2005 Febbraio

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pro manuscripto

Il diaconato è stato istituito per il servizio della carità. Che gli apostoli avessero la consapevolezza di dover esprimere la loro missione non tanto attraverso cerimonie cultuali quanto piuttosto attraverso l’annuncio del vangelo e la testimonianza della carità lo dimostra anche il fatto che appena pochi anni dopo la Risurrezione di Cristo essi eleggono “sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza” per occuparsi della distribuzione del cibo alle vedove che in Gerusalemme erano in particolari ristrettezze (Atti 6,1-6). A quel tempo chi era colpito dalla condizione di vedovanza o di orfano, non aveva alcuna sicurezza economica e sociale. Chi ricorda San Lorenzo, della Chiesa di Roma? Egli fu martirizzato il 10 Agosto 258 per aver trasgredito ad una legge che imponeva di consegnare all’autorità imperiale i supposti tesori della Chiesa. Lorenzo, gestiva i beni da distribuire ai poveri e dopo aver riunito i poveri e i malati di cui si occupava, li portò davanti al giudice dicendo: “Ecco i tesori della Chiesa!” Nel corso dei secoli il diaconato ha finito per diventare un rito di passaggio per coloro che intendevano diventare preti, invece dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ripristinato il diaconato come grado proprio e permanente della gerarchia. Il diaconato permanente, che può essere conferito a uomini sposati, costituisce un’importante arricchimento per la missione della Chiesa: è importante che gli uomini che nella Chiesa adempiono un ministero diaconale, sia nella vita liturgica e pastorale, sia nelle opere sociali e caritative siano fortificati per mezzo dell’imposizione delle mani perché il diaconato è l’espressione sacramentale del servizio di carità che la Chiesa rende ai poveri. Gli apostoli erano consapevoli d essere stati mandati ad annunciare il vangelo a tutti gli uomini, per questo non si fermarono a Gerusalemme, ma si dispersero per il mondo e dopo aver annunciato il vangelo e battezzato quanti aderivano a Cristo, sceglievano uomini maturi e capaci e li ponevano come responsabili alla guida delle comunità. I Presbiteri sono i collaboratori dei vescovi e partecipano alla loro missione

che fu prima degli apostoli. “I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro podestà, sono a loro uniti nell’onore sacerdotale e in virtù del Sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Vescovi e diaconi manifestano insieme quell’unico sacerdozio che Cristo ha trasmesso in primo luogo a tutta la sua Chiesa. Il sacerdozio ordinato è l’espressione sacramentale di quel sacerdozio di Cristo che appartiene a tutti i battezzati anche se vi sono coinvolti in modi per loro natura profondamente diversi. Il sacerdozio ordinato è a servizio del sacerdozio comune di tutti i fedeli, infatti in una parrocchia il presbitero è colui che aiuta la comunità a crescere nella vita cristiana e nella testimonianza. In ogni Chiesa particolare (diocesi) il vescovo esprime la continuità con il primo gruppo dei dodici apostoli ai quali Gesù affidò una missione e poteri che non sono poteri magici. Il vescovo è il segno visibile della fedeltà al vangelo e della comunione di tutti i battezzati nell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa. Proprio perché il vescovo, attraverso l’imposizione delle mani da parte di altri vescovi, assicura l’ininterrotta successione apostolica e la piena comunione fondata da Cristo sugli apostoli, “ L’Eucaristia celebrata dal vescovo ha un significato come espressione della Chiesa riunita attorno all’altare sotto la presidenza di colui che rappresenta visibilmente Cristo, buon pastore e capo della Chiesa.

