piccoli come il nostro giornale che ha solo la velleità di esserci, di stare accanto ai nostri lettori, di dare voce ai loro problemi se riterranno di poterci dare fiducia. Noi e tanti giovani abbiamo creduto in questo progetto che parte in un momento di grande crisi non solo per il nostro Paese. Crediamo - e su questo stiamo scommettendo - che, anche in periodio di crisi, si possa fare, costruire, guardare al futuro con speranza, con gli occhi dei giovani. A Reggio e Messina qualcosa si è fatto.Anzi, a Reggio si è fatto molto, con l’idea di guardare al futuro. Anche noi crediamo che l’Area dello Stretto - Ponte o no - debba avere un immediato rilancio e soprattutto che chi ha delle idee debba avere la possibilità di realizzarle. Lo confessiamo tutti noi della redazione: abbiamo un sogno (questo sì che è grande) e speriamo di realizzarlo pur sapendo di dover affrontare sacrifici, tanti sacrifici. Possibilmente con l’aiuto di tanti lettori.
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eggio e Messina ogni giorno che passa diventano sempre più lontane. Per i pendolari è un’odissea continua. Orari non rispettati, mezzi veloci guasti e quindi corse saltate. A questo va aggiunto il fatto che il prezzo del biglietto e degli abbonamenti continua a lievitare. Una situazione insostenibile. Resa ancora più drammatica dal fatto che ogni giorno chi è costretto a prendere un mezzo veloce per raggiungere una delle sponde, sempre più spesso, teme di sentire in biglietteria l’annuncio: “L’aliscafo ha avuto un guasto. Bisogna aspettare il prossimo”. Aspettare il prossimo, senza certezze, in una stazione marittima avveniristica ma con i servizi igienici chiusi e con tanta ansia. C’è un’altra soluzione, per chi si trova a Reggio, cercare di raggiungere Villa San Giovanni con il treno, con mezzi di fortuna nella speranza di trovare la coincidenza con una nave Caronte/Tourist. Risultato? Tante ore di viaggio prima di inizia-
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re il lavoro oppure a faticosa chiusura di una giornata di problemi. Questa situazione - che non può non definirsi tragica - non è mai sembrata risolta con l’avvio del progetto della fantomatica Metropolitana del mare. Progetto che prevede un netto aumento dei tempi di percorrenza e un’ulteriore crescita dei prezzi! Qualche politico ha protestato, ha promesso interventi ma pare che ci sia ben poco da fare, tanto che i pendolari dello Stretto, le vere vittime di progetti insensati, hanno deciso di rivolgersi alla Commissione Europea perché sostengono che “si tratta di un servizio sociale che deve avere un concreto sostegno delle istituzioni”. I pendolari, affidandosi a due avvocati, sostengono che lo Stato è inadempiente e per questo è stata predisposta una denuncia che vedrà la Commissione Europea rivolgersi alla Corte di Giustizia per l’attivazione di una procedura di infrazione. Intanto la “metropolitana del mare”, viene ritenuta dai più un vero
bluff. Come mai? Ideato male e progettato peggio, il servizio prevede un sistema di trasporti “ad anello” con gli aliscafi che, partendo da Reggio e Messina, collegano le due città “gemelle” facendo fermate intermedie a Papardo (Messina nord) e a Villa San Giovanni. In questo modo il tempo di percorrenza aumenterebbe dagli attuali 35 minuti abbondanti (erano 25 minuti scarsi fino al gennaio 2007!) a oltre due ore. A meno che non passi l’idea di mantenere il sistema “a pendolo”, con il collegamento diretto tra Messina e Reggio, affidato a quattro mezzi veloci anziché agli attuali due (un quinto dovrebbe collegare prima o poi Messina con l’aeroporto di Reggio). In ogni caso il bando (per la cui assegnazione ci sono voluti ben 14 mesi!) non potrebbe essere rispettato subito perché a Papardo non esiste un pontile. E pende al Tar un ricorso contro l’assegnazione del servizio. Così gli oltre dodicimila pendolari che quotidianamente attraversano le acque di
“Scilla e Cariddi” e non ne possono più di disservizi, ritardi, annullamenti e sospensioni, corrono il rischio di continuare a disperarsi. Reggio e Messina, città “gemelle” non solo in disgrazie, tragedie ed eventi storici, ma anche in cultura, tradizione e società, ritrovano ancora in quel tre piccoli chilometri di mare una barriera invalicabile a dispetto della tanto auspicata area metropolitana che potrebbe aprire una nuova stagione di sviluppo. Eppure fino a un paio di anni fa le condizioni di mobilità nello Stretto non erano così problematiche: tutto è iniziato quel maledetto 15 gennaio 2007 quando, a causa del tragico incidente del Segesta Jet, si aprì una nuova triste fase dei trasporti che ha visto sempre più peggiorare la qualità del servizio con appena due mezzi disponibili, salvo guasti e controlli. Intanto, probabilmente in primavera partirà la metropolitana. E, a quanto pare, attraversare lo Stretto sarà sempre più un’avventura. Peppe Caridi
A Lipari la protesta del sindaco che digiuna l sindaco a Lipari ha digiunato. Mariano Bruno, battagliero primo cittadino, annuncia che crede alle parole del ministro Matteoli ma “con riserva”. Sino a che il problema dei trasporti nelle isole minori non sarà risolto concretamente la sua clamorosa protesta potrebbe riprendere. Ha perso nove chili. A fargli compagnia è il “robusto” farmacista e consigliere comunale Lelio Finocchiaro.
