CHIARA, CON LA SUA REGOLA E IL SUO CARISMA, DI FRONTE ALL’AUTORITÀ DELLA CHIESA Pubblicato in: Forma Sororum, 43 (2006) 236-255; 305-318. P. CARLO SERRI ofm. II, conclusione
Le forme della vita ecclesiale francescano-clariana L‟assunzione profonda di questi valori avviene tramite la connessione organica di “tre forme” indicate da Francesco nei suoi scritti. La forma della santa Chiesa romana garantisce la corrispondenza tra la vita secondo la forma del santo Vangelo e la forma di vita delle sorelle povere. Le tre forme si implicano a vicenda. a) All‟inizio dell‟itinerario spirituale di Francesco c‟è l‟illuminazione spirituale a vivere secondo la forma del Vangelo. È un carisma religioso, personale e comunitario: “E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (TestF 14).
La forma del Vangelo è la vita stessa di Cristo, proposta come modello concreto di vita per i suoi discepoli. La Regola dei frati minori è solo una sintesi e uno stimolo alla radicale assunzione del Vangelo come progetto di vita. “La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (Rb I,1).
b) L‟itinerario interiore evangelico, nelle sue dimensioni personali e comunitarie, si innesta nella forma storica della santa Chiesa romana. Questa è un‟istituzione teologica e canonica. È lo stesso Testamento a raccontare di seguito come, subito dopo l‟intuizione evangelica, c‟è stata l‟adesione all‟istituzione ecclesiale:
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“l‟Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò” (TestF 14-15).
La forma di vita evangelica si cala, con naturale semplicità di fede, dentro la forma della santa Chiesa romana. La coincidenza tra le due forme è totale: i novizi non siano accettati all‟Ordine contro la forma e l’istituzione della santa Chiesa1; i frati non devono predicare contro la forma e l’istituzione della santa Chiesa2; nei luoghi dei frati i sacerdoti devono celebrare la Messa secondo la forma della santa Chiesa3. Infine Francesco proclama beato, dunque uomo del Regno, il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo la forma della Chiesa romana4. La vecchia edizione delle Fonti Francescane traduceva l‟espressione secundum formam ecclesiae di Rnb 2,12, di LOrd 30 e di Amm XXVI,1 con l‟espressione “secondo le norme della santa Chiesa”, conservando la formula “forma della santa Chiesa Romana” − non si capisce perché − solo per il Testamento. La nuova edizione delle Fonti (2004) ha felicemente corretto la traduzione. In realtà il coerente e sistematico impiego di questa formula, nei diversi scritti di Francesco, dimostra una solida visione teologica, che restava offuscata nella traduzione italiana. c) Solo all‟interno di questa forma di vita evangelica ed ecclesiale possiamo apprezzare appieno la forma vivendi che Chiara riceve da Francesco per S. Damiano. Abbiamo due testimonianze inoppugnabili dell‟origine francescana della forma di vita delle sorelle. La prima è nel ricordo offerto dal Testamento di Chiara: “E così, per volontà del Signore e del beatissimo padre nostro Francesco, venimmo ad abitare accanto alla chiesa di San Damiano […]. In seguito egli scrisse per noi una forma di vita (formam vivendi), e principalmente che perseverassimo nella santa povertà” (TestCh 30.33).
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“Nullus recipiatur contra formam et institutionem sanctae Ecclesiae” (Rnb 2,12). La traduzione offerta dalla vecchia edizione delle Fonti Francescane: “contro le norme e le prescrizioni della santa Chiesa”, mi sembra riduttiva. 2 “Nullus frater praedicet contra formam et institutionem sanctae ecclesiae” (Rnb XVII,1). 3 “Secundum formam sanctae ecclesiae” (LOrd 30). 4 “Beatus servus, qui portat fidem in clericis, qui vivant recte secundum formam Ecclesiae Romanae” (Amm XXVI,1). 2
La seconda testimonianza è più ufficiale e assume il valore canonico della Regola approvata dalla Santa Sede: “Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l‟autorità del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con l‟appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita (formam vitae) e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. […] La Forma di vita (forma vitae) dell‟Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa: Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. […] Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l‟avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita (formam vivendi) in questo modo: „Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell‟Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale‟” (RegCh Prol.,15-16; I,1-2; VI,2-4).