Anno VIII - Febbraio 2005 - n. 2

Bollettino Mensile della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria - Silvi Marina www.gioiaesperanza.it

La prima pagina del nostro bollettino offre in genere, uno sguardo d’insieme sulla vita della comunità; attinge da una fonte ricchissima ed inesauribile perché tutti i miracoli e le riflessioni che ci sono date per gioire, sono doni di Dio! In questo inizio di quaresima, però, vorremmo essere essenziali con le parole ed invece che una finestra ideale, mostrare tutte le porte concrete ed aperte nella parrocchia, dove il Signore ci aspetta. Quello che raccontiamo scrivendo infatti, è l’esperienza di un incontro, così come lo è tutta la Parola di Dio, e come tale, per quanto ricca, non può rendere tanto quanto il verificare personalmente, concretamente la vita vissuta con il Signore. Il cristianesimo non è una corrente di pensiero, non è una filosofia di vita ma il respiro della vita stessa; é un rapporto d’amore reale e fecondo! E’ la presenza di “Colui che è”, che sposa armoniosamente nella nostra esistenza l’agire con l’essere. Aldilà delle porte aperte della nostra chiesa, ogni giorno Il Signore Gesù ci aspetta, presente vivo e vero nella S.S. Eucaristia, in un miracolo che si ripete ogni giorno. Ed è lo stesso che ogni giorno, nei locali parrocchiali cresce i nostri bambini che giocano e cantano, “in sapienza e grazia”. Le catechesi per adulti e ragazzi e la catechesi per le coppie, sono altrettante por-

te aperte a tutti; conducono lungo il cammino della fede, a capire qual è la strada che Dio vuol farci percorrere per la nostra gioia. Non servono, come erroneamente pensiamo, per la preparazione immediata ai sacramenti; non siamo chiamati o YRFDWL al culto, alle liturgie ma a celebrare con gioia questi momenti di grazia perché ci aiutino a int erpret are l’esist enza. Siamo chiamati alla vita e per viverla in pienezza è fondamentale impararla dall’Autore della vita stessa. Ed Egli, per Sua scelta, insegna tramite ogni membro della comunità, per quanto ci possa sembrare improbabile; è il Signore che guida gli incontri delle varie associazioni, è Lui il Capo dei capi Scout, è Lui l’Educatore degli educatori A.C., è Lui il catechista, il Signore, presente “dove due o più”! Per significare sempre più questa novità di vita, creativa e multiforme, in questo

mese abb i a m o r iaper t o permanentemente il laboratorio parrocchiale, dove, tutte le sere dopo la Messa delle 18 mettiamo in comune i talenti e la gioia della comunione fraterna. Abbiamo chiamato questo stare insieme LAB-ORATORIO “GIOITE” così come il nostro bollettino perché…il perché diventa ovvio se si accetta l’immancabile fatica di viverlo (come ogni realtà comunitaria)! Vorremmo farvi un punto d’incontro tra tutte le realtà associative della parrocchia, l’una al servizio dell’altra. Ed aprire questa porta a tutti coloro che hanno voglia d’imparare, divertendosi, a cucinare, a cucire, dipingere, guardare insieme un film …e chi più ne ha più ne metta! Il tutto con l’identità propria, i gesti e i segni, il cuore, l’anima e l’amore dei cristiani (dal presepe alla croce!). Non abbiamo altra pretesa se non quella di mostrare e far incontrare, a quante più persone sia possibile, il Cristo nel suo corpo che è la Chiesa,… ne può venire qualcosa di buono??? )LOLSSR LQFRQWUz 1DWDQDqOH H JOL GLVVH ©$EELDPR WURYDWR FROXLGHOTXDOHKDQQRVFULWWR 0RVqQHOOD/HJJHHL3URIHWL *HV ILJOLR GL *LXVHSSH GL 1D]DUHWª 1DWDQDqOH HVFOD Pz ©'D 1D]DUHW SXz PDL YHQLUH TXDOFRVD GL EXRQR"ª )LOLSSR JOL ULVSRVH ©9LHQL H YHGLª *LRY 