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“Servono certezze”, afferma il sindaco seduto su un lettino del pronto soccorso dell’ospedale di Lipari, accanto al vicesindaco e suo medico personale Alfredo Biancheri che assicura che il malore è dovuto solo a un calo di pressione. Da mesi è in corso una vera e propria battaglia tra i sindaci delle Eolie e il ministero dei Trasporti. Tirrenia e Siremar che assicurano i collegamenti con la terra ferma funzionano male: ritardi, mezzi
spesso guasti e quindi corse non effettuate e poi il ventilato taglio dei collegamenti con Napoli. In totale l’ipotesi di taglio prevede l’eliminazione di almeno due linee di traghetti e due di aliscafi. Il bilancio della Tirrenia è in profondo rosso e a soffrirne saranno le isole minori. Otto sindaci di quattordici isole che non intendono mollare, sono coscienti che senza collegamenti le loro isole sono destinate al tracollo economico: niente sta-
gione turistica, generi alimentari alle stelle e disagi enormi. Il Ministero dei Trasporti intanto rassicura tutti. La Siremar con i suoi mezzi veloci e la Tirrenia continueranno a effettuare regolarmente i loro viaggi. I sindaci chiedono che si apra un tavolo di discussione sui problemi dei collegamenti con le isole. I tagli, se di tagli si vuole proprio parlare, potranno venire il prossimo anno ma dopo un esame appro-
fondito della situazione e dei bisogni degli isolani. Sarebbero stati trovati 46 milioni di euro per mantenere le linee ma Mariano Bruno è scettico. “Un annuncio per far cessare la protesta?” “Lo Stato ci deve aiutare - afferma - le piccole isole sono zone disagiate e di questo bisogna tenere conto. Siamo patrimonio dell’Umanità. Perché ci vogliono isolare sempre di più e farci morire?”
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Il piccolo e pericoloso insetto dopo aver colpito Palermo sembra inarrestabile
L La nostra Cara Messina... Ora vi racconto una storia. È la storia di tanti intellettuali che, partiti da Messina, hanno lasciato un segno nel mondo e che, a cento anni dal terremoto che cambiò la storia di questa città, hanno contribuito con i loro interventi alla realizzazione del libro Cara Messina…, manifesto ideale degli intellettuali della diaspora, curato da Vincenzo Bonaventura. “L'idea base del Comitato 100 messinesi per Messina 2mila8 - spiega Bonaventura - era un manifesto scritto da quattro o cinque intellettuali, ma siamo andati oltre riscontrando un entusiasmo sempre crescente, fino ad arrivare ai 70 finali”. Da Vincenzo Consolo a Jolanda Insana, da Maurizio Arena a Ferdinando Salleo, da Francesco Attardi a Nino Rizzo Nervo, da Turi Vasile a Pietro Bruno, da Massimo Piparo a Ninni Bruschetta eccetera, sono tutti liberi interventi, a volte antitetici, che forniscono spunti di discussione e un senso di creativa vitalità. Ma in alcuni casi il rancore per l'amore tradito verso la città prende il sopravvento e allora il magone e la sofferenza diventano i sentimenti preponderanti del lettore. Si scopre che Messina, oltre a essersi distrutta fisicamente, da quel 28 dicembre 1908 ha iniziato a perdere grandi risorse mentali e non è più stata in grado di ritrovarle in pieno.“Sono tutte persone rappresentative della vera messinesità - prosegue il curatore del libro - e ognuno di loro ci ha regalato una testimonianza e un'esperienza importante. L'uso della parola ‘diaspora’ è impegnativo, ma va ricordato che ormai a Messina la popolazione è in costante diminuzione, poiché la maggior parte dei giovani preferisce andar via”. Da potente città di mare a debole città di terra. Messina adesso è così: ama piangersi addosso. Sono cento anni che i suoi cittadini (o almeno alcuni) si barcamenano alla ricerca di una soluzione e i messinesi che vivono fuori sperano che chi è rimasto abbia risolto il problema del “continuare a guardarsi indietro”. Ma in questa città esiste una parte della popolazione che non vuole che Messina funzioni. Quindi per ritornare ai fasti di un tempo, quando Messina era centro di cultura, sport e tradizioni (basti pensare allo storico Agosto messinese) non bisogna pretendere che questa rinascita parta dalle istituzioni, ma deve essere ogni singolo cittadino a farsi motore e creatore di una nuova vita. Per la nostra Cara Messina… Antonio Billè