L‟espressione forma di vita ritorna in tre punti strategici del testo: nell‟approvazione del cardinale Rainaldo, nell‟incipit della Regola, e infine nel capitolo VI, quello più autobiografico e carismatico. Appare chiaro che la forma propria di vita che Francesco trasmette alle sorelle, come quella dei frati, è qualificata dal suo radicamento evangelico ed ecclesiale. Le tre forme di vita (evangelica, ecclesiale e damianita) si richiamano a vicenda, e costituiscono un modo di essere unitario, che struttura i valori fondamentali dell‟esperienza francescana. Se vogliamo cercare il riferimento biblico di questo linguaggio francescano dobbiamo probabilmente riferirci al testo della lettera ai Filippesi, che descrive, con la kenosi del Signore, la radice cristologica della vita in minorità: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina (cum in forma Dei esset), non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (formam servi accipiens) e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,5-8).
La kenosi di Cristo, consistente nel passaggio dalla forma di Dio alla forma di servo, costituisce la ragione e il modello della minorità francescana,
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che assume, per amore, la stessa forma di vita povera e umile del Signore Gesù. L‟assunzione di questa forma di vita trova dunque il suo punto di partenza nella scelta radicale della povertà e il suo culmine nella totale conformità alla logica della croce. Se infine vogliamo cercare l‟attuazione liturgico-ecclesiale perfetta di questa comunicazione di vita divina dobbiamo rifarci all‟Eucaristia, in cui Francesco contempla la forma più completa del dono di Cristo: “tutti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l‟altare nelle mani del sacerdote, nella forma del pane e del vino (in forma panis et vini) […]”(Amm I,9)5.
Solo alla luce di questo vasto orizzonte possiamo capire in pieno l‟importanza dell‟Eucaristia nella spiritualità di santa Chiara. È il corpo di Cristo che dà forma alla Chiesa, sulla croce e nell‟Eucaristia; ed è la forma della Chiesa che accoglie nel suo corpo la forma di vita delle sorelle povere. 5. Il carisma clariano e l’intervento dell’autorità ecclesiale: repressione o discernimento ecclesiale? L’amore alla povertà Alcuni studiosi hanno descritto il rapporto di Chiara con l‟autorità della Chiesa in termini di lotta e di contrasto, come se il Papa non capisse il carisma di S. Damiano o lo ostacolasse. Cosa pensare? Dobbiamo notare innanzi tutto che proprio le fonti che ci tramandano questo presunto contrasto descrivono anche l‟affetto e la comunione profonda che legò i Pontefici alla badessa di S. Damiano. Questo appare evidente già nel racconto che la Leggenda offre del rapporto con papa Innocenzo III. “Volendo che la sua famiglia religiosa si nominasse con il nome della povertà, impetrò da Innocenzo III di buona memoria il privilegio della povertà. Quell‟uomo magnifico, rallegrandosi dell‟ardore così grande della vergine, sottolineò la singolarità del proposito, poiché mai era stato richiesto alla Sede Apostolica un privilegio di tal genere. E, per rispondere con insolito favore all‟insolita petizione, il Pontefice in persona, di sua propria mano, scrisse con grande letizia una prima noticina (primam notulam) del privilegio richiesto” (LegCh 14). 5
Inutile sottolineare ancora che la traduzione delle FF (vecchia e nuova edizione) “sotto le specie del pane e del vino” non rende ragione della coerenza linguistica di Francesco. 4
Siamo nel 1216, dopo che il Concilio Lateranense IV aveva imposto a tutti i nuovi ordini religiosi o monasteri di adottare una Regola già approvata dalla Chiesa. Le sorelle di S. Damiano scelgono la regola benedettina, che è il codice classico della vita monastica. Chiedono però al Papa il Privilegio della povertà, per tutelare l‟originalità della loro forma di vita. Il Papa concede questo stranissimo privilegio. Oggi alcuni dubitano della realtà del fatto, che invece è incontestabile, perché attestato da molteplici fonti6. Viene attestato sia dalla Leggenda, sia dal Testamento di Chiara (cf. TestCh 42), sia dal Processo di canonizzazione. Abbiamo già accennato che si discute sullo stile del testo del privilegio a noi tramandato, se sia o meno corrispondente allo stile della cancelleria papale del tempo. Notiamo però che la Leggenda attribuisce al Pontefice solo la primam notulam del documento richiesto. Questo particolare dà l‟impressione di una concessione atipica, e anche poco rispettosa delle formalità burocratiche. A qualcuno appare inverosimile che nel 1216 S. Damiano, che era solo un piccolo e povero monastero di religiose sconosciute, potesse ottenere privilegi dalla Curia romana7. In realtà l‟ipotesi è meno inverosimile di quanto sembri. Non possiamo dimenticare il racconto coevo di Giacomo da Vitry (ottobre 1216), che offre una testimonianza non di parte sulle origini francescane. “Partito di qui, arrivai a Perugia. Trovai papa Innocenzo morto, ma non ancora sepolto […]. Il giorno dopo i funerali, i cardinali elessero Onorio (18 luglio 1216), uomo di età avanzata e pio, semplice e molto mite, che aveva distribuito ai poveri quasi tutto il suo patrimonio. La domenica dopo l‟elezione, fu consacrato Sommo Pontefice [...]