Tra non molto esattamente il 14 febbraio molte coppie festeggeranno la festa degli innamorati,un evento sicuramente commerciale ma che dovrebbe far riflettere su un tema importante: l’amore. Oggi sono tante le parole che si usano per l’ argomento, sentiamo spesso parlare di amore finiti, di diritto all’amore, di amore che non può essere eterno, di amore tra persone anche dello stesso sesso…Tante quindi le sfaccettature di questo sentimento ma prendendo lo spunto da esso, volevo soffermarmi su un episodio accaduto la scorsa settimana nella nostra parrocchia: una famiglia ha voluto ospitare nella propria casa una teca contente la rappresentazione della

gli altri componenti della nostra famiglia. Protesi, perché i primi prossimi da amare per chi stà in una famiglia sono proprio i familiari. Non ci santifichiamo se non puntiamo su questo. Proprio perché al cristiano viene chiesto di posporre tutto, almeno spiritualmente, per seguire Gesù (se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre. La moglie, i figli. I fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (– Lc. 14,26 - ), sentiamo ora ripeterci da lui stesso le parole: Tu non mi ami, se non ami prima di tutto la tua famiglia. Sia dunque che siamo soli, sia che siamo in più nella nostra famiglia a vivere così, Gesù maestro sarà lì. E nei bambini che crescono in queste famiglie, con la vita data dai genitori, col latte della mamma, col cibo procurato da loro, con tutto l’affetto e l’assistenza che questa prima cellula della società offre, saranno inoculate tante idee di Gesù, idee evangeliche. Per cui essi cresceranno ragionando come ragiona Lui e impareranno a vedere nell’umanità la grande famiglia dei figli di Dio: non crederanno più ciecamente ad alcun sistema, crederanno al Vangelo; non li attirerà alcun rapporto se non quello basato sul comandamento nuovo di Gesù; saranno figli nuovi. Ed ecco potenziata la vita divina ricevuta con il Battesimo. Ecco genitori che mettono in funzione quelle grazie che il sacramento del matrimonio mette a disposizione della coppia per il bene dei figli; genitori che collaborano con Dio nello sviluppo e nella crescita di figli Suoi. Educare, trasformare i figli e l’intera famiglia. Farne una piccola chiesa, una realtà dinamica, aperta alla società circostante e alle sue necessità, orientando i figli a guardare oltre se stessi; agli altri e ai loro bisogni. E’ obbiettivo altissimo, che in certi casi

appare irraggiungibile. Ma non si deve disperare: Occorre al contrario orientarsi con fiducia verso il suo compimento, avendo a modello la Famiglia di Nazateth. Ma può anche accadere che qualcuno si allontani dalla fede o sia lontano da questa e/ o da ogni altro ideale cristiano. Deve essere accolto da noi non solo con amore umano, ma con amore sovrannaturale. Occorre valorizzare quel poco che egli dà alla famiglia, saper mettere in luce le idee buone, fra le tante meno buone, che lo animano; renderlo partecipe, per quanto è possibile, delle ricchezze spirituali e materiali della famiglia. Far tutta la nostra parte, insomma, per amare bene questo o questi figli in modo che essi, ricambino in qualche modo l’amore e la famiglia possa essere per loro un punto di riferimento. Del resto fare della famiglia una piccola chiesa significa modellarsi proprio sulla famiglia di Nazareth, su quella famiglia che viveva nella maniera più concreta e divina con Gesù presente in mezzo ad essa. I suoi membri, per comporre questo capolavoro, amavano ognuno in modo soprannaturale e perciò per Dio e non per sé. Maria, che era vera mamma di Gesù e vera sposa di Giuseppe, amava l’uno e l’altro non per sé ma per Dio. E Giuseppe non amava Maria per sé, l’amava per Dio, come amava per Dio Gesù bambino, pur essendo suo padre putativo. Sì, amare per Iddio; e il nostro amore è veramente purificato dagli attaccamenti umani. Che la Madonna ci doni tante famiglie unite per il bene della società e della Chiesa. Per mezzo di esse avremo oltretutto potenti mezzi per irradiare il Regno di Dio nel mondo. E sarà questa irradiazione verso altre famiglie e verso l’umanità che renderà la famiglia sempre più bella, più unita, più santa. E Dio non vuole forse questo oggi in cui si esige un laicato maturo e santo ?

scersi grazie alla cinta, che anche oggi si porta, con il simbolo della propria associazione Scout (infatti non esiste solo l’Agesci) e che spesso veniva anche scambiata; anche oggi scambiamo “oggetti” Scout come il “fazzolettone” o il distintivo del gruppo d’appartenenza. Così credo che quest’articolo della Legge sia ricco di significati. E’ vero che, come ci dice Gesù ancora oggi, dobbiamo essere tutti fratelli ma siamo esseri umani e non sempre riusciamo ad amare tutte quelle persone che ci sono accanto. Condividere interessi, opinioni, momenti di Vita ci può essere d’aiuto per imparare ad amarci.