Un tranquillo impiegato che uccide per vendetta Era uno come tanti, Nino Velio Sprio. Un tranquillo impiegato di 56 anni, che lavorava alla Regione siciliana, con moglie e due figli grandi. Una delle tante persone che incontriamo nella vita quotidiana, impazienti in fila al supermercato oppure indifferenti dentro un ascensore. Ma in quello sguardo pacato, dietro i suoi spessi occhiali, si nasconde una scintilla di lucida follia omicida. È lui il protagonista de Il killer dell’ufficio accanto, il nuovo libro di Lucio Luca, giornalista di Repubblica, palermitano doc e grande conoscitore dei segreti del capoluogo siciliano. Con la precisione del cronista, l’autore si è basato su fatti realmente accaduti e anche i nomi sono quelli reali. Non poteva essere diversamente per Nino Velio Sprio, l’unico serial killer nella storia criminale di Palermo, sfuggito per un decennio alle forze dell’ordine e ignoto persino alla mafia, che controlla tutto e tutti. Ambientato a Palermo, il romanzo ha una trama poco siciliana, con efferati delitti, punizioni morbose, sicari prezzolati mandati a uccidere per meschini moventi, presunte offese, rancori, invidie, paure che nel tempo si trasformano in ossessioni. Cinque omicidi e tanta altra gente salva per miracolo dall’odio cieco di un diavolo vendicatore, che lava col sangue ogni torto subito. Sergio Busà “Il killer dell’ufficio accanto” Di Lucio Luca Pietro Vittorietti Editore
(160 pagine, 12 euro)
Il punteruolo rosso adesso minaccia le palme dello Stretto
e palme di Messina dovrebbero ancora essere al sicuro. Il punteruolo rosso, fastidioso insetto che distrugge la corona della pianta simbolo della Sicilia, al momento appare più interessato a visitare Palermo e Catania, dove già da tempo c’è l’emergenza. Il timore è che esso possa far sentire i suoi effetti anche a Messina. La città dello Stretto è corsa comunque ai ripari: da novembre su tutto il territorio comunale è scattato il monitoraggio biologico con la predisposizione, da parte dell’Ato3, di trappole a feromoni: sostanze chimiche prodotte da insetti, in grado di suscitare reazioni fisiologiche e comportamentali in altri individui dello stesso tipo che vengono a contatto con esse. Nel caso in cui venisse rilevata la presenza di specie adulte, l’“Osservatorio per le malattie delle piante” di Acireale accerterà se l’insetto in questione sia proprio il famoso killer delle palme. Il Rhynchophorus ferrugineus, noto come punteruolo rosso, è un coleottero curculionide originario dell’Asia meridionale e della Melanesia che ha provocato gravi danni soprattutto nei palmeti da dattero egiziani e della penisola arabica. L’insetto vive all’interno della pianta, qui compie tutto il suo ciclo vitale provocando l’indebolimento e la fine del ciclo vegetativo. In 20 – 30 giorni il killer delle palme può uccidere una pianta di notevoli dimensioni; in altri casi impiega 4-8 mesi. In Europa dal ‘94, quando per la prima volta venne riscontrato in Spagna, il punteruolo è arrivato in Italia nel 2004 in un vivaio di Pistoia, col-
pendo in particolare Toscana, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia. Pesanti le conseguenze per l’isola, dove la Regione ha diffuso dati allarmanti: in tre anni il punteruolo ha già colpito 8938 palme, di cui 7123 abbattute. Il ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per evitare la diffusione a livello nazionale, già il 9 novembre del 2007 aveva disposto un decreto di lotta obbligatoria che prevede l’abbattimento delle piante infestate. Soluzione drastica, ma inevitabile visto che non ci sono ancora sistemi di cura approvati e risolutivi. Risultato: piante distrutte e paesaggi sempre più spogli e deturpati. La pericolosità del coleottero è tale da essersi aggiudicato di recen-
te un posto anche nell’Alert list della European plant protection organization (Eppo), l’organizzazione intergovernativa responsabile della cooperazione per la protezione delle piante in Europa e nella regione mediterranea. Nel solo Lazio, fino a dicembre 2008, il punteruolo rosso ha attaccato circa il 30% delle palme. Colpite in modo particolare le palme storiche di Sabaudia, in pieno Parco Nazionale del Circeo, dove nello stesso periodo ne sono state abbattute 150. Molte università italiane stanno effettuando studi e ricerche per trovare una soluzione efficace: c’è chi vuole guardare la mappa genetica dell’insetto per leggerne il Dna, ricostruirne la provenienza o la variazione tra individui che attaccano la stessa pianta. Non sembrano in pericolo, almeno per il momento, neppure le palme che adornano Reggio Calabria.Il Comune ha istituito una Commissione di esperti per evidenziare possibili criticità, ma finora i responsi hanno dato esito negativo. Buone notizie, quindi. Ma il dipartimento di Gestione dei sistemi agrari e forestali dell’Università di Reggio Calabria invita a mantenere alta l’attenzione: alcuni rilevamenti, effettuati a dicembre 2007, hanno segnalato la presenza dell’insetto nella provincia di Crotone. Valeria Arena
Bruciare le palme è finora l’unico rimedio esistente per bloccare questa calamità