. Avendo frequentato per qualche tempo la Curia, vi ho trovato parecchie cose contrarie al mio spirito […]. Ho trovato però, in quelle regioni, una cosa che mi è stata di grande consolazione: delle persone, d‟ambo i sessi, ricchi e laici, che, spogliandosi di ogni proprietà per Cristo, abbandonavano il mondo. Si chiamavano frati minori, e sorelle minori e sono tenuti in grande considerazione dal Papa e dai cardinali. […] Le donne 6
Il codice più antico che riporta il testo del Privilegium è quello, già citato, di Messina. Altro codice è nel libro delle Ricordanze del Monastero di S. Lucia in Foligno, a cura di Sr. A.E. SCANDELLA osc., Porziuncola, S. Maria degli Angeli 1987, 140. Cf. Legenda Latina Sanctae Clarae Virginis Assisiensis, a cura di P. G. BOCCALI con trad. italiana di P. M. BIGARONI, Porziuncola, S. Maria degli Angeli 2001, 32-33. 7 “I richiedenti di umili origini potevano solo difficilmente presentare le loro petizioni al papa. La venalità della Curia è stigmatizzata come stereotipo ed era generalmente risaputo che, chi voleva ottenervi qualcosa, doveva disporre di molto denaro” (W. MALECZEK, Chiara d’Assisi..., 69). Questa affermazione generale ci sembra meno pertinente delle precise testimonianze della Leggenda e di Giacomo da Vitry. 5
invece dimorano insieme in alcuni ospizi non lontani dalle città, e non accettano alcuna donazione, ma vivono col lavoro delle proprie mani. Non piccolo è il loro rammarico e turbamento, vedendosi onorate più che non vorrebbero da chierici e laici […]. Gli uomini di questa religione convengono una volta l‟anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, ricavando da questi incontri notevoli benefici. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano delle leggi sante, che sottopongono al Papa per l'approvazione” (Giacomo da Vitry A,4.7-8.10-11).
Sottolineiamo solo alcuni particolari, spesso trascurati: 1. Il Papa e la Curia si trovano a Perugia (a quattro passi da Assisi). 2. I frati e le “sorelle minori” sono conosciuti, stimati e considerati da Papa e cardinali, chierici e laici. 3. I frati già sottopongono all‟approvazione del Papa le loro leggi. Questo racconto di un testimone ancora estraneo alla vicenda francescana ci testimonia che i contatti tra la Curia romana e il movimento minoritico, maschile e femminile, erano vivi e cordiali. Se il Papa approvava le “leggi sante” dei frati, perché mai appare tanto improbabile che abbia anche potuto, in maniera informale, approvare l‟originale scelta di povertà delle sorelle? Teniamo conto che, a quel tempo, nemmeno i Frati Minori avevano ancora una Regola definitiva. Il loro genere di vita era stato ammesso solo oralmente, da Innocenzo III, nel 1209-10. Il privilegio del 1216, nella sua atipicità burocratica, si può comprendere solo in questa situazione iniziale molto fluida, gestita ancora con prudenza da parte della Curia romana. L‟intervento sulla povertà di Gregorio IX già si colloca in una situazione più evoluta. Francesco è morto e canonizzato, l‟ordine dei Minori ha una sua Regola approvata. Evidentemente il Papa vuole rendere più sicura la vita del monastero di S. Damiano e degli altri monasteri di Povere Dame che erano sorti in Italia. La Chiesa deve misurare con equilibrio e saggezza gli obblighi concernenti la povertà, soprattutto perché una Regola non obbliga solo gli attuali membri di una comunità, ma anche quelli futuri. La testimonianza di sora Pacifica di Guelfuccio al Processo di canonizzazione di Chiara ci espone le diverse opinioni del Papa e di santa Chiara a proposito della povertà: “Anche disse che particularmente amava la povertà, però che mai podde essere indotta che volesse alcuna cosa propria, né recevere possessione, né per lei, né per lo monasterio. Adomandata come sapesse questo, respose che essa vide et udì che la santa memoria de messere Gregorio Papa li volse dare molte cose et comparare le 6
possessioni per lo monasterio, ma essa non volse mai acconsentire” (Proc I,13; cf. anche II,22; III,14).