Nel numero di Gennaio avevamo riportato la prima parte del discorso di Chiara Lubich ad un Convegno su Famiglia - Educazione del 1987. Si indicava ai genitori il modello a cui ispirarsi nel difficile compito di educatori e cioè a Lui, Gesù, quale Maestro. In questa seconda part e, “sintetizziamo” il come ed i mezzi con cui sia possibile seguire Gesù. Nella nostra piccola esperienza di coppia e di famiglia, abbiamo cercat o di “attingere alla sorgente della vita” con la preghiera personale e collettiva, accostandoci ai sacramenti, con la testimonianza e la coerenza nei confronti dei figli e il dialogo continuo. Nella fatica quotidiana e nelle prove inevitabili della vita, pur tra tanti fallimenti, ci sentiamo amati personalmente e sostenuti come genitori da Gesù Maestro.

Occorre imitare Gesù, o meglio ancora: lasciarlo vivere in noi. Si l’ottimo sarebbe che lui stesso prendesse posto in noi. Se egli vivrà nelle nostre persone il nostro comportamento d’educatori sarà ineccepibile. Se egli sarà introdotto come educatore nella nostra famiglia, avremmo adempiuto perfettamente il nostro compito. Gesù deve vivere nelle nostre persone. Lasciar vivere non l’ uomo vecchio, ma l’uomo nuovo; amare in modo soprannaturale; essere “fuori di sé”- sempre superando eventuali ostacoli con l’amore a Gesù ; non vivere noi stessi, ma vivere gli altri, facendoci uno con loro in tutto tranne nel peccato…Sono queste tutte espressioni che dicono come Gesù può prendere posto in noi: quel Gesù che, presente nelle nostre anime per la grazia, lo è più pienamente per la nostra corrispondenza a essa. Si, vivendo così, Gesù è in noi, Gesù il maestro. Ma Gesù deve vivere anche in mezzo a noi, nelle nostre famiglie. E qui è la presenza di Gesù che si verifica nell’ unità dove due o più sono uniti nel suo nome (cf. Mt. 18,20): Gesù fra moglie e marito; fra mamma e un figlio; fra un padre e una figlia; fra la mamma il nonno e la zia…Se Gesù sarà presente fra due componenti o più delle nostre famiglie, la sua presenza come maestro ed educatore sarà maggiore. Ma come garantirci questa sua preziosa presenza in mezzo a noi? Ricostruendola quando fosse incrinata, alimentandola ogni giorno e mantenendoci aperti, anzi tutti protesi, verso

Sacra Famiglia di Nazareth, benedetta dal nostro vescovo, aprendo così le porte della propria dimora a chi avesse voluto pregare e riflettere con loro intorno ad essa. Devo dire che è stata una splendida esperienza perché tutto ciò fa pensare che ci sono ancora coppie che nel silenzio della loro quotidianità fanno la scelta di un amore vissuto cristianamente. Inoltre riflettendo intorno alla Sacra Famiglia si può notare che il segreto è quello di mettere Gesù al centro della propria vita, accettarlo nelle scelte quotidiane, nei ruoli educativi come il dono più prezioso. Osservare questo esempio serve ad ognuno di noi anche per recuperare il senso del Mistero, Maria e Giuseppe meditavano nel loro cuore ciò che non capivano, oggi invece tutto ci sembra dovuto, lo stupore e la gratitudine non ci sono quasi più; la Famiglia di Nazareth ripropone la preziosità del silenzio, della condivisione, del dialogo che porta alla comunione. Osservando Maria e Giuseppe pensavo ai fidanzati, ai coniugi che dovrebbero guardare nella stessa direzione e non solo l’uno verso l’altro solo così due persone che si sono scelte o meglio che sono state scelte per vivere insieme camminano verso una felicità comune e hanno davvero un amore da festeggiare ma non una volta l’anno bensì tutti i giorni.