A Milazzo primi casi di piante infette Non è sbagliato, ormai, definire il punteruolo rosso della palma una vera e propria piaga.Trapani, Catania, Palermo sono state le prime città siciliane a fare i conti con il dannoso e vorace insetto. Le palme colpite sono circa 3.000 e la maggior parte di queste sono state distrutte e poi date alle fiamme. Non si è trovato, infatti, almeno fino a questo momento, metodo migliore per bloccare l'espandersi della calamità. Un nuovo focolaio è stato scoperto a fine estate anche in provincia di Messina, nella città di Milazzo. Ad essere colpite le palme che erano state da pochissimo piantate lungo il litorale della città mamertina in occasione dei lavori di riqualificazione della costa. Qualcuno da tempo azzardava ipotesi su una possibile contaminazione delle piante, anche perché la ditta vincitrice dell'appalto era di Trapani, una delle
prime città in cui è apparso il parassita. Il primo allarme è stato lanciato dal consigliere comunale Biagio Cacciola che di professione fa l'agronomo ed è anche presidente della sede
milazzese della Confederazione Italiana Agricoltori. Subito sono scattate le ispezioni dei tecnici dell'assessorato regionale all'agricoltura e della provincia, a seguito delle quali sono state trovate infette una decina di
palme subito arse sul posto. Fortunatamente il coleottero gradisce cibarsi solo di un tipo di palma in particolare, il cui nome scientifico è Phoenix caraniensis (Palma delle Canarie). Il sindaco ha emanato un'ordinanza che impone a tutti i proprietari di palme di questa specie di darne comunicazione al Comune e mettere in atto le necessarie misure finalizzate al contenimento della diffusione del parassita. Il pericolo però è tutt'altro che scampato: gli esperti, infatti, dicono che in questo periodo l'insetto è in letargo quindi è difficile dire se una palma sia infettata o meno, bisognerà attendere l'estate per comprendere la vera entità del danno. Preoccupati anche i tanti florovivaisti della zona che temono un calo delle vendite e un possibile dilagarsi dell'infezione anche alle piante di loro proprietà. Nunzio De Luca
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Un fine settimana al femminile
Sex and… Messina (altro che New York)
I due volti delle donne
E gli uomini dove sono?
Quanto bevono queste donne… giorno e notte, mattina e sera. A qualsiasi ora del giorno. Per strada, in discoteca, sugli scalini del Duomo di Messina, a mensa. La vita delle ragazze a Messina e a Reggio Calabria non è così tanto “casta e pura”. E anche le classiche donne calabresi, attraversato lo Stretto, diventano come d'incanto, la brutta copia di Madonna. Ma andiamo a vedere, in profondità, che cosa le giovani donzelle bevono, e soprattutto quali locali frequentano. A Messina sono divise in “razze”, o caste sociali. Ci sono quelle del sabato sera allo 090, classico pub popolato dalla giovane Messina bene e da pseudo snob sedicenni. Ci spostiamo più in centro, piazza Duomo, alcool puro e frenesia. Messina si trasforma in una città allegra, Messina perde la sua identità. La vera festa è rappresentata dai calabresi, in superiorità
numerica rispetto agli studenti siciliani. Sono loro la vera anima di Messina, loro infatti fanno girare l'economia. Partendo da un after hours da Billè e finendo con bottiglie di champagne al Duomo. E molte ragazze, vera attrazione, bevono molto, seguono gli uomini e anche si ubriacano. Lo dice una ragazza che studia psicologia: “La mia festa alcolica inizia mercoledì, al Re Vittorio, con un classico negroni, finisce con un gin tonic e una vodka redbull. Si prosegue con il fine settimana, venerdì sera Kalhua party, sabato sera caipiroska allo 090”. Stefania, futuro avvocato, invece si mantiene “leggera”: gin lemon, aperitivo fruttato e qualche birra. Classiche ragazze, e come loro tante altre, che talvolta non si fermano al bere, ma vanno oltre, istigano in qualche modo alla violenza e al sesso. Droga, alcol, erotismo. Ferdinando Piccolo
Era sulla trentina, giovane donna newyorchese, quando iniziava a scrivere le prime righe di quella che a poco a poco sarebbe diventata una rubrica famosissima, un libro, un telefilm, un film: una rivoluzione dei costumi. Lei era Candace Bushnell, autrice di Sex and the City. Scriveva, come annunciava il titolo, di sesso e di città. Sono sulla trentina, giovane donna messinese, inizio a scrivere le prime righe di una rubrica. Sesso e città? A partire dal primo c’è davvero poco da scrivere. Noi giovani donne messinesi, single e non più zitelle, grazie ai retaggi televisivi d´oltreoceano, rischiamo pur sempre l’abbrutimento acido della zitellona piuttosto che il divertimento sfrenato delle americane. Quando usciamo la sera abbiamo già addosso non una ma due sindromi: quella da Melrose place e quella da desertificazione del maschio trentenne post-emigrazione. Se