Anche la Leggenda di santa Chiara, fonte ufficiale, riporta l‟episodio: “Il signor papa Gregorio, poi, di felice memoria, uomo degnissimo della Sede quanto venerabile per meriti personali, ancora più intensamente amava con affetto paterno questa Santa. E si studiava di persuaderla che acconsentisse a possedere qualche proprietà, per far fronte ad ogni eventuale circostanza e ai pericoli del mondo; ed anzi, gliene andava offrendo lui stesso generosamente. Ma ella si oppose con decisione incrollabile e in nessun modo si lasciò convincere. E quando il Pontefice le replicò: „Se temi per il voto, Noi te ne dispensiamo‟, „Santo Padre − ella rispose − a nessun patto e mai, in eterno, desidero essere dispensata dalla sequela di Cristo!‟” (LegCh 14).
L‟episodio dell‟offerta delle proprietà si colloca nel 1228. Gregorio IX si trova ad Assisi per la canonizzazione di san Francesco. Chiara non vuole rinunciare al privilegio della povertà concessole già da Innocenzo III e, dopo molte insistenze, ne ottiene il rinnovo da parte di Gregorio IX. In seguito pochi altri monasteri chiesero e ottennero lo stesso privilegio: Monteluce presso Perugia (16 giugno 1229), Monticelli presso Firenze, Praga (15 aprile 1238). La bolla originale del Privilegio di Gregorio IX (Sicut manifestum est, 17 settembre 1228) si conserva nel Protomonastero S. Chiara di Assisi e dunque la sua storicità, a differenza di quello di Innocenzo III, è accettata da tutti gli studiosi. Consideriamo che la Leggenda di santa Chiara non è una compilatio dovuta alla mano di qualche frate spirituale ribelle. Ci troviamo di fronte ad un testo ufficiale, scritto su richiesta di papa Alessandro IV, che aveva canonizzato Chiara nel 1255, a lui dedicato e dunque approvato dalla Santa Sede (cf. ivi Lettera di Introduzione). Se reputiamo valide le attestazioni della Leggenda su Gregorio IX, perché non dovremmo accettare quelle su Innocenzo III? Questi due Papi non appartenevano ad un passato remoto, ma erano vissuti appena pochi anni prima, ed erano ancora vivi, nel 1255, moltissimi testimoni delle loro azioni. E non dimentichiamo che lo stesso papa Alessandro IV, quando si chiamava ancora Rainaldo dei conti di Segni, era stato cardinal protettore e dunque si era occupato personalmente delle vicende di S. Damiano. Come giudicare la differenza di sensibilità tra Chiara e Gregorio IX? Innanzi tutto dobbiamo vedere, in concreto, a che cosa si riduce il contrasto. Chiara difendeva la povertà assoluta, in modo tale che nessuno potesse obbligare le sorelle a ricevere delle proprietà. Gregorio non voleva certamente che le sorelle diventassero milionarie o che ammucchiassero proprietà faraoniche a
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spregio del Vangelo. Probabilmente voleva solo dotare il monastero di quel minimo di beni materiali che garantisse alle sorelle una serena sopravvivenza e la libertà necessaria nei confronti dei futuri benefattori. La storia ci ha amaramente insegnato che anche il dover ricorrere, forzatamente, a benefattori autorevoli e invadenti può diventare un ostacolo alla vita religiosa. Chiara temeva che le sorelle avessero troppe cose. Il Papa temeva che, non avendo abbastanza da vivere, dovessero poi ridursi a mendicare in maniera penosa. Quasi tutti gli studiosi evidenziano la discordanza d‟opinione tra Gregorio IX e santa Chiara. A me fa impressione invece il rispetto del Papa per la libertà delle sorelle. Pur essendo egli personalmente contrario all‟opportunità di concedere il privilegio, tuttavia rispetta la scelta più difficile che le sorelle vogliono operare e concede loro il privilegio richiesto. Ed avrebbe avuto tutta l‟autorità per non farlo! Abbiamo certamente due diverse prospettive: più carismatica quella di Chiara, più istituzionale quella di Gregorio. Chiara era presa dal presente, dalla bellezza