Lo scorso mese di gennaio ha preso avvio nella nostra parrocchia la catechesi per la preparazione al sacramento del matrimonio. E’ un appuntamento importante aperto ad ogni membro della comunità: a tutti coloro che desiderano comprendere ciò che la Chiesa chiede ai coniugi cristiani, a coloro che vogliono approfondire la conoscenza di questo dono inserito nel disegno totale di Dio, e anche a coloro che stanno ancora cercando la propria vocazione nella Chiesa e nel mondo. Ed ecco perché, se fino a questo momento nei miei articoli vi ho sempre comunicato le storie meravigliose di uomini e donne che hanno realizzato la carità perfetta in una speciale forma di consacrazione al Signore, in questo mese di febbraio voglio presentarvi una donna del nostro tempo, canonizzata da Giovanni Paolo II, che, in un atto di estremo coraggio, ha saputo dare la vita per la sua bambina. Oggigiorno, infatti, è profonda nel nostro cuore l’ esigenza che ci siano proposti come modelli dei santi che abbiano sperimentato la vita di tutti, divisa tra lavoro e famiglia, con coniuge e figli, con le gioie e le preoccupazioni che quotidianamente intessono le vicende dell’ uomo; è profondo il desiderio di “amare Dio con tutto il cuore, tutta l’ anima, tutte le forze” dentro i ritmi più abituali e comuni dell’ esistenza. Gianna Beretta Molla nasce a Magenta il 4 ottobre 1922. Già dalla fanciullezza accoglie con piena adesione il dono della fede e l' educazione limpidamente cristiana, che riceve dagli ottimi genitori e che la portano a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere fiducia nella Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell' efficacia della preghiera. Dopo la Prima Comunione, Gianna comincia a frequentare assiduamente l’ Eucaristia, che diviene sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Negli anni del liceo e dell' università è una ragazza dolce,

volitiva, e riservata, e mentre si dedica con diligenza agli studi, traduce la sua fede in un impegno generoso di apostolato tra le giovani di Azione Cattolica e di carità verso gli anziani e i bisognosi nelle Conferenze di San Vincenzo. Laureatasi in Medicina e Chirurgia nel 1949 all' Università di Pavia, l’ anno seguente apre un ambulatorio clinico a Mesero, specializzandosi in Pediatria. Mentre compie la sua opera di medico, che sente e pratica come una missione, accresce il suo impegno generoso nell' Azione Cattolica, ed esprime con gli sci e l' alpinismo la sua grande gioia di vivere e il desiderio di godere dell' incanto del creato. Si interroga sulla sua vocazione che considera anch' essa un dono di Dio. Scelta la strada del matrimonio, l' abbraccia con tutto l' entusiasmo e s' impegna a donarsi totalmente “per formare una famiglia veramente cristiana”. Il 24 settembre del 1955 sposa l’ ing. Pietro Molla e, nel giro di pochi anni, mette al mondo tre splendidi bambini. Al gioioso annuncio di una nuova maternità si mescola presto la più grande preoccupazione: a fianco dell’ utero insorge un grosso fibroma, che deve essere immediatamente asportato, mettendo in pericolo la vita del piccolo e della madre stessa. Prima del necessario intervento operatorio, pur sapendo il rischio che avrebbe comportato il proseguimento della gravidanza, supplica il chirurgo di salvare la vita che porta in grembo e si affida alla preghiera e alla Pr o v v i d e n z a . “Abbiamo salvato il bambino...”: l’ espressione pronunciata dal professore al termine dell’ operazione annuncia a Gian-