ne sono andati, non ce ne sono più. Da Messina ne partono cinque al giorno. Stiamo perlopiù a salutare punti percentuali delle nostre possibilità di procreazione, perché a quello pensiamo. Con questa secca di spermatozoi non puoi certo stare lì a temporeggiare, perché no, mi dispiace tesoro mi voglio solo divertire (anche perché, su via, quante volte ti puoi divertire con la stessa persona...). Qualcuno tuttavia resta. E allora si voltano le spalle all’emigrazione e si resta qua, il set di Melrose place, o Beverly Hills, o peggio ancora, Beautiful. Trenta ne hai, e da trenta li conosci. E trenta saranno, al massimo, in tutta la città. Prima di addormentarti la notte te li ripassi nella mente: “Forse Antonio, in fondo, non è così cretino. E magari Claudia non ci fa caso. Oppure Francesco, sì, certo, magari ritornarci assieme dopo dieci anni non suona come una grande idea. Soprattutto perché è finita che lo volevi affogare nello Stretto per quanto ti annoiava. Ma in fondo, no, si stava bene, quando non piangeva o gridava nella strada. Quando ti spiava e scovava le tue password di internet. Bè, ma sarà cambiato in dieci anni, no?”. Se non ci sei stata tu, c’è stata già una tua amica, o tua sorella, o l’amica di tua sorella, oppure è l’ex ragazzo della ragazza del tuo amico. Insomma, il grado di separazione qui al più è uno. Il cast qui scarseggia, e se faticavano a Hollywood, cosa possiamo chiedere noi alla produzione... Ma Candace Bushnell parlava pure della sua città, New York. New York... Messina. Di Messina dovrei parlare io. E qui, tutto sommato, qualche carta in più da giocare me la sento
scorrere tra le dita. Strano? Perché? Se si tratta di parlare, a noi buddaci non ci batte nessuno, no? Fin tanto che non si debba parlarne bene poi... E chi mi costringe? Parlar bene sarà carino ma è letterariamente meno gustoso, è così anche al cinema: il grande fenomeno cinematografico del secolo è stato Il padrino, dopotutto. Le storie siciliane sono incredibili e succose, questo sì. E Messina siciliana è, e non si fa mancare nulla. Neanche la `ndrangheta. Ho, o non ho, qualche colpo in canna di lupara in più di una newyorchese?
Una sola cosa coincide perfettamente. Un amore intenso per la città in cui si vive, ché questo di sicuro non manca. Per Candace New York era l´amore più grande della sua vita. E per quanto balzano e malsano, lo devo dire, Messina è il mio. La differenza è che amare New York è troppo più facile. Manuela Modica
Periodico d’informazione
Direttore Responsabile Rino Labate
[email protected] Editore: Laruffa Editore ..... Tipografia e Redazione Officina Grafica via Matteotti 5 tel. 0965.752886
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Costume e Societ
di Alessandra Basile
di Clara Sturiale
Non litigate pensate alle note
Claudio Abbado alla Scala
Monica Lewinski da Clinton ai Tribunali italiani
Il mio è un appello accorato che rivolgo al signor Ughi, al signor Allevi e al signor Mazzonis.Vi prego, smettetela di litigare per decidere chi abbia o meno ragione e cercate, invece, di utilizzare le vostre forze per la musica. Ci sono tantissime cose necessarie che si potrebbero fare per migliorare la musica in Italia: creare più spazi, più rassegne, promuovere volti nuovi, insegnare alla gente ad ascoltare. Signor Uto Ughi, lei è un eccellente violinista e conoscitore della musica classica. Lei si è scagliato contro Giovanni Allevi (nella foto), dopo la sua performance di direttore dell’orchestra dei Virtuosi Italiani in occasione del concerto di Natale in Senato. Lei ha dichiarato che Allevi è soltanto “una furba operazione di marketing”. Insomma tutta apparenza e poca sostanza. Lei, signor Cesare Mazzonis, direttore artistico dell’orchestra Rai, ha rincarato la dose dichiarando che Allevi non “ha saputo dirigere e, oltre a essere un mediocre pianista, ha eseguito proprie musiche da pianobar, piuttosto che compiere una rivoluzione nella musica contemporanea”. Lei, signor Allevi, non sarà bravissimo a dirigere, come ha dichiarato, ma la sua musica, in quanto tale, non dovrebbe essere così attaccata dai suoi colleghi. Il suo concerto in Senato ha rotto la tradizione ed era ora. È vero, la sua musica non rispetta i canoni della classica per eccellenza ma è una rivisitazione. Una musica che lei ha definito classica e, poiché scritta oggi, contemporanea. Una musica al passo coi tempi che, a quanto pare, piace molto ai giovani. E, questa, a mio parere, è già una vittoria. Signor Ughi e signor Mazzonis, non preoccupatevi, nessuno dubita della vostra eccellenza, continuate a portare alto il nome della Classica e lei signor Allevi si tenga stretto i suoi fan e continui a inventare. Le nuove idee, nella nostra vecchia Italia, sono sempre ben accette.