di uno slancio di povertà che le riempiva il cuore. Ed aveva ragione lei, perché il Regno di Dio appartiene ai poveri. Il Papa guardava al futuro, ai bisogni concreti che condizionano sempre la storia degli esseri umani. Bisogna fare i conti, umilmente, anche con le umane debolezze, perché anch‟esse fanno parte di quella povertà che fa entrare nel Regno. Forse non aveva tutti i torti neanche il Papa. La storia ci dice che, fino a pochi decenni fa, la quasi totalità dei monasteri non ha seguito la Regola di Chiara, ma quella di Urbano IV, proprio per avere quelle poche proprietà indispensabili che Gregorio aveva loro offerto e che Chiara aveva rifiutato. Ancora una volta appare chiaro che la povertà, per un cristiano, può essere solo uno dei tanti volti che l‟amore sa assumere per somigliare a Cristo. Di fatto questa differenza di opinioni sulla povertà non ha incrinato la stima e l‟affetto dei Papi verso santa Chiara. Quello che avvenne alla sua morte ce lo dimostra. La Leggenda attesta che durante la sua ultima malattia Chiara ha ricevuto la visita di tanti sacerdoti, del cardinale di Ostia e dello stesso pontefice Innocenzo IV, dai quali riceve i sacramenti e le più copiose benedizioni. “Ed ecco, poco tempo dopo, giunge a Perugia la Curia Romana. Avuta la notizia del suo aggravarsi, il Signore di Ostia si affretta da Perugia a visitare la sposa di Cristo, di cui era stato per ufficio padre, per sollecitudine come colui che nutre, per affetto purissimo sempre amico devoto. […]
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Si affretta il signor papa Innocenzo IV di santa memoria a visitare l‟ancella di Cristo insieme con i cardinali; e come ne aveva approvata la vita più di quella di ogni altra donna del nostro tempo, non esita a onorarne la morte con la sua presenza papale” (ivi 40.41).
Mi chiedo: capita spesso che il Papa accorra al capezzale di una suora morente? E Innocenzo IV ci sarebbe andato se non avesse avuto grande stima e affetto per lei? Ancora: al funerale di Chiara Innocenzo IV vorrebbe far celebrare l‟Ufficio delle vergini invece di quello dei defunti! (cf. ivi 47). Mi chiedo: capita spesso che il Papa presieda il funerale di una suora e la tratti già, dinanzi a tutti, come una santa? In duemila anni di cristianesimo quante suore hanno ricevuto un trattamento così onorevole da parte di un Papa? Tutte le congetture su atteggiamenti di lotta o di contrasto tra Chiara e il papato dovrebbero tener conto di queste elementari osservazioni. Clausura per amore dello Sposo celeste Chiara visse nella clausura del suo monastero per 42 anni continui, ossia dal 1211 al 1253. Risulta dalle concordi testimonianze del Processo di canonizzazione che Chiara non uscì mai da S. Damiano. Su questo argomento si opera, a volte, una confusione tra le questioni disciplinari e la dimensione spirituale. È quest‟ultima che fornisce motivazioni e spessore teologico alla vita in clausura. Nel concreto svolgersi di una vita contemplativa le determinazioni disciplinari, per quanto importanti, restano sempre secondarie e strumentali. “Nella prigione di questo minuscolo luogo, la vergine Chiara si rinchiuse per amore dello Sposo celeste. Qui incarcerò il suo corpo, per tutta la vita che aveva innanzi, celandosi dalla tempesta del mondo. Ponendo il suo nido, quale argentea colomba, nelle cavità di questa rupe, generò una schiera di vergini di Cristo, fondò un monastero santo e diede inizio all‟Ordine delle Povere Donne. Qui frange le zolle delle sue membra nella via della penitenza, qui semina semi di perfetta giustizia, qui col suo proprio passo segna la via per le sue future seguaci. In questo angusto eremitaggio per quarantadue anni spezza l‟alabastro del suo corpo con i flagelli della disciplina, perché l‟edificio della Chiesa si riempia della fragranza degli unguenti” (ivi 10).