na altri mesi di passione; li affronta con grande coraggio e pazienza, cercando di non pesare su nessuno, per non turbare la serenità del marito e dei figli. Alcuni giorni prima del parto è pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui”. Il mattino del 21 aprile 1962, dà alla luce una splendida neonata, che viene battezzata col nome di Gianna Emmanuela, il nome della madre unito al nome di quel Gesù che è “Dio con noi”. Passa gli ultimi momenti continuando ad offrirsi umilmente, fino a quando il 28 aprile, nonostante tutti gli sforzi e le cure, si spegne santamente, a soli 39 anni. Che cosa ha spinto questa donna ad un gesto così coraggioso d’ amore e di donazione? Certamente la volontà di obbedire al comandamento di quel Dio che dice “non uccidere”; poi, la cieca fede nella Provvidenza, l’ evidenza che agli altri tre figli ella era necessaria, ma a quello che portava in grembo era indispensabile: senza di lei, il Signore poteva provvedere ai suoi bambini, ma neppure il Signore avrebbe potuto provvedere a quella creatura innocente, se lei l’ avesse rifiutata. Che cosa insegna, oggi, Gianna alla nostra comunità? Gianna insegna l’ inestimabile valore della vita umana, che in ogni modo e ad ogni costo deve essere garantita e difesa, in quanto dono di Dio all’ uomo perché possa con Lui cooperare al disegno della creazione, insegna il rispetto tenace, consapevole e saldo del sacro vincolo matrimoniale, insegna ancora la fedeltà alla sobrietà, alla castità coniugale e ai principi della morale cristiana, non concepiti

come limitazione della libertà personale, bensì come realizzazione di essa. Ma soprattutto Gianna mostra alle nostre famiglie che la “santità è la quotidianità della vita,vissuta alla luce di Dio”, e mostra la gioia davvero sperimentabile che scaturisce dalla piena adesione alle parole dell’ apostolo Paolo nella Lettera agli Efesini: “le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’ acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso”.

Salve a tutti. Sono ancora io, Guida del Reparto Scout di Silvi, dell’Agesci, Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani. Già nel numero scorso avevo iniziato a farvi conoscere questo Mondo a cui appartengo; vi avevo detto che, com’era scritto in un giornalino dell’associazione tempo fa, “…se vuoi capire minimamente cos’è l’essere Scout quest’avventura devi vivertela sulle spalle!”. Concludendo, cercherò di farvi conoscere noi dalle cose che seguiamo, ad esempio la legge Scout. L’altra volta avevo approfondito l’articolo sesto “ La Guida e Lo Scout amano e rispettano la natura”. Per questo mese ho pensato al quarto, “La Guida e lo Scout sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida e Scout”. Ho già sentito dire che noi tendiamo a “distinguerci” per la nostra uniforme e il fatto di considerarci fratelli di ogni altro Scout e amici di tutti gli altri potrebbe sembrare anche questo un pretesto per considerarci “una cosa a parte”. Tutto questo sembrerebbe un’obbiezione al comandamento di Gesù che ci vuole tutti fratelli… Forse però quello che molti non sanno è che, il nostro movimento è stato fondato nel 1908 e che il nostro fondatore, Lord Robert Stephenson Smyth Baden-Powell of Gilwell, più comunemente chiamato da tutti noi Scout B.-P., era un generale inglese che ha partecipato a guerre e ha vissuto poi le catastrofi della prima e della seconda guerra mondiale (infatti B.-P. muore a 84 anni, nel gennaio del 1941). Pensando alla gente di quel tempo di guerra, diffidente e spavent at a, Baden Powell aveva meditato che era difficile considerare colui che ti toglieva tutto e poi magari ti uccideva, un fratello. Era difficile allora ed è difficile ancora oggi, anche se si sono fatti passi avanti. Quindi il nostro fondatore aveva cercato di venir incontro a tutto questo facendo diventare un “nemico” un amico e facendo riconoscere tutti coloro che erano e sono Scout dei fratelli. Perché vi posso assicurare che anch’io ritengo più facile amare le persone che frequentano la mia stessa associazione. Durate la guerra, infatti, si sono avute molte testimonianze sulla fraternità Scout: persone che assistevano fino alla morte altri uomini, colpiti gravemente, anche se erano di un altro schieramento. Riuscivano a ricono-

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