Tutti i grandi musicisti del mondo hanno dovuto affrontare una scala da salire o da scendere, a seconda dei casi, per poter dire alla fine: “Ce l’ho fatta”. Non so quante scale Claudio Abbado abbia percorso nella sua vita ma, sicuramente, ne ha salita una davvero prestigiosa: la Scala di Milano.Aveva solo 35 anni quando iniziò ad agitare la sua bacchetta dando vita agli strumenti dell’orchestra. Dal 1968 al 1986 fu questo il suo compito: svegliare con leggeri movimenti che fendevano l’aria, i violini, le viole, i clarinetti, gli oboi che aspettavano un suo gesto così come si aspetta il sole dopo la pioggia. Una stagione di musica in cui Abbado unì passato e presente, i classici ai contemporanei: Bruckner, Maderna, Stockhausen, per citarne alcuni. Un periodo straordinario quello di Claudio Abbado alla Scala, raccontato nel libro così intitolato pubblicato da Rizzoli. Un viaggio nella musica durato ben 18 anni che si è concluso nell’86, quando Abbado lasciò la direzione della Scala.Ai tempi, si parlò di contrasti tra Abbado e l’Orchestra ma oggi il direttore smentisce e fo-
“Sei una Lewinski!”. State attenti a non fare battute del genere a cuor leggero… I risvolti giudiziari potrebbero essere molto pesanti! Una legge del contrappasso dalle infernali conseguenze terrene. È successo a Roma, dove l’avvocato Marcello, in una controversia civile, aveva paragonato la signora Gennarina, di origini pugliesi, alla stagista più famosa di tutti i tempi, la Monica Lewinski protagonista dello scandalo sessuale con l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. La donna, accusata dal legale di fare delle “farneticazioni uterine” e di avere una “natura lewinskiana”, si è rivolta al giudice di pace di Foggia, che ha assolto l’avvocato, ritenendo che l’espressione non dovesse considerarsi offensiva. In secondo grado, invece, il Tribunale di Foggia, ha condannato il legale per il reato di diffamazione. Così Gennarina si è costituita parte civile in Cassazione e la Suprema Corte ha sancito che paragonare una donna all’ex stagista di Clinton, sia “gravemente offensivo”, nonché reato di diffamazione, dando diritto al risarcimento dei danni. Lo stesso giudice d’appello, infatti, “aveva osservato che l’espressione farneticazioni uterine era frutto di un retaggio maschilista e gravemente offensivo”. Adesso “tale connotazione di gravità” dovrà essere considerata nuovamente dal Tribunale di Foggia “ai fini della quantificazione del danno” subito da Gennarina. Quando si dice che il silenzio vale oro o, in questo caso, euro! E se siete ancora scettici… chiedete all’avvocato Marcello.
90 anni e tutta una vita davanti!
calizza l’attenzione sulla cultura non adeguatamente considerata e aiutata nella città di Milano. E ha dichiarato che tornerebbe alla direzione della Scala solo per un cachet fuori dall’ordinario: novantamila alberi piantati a Milano.Vista la richiesta, credo che non rivedremo Abbado alla Scala per lungo tempo.
Amor proprio, cura di sé, curiosità, ottimismo, un buon medico e un po’ di fortuna… genetica! Sono questi gli ingredienti della ricetta di lunga vita secondo lo studio “Novantenni in salute”, condotto dagli esperti del Gruppo di ricerca Geriatrica di Brescia (GRG), diretto da Marco Trabucchi. Circa 600 le persone (allora settantacinquenni) seguite in 15 anni di studio e selezionate per lo stato di salute (buono) e le caratteristiche socioculturali, della vita di relazione, ecc. Un paziente su due ha varcato la soglia dei 90 anni e più della metà degli anziani in questione è rimasto autosufficiente nelle attività quotidiane. Il segreto di tanta longevità? Attività fisica moderata e regolare, come una passeggiata di un chilometro al giorno, allenamento mentale, con la lettura di libri e giornali, una buona vita di relazione, in cui ci sia spazio per un buon bicchiere di vino e più di un litro d’acqua al giorno ma nessuna concessione al fumo.E ancora: un valido medico di riferimento e un buon grado di elasticità mentale e capacità di adattamento al mondo che cambia. Voilà, il piatto di lunga e sana vita è servito! Qualche accorgimento e un po’ di buon senso per una formula che si conferma valida dalla sommità alla punta dello stivale, Stretto di Messina compreso… Basta seguire le prescrizioni.