Alcuni studiosi suggeriscono che sia stato il cardinale Ugolino ad imporre la clausura nel monastero di S. Damiano, secondo le costituzioni da lui scritte nel 1219, per tutti i monasteri delle Dominae Pauperes. Onorio III si era impegnato a continuare l‟opera iniziata da Innocenzo III: riorganizzare le comunità religiose femminili, dando loro una più precisa 9
configurazione ecclesiale e ponendole alle dipendenze dirette della Santa Sede. Si servì per questo scopo del cardinale Ugolino. Questi realizzò a tal fine tre legazioni in Toscana e Lombardia, negli anni 1217, 1218-19 e 1221, conoscendo le nuove comunità e cercando di regolamentarle nel miglior modo possibile. Secondo la cronologia comunemente accettata, il cardinale Ugolino incontrò per la prima volta santa Chiara e le sue sorelle solo nel 1220. Passò a S. Damiano la settimana santa. Dopo la partenza scrisse alle sorelle di S. Damiano una lettera colma di stima e d‟affetto, affidandosi alle loro preghiere con toni di un fervore persino esagerato8. Dunque nei primi importantissimi anni dell‟epopea evangelica francescana, nella primavera spirituale di S. Damiano, quando Francesco e Chiara erano liberi da possibili pressioni della Curia romana… Chiara è vissuta in clausura. Ha visto in faccia per la prima volta il cardinale Ugolino quasi dieci anni dopo il suo ingresso a S. Damiano. Chiara è stata in clausura, negli anni più belli della sua giovinezza, non perché costretta da una legge, ma perché sedotta da un Amore. Risulta veramente forzato affermare che è stato il cardinale Ugolino ad imporre la clausura a S. Damiano. 6. La Chiesa ha capito il carisma e la Regola di Chiara? Certamente, al termine di un periodo di discernimento, la Chiesa ha approvato la Regola di Chiara: è il primo sigillo! Ma ha realmente compreso il suo carisma? Per rispondere al quesito è utile rileggere le parole contenute nel Prologo della Regola. Innocenzo IV si prende cura di “confermare con la nostra autorità apostolica la forma di vita, secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà, che vi fu 8
Lettera del cardinale Ugolino a S. Chiara, in S. CHIARA D‟ASSISI, Scritti e documenti, Ed. Francescane, Assisi 1994, 387-8. Non sono riuscito a comprendere le osservazioni di M.P. Alberzoni su questa lettera del cardinale Ugolino. L‟Autrice scrive: “Se tale scritto […] indubbiamente testimonia la stima di Ugolino per Chiara, è anche innegabile la presenza in esso di motivi che il cardinale d‟Ostia considerava caratterizzanti la vita monastica femminile, riguardo ai quali l‟accordo con Chiara non doveva essere totale, soprattutto circa la rigida e permanente clausura che per Ugolino andava sempre più configurandosi come la condizione indispensabile per favorire la preghiera assidua” (M.P. ALBERZONI, Chiara e il Papato, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 1995, 43-44. Il testo di Ugolino è riportato alle pp. 116-117). Ho riletto più volte questa lettera, anche nella versione pubblicata in EAD., La nascita di un’istituzione. L’Ordine di S. Damiano nel XIII secolo, CULS, Milano 1996, 156-158. Mi pare che essa non contenga il minimo riferimento esplicito e nemmeno la più vaga allusione alla clausura. Meno ancora mi sembra che da questa lettera si possa dedurre quale fosse il pensiero di Chiara sull‟argomento. 10
data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata” (RegCh Prol.,4–6).