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Alzheimer: una battaglia contro il tempo L’aspettativa di vita della popolazione sta rapidamente innalzandosi; considerando che l’età è il principale fattore di rischio della malattia di Alzheimer, è facilmente comprensibile come la battaglia contro questa malattia sia diventata anche una lotta contro il tempo. Finalmente siamo vicini a una vera svolta, la prima dopo decenni di studi, nella cura di questa malattia neurologica. Il futuro imminente è rappresentato dal Dimebon, un antistaminico che agisce sui mitocondri, la fonte di energia delle cellule; dal blu di metilene (Rember), un colorante chimico usato come disinfettante delle vie urinarie, che è in grado di sciogliere gli aggregati di proteina tau che insieme all’amilode è alla base della malattia; nonché dalle Immunoglobuline che da 25 anni sono usate in medicina per il trattamento delle patologie autoimmuni. Si lavora anche su un vaccino che sia ben tollerato. Le previsioni sono confortanti: se gli studi attualmente in corso sulla popola-
zione confermassero i dati preliminari, il Dimebon potrebbe essere messo in commercio nel 2010 ed il Rember nel 2012. Nel frattempo, le Unità di Valutazione Alzheimer individuate nel 2000 dal Ministero della Salute sul territorio nazionale svolgono il compito di fare diagnosi e distribuire tramite piano terapeutico i farmaci attualmente disponibili, ovvero gli inibitori delle acetilcolinesterasi, la memantina e gli antipsicotici per i disturbi del comportamento. Pur con variazioni individuali, a questi farmaci va riconosciuto il merito di “contenere” la malattia. La loro parziale efficacia è da imputare al fatto che il meccanismo di azione agisce a valle della cascata patogenetica, mentre invece è auspicabile un intervento più all’origine che è l’obiettivo attuale della ricerca. Dott.ssa Maria Grazia Arena Dipartimento di Scienze Neurologiche AOU Policlinico di Messina
Il problema ora è: quanto dura il pezzo nuovo? Non si parla di auto o cellulari, ma di una macchina ben più importante: il nostro corpo! Ormai esistono pezzi di ricambio per ogni parte dell’organismo: dall’anca al cristallino dell’occhio, ma qual è l’effettiva durata di questi componenti artificiali? Una protesi d’anca regge in media 15 anni e spesso accade che il medico non lo dica al paziente per la troppa incertezza sulla durata reale. La conseguenza è che chi porta una protesi crede sia eterna o che si possa rompere da un momento all’altro. Stesso discorso va fatto per la protesi al ginocchio, che ha una vita media di 10 anni. Ma un rimedio della medicina sembra essere veramente eterno: il cristallino artificiale. Questa lente sintetica inserita nell’occhio al posto di quella opacizzata dovrebbe durare tutta la vita. Gli apparecchi acustici e le batterie dei pacemaker vanno invece sostituiti ogni 5 anni.
Per gli ultimi è richiesta una piccola incisione per raggiungere la sacche sottocutanea in cui sono le pile. Le componenti interne invece durano tutta la vita, con la sola eccezione delle valvole che se sintetiche sono eterne purché accompagnate da farmaci anticoagulanti, mentre se biologiche (di origine suina) non superano i 10 anni. E i ritocchi del chirurgo plastico? Le protesi in silicone vanno sostituite in media dopo 10-15 anni, perché sono soggette ad usura. Anche se una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine ha calcolato che il 24% delle donne doveva essere rioperato dopo 5 anni. Invece gli uomini che hanno problemi di calvizie li possono risolvere per sempre con l’autotrapianto mentre gli altri metodi sono sconsigliati. Luigi Fedele
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n. 1 - marzo 2009
Le “appetitose” circostanze dell’arresto di Giovanni Nirta ad Amsterdam
Fatali furono le lasagne “L’uomo senza panza è comu nu cristiano senza sustanza”. E la lasagna fu fatale e indigesta, tanto da condurlo per “via diretta e canna regolare” nelle mani della polizia. È quello che è capitato al super latitante Giovanni Nirta. Gli inquirenti hanno seguito e pedinato la moglie e due cognate del boss, partite da Locri in treno, e giunte ad Amsterdam su un’auto guidata da un favoreggiatore. Le due cognate si sono recate a una fermata del tram dove hanno consegnato una borsa (con all’interno una teglia di lasagne e salsicce calabresi) a un uomo. Questi è salito su un mezzo pubblico, ed è sceso alcune fermate dopo, dove ad aspettarlo c’era un altro uomo, con i baffi e vestito in modo sportivo: era lui Giovanni Nirta. Subito arrestato, ha potuto solo a guardare le lasagne, mentre lo portavano via. Quel dolce piatto che riempie il palato, dal sapore ammaliante, che basta provarlo una sola volta per rimanere innamorati, non si dimentica facilmente, anche in latitanza, specie se la festività natalizia incombe. Per una volta anche a Nirta era venuta la voglia di festeggiare a tavola. La polizia italiana lo tallonava da lunghi mesi ma il lati-
LA RICETTA Ingredienti: 1 kg di carne tritata, 600 grammi di prosciutto cotto, 3 confezioni di sottilette, 1 kg di provola, 500 grammi di formaggio pecorino grattuggiato, besciamella, 1 kg di pasta sfoglia fresca, preferibilmente fatta in casa, 9 uova. Preparazione: Preparare il sugo con la carne tritata. Far bollire in una pentola acqua, salare l'acqua e versare un goccio d'olio aspromontano. Quando l'acqua bolle mettere due o tre sfoglie e cuocerle al dente. In un recipiente a parte mettere un po’ di sugo. Quando le sfoglie sono al dente, scolarle, passarle sotto l'acqua fredda e versarle nel recipiente con il sugo. Preparare una pirofila. Versare sul fondo un po’ di sugo. Alternare strati di pasta con prosciutto, sugo, formaggio, uova, besciamella e, se si desidera, anche salame calabrese e melanzane. Terminare con uno strato di pasta, sugo e formaggio.
Faida di sangue e “onore” Si dice che la faida tra le due famiglie rivali a San Luca (i Pelle-Vottari-Romeo e gli Strangio-Nirta) abbia avuto origine in un lontano carnevale del 1991, ma dietro c’era la conquista del “mercato” dei sequestri e oggi ci sono i molti interessi della mafia in Germania. Una storia raccontata più volte, stravolta, modificata, che diventa quasi una leggenda. Una storia di una terra maledetta, calpestata da una mentalità troppo calabrese. Diciassette anni che hanno insanguinato la Locride. Quanta ferocia, quanto odio: tutto nasce nel paese dei sequestri e di Corrado Alvaro, uno dei più grandi scrittori del Novecento. Lo “sbaglio” più grave che si possa fare, a San Luca, avvenne a Natale del 2006: una donna di soli 33 anni, trucidata sulla porta di casa. Naturalmente il sanguinoso scontro fra i due clan deriva da una battaglia per il controllo del territorio. Anche se l’Aspromonte non è più terra dei sequestri (clamorosi intorno a San Luca quelli di Paul Getty Jr. e del giovane Casella, la cui madre si incatenò sulla piazza). L’uccisione di Maria Strangio ha provocato la riapertura della faida, che da quel giorno ha registrato altri cinque omicidi e sei tentati omicidi. L’ultimo, prima della sanguinosa strage di Duisburg è accaduto il 3 agosto del 2008, con l’agguato contro Antonio Giorgi, ucciso a colpi di fucile mentre si trovava in un terreno di sua proprietà. Per una donna,secondo le usanze della ‘ndrangheta calabrese, hanno perso la vita 11 persone. Questa è la “legge” della vendetta, in una terra dove ancora il nero del lutto si potrae negli anni, dove ancora le ragazze escono accompagnate dai loro fratelli. Dove alla donna si dà del voi, in segno di malinteso rispetto e onore familiare, paragonando la donna alla madonna e a una “vacca sacra”. f.p.
tante era riuscito con mille stratagemmi a eludere la sorveglianza e a sottrarsi all’arresto. Gli inquirenti, tuttavia ne avevano individuato e tenuto d’occhio il nascondiglio. Sembra facile catturare un latitante di questa importanza, ma non lo è per niente. Gode di amicizia insospettabili e può sfruttare leggi che variano da uno Stato all’altro. Ha supporti logistici e ben remunerati. Si muove lo stretto necessario ma con enorme, pignola circospezione e prudenza. Usa anche i parenti stretti, autisti personali e ogni altro accorgimento utile e necessario. Nirta - che compariva nell’elenco dei cento superlatitanti del Viminale - è sospettato di avere partecipato alla strage di Duisburg, in cui nella notte tra il 14 e 15 agosto 2007 furono uccise sei persone. Nei suoi confronti non è stato mai emesso alcun provvedimento restrittivo per questo episodio, ma sul suo conto sono in corso specifiche indagini dalla squadra mobile di Reggio Calabria. Ferdinando Piccolo
C’è famiglia e “famiglia” Gli affetti della famiglia appartengono alla nostra tradizione, specie durante le feste natalizie. Ma in qualche caso possono essere in contrasto con un altro tipo di famiglia. E così è stato per Pietro Criaco, il super boss della famiglia Cordì. La polizia lo cercava da anni, ma lui era riuscito sempre a fuggire facendo perdere le sue tracce. Ma questa volta gli è andata male, e a tradirlo è stata,involontariamente, proprio la moglie. Che per stare vicino al marito, nel freddo Natale 2008, è sparita dal paese in cui abita, insospettendo la polizia che ha ipotizzato si fosse spostata per trascorrere le feste con Pietro, secondo l’immodificabile tradizione calabrese. ‘Ndrangheta compresa . E così era stato. Una stretta sorveglianza di qualche fiancheggiatore tra cui Giovanni Mollica, proprietario della casa che ospitava il boss, ha portato la polizia dritta al covo del super latitante. Alla vista degli agenti Criaco ha tentato di fuggire in pigiama attraverso i tetti, ma non riuscendoci, si è consegnato senza opporre resistenza. Era in compagnia della moglie e dei suoi due figli. Criaco dovrà scontare 19 anni di carcere per associazione mafiosa (416 bis del codice penale) e per un duplice tentato omicidio, avvenuto a Locri nel 1996. Tradizione vuole che su ogni capo-famiglia, circoli sempre qualche macabra leggenda. Si dice ad esempio che il 13 ottobre del 1997, subito dopo l’omicidio di Cosimo Cordì, capo dell’omonima famiglia, Criaco si fece largo tra la folla, raggiunse il cadavere, si chinò e lo baciò. Altra leggenda narra invece che il giovane killer dopo ogni delitto si sia “lavato” le mani con il sangue delle sue vittime.