Queste parole sottolineano il patrimonio spirituale originario delle Sorelle Povere, che s‟impegnarono sin dall‟inizio ad osservare la forma di vita ricevuta da san Francesco e approvata dalla Chiesa. Santa Chiara e le sue sorelle avevano chiesto a papa Innocenzo IV l‟approvazione di una forma di vita ben determinata, nella quale esse intendevano vivere la loro fedeltà vocazionale. La lettera di approvazione del cardinal protettore Rainaldo, riportata fedelmente nella bolla Solet annuere sintetizza efficacemente i valori fondamentali della Regola: “Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo e seguendo le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo libero servire a Lui, noi, encomiando nel Signore il vostro santo proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai vostri voti e ai vostri santi desideri. Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l‟autorità del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con l‟appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta” (ivi Prol.,12-16).
Rainaldo indica alcuni valori eminenti che qualificano la vita di S. Damiano. Le sorelle: a) rinunciano al mondo per seguire le orme di Cristo e della sua santissima Madre (Christi et eius sanctissimae matris sequentes vestigia). b) Scelgono una vita di clausura in monastero (elegistis habitare incluso corpore). c) Si dedicano al servizio di Dio in somma (o altissima) povertà (in paupertate summa Domino deservire). d) Adottano una forma di vita improntata alla fraternità evangelica, per essere “una cosa sola” tra di esse e con Dio (formam vitae et modum sanctae unitatis). e) La Chiesa, nell‟accogliere la richiesta della badessa di S. Damiano, approva una forma di vita e nello stesso tempo riconosce che essa fu consegnata alle sorelle da san Francesco stesso, perché fosse osservata (vobis beatus pater vester sanctus Franciscus verbo et scripto tradidit observandam).
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Quindi la Chiesa riconosce un carisma e lo conferma. È un discernimento ecclesiale. Le motivazioni dell‟approvazione della Regola ricalcano sostanzialmente le parole della forma vivendi scritta da Francesco (cf. ivi VI,2 e TestCh 33). Mi sembra dunque che la Chiesa, nell‟approvare la Regola di una donna che di lì a poco avrebbe proclamata santa, si sia resa conto benissimo di quello che faceva e abbia riconosciuto la presenza dello Spirito del Signore in quella esperienza di fede che si stava svolgendo ormai da quarantadue anni. Conclusione: il secondo sigillo Chiara morì baciando la sua Regola, bollata dalla Chiesa. Chiara ha sigillato la sua Regola baciando il sigillo della Chiesa. Questo fatto è anche menzionato da sora Filippa nel processo di canonizzazione. “E nella fine de la vita sua, chiamate tutte le Sore sue, lo‟ raccomandò attentissimamente lo Privilegio de la povertà. E desiderando essa grandemente de avere la regola de l’Ordine bollata, pure che uno dì potesse ponere essa bolla alla bocca sua e poi de l‟altro dì morire: e come essa desiderava, così le addivenne, imperò che venne uno frate con le lettere bollate, la quale essa reverentemente pigliando, ben che fusse presso alla morte, essa medesima se puse quella bolla alla bocca per baciarla” (Proc III,32).
Una mano sconosciuta ha scritto sul retro della pergamena originale: “Hanc beata Clara tetigit et osculata est pro devotione pluribus et pluribus vicibus, 9 santa Chiara la toccò e baciò per devozione più e più volte” .
E questo è il secondo sigillo apposto sulla Regola. Il primo, quello del Papa, è un sigillo ufficiale, con valore giuridico. Il secondo, quello di santa Chiara, è un sigillo d‟amore, di gratitudine ecclesiale, di comunione profonda in Dio. Sul primo sigillo, quello di piombo che pende ancora dalla pergamena, gli storici continueranno a discutere con la necessaria erudizione. Ma è sul secondo sigillo, il bacio di santa Chiara, che le clarisse, ancora oggi, continuano a poggiare la loro vita consacrata all‟Amore. P. CARLO SERRI ofm.
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Cf. P. VAN LEEWEN, Clare’s Rule, in Greyfriars Review, 1 (1987), 65-76. 12
Convento S. Caterina ad Nativitatem Bethlehem P.O.B. 588 91001 JERUSALEM Israel
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